Superando del 22/08/2023
Tra i fattori che possono determinare il successo formativo negli alunni con difficoltà nella visione, un ruolo cardine è svolto dalle immagini tattili che richiamano alla mente porzioni della realtà già vissute o che consentono di conoscerne delle nuove. «L’importanza del “toccare per conoscere” – scrive Anna Lisa Serpi – racchiude sostanzialmente il processo di “educazione all’immagine” che accompagna il bambino cieco sin dalla scuola dell’infanzia e prosegue nella scuola primaria, percorso irrinunciabile in quanto permette alla mano di diventare strumento primario di conoscenza»
I bambini/bambine e i ragazzi/ragazze con disabilità visiva hanno bisogno di figure educative che siano pronte ad accogliere la loro specificità e valorizzare le loro potenzialità, facendo riferimento alla cosiddetta “Zona di Sviluppo Prossimale” definita da Vygotskij.
A scuola tutto ciò deve avvenire con il supporto dell’intero team docenti e in particolare dell’insegnante di sostegno, che spesso si trova “impreparato” a mettere in atto pratiche educative che rispettino la condizione visiva dell’alunno, tenendo conto anche dell’eventuale evoluzione della patologia nel tempo in termini degenerativi.
Il problema della non adeguata preparazione degli insegnanti in ambito tiflodidattico è presente in diverse realtà e si può eliminare soltanto con la formazione specifica e il confronto costante con un Centro di Consulenza Tiflodidattica che costituisce il punto di riferimento di ogni ragazzo o ragazza con disabilità visiva in età evolutiva. Ma quali sono i fattori che determinano il successo formativo negli alunni che hanno difficoltà nella visione?
Un ruolo cardine è svolto dalle immagini tattili che richiamano alla mente del bambino/bambina, ragazzo/ragazza porzioni della realtà già vissute o consentono di conoscerne delle nuove, magari non esperibili direttamente con il tatto (pensiamo ad elementi troppo grandi o troppo piccoli da esplorare tattilmente o impossibili da raggiungere).
L’importanza del toccare per conoscere racchiude sostanzialmente il processo di educazione all’immagine che accompagna il bambino cieco sin dalla scuola dell’infanzia e prosegue nella scuola primaria, percorso irrinunciabile in quanto permette alla mano di diventare strumento primario di conoscenza. Inoltre, porta il bambino a comprendere che tutto ciò che esiste nella forma tridimensionale può essere traslato sul piano bidimensionale e di riflesso favorisce anche la creazione di rappresentazioni mentali della realtà stessa.
Le immagini tattili a supporto degli apprendimenti sono fondamentali in ogni area disciplinare, non basta infatti veicolare la trasmissione dei contenuti solamente attraverso la lettura e l’ascolto, essi vanno supportati dall’utilizzo dei sensi vicarianti. Il tatto, in particolare, rappresenta il canale preferenziale per la persona con disabilità visiva.
A questo proposito è necessario citare un pensiero di Mario Mazzeo, pedagogista, psicologo e consulente tiflologico: «Per superare la barriera mentale della minorazione visiva, la persona che non vede ha bisogno di essere aiutata ad innamorarsi del mondo».
Ricordiamo, infatti, che il bambino cieco di per sé non è portato a muoversi nell’ambiente per esplorarlo, sono le figure adulte di riferimento a promuovere la curiosità e la motivazione a scoprirlo mediante l’esplorazione tattile e la verbalizzazione delle esperienze.
Tutto ciò è necessario per evitare un rischio ricorrente nella persona con disabilità visiva, che è il verbalismo. Quest’ultimo consiste nel parlare di un qualcosa descrivendolo accuratamente, ma senza avere avuto un’esperienza concreta dello stesso; la persona riferisce solo quanto ascoltato sull’argomento. Ciò non corrisponde ad un reale apprendimento in quanto non vi è alla base un processo di conoscenza diretto e realmente spendibile.
Si tratta allora di porre in essere una riflessione: la scuola come agenzia educativa non deve anche valorizzare la completezza e la generalizzazione degli apprendimenti?
Per raggiungere questo traguardo formativo è opportuno fare rete con il territorio e in particolare con l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), presente con le sue Sezioni in tutta Italia, accogliendo le iniziative e le proposte di formazione che periodicamente vengono presentate.
Gli ambiti da approfondire con lo studio personale sono diversi (tiflodidattica, tifloinformatica, autonomia personale, orientamento e mobilità) e richiedono un tempo adeguato per essere interiorizzati; non ci si può cioè ancorare ad una preparazione frammentaria. È necessario anche utilizzare una terminologia corretta ed essere consapevoli delle tappe fondamentali di sviluppo della persona con disabilità visiva.
È importante specificare, inoltre, che quella condizione di buio che tanto spesso viene associata alla persona cieca non è corretta, perché alcune persone con cecità congenita non sanno attribuire significato a questa parola; il buio è dato solo dalla “mancata conoscenza della realtà” e dal relativo vuoto sensoriale che va superato e colmato mediante un percorso educativo seriamente pensato e strutturato secondo i bisogni formativi della persona.
Nel percorso di apprendimento dell’alunno ci si avvale anche dell’utilizzo dei libri tattili illustrati come mediatori didattici e strumenti di inclusione; essi, infatti, sono pensati per le esigenze percettive dei bambini ciechi e ipovedenti della scuola dell’infanzia e primaria, ma sono destinati a tutti i bambini in un’ottica di condivisione attiva.
La progettazione di questi libri segue un itinerario comune: nella parte sinistra si ha il testo scritto in nero a caratteri ingranditi e la trascrizione in Braille, mentre a destra vengono inserite delle immagini tattili esplicative del contenuto e realizzate con la tecnica del collage materico.
Si possono trovare in commercio, ma possono essere anche autocostruiti.
Tutto ciò porta a rimarcare ancora una volta il ruolo delle immagini in rilievo che, se ben utilizzate, possono fortificare le conoscenze degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. Com’è possibile dunque favorirne l’utilizzo?
Prima di tutto bisogna precisare che non basta utilizzare materiali differenti per dare vita ad un’immagine tattile effettivamente fruibile e funzionale allo scopo. Risulta necessario fare riferimento a dei criteri ben definiti e rispettare così le esigenze percettive del tatto:
- spessore di almeno 1 millimetro;
- figure intere realizzate con materiali e texture differenti;
- colori a forte contrasto cromatico;
- materiali percettivamente diversi per rappresentare elementi di vario tipo, con colori attinenti alla realtà;
- immagini collocate secondo una distanza percettiva adeguata e in netto contrasto con lo sfondo.
È importante che i docenti riconoscano che queste e altre riproduzioni in rilievo (che possono essere realizzate anche secondo altre modalità e materiali: Fornetto, Thermoform…) possono essere messe a disposizione di tutti i componenti della classe, perché, come afferma il professor Lucio Cottini, «quello che è necessario per qualcuno, finisce per diventare utile per tutti».
di Anna Lisa Serpi,
Insegnante di sostegno specializzata, educatrice esperta nelle tematiche tiflologiche.
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