lunedì 29 aprile 2019

Quando la vita senza luce è bella come un romanzo

La Stampa del 29.04.2019

Alessia Refolo, campionessa di arrampicata e sci nautico, non vedente per un neuroblastoma infantile, ha scritto un libro sulle sue sfide "Ho raccontato le mie sfaccettature e pubblicarle è stato come vincere un oro mondiale. La fase più difficile, far emergere le emozioni negative".

Una vita da romanzo. È quella di Alessia Refolo, vera e propria Wonder Woman eporediese che non si è fatta frenare dalla sua disabilità visiva e ne ha fatto, invece, un motivo d'orgoglio, dimostrando tutto quello ciò di cui è capace anche senza fare affidamento sugli occhi. I farmaci che le furono somministrati per curare un neuroblastoma infantile hanno danneggiato irreparabilmente retina e nervo ottico sin da quando aveva 18 mesi. Da una sfumatura d'ombre poi, Alessia è passata al buio completo cinque anni fa, quando ha perso completamente la vista.

Ma non si è persa d'animo. La ventottenne piemontese ha sempre amato le sfide: dall'equitazione è passata all'arrampicata, in cui ha conquistato persino l'oro iridato di categoria nel 2014 in Spagna e in seguito allo sci nautico, laureandosi campionessa europea. Nello sport non ha mai tradito la sua femminilità: «Barbie Climber» e «Barbie Skier» sono stati i soprannomi che l'hanno accompagnata in queste due avventure che ne hanno forgiato il carattere e inserite nel libro «Se vuoi, puoi - Una vita al di là del buio», volume di 264 pagine edito da Hever. Anche questa è stata una piccola grande impresa perché per scriverlo e pubblicarlo ha impiegato appena 6 mesi.

«Il mio editore mi ha fatto i complimenti perché non aveva mai visto un libro scritto, corretto e stampato in 6 mesi. Era così colpito che ha contato i 182 giorni che ho impiegato - racconta Alessia -. Mi sono sempre detta che l'avrei fatto e presto mi sono accorta che se mi mettevo d'impegno, avrei potuto realizzarlo in un breve periodo. L'ho fatto nei ritagli di tempo dal lavoro (è impiegata in banca, ndr) e in un mese era pronto per gli ultimi ritocchi. Per scrivere, mi basta qualunque computer con un sintetizzatore vocale, perché io conosco la tastiera a memoria: l'ho scritto da sola, loro hanno sistemato soltanto ortografia e punteggiatura, senza modificare la struttura».

Non un'autobiografia, ma un romanzo, che rivela tutti i lati di Alessia, non solo quelli di superdonna. «Ho scelto questo format perché ho cercato di raccontare tutte le mie sfaccettature, dalle sfide sportive a quelle contro la cecità, tramite dialoghi della quotidianità e flashback, prendendomi qualche licenza di modificare qualche dettaglio della mia vita per rendere più appassionante il libro - aggiunge Alessia -. È stata una soddisfazione enorme vederlo finito, come vincere un oro mondiale. Il passaggio più difficile è stato far emergere le emozioni negative, che di solito per autodifesa ho sempre cercato di nascondere». Il prossimo 12 maggio lo presenterà al Salone Internazionale del Libro di Torino.

Per qualche tempo ha messo lo sport da parte, ma nuove sfide sono all'orizzonte. «Ho sempre seguito il cuore e mi è sempre piaciuto cambiare. Non so ancora quale sarà la prossima disciplina in cui mi cimenterò. Ad esempio, mi piacerebbe lo sci di fondo, ma il freddo mi blocca. Staremo a vedere».

Dopo Barbie Climber e Barbie Skier, le toccherà aggiungere un nuovo capitolo.

domenica 28 aprile 2019

Corso di Astronomia per ciechi ed ipovedenti con eclissi parziale di luna – Latina 14 /17 Luglio 2019 (adesioni entro il 14 maggio)

Con il comunicato n. 32/2019 l’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) centrale informa che l’Associazione Pontina di Astronomia (APA) in collaborazione con IRiFoR Presidenza Nazionale organizza un corso residenziale di astronomia per ciechi ed ipovedenti in concomitanza con l’importante evento astronomico del 2019: l’eclissi di luna prevista per la sera del 16 Luglio.

Una serie di strumenti astronomici tattili realizzati dal Magg. Andrea Miccoli, socio fondatore dell’APA, permetteranno di analizzare a fondo questo fenomeno. Strumenti, più o meno grandi, più o meno complessi, alcuni in 4 dimensioni, con i movimenti necessari per seguire il fenomeno in evoluzione nel tempo. Strumenti in ogni caso unici nel loro genere, poiché autocostruiti, e che in questi anni hanno ricevuto grandi apprezzamenti non solo dai partecipanti delle scorse edizioni, ma anche dagli esperti tiflologi dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti e dell’IRiFoR.

Affinchè la visita a Latina sia non solo un momento di approfondimento scientifico ma anche una piacevole vacanza, l’Associazione Pontina di Astronomia ha organizzato 3 giorni di attività, con le mattine impegnate a parlare di stelle, e i pomeriggi dedicati al relax e/o visite presso i luoghi di maggior interesse del territorio. L’albergo scelto, data la stagione, si trova non “vicino” al mare, ma proprio sulla spiaggia.

Il numero di partecipanti al corso di astronomia è limitato ad 8 persone disabili della vista.

Per ulteriori informazioni circa il programma e le modalità di adesione, si rinvia al comunicato in oggetto, consultabile al seguente url:

Proposte formative della Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano – anno 2019

Nell’ambito dei Servizi al Lavoro della Fondazione Istituto dei Ciechi abbiamo il piacere di annunciare due iniziative formative di imminente realizzazione. La prima è relativa ad un corso per lo sviluppo di siti web; la seconda riguarda un corso per la figura di Addetto al Servizio Clienti. Per entrambe le proposte questa Direzione si sta adoperando per creare, al termine dei percorsi, opportunità di inserimento lavorativo presso alcune aziende interessate.

Trattandosi di 2 proposte diversificate e non essendo in presenza di sovrapposizioni temporali, è possibile iscriversi ad entrambi i corsi.

In sintesi, nello specifico:

1) Corso di formazione per la realizzazione di siti web e utilizzo di un Content Management System.
a. periodo: da maggio a luglio 2019;
b. durata: 200 ore – da lunedì a venerdì – 4 ore al giorno;

2) Corso di formazione per “Addetto Customer Care”.
a. periodo: da settembre 2019 a febbraio 2020;
b. durata: 745 ore – da lunedì a venerdì – dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00;

1) Corso di formazione per la realizzazione di siti web e utilizzo di un Content Management System.

Nell’ambito delle attività dei servizi al lavoro della Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, volte alla formazione professionale delle persone disabili visive, l’Ente realizzarà un corso di formazione per la gestione e la pubblicazione di contenuti web, con particolare attenzione al tema dell’accessibilità dei siti internet.

DESTINATARI

L’iscrizione al corso è riservata a persone con disabilità visiva in possesso dello stato di disoccupazione.

In particolare, possono iscriversi al corso:

• Ciechi totali, cioè coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento
• Ciechi parziali, cioè coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento
• Ipovedenti gravi, cioè coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30 per cento
• Ipovedenti mediogravi, cioè coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 per cento

Certificazione rilasciata:
Verrà rilasciato un attestato di partecipazione.

Argomenti trattati:
Il corso si propone di fornire competenze tecnico/informatiche con particolare riferimento all’apprendimento del linguaggio HTML5, dei fogli di stile CSS3, Javascript e Php utilizzando l’editor Notepad.
Si approfondiranno uso e tecniche di gestione di due tra i Content Management System più diffusi (WordPress e Joomla), necessari per la progettazione, realizzazione, gestione e pubblicazione di siti web. Si affronteranno inoltre le tematiche relative all’accessibilità dei portali web riservando una particolare attenzione alle tecnologie assistive e di conseguenza alle tecniche d’uso dei portali web con la tecnologia specifica per la disabilità visiva.

Requisiti richiesti:
Per l’ammissione al corso sono richiesti i seguenti requisiti di base:
• diploma di scuola media superiore o diploma di laurea;
• ottima conoscenza dell’uso della tecnologia assistiva;
• conoscenza di fondamenti di accessibilità;
• ottima conoscenza del sistema operativo Windows;
• ottima conoscenza del pacchetto Office;
• buona conoscenza della lingua inglese.

Iscrizione:
Le persone interessate al percorso formativo proposto devono confermare la propria adesione entro lunedì 13 maggio 2019 scrivendo alla mail: corsi.professionali@istciechimilano.it, indicando la denominazione del corso scelto ed il proprio recapito telefonico, per informazioni è possibile contattare telefonicamente la Segreteria Corsi Professionali al numero 02 7722 6240 o la Segreteria Centro Informatico al numero 02 7722 6335.
L’ordine preferenziale per la valutazione delle adesioni sarà l’ordine di arrivo delle stesse.
Le persone interessate saranno in seguito convocate per sostenere un colloquio di ammissione.
Si segnala la possibilità per le persone che avranno necessità di soggiorno per la frequenza ai corsi di usufruire del servizio di residenzialità presso la struttura interna alla Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano.
Si precisa che l’attivazione dei corsi potrà essere effettuata al raggiungimento di un numero minimo di iscrizioni.
Tutti i dati forniti saranno trattati secondo la normativa vigente in materia di privacy e riservatezza.


2) Corso di formazione per “Addetto Customer Care”:

A seguito dell’avviso di Regione Lombardia per la realizzazione dell’iniziativa “Lombardia plus” a sostegno dello sviluppo delle politiche integrate di istruzione, formazione e lavoro per il biennio 2019/2020, la Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano ha presentato un progetto per la realizzazione di un percorso formativo.

Destinatari:
Il percorso formativo che sarà attivato, previa ammissione e finanziamento da parte di Regione Lombardia, è rivolto a persone disabili visive:
• prive di occupazione,
• di età compresa tra i 16 e i 35 anni compiuti,
• residenti o domiciliati in Regione Lombardia.

In particolare, per quanto riguarda la disabilità visiva, possono iscriversi al corso:
• Ciechi totali, cioè coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento
• Ciechi parziali, cioè coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento
• Ipovedenti gravi, cioè coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30 per cento
• Ipovedenti mediogravi, cioè coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 per cento

Certificazione rilascaita:
La proposta progettuale vede per la prima volta in Lombardia un percorso formativo relativo all’Addetto al Customer Care con disabilità visiva, profilo individuato e condiviso con aziende del settore. Gli obiettivi didattici comportano l’acquisizione di un insieme di competenze coerenti con le richieste delle aziende che collaborano al progetto formativo e relative al profilo di Addetto customer care come previsto dal “Quadro Regionale degli Standard Professionali” di Regione Lombardia.

Al termine del percorso, verrà rilasciato un attestato di competenza previo superamento di una prova finale.
Argomenti trattati:

Qualora approvato e finanziato da Regione Lombardia, il percorso formativo verrà sviluppato e realizzato anche con la presenza di personale docente delle aziende che hanno aderito all’iniziativa.

Al termine verranno effettuati colloqui di selezione per accedere a tirocini e/o inserimenti lavorativi.

Saranno affrontati i seguenti macroargomenti:
• Elementi di customer care,
• Principi di customer satisfaction,
• Teoria e tecniche di comunicazione interpersonale e telefonica,
• Utilizzo software gestionali per l’interrogazione di banche dati,
• Utilizzo software per la gestione di attività di call center.
Saranno inoltre sviluppati specifici percorsi formativi riguardanti l’utilizzo
• della lingua inglese per la comunicazione con il cliente/utente e
• delle tecnologie assistive necessarie ad interfacciarsi con il Sistema Operativo Ms Windows e il pacchetto Office.

Requisiti richiesti:
Oltre a quanto già indicato nel paragrafo “Destinatari”, per l’ammissione al corso occorre essere in possesso dei seguenti requisiti di base:
• diploma di scuola media superiore o diploma di laurea;
• ottime capacità comunicative e relazionali;
• buona conoscenza dell’uso della tecnologia assistiva;
• buona conoscenza del sistema operativo Windows;
• buona conoscenza del pacchetto Office;
• elevate abilità nell’autonomia personale e nell’orientamento e mobilità;
• buona conoscenza della lingua inglese;
• per i ciechi assoluti la conoscenza del codice braille è considerata elemento preferenziale.

ISCRIZIONE
Le persone interessate al percorso formativo proposto devono confermare la propria adesione entro lunedì 17 giugno 2019 scrivendo alla mail: corsi.professionali@istciechimilano.it, per informazioni è possibile contattare telefonicamente la Segreteria Corsi Professionali al numero 02 7722 6240 o la Segreteria Centro Informatico al numero 02 7722 6335.
L’ordine preferenziale per la valutazione delle adesioni sarà l’ordine di arrivo delle stesse.
Le persone interessate saranno in seguito convocate per sostenere un colloquio di ammissione.
Una Commissione appositamente costituita procederà alla valutazione delle domande di adesione pervenute e a proprio insindacabile giudizio stabilirà una graduatoria di ammissione.

Si segnala la possibilità per le persone che avranno necessità di soggiorno per la frequenza ai corsi di usufruire del servizio di residenzialità presso la struttura interna alla Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano.

Si precisa che l’attivazione dei corsi:
• sarà soggetta a specifica approvazione del progetto da parte di Regione Lombardia
• potrà essere effettuata al raggiungimento di un numero minimo di iscrizioni.

Tutti i dati forniti saranno trattati secondo la normativa vigente in materia di privacy e riservatezza.

LEGO: i mattoncini si "vestono" di Braille

Periodico Italiano Daily del 28.04.2019

Un’iniziativa dell’azienda produttrice mirata ai bambini ciechi o ipovedenti.

I mattoncini Lego hanno segnato, e continuano a farlo, le vite della maggior parte dei bambini. L’Azienda produttrice ha sviluppato un’altra forma di blocchi che permetterebbe ai bambini, ciechi ed ipovedenti, di imparare l’alfabeto ed i numeri. Sopra ogni blocco ci sarà, invece dei soliti agganci, l’alfabeto Braille.

Un’iniziativa molto apprezzata che ha visto ufficialmente la luce la settimana che sta per concludersi. La presentazione è stata fatta in Francia presso la Sustainable Brands Conferences, dove sono stati mostrati i Lego blocks non solo in Braille, ma anche con su stampate le lettere ed i numeri dell’alfabeto classico. Questo permetterebbe, ad insegnanti e genitori, di interagire al meglio con i bambini aiutandoli così nell’apprendimento.

Il CEO della fondazione Lego, John Goodwin, in merito a quest’ultimo progetto, ha dichiarato quanto segue: “I Bambini ciechi ed ipovedenti hanno sogni ed aspirazioni per il loro futuro proprio come i bambini vedenti. Hanno gli stessi desideri ed hanno necessità di esplorare il mondo e di socializzare attraverso il gioco, ma spesso involontariamente vengono isolati ed esclusi dalle attività. Con questo progetto, vogliamo portare un approccio giocoso ed inclusivo per far apprendere il Braille ai bambini. Spero che i bambini, genitori, caregivers, insegnanti spero siano eccitati quanto noi per vedere l’impatto positivo.”.

Come e da chi è nato il progetto.

Già dal 2011, l’azienda Lego ricevette una richiesta dalla Danish Association of the Blind e, successivamente, dalla Dorina Nowill Foundation for the Blind.

Secondo l’OMS sarebbero più di 19 milioni i bambini con serie problematiche alla vista e, secondo uno studio della European Disability Forum and European Blind Union, gli adulti nella comunità europea con disabilità alla vista sarebbero il 75%, i quali con seria difficoltà di inclusione.

Con l’introduzione del Braille in età infantile, si propone un approccio che vada ad includere i bambini con problemi alla vista e bambini vedenti, coadiuvando così l’interazione fra di loro evitando l’esclusione.

I bambini che avranno una corretta introduzione alla socializzazione saranno in grado, da adulti, di avere altresì una vita sociale sana, con una riduzione di esclusione.

Attualmente sono stati donati alle associazioni site in: Danimarca, Brasile, Norvegia e nel Regno Unito; presto saranno disponibili anche nell’alfabeto danese, norvegese, inglese e portoghese.

Per gli alfabeti francesi, spagnoli e tedeschi bisognerà aspettare ancora un altro po di tempo, probabilmente verso la fine dell’anno.

Il Formato dei Lego.

In totale sono 250 blocchi comprendenti di tutte le lettere dell’alfabeto, i numeri da 0 a 9, ed alcuni simboli matematici; tutto ciò realizzato per arricchire e sviluppare nuove abilità.

Altra informazione importante è che questi particolari mattoncini sono compatibili con gli altri blocchi già presenti sul mercato.

I blocchi Lego Braille saranno ufficialmente in commercio il prossimo anno e, secondo una selezione accurata, saranno distribuiti gratuitamente alle associazioni che si occupano di cecità.

di Barbara Andreini

venerdì 26 aprile 2019

Blocnotes mese di aprile 2019

Scaricabile al seguente link il numero di aprile del notiziario informativo mensile del Consiglio Regionale Lombardo U.I.C.I., a cura di Massimiliano Penna.

BLOCNOTES APRILE 2019 (formato .doc)

Non vedenti in cammino da Santhià a Oropa

La Stampa del 26.04.2019

BIELLA. Sono diversi i cammini religiosi, ma non solo, che attraversano l'intero Biellese portando flussi di turismo importanti. Da Viverone non passa solo la Via Francigena, ma anche il Cammino di San Carlo, percorso che transita nel Biellese, arriva a Oropa, Sordevolo, Trivero per poi dirigersi verso Varallo e continuare verso Orta e Arona. Non finisce qui: è partito ieri e durerà fino al 28 aprile il cammino multisensoriale di quattro tappe da Santhià ad Oropa pensato per offrire la possibilità alle persone ipovedenti e non vedenti di immergersi nella natura di questo affascinante percorso. Alberto Conte e Giulia Oblach, insieme a un gruppo composto da persone vedenti, non vedenti, ipovedenti, hanno scelto di condividere un pezzo di vita scambiandosi esperienze, conoscenze ed emozioni. Giulia, giovane studentessa friulana, cieca dalla nascita ha conosciuto Alberto, il fondatore del Movimento Lento, nella primavera del 2018. Alberto è rimasto molto colpito dalla sensibilità di Giulia e di Luca, il suo fidanzato, musicista anch'esso non vedente e per questo ha deciso di condividere questa esperienza di cammino con altre persone. Proprio per far conoscere questa iniziativa dal 20 al 23 giugno è in programma una camminata che da Santhià porterà al Santuario di Oropa: si camminerà insieme a Fiorella Giarrizzo, guida e camminatrice esperta, vedente, e Luca Casella, camminatore cieco. Fiorella sarà la guida, Luca il «mediatore sensoriale» che illustrerà al gruppo le tecniche da utilizzare per camminare in natura, sia in autonomia sia con una guida vedente.

martedì 23 aprile 2019

Ricerca: il cervello dei non vedenti si adatta per affinare l'udito, studio

Il Dubbio del 23.04.2019

Le persone che nascono cieche o lo diventano precocemente spesso hanno un senso dell’udito più sensibile, specialmente quando si tratta di abilità musicali o di tracciare oggetti in movimento nello spazio, come quando si attraversa una strada trafficata usando solo il suono come ‘bussola’. Per decenni gli scienziati si sono chiesti quali cambiamenti nel cervello siano alla base di queste capacità uditive avanzate.

Ora, due studi pubblicati dall’Università di Washington – uno sul ‘Journal of Neuroscience’, l’altro sui ‘Proceedings of the National Academy of Sciences’ – grazie alla risonanza magnetica funzionale identificano alcune differenze nel cervello di individui ciechi, che potrebbero essere responsabili della capacità di fare un uso migliore delle informazioni uditive. Mettendo in campo, fra le altre funzioni, anche quella di ‘arruolare’ aree visive per risolvere compiti uditivi.

“C’è questa idea che i non vedenti siano più bravi nei compiti uditivi, perché devono farsi strada nel mondo senza informazioni visive. Volevamo esplorare come tutto questo avvenga nel cervello”, spiega Ione Fine, professore di psicologia della Uw e autore senior di entrambi i lavori. E invece di indagare semplicemente su quali parti del cervello fossero più attive durante l’ascolto, entrambi gli studi hanno esaminato la sensibilità del cervello a sottili differenze nella frequenza uditiva.

In uno studio si è scoperto che nella corteccia uditiva gli individui ciechi mostrano una ‘sintonizzazione’ neurale più precisa rispetto a chi possiede la vista, nel distinguere piccole differenze nella frequenza del suono. In pratica, dicono gli esperti, “la cecità produce plasticità nella corteccia uditiva, un aspetto importante perché si tratta di un’area del cervello che riceve informazioni uditive molto simili in individui ciechi e vedenti”.

Il secondo studio ha esaminato come i cervelli di persone che nascono cieche o lo diventano all’inizio della vita rappresentano oggetti mobili nello spazio. Il team di ricerca ha dimostrato che un’area del cervello chiamata hMT+, che negli individui vedenti è responsabile del rilevamento di oggetti in movimento, nei ciechi lavora in maniera più accurata, addirittura determinando in molti casi l’attivazione anche di aree visive per risolvere compiti uditivi.

"Non bisogna considerarli come disabili ma solo sub"

Il Tirreno del 23.04.2019

ISOLA DEL GIGLIO. Ma come viene formato e guidato un sub non vedente? Prima di arrivare all'immersione sono necessari dei corsi, al termine dei quali i partecipanti conseguono un brevetto per svolgere attività subacquee in tutto il mondo, sempre accompagnati da guide abilitate Asbi. La tecnica per le immersioni di sub non vedenti è stata messa a punto da Manrico Volpi, istruttore sub livornese, trainer di Albatros. «La filosofia è quella di rendere autonomo il non vedente e di non considerarlo una persona da trasportare passivamente sott'acqua; - spiega - il cieco non deve essere un disabile, bensì un subacqueo a tutti gli effetti. I non vedenti, infatti, hanno una sensibilità nel tatto per noi impensabile e riescono ad astrarre i concetti dall'emozione provate nel toccare le specie sommerse». Volpi racconta di aver avuto allievi che hanno raccontato la percezione della vita sfiorando una spugna. Inoltre spiega che la metodologia di Asbi utilizza una serie di materiali didattici studiati ad hoc per venire incontro alle necessità conoscitive dei non vedenti. Tra questi il riconoscitore subacqueo, una sorta di libro impermeabile dove sono descritte in braille forme e colori con il nome scientifico delle specie incontrate in immersione. Questo attrezzo consente al sub non vedente di immergersi da protagonista e permette di collocare in una condizione spazio-tempo l'habitat di ogni specie.(G.B.)

domenica 21 aprile 2019

Scoppi, palloncini visori e manopole Il sapere a portata dei cinque sensi

Il Tirreno del 21.04.2019

Monica Gori, scienziata toscana dell'ITT di Genova, consente di studiare ai ciechi e a chi non usa la visione per apprendere.

GENOVA. Non serve un righello e un quaderno per imparare che cos'è un angolo retto. Non servono neppure gli occhi, se si hanno buoni orecchi e fantasia. C'è una scienziata toscana, a Genova, all'Istituto Italiano di Tecnologia che con una lavagna virtuale ti proietta al centro della geometria. E ti fa pure camminare su un prato virtuale, per insegnarti, con i passi e i suoni, il piano cartesiano. Geometria e matematica alla portata dei cinque sensi. Senza barriere. Al di là di ogni disabilità. Valorizzando le inclinazioni naturali di ogni bambino. Questo approccio (frutto di anni di studi di psicologia, applicata alle tecnologie multisensoriali robotica) fa di Monica Gori, aretina di nascita, fiorentina di università, adottata dal CNR di Pisa, una delle scienziate più apprezzate dall'Unione Europea. Da quando è all'Istituto Italiano di Tecnologia, l'Europa le finanzia progetti con cui assicura un apprendimento e la riabilitazione efficace sia per chi è cieco, sia per chi non lo è ma non usa la visione come senso primario per imparare. Non tutti imparano con gli occhi. Ce ne sono tanti di bambini così. Che non usano la vista come senso primario per imparare. Una è stata proprio Monica. Alle elementari e alle medie era considerata un'alunna poco dotata. Fino al percorso speciale, quello artistico e all'incontro con docenti straordinari come la professoressa Patrizia Nardelli che le dimostra come sia possibile prendere 9 in matematica anche senza essere stati studenti modello negli anni precedenti. «Io a scuola ero una bambina che si annoiava, perdevo interesse abbastanza velocemente. Poi da grande, studiando psicologia, ho scoperto che non avevo né problemi di vista né di attenzione. Semplicemente per me il canale visivo, quello privilegiato dalla scuola, non era il migliore per apprendere». Fino a 8-10 anni - spiega la scienziata - molti bimbi privilegiano uno dei cinque sensi per imparare, ma non è lo stesso per tutti: «C'è una predisposizione sensoriale, una preferenza a usare un senso invece di un altro. Può essere l'udito o il tatto e solo verso gli 8-10 anni, appunto, inizia il processo di integrazione multisensoriale che si completa dopo i 14 anni. Questi studi suggeriscono che per apprendere concetti diversi si usano sensi diversi; perciò la scuola non può usare un metodo di insegnamento uguale per tutti». Deve tenere conto di questa diversità, anche in assenza di disabilità o disturbi veri e propri come la dislessia.

SEGUIRE L'INCLINAZIONE. «L'idea che si debba imparare secondo le proprie inclinazioni, sfruttando la flessibilità che la tecnologia ci offre - prosegue Monica Gori - è stata premiata dall'Unione Europea con un finanziamento di 2,5 milioni di euro» per un progetto coordinato da Monica Gori con Gualtiero Volpe dell'università di Genova. Così una decina di gruppi (tra cui l'università di Genova, l'University college di Londra, il Trinity college di Dublino) si sono messi subito al lavoro. E sono nate un sacco di proposte, dispositivi e progetti che l'Europa ha classificato come "eccellenti". Perché funzionano sia per i bambini (e le persone) con disabilità sia per chi non è disabile. «Con un vantaggio: dando a tutti la possibilità di imparare usando tutte le modalità sensoriali, abbassi anche le barriere. Vuoi usare l'udito? È un senso che hanno in comune i bimbi che vedono e i non vedenti. Idem il tatto e così via». E uno di questi progetti è garbato così tanto che la DeAgostini scuola (dal suo sito) consentirà alle scuole di scaricare la App gratuitamente.

STUDIARE GLI ANGOLI CON I SUONI.

La App gratuita è quella che porta al progetto per imparare gli angoli delle figure geometriche. Si chiama "Robot angle" e funziona in modo semplice, spiega Monica Gori: «I bambini simulano di essere robot: mimano i gesti del robot che appare sulla lavagna. Muovono le braccia come un vigile urbano e riproducono nello spazio l'angolo. Ad esempio: alzi in alto un braccio e l'altro lo allarghi, in linea con la spalla. Ecco che hai riprodotto l'angolo retto. Ma questo è solo l'inizio. Poi appoggi il corpo alla lavagna e se l'angolo riprodotto è corretto, viene emesso un suono». Non un suono a caso: «Da studi neuro-scientifici abbiamo scoperto che il cervello associa un suono alto con un angolo acuto e un suono grave (basso) con un angolo ottuso (grande). Così anche i bimbi ipovedenti, associando suono e posizione delle braccia nello spazio afferrano il concetto degli angoli».

PIANO CARTESIANO E PRATI FIORITI. Con lo stesso principio - abbinamento suono e movimento - i bambini possono imparare il piano cartesiano, anche se sono ipovedenti. O se non usano la vista come senso primario di apprendimento. Se i bambini non hanno problemi di vista - spiega Monica Gori - vengono calati in un sistema di realtà virtuale. Dotati di un paio di visori, sono catapultati «in un prato fiorito con i fiori che stanno in punti precisi dell'asse delle ascisse (quello orizzontale indicato x) o delle ordinate (quello verticale indicato con y). Il bimbo si muove e in x il suono cresce in intensità (più alto o basso) e in y in frequenza (di acuto o più grave). Con i punti che gli vengono dati disegna i suoi assi». Ai bimbi non vedenti, invece dei visori, vengono dati strumenti che vibrano quando incontrano gli assi disegnati. E così comprendono lo stesso il concetto.

SPACE BALOON. Analogo progetto, sempre per bimbi non vedenti, per apprendere il piano cartesiano è lo "Space baloon". Di fatto - illustra Monica Gori - i bimbi (ma anche gli adulti) vengono dotati di una penna "sensorizzata" che fa percepire una forma, una forza simulata dal robot. I bambini devono andare a scoppiare palloncini in base alle coordinate indicate sulle assi delle ascisse e delle ordinate. E così, attraverso il suono, apprendono il concetto «con efficacia, come abbiamo potuto sperimentare nella giornata aperta organizzata da tutto il gruppo di ricerca UVip (Unit Visually Impaired People) il 27 marzo all'Istituto. E i risultati sono stati ottimi».

di Ilaria Bonuccelli

Didattica museale. Parola a Valeria Bottalico della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

Artribune.com del 21.04.2019

Come raccontare una scultura o un dipinto, anche astratti, a coloro che non possono vederli con gli occhi ma possono ricostruirli nella mente con l’aiuto di immaginazione, udito e tatto? È nato così “Doppio senso. Percorsi tattili alla Collezione Peggy Guggenheim”, il progetto ideato e curato da Valeria Bottalico, esperta di accessibilità museale, al fine di attivare un processo di sensibilizzazione alla conoscenza dell’arte moderna e contemporanea per tutti.

Nel gioiello di museo che è la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia è attivo da alcuni anni un tuo progetto, altrettanto prezioso, Doppio Senso? Com’è nato?

“Educare l’uomo vuol dire dargli il senso della ‘prospettiva’, il senso, cioè, della gioia per le vie di domani”. Così scriveva il pedagogista Anton S. Makarenko agli inizi del secolo scorso. Credo che la parola chiave del fare progettuale in ambito culturale debba essere l’accessibilità.

Questa rappresenta il diritto di ogni cittadino di fruire del patrimonio culturale e riguarda tutto il museo: ogni attore, dall’assistente di sala all’educatore fino al direttore, concorre a far sì che l’accesso al patrimonio, di cui è custode, sia garantito a tutti, eliminando ogni tipo di barriera. E dunque sono stati diversi, nel corso degli anni, gli interrogativi che mi sono posta e le ricerche su base nazionale e internazionale: quali azioni compiere per rendere accessibile il patrimonio culturale a un pubblico di persone non vedenti e ipovedenti?

Come si svolge un incontro?

Può sembrare una provocazione, ma l’atto del vedere si completa con l’uso di entrambi i sensi, tatto e vista insieme. Per questa ragione, l’esperienza in museo, a cadenza mensile, è suddivisa in due momenti: una guida all’esplorazione tattile individuale, da me condotta, e un laboratorio esperienziale con l’argilla realizzato da Felice Tagliaferri, scultore non vedente molto attivo in ambito artistico. È un dialogo a due voci sull’opera d’arte da punti di vista differenti. Il programma ha registrato la partecipazione di più di 300 presenze tra i non vedenti provenienti da ogni parte d’Italia, e più del doppio di visitatori vedenti. In questi anni, a seguito della valutazione sullo stato di conservazione delle opere, sono state fruite tattilmente in originale diverse sculture in bronzo, di Alberto Giacometti, Max Ernst, Jean Arp e di artisti delle Avanguardie storiche. Inoltre, è possibile esplorare anche alcuni dipinti rappresentativi dell’arte del XX secolo grazie alle riproduzioni in rilievo in resina, realizzate in collaborazione con il Centro del Materiale Didattico dell’Istituto dei Ciechi di Milano: opere di Picasso, Klee, Kandinsky, Modigliani e molti altri.

È stato facile convincere i curatori e soprattutto i conservatori? C’è stato qualche episodio particolarmente significativo che ha aperto le porte alla cultura dell’accessibilità per tutti?

Già negli intenti della mecenate americana vi era l’idea di rendere fruibile al maggior numero di persone il proprio patrimonio, con le aperture straordinarie di Palazzo Venier dei Leoni quando lei era in vita. Quest’anno, infatti, ricorrono, non solo i quarant’anni dalla sua scomparsa (23 dicembre 1979), ma anche i settant’anni dal trasferimento nel 1949 della collezionista nella residenza veneziana. Oggi è questa la mission che si pone la Collezione Peggy Guggenheim: garantire la piena accessibilità dei suoi spazi e offrire al pubblico una pletora di attività gratuite e ogni progetto inclusivo trova o può trovare terreno fertile. C’è una data, però, un incontro, per me molto significativo e che segna l’inizio di Doppio senso: è il 24 settembre 2014.

Che cosa successe in quella giornata?

Quel giorno, Gondon Gund, visitatore americano non vedente, chiese di poter esplorare tattilmente alcune delle sculture presenti all’interno del museo e in quell’occasione io ebbi modo di poterlo guidare nell’esplorazione e condividere alcune idee. Dopo una settimana dal nostro incontro, il signor Gund, presidente di “The Gordon and Llura Gund Foundation”, scrisse una bellissima mail nella quale comunicava la sua decisione di fare una donazione alla Collezione Peggy Guggenheim per attivare un percorso tattile destinato ai non vedenti. A seguito di un momento formativo destinato a tutto lo staff del museo, l’entusiasmo, la curiosità di conoscere l’arte del Novecento e il passaparola tra i visitatori non vedenti hanno fatto poi il resto.

Partner indispensabile del progetto è il già citato scultore non vedente Felice Tagliaferri. Com’è nata la vostra collaborazione e quali sono i rispettivi ruoli?

Ho conosciuto Felice nel 2014. Eravamo a Padova e io avevo da poco assistito a un suo laboratorio di scultura. Mi sembrava la persona più indicata per il progetto che avevo in mente e così gliene prospettai le linee guida e lui aderì senza esitazione. L’esplorazione tattile presuppone due funzioni intellettive importanti: astrazione e memoria. La memoria tattile è diversa da quella visiva: con la vista colgo e ricordo l’insieme; con il tatto colgo e ricordo il particolare. I tempi di conoscenza sono molto diversi. Le mani vanno guidate per comporre l’opera nella mente di chi non vede per step, si deve passare dal tocco guidato al tocco intenzionale. Da una prima esplorazione rapida e sommaria per comprendere la forma generale si passa a una successiva più dettagliata per sommatoria di elementi. Ma quanto l’opera è stata realmente vista con ‘l’occhio della mente’, per usare le parole di Oliver Sacks? Il lavoro di Felice, invece, consiste nel verificare con me l’avvenuta creazione dell’immagine mentale attraverso l’attività laboratoriale di modellazione con l’argilla e di confronto con i visitatori. Devo dire che lavoriamo bene in questa visione doppia e lui, oltre a essere un grande motivatore, possiede le competenze artistiche e pedagogiche necessarie. Proprio in questo periodo, tra l’altro, stiamo strutturando un nuovo programma dedicato alla scultura… Per ora non posso dire di più.

A quasi quattro anni dagli esordi, quali sono le considerazioni da fare?

Il progetto si è strutturato in modo permanente all’interno del museo, grazie anche a nuovi sostenitori, in primis la Fondazione Araldi Guinetti Vaduz e la Kirsh Foundation. L’obiettivo nel prossimo periodo è avviare un servizio per tutti i visitatori: nei mesi scorsi sono stati organizzati dei momenti formativi per gli insegnanti e al momento sto lavorando alla creazione di un catalogo con testi descrittivi e a nuove attività. Presto alcune opere saranno esposte con le riproduzioni in rilievo corrispondenti.

Se Peggy fosse viva cosa credi penserebbe di questo progetto? Io ritengo che ne sarebbe entusiasta…

“La signora Guggenheim spera che Art of this Century diventi un centro dove gli artisti sono benvenuti e dove essi possano collaborare nel creare un laboratorio per nuove idee”. Questa citazione appare in un comunicato stampa approntato in occasione dell’apertura della galleria newyorkese Art of this Century il 20 ottobre 1942. Avanguardia e innovazione sono del resto ciò che caratterizza ancora oggi le molteplici attività che la Collezione propone. Mi auguro e mi piace pensare che Doppio senso rientri nel ‘laboratorio per nuove idee’ a cui ambiva Peggy.

Progetti futuri e o collaborazioni?

Il personale ha progettato e coordinato attività educative con attenzione ai temi dell’accessibilità e dell’arte partecipata. Tra le collaborazioni in corso, oltre quella con il museo veneziano, ci sono l’Accademia Carrara di Bergamo, i Musei Civici di Bassano del Grappa, il Civico Museo Archeologico di Milano grazie alla società di servizi Aster. Importante è stato per me il confronto umano e professionale con i rappresentanti dell’Istituto dei Ciechi di Milano in diverse occasioni lavorative. Tra le future progettazioni, in corso di definizione, ci sono attività inerenti nuovi spazi riguardanti il contemporaneo e l’ambito etno-antropologico. L’accessibilità, o meglio la fruibilità, non è data per sempre ma si evolve con l’esperienza diretta dei visitatori: non va delegata agli strumenti, in genere tattili o tecnologici, ma si compie con la sinergia di tutti, in primis grazie a una visione capace di innescare processi di conoscenza e di partecipazione. Non esistono soluzioni definitive, esistono “buone pratiche”.

di Annalisa Trasatti

Storia di Anna e Nora, la para-triatleta e il suo Labrador: "Io e lei siamo una cosa sola"

Il Corriere della Sera del 21.04.2019

Anna Barbaro, ingegnere e violinista, dopo la malattia ha trovato riscatto nello sport: prima il nuoto e poi la triplice disciplina. E adesso in gara anche con il suo cane: «Il ruolo delle guide umane è fondamentale, ma affrontare una gara anche da soli toglie una soddisfazione ulteriore».

Costume, cuffia, occhialini: riconoscere Anna Barbaro ai blocchi di partenza non è certo semplice. Nemmeno la zia, sua tifosa fin dalle prime gare in piscina, riesce mai a distinguerla. E allora, come si fa in questi casi, si chiede aiuto a chi, sugli spalti come noi, ci sta seduto a fianco: «Nora, dov’è Anna?». Occhi puntati sulla corsia giusta, orecchie tese, sguardo concentrato. E quell’abbaio, ogni volta che la ragazza tocca il muretto. Cercate Anna? Il suo Labrador ve la «indicherà»: tanto a bordo vasca quanto sulla pista d’atletica. Sono rare le occasioni in cui questa atleta della nazionale di para-triathlon si separa dalla sua guida a quattro zampe: un ruolo impegnativo, per cui il cane per non vedenti viene addestrato minuziosamente. Nella quotidianità di Nora con Anna, però, c’è molto di più: nuotano in coppia, ad esempio, ma anche corrono. E hanno da poco vinto la loro prima medaglia insieme.
Il battesimo del nuoto.

Ingegnere e violinista, con venti chili in più rispetto a oggi: lo sport non era certo scritto nel DNA di Anna quando, nel 2010, un virus ne sconvolge la vita ledendo i suoi nervi ottici. Non sapeva nemmeno nuotare quando suo padre, a vista già irrimediabilmente calata, la portò in piscina: «Fino all’età di 25 anni avevo condotto una vita sedentaria. Il nuoto mi ha aiutato ad accettare la mia condizione, mostrandomi una nuova possibilità di indipendenza: in acqua mi sono sentita rinascere». Un secondo battesimo: un nuovo inizio per una persona che, come Anna, crede. Chiamatelo destino (lei lo chiama «Dio»), ma la vita di Anna, per chi li vuole cogliere, è costellata di piccoli, grandi segni: «Pensare, ad esempio, che avevo prestato servizio civile con i non vedenti e che, a distanza di tre anni, lo ero diventata anche io».

Crederci sempre.

Ma non è tutto: «Nora nasce il 26 gennaio 2011, il mese in cui iniziavo a essere accompagnata perché il problema si faceva sempre più grave. Sono molto religiosa e penso che Nora sia nata per me: un regalo che Dio mi ha fatto per dirmi che c’era ancora, anche se nei momenti più dolorosi io l’avevo rinnegato. Una creatura a cui era stata data la vita per “infondere” nuova speranza. Uscire per la prima volta da sola con lei è stato un secondo inizio, alla riconquista di quell’autonomia ormai perduta». Campionessa in vasca e in acque libere, Anna aveva nel frattempo attraversato lo stretto di Messina a nuoto già quattro volte, ma è l’agosto del 2012 il mese che ricorda con più meraviglia, quello che ha portato più novità nella sua esistenza: «C’era stata l’assegnazione di Nora: un fulmine a ciel sereno». E se di folgorazioni vogliamo parlare, il mese dei Giochi di Londra, con le cronache ascoltate alla radio, fece il resto: «Affascinata dai racconti sul triathlon, fu quello il momento in cui per me scoccò la scintilla».

Radio Londra.

E poi quella notizia: «I commentatori di Londra anticiparono che nel 2016 a Rio avrebbe esordito il para-triathlon: fu l’inizio della mia storia a tre discipline. La piscina mi era sempre stata stretta ed erano state le acque libere, soprattutto, ad appassionarmi. Ero partita da zero nel nuoto; l’avrei fatto per il ciclismo e la corsa. Al mio fianco, nonostante le perplessità dei più, c’è sempre stato Giuseppe Rapace, mio unico allenatore. Certo, per Rio il sogno era troppo ambizioso, ma iniziai subito con le prime gare. Dall’esordio, nel 2015, che fu un totale disastro, la strada fatta è stata tanta, fino ai primi raduni in nazionale nel 2017, per arrivare a oggi, con la Federazione italiana triathlon e Mattia Cambi con Neil Mac Leod (rispettivamente direttore tecnico e project manager del settore para-triathlon, ndr) che stanno puntando molto su di me».

Cane bagnino.

Oggi Anna mira a Tokyo e attualmente occupa il settimo posto del ranking mondiale. La strada è lunga ma non è certo sola, e Nora finora l’ha quasi sempre seguita: «Non nelle trasferte intercontinentali, ma ormai è perfettamente integrata nella mia quotidianità fatta di sport. Entra in piscina (le è perfino concesso di stare a bordo vasca) come anche le è garantito l’accesso alla pista d’atletica. In gara, no: ad accompagnarmi c’è una guida umana, in tutte e tre le frazioni e, se ci penso, mancava proprio la condivisione di questa mia parte di vita. Avevo sentito parlare del primo triathlon con i cani che si è disputato in Italia e ho subito pensato facesse per noi. La frazione bike sarebbe stata complicata, ma il nuoto con Nora era già rodato (insieme andiamo al mare da sole) e la corsa sarebbe stata un’altra bella sfida».

Da sole, insieme.

«Accolta con entusiasmo anche da Antonella Salemi, presidentessa dell’unico team di triathlon tutto al femminile — il Woman Triathlon Italia, di cui faccio parte — l’idea di partecipare a una gara con Nora si è fatta sempre più concreta e a Udine, domenica 7 aprile, siamo state premiate come primo binomio runner non vedente-cane guida (supportato da Enrico Golfetto, che mi ha seguito segnalandomi le asperità del terreno)». Special Dog Endurance la disciplina prevista dalla Federazione italiana sport cinofili in cui Anna e Nora si sono distinte, aprendo la strada a un nuovo modo di condividere l’esistenza: non più solo nella quotidianità, ma ora anche nell’agonismo, ultimo baluardo di un’autonomia rubata che persone come Anna ogni giorno tentano di riscattare. Una libertà che Anna insegna, abilitata alla didattica della tiflologia, la scienza che aiuta i non vedenti a riacquistare la propria autonomia. «Il ruolo delle guide umane nello sport è fondamentale, ma sapere di poter affrontare una gara anche da soli toglie una soddisfazione ulteriore». Non proprio da soli, certo: c’è pur sempre Nora. «Appunto, io e lei: una cosa sola».

di Valentina Romanello

Un tappeto mobile a scuola per aiutare Ilaria

Avvenire del 21.04.2019

MONTEGIORGIO. Il tappeto che ti cambia la vita. Succede a Montegiorgio, nel Fermano, dove Ilaria, 22 anni, non vedente con problemi di autismo, ha ritrovato autonomia e voglia di vivere grazie alla sensibilità e all'intuizione del suo insegnante di sostegno, nel "Liceo Enrico Medi" che fa parte del Polo scolastico "Carlo Urbani".

Fino a pochi mesi fa i volontari accompagnavano Ilaria a braccia nella sua aula, al primo piano dell'edificio scolastico. Poi il professor Enrico Pompili Pagliari, studiando le attitudini della ragazza, ha pensato di realizzare una guida in erba sintetica, ancorata con il velcro al pavimento per evitare scivolamenti. Un percorso verde, un tappeto di 80 metri: è stata la svolta. Ilaria, alunna del quarto anno, già si era avvantaggiata l'anno scorso usando il bastone. «Abbiamo visto - spiega il docente - che lei riusciva a riconoscere il tappeto esterno, già esistente. Questo dettaglio mi ha fatto pensare di replicare l'espediente dentro l'istituto. Non è stato facile, qui si lavora a costo zero. Io passo diciotto ore a settimana con Ilaria. Poi, il pomeriggio, arriva un'altra assistente, l'unico costo riconosciuto dallo Stato. Per il tappeto abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e combattere contro la burocrazia. Intanto cercavamo i fondi per comprarlo: sono arrivate decine di email, finché una ditta bergamasca si è detta disponibile a offrire l'erba sintetica». Un calzaturificio della zona, invece, ha fornito il velcro. «Il compito del docente di sostegno - spiega il dirigente, Roberto Vespasiani - non è solo quello di dare un supporto ma soprattutto di sviluppare e accrescere le possibilità di autonomia dell'alunno » . E questo è accaduto nel caso di Ilaria.

La presidente della Provincia, Moira Canigola, ha agevolato il progetto ma si è anche impegnata a diffondere questa buona pratica nelle altre scuole del territorio.

Pompili Pagliari è stupito della velocità di apprendimento dell'alunna e anche la mamma, Mariella, a casa ha verificato progressi straordinari, in termini di consapevo-lezza, autonomia, sicurezza personale nei movimenti e nella vita di ogni giorno. Ilaria ha il suo bagno, che riconosce attraverso un fiore di carta in rilievo, poi c'è l'aula, riconoscibile con una matita attaccata con lo scotch e infine il suo banco. «Una nota di merito - aggiunge la vice dirigente dell'istituto, Vermiglia Concetti - va ai suoi compagni di classe che sono una risorsa incredibile nel cammino di integrazione e superamento delle barriere».

di Vincenzo Varagona

sabato 20 aprile 2019

Non vedente dalla nascita, ma pilota gli aerei. "Così batto i pregiudizi"

Corriere del Mezzogiorno del 20.04.2019

La storia di una programmatrice di Salice Salentino

«Il mio nuovo sogno? Volare con le Frecce Tricolori».

SALICE SALENTINO. Sarà perché è nata a Salice Salentino, e fin da piccola è abituata a sentire sulla testa il rombo degli aerei che decollano e atterrano nella base dell’Aeronautica militare della vicina Galatina, poco distante da Lecce; sarà perché a quanto pare non è particolarmente attratta dalle cose semplici semplici, visto che si dedica anche a sci, equitazione e arrampicata; oppure sarà, più semplicemente, che segue con determinazione le sue passioni senza farsi condizionare né tantomeno ingabbiare dalla barriera di pregiudizi e scetticismo che più di una volta le è sorta attorno. Fatto sta che lei, Sabrina Papa, 49 anni, pugliese che da tempo si è trasferita a Roma, professione programmatrice, cieca dalla nascita, è la prima italiana non vedente che almeno una volta alla settimana si mette ai comandi di un aereo e si tuffa tra le nuvole. «Sia chiaro, sempre in assoluta sicurezza e su velivoli tandem con la guida di un istruttore», tiene a precisare. Comunque sia, la sua storia ha fatto il giro d’Italia. E non solo. Al punto che ha ispirato il docufilm “Chiudi gli occhi e vola” della regista Julia Pietrangeli, approdato sul grande schermo nel corso di diversi festival internazionali.

Lei vola ormai da tre anni. Quando è nata questa passione?

«Fin da quando ero bambina. Sono di Salice Salentino, vicino a Galatina: lì c’è la base dell’Aeronautica militare e siamo abituati a sentire ogni giorno il rombo dei jet. Ne sono sempre stata affascinata».

Come ha reagito la gente quando ha detto che voleva volare?

«A dir la verità non ne parlavo tanto».

Perché?

«Temevo che non mi avrebbero presa sul serio. Ma non ho mollato. E continuavo a giocare coi modellini e ad appiccicare i poster degli aerei in camera».

Però in casa ne avrà pur parlato. Cosa le hanno detto i suoi genitori?

«All’inizio sono rimasti sorpresi, ma hanno capito e adesso sono contenti. Del resto tutto sommato sono abituati».

In che senso?

«Mi piace sciare, faccio arrampicata e vado a cavallo: insomma, non sono mai stati tranquillissimi. Certo, ho dovuto ridurre un po’ tutto: la schiena non è che funzioni più benissimo».

Che cosa prova quando vola?

«È una domanda difficile».

Perché?

«Chi vede assapora la gioia di un panorama, per me è diverso».

Vale a dire?

«È un’emozione forte».

Di che tipo?

«Mi sento libera. Mi pare di galleggiare nell’aria, è qualcosa di indescrivibile».

È stato più difficile imparare a volare o superare i pregiudizi?

«Sicuramente vincere i pregiudizi».

Per quale ragione?

«Perché si tratta di qualcosa che non dipende da noi. Spesso in tanti non tengono presente che i disabili conoscono perfettamente i propri limiti. Piuttosto sono gli altri che non li comprendono».

Perché risulta difficile cambiare questa mentalità?

«Purtroppo molta gente parte da un presupposto: se sei un disabile, una certa cosa non la puoi fare. Punto».

Come si reagisce di fronte a queste false convinzioni?

«Evitando di farsi scoraggiare. Bisogna invece lasciarsi guidare dalla passione».

È così anche per il volo?

«Certo. L’importante è la consapevolezza delle cose da fare: non siamo incoscienti, non è un gioco, per me la prima cosa è la sicurezza».

Come si è affacciata al mondo degli aerei?

«Mi sono imbattuta su facebook nell’associazione dei “Baroni Rotti”: li ho contattati, ho iniziato a frequentare il Club Arrow di Sutri, vicino a Roma. E da lì è cominciato tutto».

Prima ha parlato di scetticismo. Chi invece l’ha aiutata in questo percorso?

«Sicuramente il mio istruttore, Sergio Pizzichini: voliamo in tandem in modo che possa tenere le mani sulle mie spalle e spiegarmi cosa fare al momento giusto. E, soprattutto, mi dice “brava” quando faccio effettivamente una cosa buona, e non tanto per dirlo».

A volte non è così?

«Spesso si tende ad assecondare il disabile anche se commette un errore. È un approccio sbagliato, che mi dà fastidio».

Imparare a volare vuol dire anche studiare molto.

«Aerodinamica, meteorologia, fonia e tanto altro. E nel mio caso è ancora più complicato.

Perché?

«Mi sono dovuta scansionare i manuali per poi rileggerli sul computer con tutte le difficoltà del caso. In Italia su questo punto siamo un po’ indietro».

A che cosa si riferisce?

In Francia, per esempio, ci sono libri adeguati con disegni in rilievo».

Qui è tutto più difficile?

«Dico solo che a volte ho contattato direttamente le case editrici per chiedere qualche elaborato e non mi hanno neanche risposto».

Qual è il momento più difficile quando è in volo?

«L’atterraggio. Ma sono riuscita a farlo manovrando direttamente i comandi».

Le capita di avere paura?

«È ovvio che se uno ci pensa, se considera che sta per salire su un aereo e mettersi alla cloche, allora effettivamente ci può essere».

Come si reagisce in quei casi?

«Non ci si può far condizionare. Piuttosto bisogna rimanere sempre concentrati e badare a tutto senza lasciarsi sfuggire nulla. Neanche il minimo dettaglio».

Il rumore del motore è uno di quei dettagli?

«È importantissimo. Non ho la vista, ma posso sentire. E proprio dal rumore sono in grado di capire come procediamo e che tipo di manovra stiamo facendo».

E gli odori?

«Fondamentali anche quelli. Una volta ho sentito puzza di benzina e ho avvisato l’istruttore: siamo rientrati subito».

Qual è la più grande emozione provata in questo percorso?

«La prima volta che sono riuscita a decollare da sola. È stato fantastico mettere le manisullacloche e sentire l’aereo che schizzava verso l’alto. Ma ci sono anche altre sensazioni indescrivibili».

Per esempio?

«Quando ho fatto le evoluzioni con un componente della pattuglia acrobatica “Wefly team” dei “Baroni Rotti”: è stato incredibile».

C’è un altro sogno che vorrebbe coronare?

«Prima di tutto vorrei continuare a volare. Non è facile, spesso si tende a dare le cose per scontate. Ma non è così. E poi sì, in effetti, sogno di provare il brivido delle Frecce Tricolori. Come passeggera, sia chiaro».

Conosce quel tipo di aereo?

«Certo. È un MB-339, lo stesso modello che c’è nella base di Galatina, proprio vicino al posto dove sono nata. Chissà, forse è proprio per questo che sogno quel momento. Sono disposta a fare tutti i corsi necessari, ci spero».

Le sue capacità e la grande determinazione fanno di lei un esempio.

«Ma no. Secondo me siamo tutti un esempio: possiamo esserlo nel bene e nel mare, ecco perché portiamo una grande responsabilità».