martedì 31 gennaio 2023

Micromobilità. Iniziano i test di realtà virtuale per un suono di allerta universale dei monopattini elettrici Dott

Udite Udite! del 31/01/2023

SALFORD. I ricercatori dell’Università di Salford collaborano con UICI per effettuare i test Dott, l’azienda europea della micromobilità responsabile, sta testando una selezione di suoni per monopattini elettrici, sviluppati dai ricercatori dell’Università di Salford in collaborazione con l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti (UICI).

L’avvio di questi primi test segnerà l’inizio della fase successiva di un progetto che finora ha portato allo sviluppo di tre potenziali suoni di avviso per monopattini elettrici, volti ad aumentare la visibilità dei veicoli senza però contribuire all’inquinamento acustico.

Indossando un visore per la realtà virtuale, i partecipanti saranno immersi in un ambiente a 360 gradi, con simulazioni di utenti che viaggiano su monopattini elettrici in scenari diversi. Lavorando con UICI, verrà coinvolto un gruppo di persone – tra cui non vedenti ed ipovedenti – a cui si chiederà non solo di identificare quando sarà percepita la presenza di un monopattino elettrico, ma anche di fornire un feedback sull’idoneità dei tre suoni ed indicare eventuali preferenze.

I test si svolgeranno in questi giorni presso la sede di UICI Milano e faranno parte di una serie di test realizzati anche a Londra, Stoccolma e Madrid in collaborazione con varie associazioni europee per non vedenti. La realizzazione di questi esperimenti in diversi Paesi garantirà la rilevanza internazionale dell’iniziativa, il cui obiettivo è quello di creare uno standard globale per il suono di avviso dei monopattini elettrici.

Il Dott. Antonio J Torija Martinez, ricercatore principale dell’Università di Salford, ha dichiarato: “Stiamo testando una serie di suoni per monopattini elettrici attentamente progettati per trovare il giusto equilibrio tra la massima visibilità del veicolo e il minimo inquinamento acustico. L’utilizzo della realtà virtuale per creare scenari immersivi e realistici, in un ambiente di laboratorio sicuro e controllato, ci consentirà di ottenere risultati solidi. Lavorando a stretto contatto con UICI e le associazioni dei non vedenti in tutta Europa, possiamo garantire che il suono che svilupperemo sarà la soluzione migliore per le loro esigenze”.

Alberto Piovani, Presidente Sezione territoriale UICI di Milano, ha aggiunto: “La Sezione territoriale UICI di Milano ha deciso di collaborare a questo progetto, insieme a Dott e ai ricercatori dell’Università di Salford, perché se è innegabile che la micromobilità e più in generale l’introduzione di tutti i veicoli elettrici va nella direzione giusta per tentare di risolvere i problemi di inquinamento, è altrettanto vero che quest’ultima rappresenta oggi per i disabili visivi un reale pericolo per la loro mobilità sicura e autonoma nelle nostre città e non solo. Siamo consapevoli che l’aspetto riconducibile alle sensibilità e al buon senso degli utilizzatori dovrà trovare altri canali per essere stimolato ma nel contempo la decisione di trovare sistemi e tecnologie che potranno essere adottate dai produttori di questi veicoli per renderli udibili nel loro transito o avvicinamento aiuterà a ridurne i rischi nella quotidianità.”

Henri Moissinac, co-fondatore e CEO di Dott, conclude: “I nostri veicoli stanno trasformando le città fornendo un trasporto efficiente privo di inquinamento atmosferico e acustico. È importante che i nostri veicoli non funzionino solo per i nostri utenti, ma rispettino tutti gli altri residenti della città. Lo sviluppo di un suono standard per monopattini elettrici, che può essere rilevato da chi ne ha bisogno ma senza essere invadente, potrebbe migliorare notevolmente l’esperienza per alcuni degli utenti della strada più vulnerabili”.

Dopo la fase di realtà virtuale, i suoni saranno testati per le strade di Milano e in tutta Europa, per convalidare i risultati dell’ambientazione del laboratorio.

L’ambiente e l’impatto sociale sono al centro di ogni decisione aziendale di Dott.

Dott, nato ad Amsterdam nel 2018 da un’idea di Maxim Romain e Henri Moissinac, è un operatore leader europeo della micromobilità urbana. Presente nelle principali città di 11 Paesi europei, fra cui Londra, Parigi e Bruxelles, gestisce in totale 40.000 monopattini e 10.000 biciclette elettriche ed è tra le aziende con maggior parco veicolare attivo in Italia, dove è presente a Roma, Milano, Monza, Varese, Torino, Verona, Padova, Parma, Ferrara, Reggio Emilia, in 5 comuni del Ponente Ligure, Palermo, Catania e Alghero. Ad oggi, vanta il team più esperto in mobilità e tecnologia in Europa, costantemente impegnato per realizzare il proprio concetto di mobilità in modo sicuro, confortevole, duraturo e sostenibile e per garantire agli utenti un’esperienza di viaggio piacevole e soprattutto su misura della specifica città in cui opera.

lunedì 30 gennaio 2023

Laghi lombardi, i battelli senza barriere: dalle mappe tattili per non vedenti ai corsi di formazione per il personale

Corriere della Sera del 30/01/2023

Le migliorie presentate da Navigazione Laghi, la società governativa che offre il servizio di navigazione pubblica di linea sui laghi Maggiore, di Garda e di Como.

VARESE. Mappe tattili per non vedenti, adeguamento degli accessi alle carrozzine e personale formato con apposite associazioni che si occupano di assistenza ai disabili: sono alcuni dei miglioramenti presentati lunedì a Varese e introdotti sui battelli della Navigazione Laghi, vale a dire la società governativa che offre il servizio di navigazione pubblica di linea sui laghi Maggiore, di Garda e di Como.

Le novità presentate sono diverse e riguardano per esempio gli incontri e stage formativi - dedicati all’intero personale di bordo e agli addetti all’ufficio relazioni esterne - tenuti da esperti di una onlus dedicata al turismo accessibile. Gli scali della Navigazione sono inoltre facilmente accessibili e tutte le passerelle di imbarco hanno una larghezza adeguata al passaggio di tutte le tipologie di carrozzine, siano esse manuali o motorizzate.

«Le iniziative che presentiamo», ha sottolineato Donato Liguori, Gestore Governativo di Navigazione Laghi, «hanno per obiettivo quello di accogliere nel migliore dei modi e far sentire a proprio agio tutti i nostri viaggiatori, soprattutto chi deve misurarsi ogni giorno con problemi legati alla disabilità e alla mobilità ridotta».

Fra le novità, per favorire l’orientamento e la mobilità delle persone non vedenti e ipovedenti, presso 13 scali del Lago Maggiore e del lago di Como sono stati installati percorsi e mappe tattili. Si tratta di percorsi tattili a pavimento e mappe tattili a rilievo che consentono ai viaggiatori non vedenti e ipovedenti di orientarsi nello spazio, riconoscendo i luoghi e le fonti di pericolo.

All’incontro ospitato a Villa Recalcati e promosso dalla Gestione Governativa Navigazione Laghi era presente anche il Ministro per le disabilità Alessandra Locatelli. «Le cose da fare sono tante quando parliamo di mobilità e trasporti per le persone con disabilità, ma facendo rete e unendo le forze e le energie possiamo raggiungere obiettivi importanti. Venire incontro alla disabilità deve uscire dalla dimensione della persona e della famiglia, e diventare obiettivo condiviso per migliorare la qualità di vita di tutti», ha affermato il ministro, aggiungendo che «la sfida più grande per il futuro è la progettazione, a partire dai mezzi di trasporto studiati per tutti, e non da adattare».

Su questo punto la Navigazione ha specificato che alle attività di rinnovamento, refitting e adeguamento della flotta esistente si affiancano consistenti programmi per la costruzione di nuove unità di trasporto «capaci di rispondere completamente ai bisogni e alle esigenze delle persone disabili e con mobilità ridotta. Le nuove navi sono infatti dotate di ascensori, ponti e toilettes senza barriere, per garantire a tutti i passeggeri la più` ampia accessibilità e fruibilità».

«La mobilità efficiente e confortevole è diritto di tutti - ha aggiunto il senatore Alessandro Morelli, sottosegretario al Cipe - e io sono certo che una sempre maggiore accessibilità del servizio pubblico capace di favorire e agevolare gli spostamenti rappresenti un’opportunità per tutte le comunità e l’intero territorio». Il sottosegretario, invitando a lavorare fin d'ora per vincere la sfida rappresentanza delle Olimpiadi e Paralimpiadi Invernali Milano Cortina 2026, ha proposto l’avvio di un’indagine di customer satisfaction con focus le esigenze dei passeggeri a mobilità ridotta, per una valutazione puntuale sulla qualità attuale del servizio erogato, le eventuali criticità da risolvere e i suggerimenti per migliorare e ottimizzare l'esperienza di bordo.

mercoledì 25 gennaio 2023

Disabilità, mai così alto in Italia l’odio online: come agire?

Superando del 25/01/2023

«Usare le parole della disabilità per insultare chicchessia – scrive Giuseppe Arconzo, a proposito delle inquietanti risultanze della 7^ “Mappa dell’intolleranza e dell’odio online” – è espressione di un retaggio pseudoculturale che individua la disabilità come una circostanza negativa e da nascondere. Allo stesso tempo ciò determina una cultura del pregiudizio e della discriminazione da combattere con forza, per avere una società davvero inclusiva, in cui le diversità siano considerate una ricchezza con cui convivere e non una barriera ad una pressoché ignota e contestabile idea di normalità»

«L’odio online si radicalizza, si fa più intenso, più polarizzato. Appare evidente il ruolo di alcuni mass media tradizionali nell’orientare lo scoppio di “epidemie” di intolleranza. Tra le categorie più colpite, le donne ancora al primo posto, seguite dalle persone con disabilità e dalle persone omosessuali, tornate, dopo anni, nel centro del mirino»: sono queste, in estrema sintesi, le risultanze della nuova Mappa dell’intolleranza (settima edizione), presentata nei giorni scorsi a Milano da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, che l’ha realizzata in collaborazione con le Università di Milano e Bari e con Giulia Giornaliste. Si tratta di dati sconfortanti e al tempo stesso inquietanti, che fanno quanto meno riflettere.

Tra coloro che hanno partecipato alla presentazione vi è stato anche Giuseppe Arconzo, docente associato di Diritto Costituzionale, oltreché delegato del Rettore per la Disabilità e i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) nell’Università di Milano. Ne ospitiamo qui di seguito l’intervento proposto per l’occasione.

I dati delle mappe di Vox sono eloquenti, più di quelle di altri anni. Sui social, quando si vuole insultare qualcuno – dal politico, all’arbitro, al giocatore della propria squadra reo di aver sbagliato un gol facilissimo, al giornalista che sostiene tesi diverse dalle proprie, allo sconosciuto che ha commentato un post sui social – si usano spessissimo parole come “handicappato”, “menomato”, “dislessico”, “lobotomizzato”, “ritardato” ecc.

In primo luogo vorrei sottolineare che l’uso della semantica della disabilità per insultare altre persone presenta evidenti profili di differenza rispetto a quanto capita con riferimento ad esempio al tema dell’antisemitismo, dove non credo ci possano essere dubbi che al linguaggio corrisponda un sentimento di odio.

Mentre preparavo questo mio intervento, mi sono ritornate alla mente le osservazioni di chi, a tal proposito, sostiene che in realtà i problemi sono ben altri e che, tutto sommato, il fenomeno in esame è più che altro generato da cattive abitudini, per lo più legate all’àmbito di un uso improprio e maleducato del linguaggio, ma non sarebbe indicativo di alcuna avversità nei confronti delle persone con disabilità e pertanto sarebbe da giustificare.

È davvero così? Oppure l’uso a mo’ di insulto delle parole relative all’àmbito della disabilità nasconde qualcosa di più profondo, dalla mal sopportazione fino all’odio nei confronti delle persone che con la disabilità convivono?

Credo che per arrivare a tratteggiare una risposta – pur nell’àmbito delle riflessioni che posso elaborare da giurista, e non da studioso dell’uso del linguaggio – sia necessario muovere da una premessa che riguarda proprio la terminologia che si usa nel campo dei diritti delle persone con disabilità.

In questa materia le parole, se così si può dire, si consumano e si succedono rapidamente. È il cosiddetto “effetto tabù”: per indicare un qualcosa che non piace (si pensi ai tanti modi di definire la morte: la dipartita, la scomparsa, è venuto a mancare, ci ha lasciato; o il tumore: la brutta malattia, il male incurabile ecc.) il linguaggio evolve e trova tanti sinonimi.

Ecco, se ci riferiamo alla descrizione dei fenomeni relativi alla disabilità, ci accorgiamo di quanto le parole cambino: la nostra Costituzione parla di “minorati”, oggi nessuno si rivolge più alle persone con disabilità in questo modo. Si è persino introdotto l’utilizzo di una parola straniera (l’handicap, appunto), quasi a cercare di rendere il meno riconoscibile possibile il fenomeno in questione. Abbiamo parlato di “diversamente abili”, di “invalidi”, di “inabili”, di “non autosufficienti”.

Insomma, questa continua evoluzione ci dice una cosa molto precisa: la disabilità – ma forse sarebbe più giusto ragionare di diversità, anche se qui dovremmo poi indagare il concetto di diversità e normalità – non è considerata un’evenienza con la quale cui ciascuno potrebbe presto o tardi doversi trovare a confrontare. È un qualcosa da temere, da nascondere, anche mascherando e cambiando le parole che si usano per descriverla.

Alla luce di ciò possiamo tratteggiare una prima conclusione: se è vero che nella quotidianità non si è soliti usare le parole legate alla disabilità per una qualche forma di atavico timore o non meglio precisata scaramanzia (meglio non parlare di certe cose, potrebbero poi verificarsi), quando invece tali parole si usano per denigrare chi non la pensa come me, evidentemente questo uso non può essere frutto solo di una cattiva educazione. Siamo in presenza di parole usate per voler consapevolmente offendere.

Fatta chiarezza su questo aspetto, rimane una seconda riflessione da fare sul punto. Quali sono le ragioni che spingono ad usare le parole della disabilità per “aggredire verbalmente”? Altrimenti detto, perché utilizzare la persona con disabilità per offendere qualcuno? Provo a trovare alcune risposte.

Prima ragione, a prima vista poco attinente al diritto, ma che mi pare comunque possibile avanzare: la difficoltà di accettare la diversità. Il “diverso” fa una certa paura. Non ci assomiglia. È meglio non vederlo. D’altra parte le persone con disabilità hanno vissuto e vivono ancora l’esperienza della segregazione, della ghettizzazione, dell’istituzionalizzazione. Se invece proprio non posso fare a meno di vederle, e sono costretto a tenerle in considerazione, allora le offendo e magari a forza di insulti queste persone potrebbero smettere di farsi vedere e di rivendicare i propri diritti.

Seconda ragione, questa invece più strettamente giuridica: i diritti delle persone con disabilità richiedono in molto più marcato l’adempimento di un dovere da parte della collettività. E, si sa, che nonostante quanto affermato dall’articolo 2 della Costituzione [«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», N.d.R.], l’adempimento di inderogabili doveri di solidarietà non è una cosa che piaccia molto. Questa parte dell’articolo 2 è spesso considerata quasi un’inutile appendice dell’affermazione relativa ai diritti. Esempio banale, il parcheggio destinato alle persone con disabilità, o ancora – forse un po’ meno banale – le quote di riserva per l’ingresso nel mondo del lavoro. Quante volte si sente dire (quando va bene) che la disabilità, tutto sommato, comporta anche dei benefìci?

Ecco, l’impressione è che questo meccanismo provochi forme di risentimento nei confronti delle persone con disabilità, ritenute in qualche modo beneficiarie di diritti che altri non hanno.

Ultima ragione: se definisco la persona con disabilità soltanto con l’aggettivo legato alla sua menomazione, ne riduco la sua qualità essenziale alla menomazione stessa. «Tizio è un autistico. Caio è un Down». Anche nei titoli di giornale: «Disabile discriminato; Disabile violentata». L’attenzione di chi ascolta o legge si concentra sulla disabilità, non sulla persona, non su altro. Il particolare per il tutto. Credo che anche questo possa favorire l’incremento di tweet di odio.

Ancora una volta ritorna l’importanza dell’uso del linguaggio e la necessità di utilizzare sempre la formula, fino a quando anche questa non si sarà consumata, di “persone con disabilità”, dove l’accento è in primo luogo sulla persona e sulla sua dignità connaturata all’essere persona, per l’appunto.

In conclusione: usare le parole della disabilità per insultare chicchessia è espressione di un retaggio pseudoculturale che individua la disabilità come una circostanza negativa e da nascondere. Allo stesso tempo, ciò determina una cultura del pregiudizio e della discriminazione che invece è necessario combattere con forza per la realizzazione di una società davvero inclusiva, in cui le diversità siano considerate una ricchezza con cui convivere e non una barriera ad una pressoché ignota e contestabile idea di normalità.

di Giuseppe Arconzo,

Docente associato di Diritto Costituzionale e delegato del Rettore per la Disabilità e i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) nell’Università di Milano.

Disabilità sensoriali, nella scuola le più diffuse sono ipovisione e ipoacusia

Redattore Sociale del 25/01/2023

Il focus dell'Istat sui dati relativi all'anno scolastico 2018/2019. Quattro alunni su 10 con problemi legati a vista convivono con almeno altre due difficoltà.

ROMA. In occasione della presentazione del 'Nuovo studio sulla popolazione di persone sordocieche, con disabilità sensoriali e plurime in condizioni di gravità', commissionato dalla Fondazione Lega del Filo d'Oro Onlus e realizzato dall'Istat, presentato questa mattina a Roma, l'Istituto di statistica ha riproposto un focus sulla situazione delle scuole basato sui dati relativi all'anno scolastico 2018/2019. Il focus evidenzia come nelle scuole italiane gli alunni con disabilità ammontino a 245.723, ovvero il 3,2% della popolazione studentesca, con un incremento dal 2007 del 34% (nel 2007 il 2,1% degli studenti). Forti le differenze a livello territoriale, con una prevalenza che varia dal 2,4% in Basilicata al 3,9% in Abruzzo.

Prendendo in esame nello specifico gli alunni con disabilità sensoriale, questi nel 2018/2019 rappresentano il 3,6% del totale degli alunni con disabilità, poco meno di 9.000 alunni. La percentuale maggiore si ha nella scuola secondaria di secondo grado, con il 4,5%, mentre il valore minimo si registra nelle secondarie di primo grado, con il 3,1%. La quota più rilevante in tutti gli ordini scolastici è quella degli alunni con disabilità intellettiva, quasi 170.000, che rappresentano dal 60,3% degli alunni con disabilità della scuola d'infanzia al 70,2% di quelli della scuola secondaria di primo grado.

Le disabilità sensoriali rappresentano il tipo di disabilità meno frequente nella popolazione studentesca. La cecità è quella meno diffusa e colpisce lo 0,6% degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e lo 0,5% in quelle secondarie. Mentre l'ipovisione è la più frequente, interessando rispettivamente il 3,7% e il 3,8% degli alunni con disabilità dei due ordini scolastici. La sordità profonda o grave interessa l'1,9% degli alunni con disabilità della scuola primaria e l'1,2% di quelli della secondaria di primo grado, mentre l'ipoacusia interessa rispettivamente il 2,4% e il 2,8%.

L'analisi dell'Istat evidenzia anche la complessità di diverse tipologie di problemi determinata dalla compresenza di disabilità sensoriale in associazione con altre disabilità. Prendendo in considerazione gli alunni con disabilità visiva (collettivo in cui vengono accorpati i ragazzi con cecità e quelli con ipovisione), emerge che fra questi 4 su 10 (42,8%) hanno almeno altre due disabilità e vivono una condizione estremamente complessa, il 32,1% non ha altri deficit e il 25,1% ha associata un'altra difficoltà. I dati mostrano, inoltre, che nel 41,6% dei casi la disabilità visiva è associata a quella intellettiva e nel 36% con un disturbo specifico dell'apprendimento; frequente anche l'associazione con il disturbo del linguaggio (18,3%), con i disturbi evolutivi dello sviluppo (10,5%) o con un'altra disabilità sensoriale (sordità e ipoacusia; 10,1%).

Rispetto agli alunni con disabilità uditiva (collettivo in cui vengono accorpati i ragazzi con problemi di ipoacusia e con sordità profonda o grave), emerge invece che la metà di questi (52,2%) non presenta altre disabilità, il 25,4% si trova ad avere almeno altre due difficoltà, mentre il 22,3% ha associata un'altra tipologia di disabilità. Analizzando, in particolare, gli alunni con pluridisabilità, i dati mostrano che nel 21,2% dei casi il deficit dell'udito si associa più frequentemente con la disabilità intellettiva, seguito dal disturbo specifico del linguaggio, circa il 19,5%, che però può essere considerato diretta conseguenza della sordità o dell'ipoacusia. Per questo collettivo la combinazione con il disturbo specifico dell'apprendimento si attesta al 14,1%. I dati evidenziano dunque che la disabilità visiva è più frequentemente collegata, rispetto a quella uditiva, ad altri tipi di disabilità, rendendo il quadro clinico dell'alunno mediamente più complesso.

L'indagine Istat condotta nelle scuole descrive inoltre gli studenti con disabilità sensoriale attraverso l'approccio proposto dall'ICF al fine di analizzare le sue principali aree di funzionamento. In particolare, sono state analizzate le performance di sei macroaree: apprendimento, svolgimento di compiti generali, mobilità, comunicazione, cura della persona, interazione e tempo libero.

Per quanto riguarda l'apprendimento, dai dati emerge come gli alunni con disabilità visiva abbiano maggiori difficoltà, anche in presenza di una sola disabilità, rispetto a quest'area di funzionamento: oltre 4 studenti su 10 (44%) presentano, infatti, un problema grave di apprendimento, percentuale che scende al 29,2% per gli studenti con disabilità uditive e al 23,7% per quelli con altre disabilità non sensoriali. Condizione che si acuisce se si considera anche la multidisabilità: oltre la metà (58,5%) degli alunni con problemi visivi riscontra infatti problemi gravi nell'apprendimento, contro il 52,7% di coloro che hanno una disabilità uditiva1. Quando alla disabilità visiva si associa anche quella uditiva, le difficoltà di apprendimento aumentano considerevolmente e oltre 7 alunni su 10 (73,8%) riscontrano problemi gravi.

Nell'ambito dei compiti generali, tra gli alunni con deficit visivo, la quota di ragazzi con gravi difficoltà nell'intraprendere un compito si attesta al 10%, mentre scende al 4,9% per quelli con problemi uditivi e arriva al 19,2% per gli alunni con altre disabilità. Le differenze si fanno più marcate in presenza di pluridisabilità: gli alunni con disabilità visiva con almeno un altro tipo di problema hanno una maggiore difficoltà nell'eseguire compiti generali (36%), quota che scende al 27,7% tra la pluridisabilità associata a problemi di udito, e al 24,7% tra coloro con altre disabilità plurime. Anche in questo caso, la presenza di entrambe le disabilità sensoriali all'interno di un quadro di multidisabilità aumenta sensibilmente le difficoltà dei ragazzi: il 65,2% ha gravi problemi nell'intraprendere un compito.

Sul fronte della comunicazione gli studenti con disabilità uditiva e quelli con altre disabilità presentano più frequentemente un problema grave per questa attività, rispettivamente il 17,2% e il 20,9%, contro il 5,6% riscontrato per gli studenti con deficit visivo. Tra gli alunni con pluridisabilità sono gli alunni con disabilità uditiva coloro che presentano più frequentemente un grave problema nella comunicazione: il 45,1%, contro il 36,9% degli alunni con disabilità visiva e il 24,2% di quelli che hanno problemi diversi da quelli sensoriali. Tra i ragazzi con entrambe le disabilità sensoriali le difficoltà gravi nella comunicazione sono molto più frequenti (62,2%).

Sul piano della mobilità l'analisi evidenzia ancora una volta la complessità della disabilità visiva. Infatti, l'8,3% dei ragazzi mostra un problema grave nella mobilità, quota che sale al 41,8% quando il deficit visivo si accompagna ad altre tipologie di disabilità. Tali percentuali scendono sia per le disabilità non sensoriali (8,2% nel caso di una sola disabilità e 12,3% nel caso di multidisabilità), sia per le disabilità uditive (rispettivamente 2,3% e 21,2%). In caso di copresenza delle disabilità sensoriali, la quota di alunni con grave difficoltà aumenta sensibilmente (63,3%).

Nell'ambito della cura della persona le maggiori difficoltà si riscontrano per i ragazzi con disabilità visive nei casi in cui queste siano associate ad altre disabilità: infatti, tra gli alunni che hanno solo un problema visivo, la percentuale di chi ha gravi difficoltà si attesta al 6,1% (non distante dal 7,6% di chi ha una disabilità non sensoriale), mentre sale al 34,3% tra i ragazzi con pluridisabilità. Nel caso in cui la pluridisabilità sia associata alla disabilità uditiva o alla non sensoriale si riduce la frequenza di alunni che hanno gravi problemi nella cura della persona (rispettivamente al 14,4% e al 10,1%). Anche in questo caso la presenza di entrambe le disabilità sensoriali aumenta considerevolmente le complessità riscontrate per quest'area di funzionamento con il 61,7% dei ragazzi presenta infatti gravi problemi.

Infine, per quanto riguarda il tempo libero, per il gruppo che ha singole disabilità, come è emerso nell'area dei compiti generali, le dinamiche di interazione appaiono più difficili per i ragazzi con disabilità non sensoriali. Infatti, il 18,9% dei ragazzi con disabilità non sensoriali ha un problema grave contro il 3,9% di quelli con deficit visivo e il 2,8% degli alunni con disabilità uditive. In presenza di multidisabilità, lo svantaggio maggiore si riscontra per gli studenti con disabilità visive: ha infatti un problema grave il 28% di essi, mentre la percentuale si attesta al 23,4% per il deficit uditivo e al 21,3% per le non sensoriali. La partecipazione si complica molto per gli alunni con entrambe le disabilità sensoriali che riscontrano un grave problema nel 60,5% dei casi. (DIRE)

martedì 24 gennaio 2023

ISTAT - Lega del Filo d'Oro: in Italia 100 mila persone sordocieche, in Europa sono 656 mila

Il Sole 24 Ore del 24/01/2023

In Italia le persone con più di 15 anni che presentano limitazioni sensoriali gravi e plurime alla vista e all’udito sono 100mila , pari allo 0,2% della popolazione, mentre in Europa la sordocecità colpisce 656mila persone (lo 0,2% della popolazione residente e lo 0,6% degli anziani). Cifre importanti, che restituiscono la reale dimensione di una fascia di popolazione spesso invisibile, che rischia di essere confinata nell’isolamento imposto dalla propria disabilità. È quanto emerge dal “Nuovo studio sulla popolazione di persone sordocieche, con disabilità sensoriali e plurime in condizioni di gravità”, commissionato dalla Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus e realizzato dall’Istat.

La ricerca inedita è stata presentata presso la Camera dei Deputati, alla presenza tra gli altri del ministro per la disabilità, Alessandra Locatelli, del Presidente della Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus Rossano Bartoli, del presidente Istat Gian Carlo Blangiardo. Nel corso dell’incontro, il commento dei dati è stato affidato ai curatori dello studio, Carlo Ricci, Università Pontificia Salesiana e presidente Comitato Tecnico Scientifico ed Etico Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus e Alessandro Solipaca, ricercatore Istat, insieme ad Alessandra Battisti, ricercatrice Istat.

Giunto alla sua seconda edizione ed esteso al contesto europeo, lo studio – edito da Erickson - restituisce una maggiore consapevolezza rispetto alla vastità del fenomeno della sordocecità ed indaga le condizioni di vita delle persone che ne sono colpite attraverso la classificazione internazionale ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), che considera la disabilità come il risultato dell’interazione negativa tra la persona e l’ambiente, fisico e culturale in cui vive, in accordo con quanto sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

“Ringrazio la Lega del Filo d’Oro e Istat per questa importante ricerca che evidenzia con chiarezza la necessità di un impegno ancora più grande per la piena attuazione dei principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità – spiega il ministro Alessandra Locatelli -. Per questo siamo impegnati ad attuare pienamente la legge quadro sulla disabilità in modo da rispettare, garantire e tutelare ogni persona. L’obiettivo principale è quello di migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie; dunque, è indispensabile agire con politiche sociali integrate dal punto di vista sanitario, sociosanitario e sociale ma anche garantire servizi e sostegno adeguati. E’ nostro dovere garantire l’unicità della persona che ha bisogno di cure e riabilitazione ma anche di relazioni, affetti e tempo sociale. è importante lavorare insieme per raggiungere questi obiettivi fondamentali per l’inclusione sociale, la formazione e il lavoro delle persone sordocieche ma anche per assicurare loro una vita dignitosa e partecipata. In conclusione, intendo approfondire dal punto di vista tecnico e politico la norma che in questi anni, pur essendo specifica per il riconoscimento della sordocecità, non ha saputo intercettare al meglio i bisogni di tutte le persone sordocieche, creando delle sostanziali differenze in termini di accesso ai benefici e risultando quindi inadeguata ai fini di una complessiva tutela”.

Limitato accesso a istruzione e lavoro: persone sordocieche a rischio povertà.

Secondo lo scenario emerso, in Italia il 67,6% delle persone sordocieche è donna, il 61% ha oltre 65 anni di età e una persona su 4 (25,8%) vive da sola. A causa dei limiti imposti dalla complessa disabilità sensoriale, la maggior parte di loro ha titoli di studio più bassi rispetto al resto della popolazione – basti pensare che circa una persona su 2 ha solo la licenza elementare (56%) – di conseguenza, una capacità di reddito inferiore. Infatti, in relazione alle condizioni economiche, il 23% di queste persone si colloca sotto il 1o quintile di reddito, mentre il 18% tra il 1o e il 2o, ovvero tra le fasce più povere della popolazione. Solo il 26% dichiara di essere occupato e il 6% si dichiara inabile al lavoro.

“Questo importante studio ha fatto emergere, con dati di evidenza, l’effettiva diffusione delle problematiche vissute dalle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali per le quali, da sempre, la Lega del Filo d’Oro si è fatta portavoce. I dati raccolti grazie alla preziosa collaborazione con l’ISTAT, a cui va il nostro sentito ringraziamento, aprono prospettive di riflessione e sollecitano azioni concrete non più procrastinabili – dichiara Rossano Bartoli, residente della Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus - è necessario, dunque, individuare nuove modalità di risposta, estendendo ad esempio il nostro modello di intervento alle strutture residenziali per anziani, dove si colloca il numero maggiore di persone con disabilità sensoriali multiple, ed operare sempre più in prossimità dei luoghi di origine dei nostri utenti. Inoltre, come Lega del Filo d’Oro abbiamo il dovere di promuovere la loro reale inclusione all’interno della società e il pieno riconoscimento dei loro diritti. Per questo rivolgiamo il nostro appello alle Istituzioni, affinché in Italia l’iter per la revisione e la piena applicazione della legge 107/2010 non si fermi”.

La vita ad ostacoli delle persone sordocieche

Indagando più nello specifico il livello di autonomia nelle attività quotidiane, se si analizza il sottogruppo dei 65 anni e più, emerge che il 43,5% riscontra difficoltà gravi nelle attività domestiche, mentre il restante 16,1% dichiara di avere almeno una difficoltà grave sia nelle attività di cura personale che nelle attività domestiche. Inoltre, tra coloro che dichiarano di avere almeno una difficoltà moderata o grave nelle attività di cura personale, quasi 4 persone su 10 (37,5%) denunciano una mancanza di aiuto, cifra che sale a una persona su due tra coloro che dichiarano invece di avere almeno una difficoltà moderata o grave nell’attività domestica.

“La collaborazione con la Lega del Filo d’Oro mi rende particolarmente fiero del nostro lavoro perché testimonia come i dati e le analisi della statistica ufficiale possano contribuire ad accendere i riflettori su un tema particolarmente delicato e complesso, quale è quello della sordocecità e delle disabilità plurime, - dichiara Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat - le cui dimensioni spesso sfuggono a una corretta valutazione da parte della società e talvolta delle stesse Istituzioni. Porre la persona, con i propri bisogni e le proprie caratteristiche, al centro delle misurazioni e delle analisi statistiche costituisce da anni un impegno primario per l’Istat. Un compito che l’Istituto svolge nei confronti delle Istituzioni e della comunità scientifica, con la quale l’Istituto intrattiene una collaborazione disinteressata e aperta, così come nei riguardi dei decisori politici e di tutti i cittadini. Si tratta di un impegno che è ancora più importante proprio quando si tratta di persone che presentano gravi deficit come quelli in oggetto, persone spesso invisibili, al pari delle loro famiglie su cui grava il carico di cura e di assistenza. I numeri presentati nello studio sono particolarmente importanti. Essi evidenziano i tratti di una vera e propria emergenza, rispetto a cui ci si auspica fermamente che le politiche sappiano rispondere con intelligenza ed efficacia. Così da rendere migliore la qualità della vita sia per le persone sordocieche e pluriminorate, sia per i loro familiari e per tutti coloro che affettuosamente le accompagnano lungo un percorso di vita che, pur nella estrema difficoltà, si configura sempre come bene prezioso, da apprezzare e da proteggere”.

Gravi limitazioni alla vista, all'udito e motorie

Secondo le evidenze emerse, in Italia sono 262mila le persone con più di 15 anni che, oltre alle limitazioni sensoriali gravi plurime legate alla vista e all’udito, presentano contemporaneamente limitazioni di tipo motorio (lo 0,5% della popolazione). Cifra che arriva a oltre 1 milione e 400mila persone in Europa (lo 0,3% della popolazione, il 2,5% per gli anziani).

Anche in questo caso, in riferimento al contesto italiano, si tratta nel 73% dei casi di donne e, per la quasi totalità, di persone con oltre 65 anni di età (92%). Tra queste, il 43,1% vive da solo e la maggioranza ha solo la licenza elementare (84,4%). Fattori che incidono sulla condizione economica, che colloca il 17,2% di questa fascia di popolazione al di sotto del 1o quintile di reddito e il 27,5% tra il 1o e il 2o quintile. Rispetto alla condizione professionale, l’11,1 dichiara di essere inabile al lavoro. Tra gli over 65 (241mila persone), oltre 7 persone su 10 (73,9%) presentano difficoltà gravi nelle attività domestiche e nelle attività di cura personale. Rispetto a quest’ultime, quasi la metà (48,7%) denuncia la mancanza di aiuto. Percentuale che sale al 54,2% tra chi dichiara di avere difficoltà importanti nelle attività domestiche.

Legge 107/2010: un limbo normativo da colmare

Con l’approvazione della Dichiarazione sui diritti delle persone sordocieche (1 aprile 2004), il Parlamento europeo ha riconosciuto la sordocecità quale disabilità distinta, invitando gli Stati membri a riconoscere la specificità di questa disabilità complessa e a garantire alle persone che ne sono colpite i diritti e le tutele normative che ne conseguono. Tali raccomandazioni hanno trovato attuazione nel nostro Paese grazie alla Legge 107/2010 “Misure per il riconoscimento dei diritti delle persone sordocieche”, che riconosce la sordocecità come disabilità specifica unica (in precedenza si riferiva alla sommatoria delle due minorazioni).

Sebbene la Legge 107/2010 rappresenti un primo, fondamentale, passo per il riconoscimento dei diritti delle persone con sordocecità, vi sono ancora alcune significative incongruenze nella formulazione del quadro normativo che lo rendono inadeguato al fine di una tutela giuridica collettiva, capace di includere tutte le persone con disabilità aggiuntive. In Italia, infatti, una persona si può definire sordocieca se oltre alla minorazione visiva – che può essere insorta durante tutto l’arco della vita – si aggiunge anche una disabilità uditiva purché la minorazione sia congenita o, se acquisita, insorga durante l’età evolutiva e sia tale da aver compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato. Non sono quindi considerate sordocieche le persone che, pur non vedenti, siano diventate sorde dopo il dodicesimo anno di età, o coloro che, nati senza alcuna minorazione sensoriale, siano stati colpiti da sordocecità in età successiva ai dodici anni.

Si è quindi venuto a creare un limbo normativo che di fatto esclude il riconoscimento di un numero elevato di sordociechi e, conseguentemente, nega loro servizi specifici, calibrati sui propri reali bisogni. Inoltre, stando alle ultime rilevazioni Inps richieste dalla Lega del Filo d’Oro (settembre 2021), nonostante l’esigua presenza di persone pluriminorate che percepiscono contemporaneamente le prestazioni di invalidità civile, di cecità e di sordità, attualmente in Italia il numero di persone sordocieche riconosciute dall’Inps è pari a zero. Risulta dunque urgente rendere la legislazione vigente più attuale, adattandola a un contesto sociale in evoluzione, dove siano riconosciute come sordocieche le persone “affette da una minorazione totale o parziale combinata della vista e dell’udito, sia congenita che acquisita, che comporta difficoltà nell’orientamento e nella mobilità, nonché nell’accesso all’informazione e alla comunicazione”.

Lo studio, in ultima analisi, intende sollecitare interventi concreti volti a correggere i limiti del nostro sistema di welfare, promuovendo un nuovo paradigma di assistenza basato sulla presa in carico delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali, mediante percorsi personalizzati che tengano conto, da un lato, dei loro bisogni specifici di assistenza e cura, dall’altro delle condizioni e del contesto ambientale in cui esse vivono. Una sfida che la Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus affronta, quotidianamente, da 58 anni attraverso il proprio modello psicoeducativo, che ha raccolto e continua a raccogliere prove di evidenza della sua efficacia.

giovedì 19 gennaio 2023

Andrao (Retina Italia), "riconoscere la maculopatia come malattia cronica"

Agenzia AdnKronos del 19/01/2023

"La maculopatia senile non è riconosciuta come patologia cronica. Abbiamo già la proposta di legge, ma è tutto fermo. Stiamo anche facendo campagne di comunicazione con medici di base e farmacie per un’autodiagnosi del paziente. Manca l’informazione, la condivisione dei percorsi di cura", e inoltre, per la perdita di autonomia dovuta alla riduzione della capacità visiva, si manifesta “la depressione, condizione che frena il ricorso alle cure”. Così Assia Andrao, presidente associazione Retina Italia onlus intervenendo, a nome dei pazienti, al webinar online ‘Degenerazione maculare legata all’età, bisogni emergenti e politiche sanitarie determinanti per un’assistenza basata sul valore’, realizzato con il contributo non condizionato di Roche Italia.

La degenerazione maculare legata all’età - si è ricordato nel corso dell’evento - è una malattia cronica della retina che rappresenta una delle principali cause di cecità, nei paesi industrializzati, negli over 65. L’approccio terapeutico di questa patologia prevede iniezioni intra-vitreali da somministrare in contesto ospedaliero, ma rispetto alle 1- 8 somministrazioni previste all’anno negli studi clinici, in realtà i pazienti ne eseguono 2-4, compromettendo l’efficacia della cura. A tale proposito, Stanislao Rizzo, direttore di Oculistica all'università Cattolica e Policlinico Gemelli Irccs, nel suo intervento, osserva che “le strutture sanitarie non sono adeguate, sono affollatissime, hanno un carico impressionante e la malattia è in crescita esponenziale".

Spesso, l’aderenza è compromessa, da un lato, “per un problema del sistema - ricorda Andrao - i pazienti dicono di non aver compreso quanto spiegato dallo specialista” e, dall’altro, “non se la sentono di pesare sul caregiver, far perdere giorni di lavoro al figlio, al familiare”, così saltano un trattamento. “La mancanza di condivisione del percorso terapeutico causa la non aderenza alle terapie e danni a livello clinico. Più della paura dell’iniezione - continua - le persone, dopo una certa età, non vogliono pesare e sottostimano l’effetto di una iniezione non fatta".

mercoledì 18 gennaio 2023

Memorie sonore Senti che arte nei musei

La Repubblica del 18/01/2023

FIRENZE. Al museo con la realtà acustica aumentata per trasformare una semplice visita tra dipinti e reperti storici in un viaggio spazio-temporale guidato da narrazioni, composizioni musicali originali e paesaggi sonori. Grazie al progetto "Memorie Sonore On-Site", promosso dalla Rete museale Musei di tutti, a partire da venerdì prossimo, questa nuova esperienza multisensoriale sarà possibile, gratuitamente, all'interno del Museo degli Innocenti e del Museo di Palazzo Vecchio a Firenze, e nei Musei di Fiesole (area archeologica e Museo Primo Conti). All'ingresso, i visitatori riceveranno un kit composto da una mappa, un dispositivo audio e speciali cuffie a conduzione ossea, cioè che non chiudono il canale uditivo e che quindi permettono un'esperienza acustica coinvolgente e molto realistica. La narrazione, grazie a questa tecnologia, condurrà l'ascoltatore in una conoscenza più approfondita delle opere. «La frequentazione dei luoghi di cultura è cambiata e noi dobbiamo accompagnare la trasformazione per attrarre e formare un pubblico sempre più curioso» dice Anna Ravoni, sindaco di Fiesole. «Questo progetto dimostra che le istituzioni museali possono raggiungere grandi risultati lavorando insieme». "Memorie sonore" inoltre contribuirà a promuovere la cultura dell'accessibilità: i musei della Rete organizzeranno con l'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, un calendario di visite guidate gratuite ogni primo sabato del mese, da febbraio a maggio, e nella ricorrenza del 21/2 per la Giornata nazionale del Braille (www.firenzefiesolemusei.net). (b.g.)



martedì 17 gennaio 2023

Disabilità, vedere o ascoltare: la realtà non cambia. Così il cervello si adatta per conoscere il mondo

La Repubblica del 17/01/2023

Studio degli psichiatri italiani su Nature Human Behaviour. Ecco perché siamo multimediali: volontari sordi o ciechi dalla nascita percepiscono le scene della "Carica dei 101" allo stesso modo di chi ha tutti i sensi funzionanti. "Abbiamo notato un'alta similarità nell'attività sensoriale fra chi vede soltanto e chi sente soltanto. Un motivo di più per non discriminare persone disabili".

Il lupo è lo stesso per tutti. Per chi è cieco e sente solo il suo ululato. Per chi è sordo e vede solo i denti digrignati. E anche per chi ha i sensi in ordine. Tutti e tre gli individui si ritroveranno a scappare insieme, con lo stesso batticuore. Non importa infatti come conosci il lupo. L'immagine che se ne fa il cervello non cambia a seconda del modo in cui ci accorgiamo della sua presenza.

L'esperimento

Un gruppo di psichiatri della scuola Imt Alti Studi di Lucca e dell'università di Torino lo ha dimostrato con un esperimento, oggi pubblicato su Nature Human Behaviour. Hanno arruolato dei volontari in parte ciechi dalla nascita, in parte sordi dalla nascita e in parte capaci di udire e vedere senza problemi. Non li hanno messi davanti a un lupo, ma più semplicemente ai dalmata del cartone animato La carica dei 101, o a una sua descrizione audio, all'interno di una risonanza magnetica che scrutava le reazioni del loro cervello.

"La risposta cerebrale in comune fra questi individui è indicativa di una funzione innata, presente indipendentemente dalle esperienze sensoriali avvenute dopo la nascita" spiega Emiliano Ricciardi, che insegna alla scuola IMT di Lucca. Il lupo insomma, come avevano scoperto alcuni romanzieri, è già dentro di noi.

Vedere e sentire: perché sono simili

Il risultato dell'esperimento non era scontato. Il dibattito sul ruolo che ciascun senso gioca nella nostra conoscenza del mondo va avanti da decenni. Ma nello studio italiano, aggiunge Francesca Setti, prima autrice della pubblicazione, "abbiamo notato un'alta similarità nell'attività sensoriale fra chi vede soltanto e chi sente soltanto".

La sintesi, la tana in cui l'immagine del lupo si forma, avviene in una parte della corteccia cerebrale, la parte più evoluta del nostro cervello, che si chiama corteccia temporale superiore.

"Questa è l'area - spiega Setti - in cui l'immagine visiva di un cane è accoppiata al segnale acustico dell'abbaiare, rendendo chiaro al nostro cervello che i due stimoli provenienti da due diversi sensi si riferiscono allo stesso oggetto del mondo".

Superare le disabilità

"Il risultato - spiega Pietro Pietrini, psichiatra che dirige il Molecular Mind Lab della Scuola IMT di Lucca - conferma che la capacità di rappresentare la realtà è programmata e che anche in assenza di informazioni sensoriali specifiche può esserci una stessa architettura funzionale.

"Il nostro studio - aggiunge Pietrini - è un ulteriore tassello per favorire politiche di inclusione della disabilità. Più conosciamo il cervello, più ci rendiamo conto che non esistono motivi scientifici per discriminare persone con disabilità. Il nostro cervello è programmato fin dalla nascita per superare gli ostacoli che si frappongono tra noi e il mondo che ci circonda".

Il cervello multimediale

Ed è programmato anche, si direbbe, per funzionare in modo multimediale. Leggere un libro, ascoltare un audiolibro o ripercorrerne la trama all'interno di un film suscitano in noi emozioni non identiche, ma simili. "Il cervello è in grado di formare un quadro di insieme a prescindere dal canale sensoriale specifico" spiega Petrini. "Anche se, allo stesso tempo, è facile immaginare che aspetti diversi della narrazione possano trovare maggiore o minore risalto nelle diverse modalità sensoriali. Il tuono di un temporale avrà più effetto nella modalità uditiva, mentre il bagliore del tramonto in quella visiva".

"Ma non va dimenticato - aggiunge lo psichiatra - che la lettura di un testo permette a ciascuno di noi di "girare il proprio film", ragione per cui si può restare un po’ delusi da un film tratto da un romanzo che ci aveva appassionato e che avevamo immaginato diverso".

di Elena Dusi

lunedì 16 gennaio 2023

Persone ipovedenti, al via la Rete di Telemedicina Oftalmica della Lombardia

Pharmastar del 16/01/2023

MILANO. Nel corso del 77o Convegno della Società Oftalmologica Lombarda, che si è tenuto a Milano il 16 e il 17 dicembre è stata presentata la Rete di Telemedicina Oftalmica di Regione Lombardia per pazienti affetti da minorazioni visive. Un database progettato per low vision therapist in linea con le richieste dei pazienti lombardi, fragili di vista, che hanno difficoltà a raggiungere strutture sanitarie di cura o di terapia.

Uno degli obiettivi da conseguire, assieme a Regione Lombardia, è quello di costruire una rete di professionisti che si occupino della riabilitazione visiva. Questo è un tema che, sia (anche) per la velocità dello sviluppo tecnologico, sia per l’aumentare della vita media delle persone, sta diventando una necessità in risposta a pazienti che perdono autonomia.

È necessario però che la gestione del paziente ipovedente sia standardizzata e che i disabili visivi possano avere il miglior trattamento possibile e siano in grado di conoscere i centri che possano formulare percorsi personalizzati misti chirurgico-riabilitativi. Va proprio in questa direzione il progetto finanziato da RL che ha dimostrato importanti risultati, portando l’80% dei pazienti a un miglioramento della qualità della vita in termini del miglioramento del visus e conseguente recupero dell’autonomia persa a causa della minorazione visiva.

Focus del progetto

La disabilità visiva è infatti il focus del progetto che si snoda con un percorso di presa in carico del paziente ipovedente, volto alla ripresa dell’autonomia del paziente stesso.

Alcune patologie che riducono la capacità visiva interessano l’area centrale della retina, come la maculopatia, con conseguente riduzione dell’acuità visiva. Altre patologie, come il glaucoma e la retinite pigmentosa, interessano il campo visivo compromettendo l’orientamento e la mobilità negli ambienti interni ed esterni.

Talvolta l’unione di varie patologie compromette sia l’acutezza visiva che il campo visivo con una conseguente e marcata perdita di autonomia.

La perdita di autonomia si evidenzia nell’incapacità totale o parziale dei pazienti di svolgere alcune attività come quella di leggere un libro, un giornale, una rivista, le lettere cartacee, le istruzioni dei farmaci, il cucito, le parole crociate, l’utilizzo del pc e di poter visualizzare in maniera corretta gli orari nelle stazioni e negli aeroporti.

Migliorare la qualità della vita di pazienti affetti da minorazioni visive

Il bando per il finanziamento di progetti di innovazione in ambito sanitario e socio-sanitario, che ha finanziato il progetto, ora concluso, della durata di 24 mesi con poco più di 300 mila Euro, ha titolo “Migliorare la qualità della vita di pazienti affetti da minorazioni visive”, ha visto come ente capofila l’ASST Santi Paolo e Carlo e come responsabile scientifico il Prof. Luca Rossetti.

Il Low Vision Team dell’ASST Santi Paolo e Carlo è composto dal Direttore della clinica oculistica il Prof. Luca Rossetti, il Dott. Fabio Patelli responsabile della chirurgia vitreo-retinica, il Dott. Leonardo Colombo responsabile del centro delle distrofie retiniche, il Dott. Gaetano Savaresi specialista in ipovisione e il Dott. Paolo Ferri responsabile del centro di ipovisione e riabilitazione visiva.

Tale progetto ha messo in rete, oltre all’ASST Santi Paolo e Carlo anche l’ASST Lariana (dell’Ospedale) di Como, ASST Spedali Civili di Brescia e l’ASST Papa Giovanni XXIII° di Bergamo. Uno degli obiettivi del progetto è cercare di creare un metodo unico di lavoro e una cartella informatizzata comune tra i quattro enti, al fine di aggiornare anche le linee guida sulle minorazioni visive.

Il software dedicato, realizzato per il Progetto Regionale, ha fornito la base per ottenere uno strumento informatico più dinamico e completo nella gestione del servizio di ipovisione e riabilitazione visiva e ancora più adatto alla condivisione dell’attività ambulatoriale e la collaborazione professionale anche a scopo di ricerca.

Vantaggi della Rete di Telemedicina Oftalmica Lombarda

Con questo progetto di telemedicina si vanno a ridurre gli spostamenti dei pazienti che hanno difficoltà a raggiungere i centri (per ipovedenti), si riducono così anche i costi legati a tutto l’ecosistema familiare, dai pazienti ai caregivers.

Il percorso

Il paziente chiede, al medico di medicina generale la visita oculistica ed il paziente ipovedente, ai sensi della Legge 138/2001 che tutela la disabilità visiva, viene inviato al centro di ipovisione e riabilitazione visiva, dove viene preso in carico, con l’obiettivo di avere un recupero seppur parziale di autonomia e un conseguente miglioramento della qualità della vita.

di Silvia Pogliaghi

Persone ipovedenti, al via la Rete di Telemedicina Oftalmica della Lombardia

Pharmastar del 16/01/2023

MILANO. Nel corso del 77o Convegno della Società Oftalmologica Lombarda, che si è tenuto a Milano il 16 e il 17 dicembre è stata presentata la Rete di Telemedicina Oftalmica di Regione Lombardia per pazienti affetti da minorazioni visive. Un database progettato per low vision therapist in linea con le richieste dei pazienti lombardi, fragili di vista, che hanno difficoltà a raggiungere strutture sanitarie di cura o di terapia.

Uno degli obiettivi da conseguire, assieme a Regione Lombardia, è quello di costruire una rete di professionisti che si occupino della riabilitazione visiva. Questo è un tema che, sia (anche) per la velocità dello sviluppo tecnologico, sia per l’aumentare della vita media delle persone, sta diventando una necessità in risposta a pazienti che perdono autonomia.

È necessario però che la gestione del paziente ipovedente sia standardizzata e che i disabili visivi possano avere il miglior trattamento possibile e siano in grado di conoscere i centri che possano formulare percorsi personalizzati misti chirurgico-riabilitativi. Va proprio in questa direzione il progetto finanziato da RL che ha dimostrato importanti risultati, portando l’80% dei pazienti a un miglioramento della qualità della vita in termini del miglioramento del visus e conseguente recupero dell’autonomia persa a causa della minorazione visiva.

Focus del progetto

La disabilità visiva è infatti il focus del progetto che si snoda con un percorso di presa in carico del paziente ipovedente, volto alla ripresa dell’autonomia del paziente stesso.

Alcune patologie che riducono la capacità visiva interessano l’area centrale della retina, come la maculopatia, con conseguente riduzione dell’acuità visiva. Altre patologie, come il glaucoma e la retinite pigmentosa, interessano il campo visivo compromettendo l’orientamento e la mobilità negli ambienti interni ed esterni.

Talvolta l’unione di varie patologie compromette sia l’acutezza visiva che il campo visivo con una conseguente e marcata perdita di autonomia.

La perdita di autonomia si evidenzia nell’incapacità totale o parziale dei pazienti di svolgere alcune attività come quella di leggere un libro, un giornale, una rivista, le lettere cartacee, le istruzioni dei farmaci, il cucito, le parole crociate, l’utilizzo del pc e di poter visualizzare in maniera corretta gli orari nelle stazioni e negli aeroporti.

Migliorare la qualità della vita di pazienti affetti da minorazioni visive

Il bando per il finanziamento di progetti di innovazione in ambito sanitario e socio-sanitario, che ha finanziato il progetto, ora concluso, della durata di 24 mesi con poco più di 300 mila Euro, ha titolo “Migliorare la qualità della vita di pazienti affetti da minorazioni visive”, ha visto come ente capofila l’ASST Santi Paolo e Carlo e come responsabile scientifico il Prof. Luca Rossetti.

Il Low Vision Team dell’ASST Santi Paolo e Carlo è composto dal Direttore della clinica oculistica il Prof. Luca Rossetti, il Dott. Fabio Patelli responsabile della chirurgia vitreo-retinica, il Dott. Leonardo Colombo responsabile del centro delle distrofie retiniche, il Dott. Gaetano Savaresi specialista in ipovisione e il Dott. Paolo Ferri responsabile del centro di ipovisione e riabilitazione visiva.

Tale progetto ha messo in rete, oltre all’ASST Santi Paolo e Carlo anche l’ASST Lariana (dell’Ospedale) di Como, ASST Spedali Civili di Brescia e l’ASST Papa Giovanni XXIII° di Bergamo. Uno degli obiettivi del progetto è cercare di creare un metodo unico di lavoro e una cartella informatizzata comune tra i quattro enti, al fine di aggiornare anche le linee guida sulle minorazioni visive.

Il software dedicato, realizzato per il Progetto Regionale, ha fornito la base per ottenere uno strumento informatico più dinamico e completo nella gestione del servizio di ipovisione e riabilitazione visiva e ancora più adatto alla condivisione dell’attività ambulatoriale e la collaborazione professionale anche a scopo di ricerca.

Vantaggi della Rete di Telemedicina Oftalmica Lombarda

Con questo progetto di telemedicina si vanno a ridurre gli spostamenti dei pazienti che hanno difficoltà a raggiungere i centri (per ipovedenti), si riducono così anche i costi legati a tutto l’ecosistema familiare, dai pazienti ai caregivers.

Il percorso

Il paziente chiede, al medico di medicina generale la visita oculistica ed il paziente ipovedente, ai sensi della Legge 138/2001 che tutela la disabilità visiva, viene inviato al centro di ipovisione e riabilitazione visiva, dove viene preso in carico, con l’obiettivo di avere un recupero seppur parziale di autonomia e un conseguente miglioramento della qualità della vita.

di Silvia Pogliaghi

domenica 8 gennaio 2023

Oltre le barriere. Così le persone con disabilità visive possono usare i videogiochi

Domani del 08/01/2023

Anche i videogiochi possono avere barriere architettoniche e lo si capisce già dal nome, che presuppone il fatto che ci sia sempre una componente visuale, a scapito di chi ha disabilità visive. Così, sempre di più, c’è chi cerca di abbattere anche questo limite e lo fa come si farebbe nell’urbanistica: ripensando in modo diverso gli spazi virtuali.

Il videogioco può includere infatti anche altre tipologie di design ludico oltre al video. È il caso degli audiogame: esperienze che sfruttano la componente audio per creare ambienti di gioco, talvolta con l’ausilio anche di feedback tattili. «Sono videogiochi a tutti gli effetti, devono esserlo» dice Ivan Venturi, designer e veterano del panorama videoludico italiano, riconosciuto per il suo lavoro nella storica software house bolognese Simulmondo, e anche presidente dell’associazione Audiogame.

«Nel 2012 ho pubblicato Nicolas Eymerich: l’inquisitore, un videogioco d’avventura punta e clicca distribuito a livello internazionale da Microids. Ho deciso di fare il videogioco in italiano, in inglese e in latino medievale» spiega Venturi. «Per riuscirci avevo bisogno di un latinista, dato che non conosco il latino. Ho trovato un professore molto bravo qui a Bologna. Lavorando insieme, mi sono posto però il problema di come farglielo giocare, dato che è una persona con disabilità visiva».

Esperienze audio

La struttura di queste avventure grafiche, ci spiega Venturi, si può facilmente rendere accessibile. È necessario produrre una quantità di doppiaggi maggiore, poiché ciò che si vede a schermo deve essere descritto a voce. Fuori dall’accordo con l’editore Microids, Venturi e lo studio TiconBlu hanno creato una versione solo audio del loro videogioco, interfacciandosi per la prima volta con la comunità di giocatori con disabilità visive.

Proprio questa esperienza ha spinto il designer ad aprire l’associazione Audiogame, e a continuare a sviluppare giochi in formato audio. Anche con l’ausilio di Enea Cabra, il vicepresidente dell’associazione, “il magister” come lo chiama Venturi.

Sviluppare un audiogame è differente rispetto a un videogioco comune. Viene messa una grande attenzione nel design sonoro, con l’audio che è tridimensionale per restituire la percezione di un ambiente a 360 gradi. Dopodiché sono importanti le modalità di interazione con il gioco.

Nel caso di un audiogame su Pc «per mappare gli input bisogna sempre cercare un equilibrio tra i tasti freccia e quelli alla base della tastiera. Per confermare, in questi giochi, si usa spesso il tasto “ctrl” e, in generale, si usano meno i tasti centrali» dice Massimo De Pasquale, lead programmer a Operaludica, software house fondata assieme a Ivan Venturi.

Giocare a ping pong

Anche la startup torinese Novis Games è al lavoro su queste tematiche, cercando sì di sviluppare audiogame, ma soprattutto di aiutare sviluppatori e grossi publisher a rendere accessibili i loro videogiochi. «All’inizio volevamo fare tutto: la console, i giochi, una community, un’app. Però noi, in verità, forniamo una tecnologia. Uno strumento allo sviluppatore che si crea la sua modalità accessibile, insieme a noi» racconta Arianna Ortelli, Ceo di Novis Games.

«Aiutiamo gli sviluppatori a rendere accessibili i loro videogiochi, ma descrivendo quello che si vede a schermo tramite i suoni, seguendo l'immagine» afferma Marco Andriano, Cmo di Novis Games, attivista e persona ipovedente. I due si sono conosciuti alla Uici (Unione italiana ciechi e ipovedenti) nel 2019, quando Ortelli ha presentato il suo prototipo di audiogame.

«Alla presentazione mi hanno fatto giocare a ping pong e così, per la prima volta, ho utilizzato un videogioco riuscendo a capirlo al 100 per cento». Attraverso un controller, racconta Andriano, colpiva la pallina avendo il rumore in cuffia, riuscendo a figurare la direzione e a sentire una vibrazione che simulava il colpo della racchetta. «Una sorta di vocabolario sonoro che ti dà una versione alternativa dello stesso gameplay», spiega Ortelli.

Rendere accessibile

Di audiogame e di accessibilità si parla poco sia nel dibattito generale sia in quello di settore. Il motivo, secondo Venturi, è che manca un «vero e proprio lavoro sulla cultura degli audiogame». I due giovani startupper torinesi spiegano che la difficoltà è immaginare, disegnare e, infine, implementare le funzioni che servono per rendere accessibile un videogioco.

Le piccole software house potrebbero avere difficoltà a causa dei costi. I ragazzi di Novis Games si sono dati l’obiettivo di aiutare gli sviluppatori attraverso una co-progettazione del gameplay, a patto che ci sia un reale interesse nella tematica.

«Non vogliamo che l’implementazione del nostro tool sia solo un’azione di marketing» dice Arianna Ortelli. «Se capiamo che l'azienda non ha un vero interesse nel fare un prodotto per la nostra comunità, dobbiamo essere bravi noi a dire no. O lo facciamo bene o non lo facciamo insieme».

di Damiano D'Agostino

Non vedente, ma attraverso la musica la scoperta di orizzonti più grandi

L’Eco di Bergamo del 08/01/2023

BERGAMO. C'è un mondo intero nella musica: «Lo scorrere del tempo, la durata dei ritmi, lo spazio delle altezze dei suoni», come spiega Gianbattista Flaccadori, di Ranzanico, che ad esso ha dedicato la vita. Per esplorarlo occorrono passione, impegno, dedizione, doti che possiede in abbondanza. Così, dopo aver perso la vista in tenera età a causa di una retinite pigmentosa, nelle infinite combinazioni di note, intervalli e pause che compongono il linguaggio musicale ha scoperto orizzonti più ampi, e non si è mai stancato di cercare nuovi canali di espressione. Ha trovato la sua vocazione nell'arte della composizione, nel canto corale, nell'insegnamento, ma non ha mai trascurato di mettere competenza e impegno a servizio degli altri svolgendo un'intensa attività di volontariato con l'Unione italiana ciechi (Uici). Attualmente è presidente regionale della sezione lombarda. Gianbattista in passato ha collaborato fra l'altro con amici e colleghi alla parte musicale del progetto per la creazione del «Braille music editor», un software con cui si poteva trascrivere uno spartito da pentagramma in Braille usando la tastiera del pc: «Oggi - spiega con un sorriso - gli strumenti si sono moltiplicati, ci sono tecnologie, programmi e applicazioni che permettono di raggiungere traguardi ancora più ambiziosi. Un aiuto fondamentale per noi». Resta comunque molto da fare per realizzare «una vera inclusione», e per questo continua a lavorare in prima linea nell'Uici «per conquistare opportunità migliori per tutti».

La diagnosi difficile

Quando è nato, nel 1953, «era difficile - spiega - diagnosticare una patologia visiva su bambini così piccoli». Gianbattista ricorda ancora con precisione il momento in cui lui e sua madre si sono accorti dei suoi problemi di vista: «Eravamo insieme in cucina, lei stava sbucciando alcune mele. Gliene ho chiesto una fetta, lei l'ha tagliata e me l'ha offerta, mentre io continuavo a sollecitarla, perché non vedevo la sua mano che me la porgeva. È stato scioccante per entrambi». C'è voluto tempo, però, per arrivare alla diagnosi definitiva: «Può darsi che la malattia fosse in corso già alla nascita. I miei genitori avevano notato che camminando mi sostenevo alle pareti oppure al tavolo, ma essendo ancora piccolo pensavano che avessi piuttosto qualche difficoltà motoria. Quando hanno capito che si trattava di problemi visivi è iniziato un calvario di visite e consulti. Continuavano a sperare che ci fosse una cura, finché uno specialista ha chiarito che non c'era nulla da fare, e ha dato ai miei genitori l'indirizzo dell'istituto per i ciechi di Milano». La madre di Gianbattista, nonostante non avesse mai dovuto affrontare un problema simile, usando istinto e buon senso lo ha aiutato subito a imboccare la strada giusta: «Senza aver studiato - ricorda - applicava i migliori principi pedagogici. Mi ha abituato subito all'autonomia, insistendo per mandarmi alla scuola materna con gli altri bambini, nonostante qualche paura iniziale. Mi ha insegnato a spostarmi negli ambienti della fattoria dove abitavamo toccando le pareti per rendermi conto degli spazi. Mi ha fatto conoscere gli animali, mi ha affidato dei compiti come piccoli acquisti nella bottega del paese oppure dai vicini quando le mancavano il rosmarino o l'erba salvia. È stata una pratica utilissima, perché mi ha aiutato a essere indipendente e ad acquisire quelle minime strategie che aiutano a sentirsi a proprio agio negli ambienti e di prendere le dovute misure. Quando sono entrato in collegio a Milano, a sei anni, sapevo allacciarmi le scarpe da solo e avevo già imparato molte cose sulla vita in campagna».

Una nuova avventura

Così è iniziata una nuova avventura per Gianbattista. Proprio in quegli anni, accanto alle materie tradizionali delle scuole elementari e medie è iniziata anche la sua istruzione musicale. «In seguito - dice - ho deciso di proseguire iscrivendomi al Conservatorio». A causa di alcuni problemi di salute è tornato a casa a Ranzanico. «Proprio in quegli anni si iniziava a parlare di inserimento degli studenti non vedenti nella scuola pubblica, e grazie al supporto dell'Unione italiana ciechi sono riuscito a iscrivermi all'istituto musicale Donizetti di Bergamo. Ho iniziato con il pianoforte, ma ben presto mi sono accorto che le esibizioni in pubblico mi creavano una fortissima ansia. Così ho scelto i corsi di composizione, direzione di coro e musica corale». Come scrive Cicerone, «l'amicizia rende i successi più splendidi e le avversità più lievi» e così Gianbattista negli anni dei suoi studi musicali ha trovato punti di riferimento importanti, che l'hanno aiutato a realizzare i suoi sogni: «Mi sono inserito subito in modo positivo con gli altri compagni. Ho un carattere estroverso e attaccavo bottone con tutti. Al secondo anno mi avevano già nominato rappresentante degli studenti. Mi sono sempre sentito accolto e benvoluto da tutti: il personale dell'istituto, i docenti e gli altri studenti. Ci sono state occasioni in cui ci siamo aiutati a vicenda. Quando è venuta a mancare la persona a cui dettavo i compiti di composizione, i compagni mi hanno dato una mano, e io in cambio li aiutavo a svolgere gli esercizi di armonia, materia ostica per tutti. È stata una bellissima esperienza umana. Sono anni che ricordo con piacere, fanno parte delle cose belle della vita, che ti danno il senso del presente e ti aiutano a proseguire con fiducia verso il futuro». Da Ranzanico a Bergamo Gianbattista ha sempre fatto il pendolare: «Scendevo da casa per una mulattiera piuttosto ripida con qualsiasi condizione meteorologica, fino alla fermata dell'autobus. Allora ero come un gatto, salivo e scendevo come niente. Un anno c'era la neve e mi avevano detto di stare attento, perché all'inizio della strada, nel cortile di una casa, c'era un cane molto aggressivo. Di solito mi tenevo alla larga ma con la neve è facile sbagliare strada. Così mi sono ritrovato vicino al cane, con un po’ di timore. Allora ho appoggiato a terra il bastoncino che usavo per camminare, perché non si sentisse minacciato. Gli ho parlato con dolcezza, chiedendogli di stare buono. Lui non solo non mi ha aggredito ma mi si è messo di fianco, permettendomi di appoggiargli una mano sulla groppa, e mi ha accompagnato fino in paese, poi è tornato a casa sua. Sono rimasto colpito da come gli animali possano capire le necessità dell'uomo e diventino istintivamente amici senza i pregiudizi che scattano invece in noi quando incontriamo una persona sconosciuta. Nonostante questo episodio non ho mai adottato un cane guida, perché pensavo non fosse adatto ad accompagnarmi nella mia professione a scuola».

Gianbattista Flaccadori ha lavorato come insegnante, continuando ad alimentare negli anni la passione per la musica: «Ho iniziato come tutti da supplente, con cattedre miste tra scuola media inferiore e superiore. Per necessità accettavo tutti gli incarichi che mi venivano proposti. Per esempio c'è stato un anno in cui mi è capitato di lavorare per alcune ore a Borgo di Terzo e Lallio alle scuole medie e per altre a Romano alle scuole superiori. Per fortuna c'era un conoscente che partiva alla stessa ora da Ranzanico e come me doveva cambiare autobus a Seriate, perciò mi aiutava negli spostamenti. Al ritorno invece c'era sempre qualche collega che mi riaccompagnava a Bergamo alla fermata dell'autobus. Anche in queste occasioni mi sono reso conto di quanto fossero importanti le relazioni sociali: solo parlando e stringendo amicizie si possono trovare persone disposte a starti vicino. Per questo è importante mantenersi aperti e disponibili e non pretendere sempre che siano gli altri a venirci incontro».

La cattedra di ruolo

Poi è arrivata la cattedra di ruolo, prima alle medie e poi all'Istituto Secco Suardo: «Nel frattempo - aggiunge Gianbattista - ho insegnato storia della musica e armonia all'istituto musicale Folcioni di Crema. Ho collaborato anche con l'Università di Bergamo tenendo corsi per stranieri sulla cultura musicale italiana. Mi è sempre piaciuto il mio lavoro. Mi sono impegnato a offrire ai ragazzi non solo nozioni ma anche un ascolto umano e buoni consigli per la vita, creando con loro rapporti di fiducia». L'impegno «pubblico» e associativo è proseguito di pari passo: "Ho ricoperto diversi incarichi, ma sempre con spirito di servizio, con il desiderio di aiutare chi ne ha bisogno. Le persone che prima di noi hanno guidato l'Unione ciechi ci hanno permesso di raggiungere traguardi importanti, ora noi proseguiamo sulla stessa strada. Iscrivermi all'associazione è stata un'altra felice intuizione di mia madre, che mi ha insegnato quanto fosse importante fare parte di un gruppo per la mia crescita umana e per affrontare le piccole e grandi sfide della vita quotidiana. Ho avuto una vita piena, mi sono sposato, ho potuto intraprendere la carriera che desideravo e ne sono felice, ma sicuramente ho dovuto affrontare tante difficoltà e combattere molte battaglie». C'è ancora molto da fare per promuovere l'inclusione sociale per le persone non vedenti: «I tre cardini del nostro impegno sono istruzione, formazione e lavoro. Il mondo cambia e con esso la mentalità, l'organizzazione, le esigenze. Alcune professioni che una volta erano uno sbocco naturale per i ciechi, come quella del centralinista, si stano lentamente estinguendo, ma le nuove tecnologie hanno aperto diverse possibilità. Aumenta il numero degli studenti non vedenti che riescono a laurearsi, valorizzando i propri talenti, ma ci sono ancora difficoltà di inserimento scolastico. La musica a scuola è poco considerata, e questo è un ostacolo anche per i non vedenti. Bisogna creare le condizioni perché torni ad essere considerata un'opportunità».

di Sabrina Penteriani

mercoledì 4 gennaio 2023

Giornata mondiale del Braille, uno strumento essenziale per i non vedenti: “Ma a scuola continua a essere poco usato”

Il Fatto Quotidiano del 04/01/2023

Il 4 gennaio 1809 a Coupvray, in Francia, nasceva Louis Braille, inventore del rivoluzionario metodo di scrittura e lettura per non vedenti e ipovedenti. Una giornata che viene celebrata dal ministero dell’Istruzione e che è occasione per l’Unione italiana ciechi per rilanciare un appello a sostenere la diffusione di questo strumento essenziale per chi non è vedente. “A scuola continua a essere uno strumento poco usato. Di frequente gli insegnanti di sostegno non conoscono il Braille e si devono formare spendendo dei soldi in maniera volontaria. Per un bambino con un disturbo visivo minimo spesso viene dato spazio alla sintesi vocale che permette di ascoltare ma non di conoscere l’ortografia corretta delle parole”, denuncia la presidente provinciale di Cremona e membro della segreteria regionale lombarda dell’Unione italiana ciechi, Flavia Tozzi.

Intanto per l’occasione la biblioteca “Luigi De Gregori” del ministero dell’Istruzione e del merito sarà aperta per scoprire una parte del patrimonio librario: il “Libro cuore” di Edmondo De Amicis; il carme “Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo, un sillabario per imparare a leggere e scrivere, una raccolta di spartiti musicali per lo studio del pianoforte, tutti in lingua Braille. All’interno della sala dell’Emeroteca, al piano terreno del palazzo di viale Trastevere per questa giornata mondiale proclamata dall’Onu, si potranno osservare da vicino alcune di queste pubblicazioni d’epoca, che sono testimonianza della valenza del Braille quale fondamentale strumento di comunicazione ed espressione, di accesso alla cultura e all’istruzione.

Tra i volumi esposti sono visionabili: Edmondo De Amicis, “Cuore”, volume terzo, Stamperia Nazionale Braille, Firenze; Ugo Foscolo, “Dei sepolcri. Carme a Ippolito Pindemonte”, Stamperia Nazionale Braille, Firenze, 1925; “Sillabario”, Stamperia Nazionale Braille, Firenze, 1925; Köhler Louis, “Sedici studi con la mano ferma. Opera 224”, Stamperia Nazionale Braille, Firenze, 1925. La piccola esposizione, tra l’altro, sarà ripetuta dal 21 al 28 febbraio, in occasione della Giornata nazionale del Braille, istituita con Legge 126 del 3 agosto 2007. Soddisfatta di questa occasione è proprio Tozzi, nata senza la possibilità di vedere. Vera e propria esperta della lingua Braille, spiega: “Chi nasce come e mia sorella, grazie a questo alfabeto è in grado di leggere in maniera diretta. Ma il Braille consente anche a persone che hanno perso la vista in età adulta di riconoscere, ad esempio, i medicinali, dove viene apposto ormai in maniera obbligatoria”.

Flavia Tozzi ha imparato a usarlo fin da piccola quando suo padre, vedente, gli traduceva con il punteruolo e la tavola le fiabe, affinché potesse leggerle anche lei. Oggi lo sa usare in maniera fluida grazie a un uso continuativo che serve ad esercitare i polpastrelli. Secondo la presidente, la lingua dovrebbe essere conosciuta anche dalle persone normo-dotate: “Se sai un po’ le lettere dell’alfabeto puoi aiutare una persona in età adulta. A Milano sulle scale della metropolitana ci sono scritte in braille, sono utili per indicare il percorso da scegliere. Il braille non va mai perso. Oggi è molto più semplice trovare dei libri per noi: ci sono stampanti Braille, è solo una questione di diffusione della conoscenza”.

Ad aiutare i ciechi è anche la tecnologia: ora ci sono display digitali. Ma restano tanti i problemi, soprattutto a scuola: “In questi anni siamo stati in molte scuole a parlare con i ragazzi, a insegnare loro l’uso del Braille attraverso il punteruolo e la tavoletta. Anche chi è normodotato può attraverso questa lingua aiutare i propri compagni o un giorno poterla usare per un cieco. Abbiamo bisogno di una scuola e di una società ancor più consapevole dei problemi che chi non vede deve affrontare ogni giorno”. C’è, poi, un altro discorso da fare per quanto riguarda l’urbe: “In Posta – dice Tozzi con riso amaro – se entri come vedente c’è un cartello che dice che bisogna dare la priorità ai ciechi, ma io non posso leggerlo”.

di Alex Corlazzoli

Cataratta, può capitare anche sotto i 50 anni

L’Huffington Post del 04/01/2023

Il disturbo che interessa il cristallino dell'occhio e che riduce drasticamente le capacità visive, può colpire anche i giovani. Fumo e alcol fattori di rischio. Le possibili terapie e i pro e i contro dell'intervento chirurgico.

Il cristallino che si opacizza, la vista sfocata, l'acuità visiva che diminuisce. La cataratta è considerata patologia tipica dell'età anziana, ma non è sempre così. E colpisce il cristallino, la struttura dell'occhio che è una vera e propria lente. A causa di diversi motivi il cristallino tende a perdere la sua trasparenza e si opacizza.

Negli ultimi dieci anni sono aumentati gli studi che mirano a capire perché la cataratta sia una malattia così diffusa non solo negli anziani, ma anche nei giovani, per prevenirla efficacemente ed evitare non soltanto un aumento dei costi sanitari legati alla gestione della patologia, ma anche per escludere il rischio di cecità o ipovisione.

L'intervento è risolutivo

La cataratta, infatti, nell'immaginario collettivo è il disturbo che impedisce alle nonne di fare l'uncinetto e ai nonni di leggere il giornale ai giardini pubblici; ma invece si tratta di un disturbo altamente invalidante e insidioso se non trattato nei tempi giusti e con metodi adeguati. L'intervento, in particolare, è risolutivo anche in età molto avanzata e permette di tornare a svolgere anche quelle mansioni che richiedono un'acuità visiva ottimale.

Anche prima dei 50 anni

Dati alla mano, nei Paesi in via di sviluppo si osserva un aumento della prevalenza della cataratta e una riduzione dell'età di insorgenza, con un aumento dei casi di cecità da cataratta. Uno studio negli Stati Uniti svolto negli anni '80 ha rivelato che il 38,8% degli uomini e il 45,9% delle donne di età superiore ai 74 anni erano affetti da cataratta.

Lo stesso studio, ripetuto negli anni '90 ha mostrato un aumento dell'incidenza di quella senile e oggi si stima che più del 60% degli ultrasettantenni soffra di un'opacizzazione più o meno grave del cristallino.

Ne soffrono più le donne

"La cataratta ha una maggiore prevalenza nel sesso femminile, molto probabilmente perché le donne hanno un'aspettativa di vita maggiore degli uomini e quindi hanno più probabilità di vivere così a lungo da sviluppare questo disturbo" spiega Domenico Schiano, responsabile Unità Segmento Anteriore dell'Irccs Fondazione Bietti, l'unico Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico esclusivamente dedicato all'Oftalmologia in Italia.

Invecchiamento, ma non solo

Generalmente l'opacizzazione è dovuta all'invecchiamento, ma riconosce anche altri fattori di rischio quali il fumo di sigaretta. Negli Stati Uniti il 20% delle cataratte è attribuito al fumo e la percentuale di fumatori nella popolazione generale è pari al 26%. Un altro fattore di rischio è l'assunzione di alcol. I forti bevitori di birra, è stato appurato, hanno il doppio delle probabilità di sviluppare cataratta rispetto a chi non beve.

Il ruolo dell'area geografica (e dei raggi UV-B)

Alcuni studi scientifici hanno sottolineato come l'incidenza di cataratta sia maggiore nelle popolazioni che vivono nelle aree geografiche tropicali, perché più degli altri sono esposti alle radiazioni UV-B che possono favorire l'opacizzazione del cristallino. Anche in Occidente i casi di cataratta prima dei 50 anni sono in aumento.

"Oggi alle nostre latitudini la cataratta non è più solo la malattia dei contadini e dei pescatori, che vivono la loro vita prevalentemente all'aperto e dunque per questo più esposti. Oggi inoltre si fa diagnosi molto prima che in passato e si interviene subito, anziché lasciare la persona alle prese con un'acuità visiva che si riduce progressivamente inficiando negativamente la qualità di vita", osserva il dottor Schiano.

Su questo tema, ovvero su quanto l'esposizione agli UV-B incida sulla cataratta, c'è disaccordo nella comunità scientifica. In ogni caso indossare regolarmente occhiali da sole è una semplice precauzione facile da adottare.

Diabete e terapie cortisoniche

Un fattore di rischio molto importante connesso con lo sviluppo di cataratta in età giovanile è sicuramente il diabete: "Il mancato controllo glicemico che si associa al diabete comporta una degradazione delle proteine del cristallino che ne compromettono la trasparenza, con sviluppo di un particolare tipo di cataratta definito sottocoppa perché l'opacità interessa lo strato più esterno sotto-capsulare sulla faccia posteriore del cristallino. In questi casi non si riesce a far prevenzione, l'unico modo per ritardare il più possibile i danni all'occhio è tenere il più a bada possibile la propria iperglicemia", spiega ancora l'esperto.

Una cataratta con caratteristiche molto simili a quelle che possono presentare le persone diabetiche e anche prima dei 50 anni, può essere sviluppata dai pazienti che a causa di alcune patologie, come per esempio quelle reumatiche, sono costretti a far uso per lunghi periodi di farmaci cortisonici: "Per fortuna, oggi, molte malattie croniche come quelle reumatologiche non sono curate e controllate più solo con i cortisonici, ma anche da farmaci innovativi, come i biologici, per esempio, che permettono di tenere sotto controllo la patologia di base e contemporaneamente di contenere il dosaggio dei cortisonici o di usarli solo per brevi periodi di tempo" rassicura il dottor Schiano.

L'intervento chirurgico

"La terapia d'elezione della cataratta è l'intervento chirurgico che negli ultimi dieci anni è diventato una vera e propria chirurgia riabilitativa. Non si aspetta più che il paziente perda del tutto la sua acuità visiva prima di intervenire, oggi ai primi sintomi si agisce e spesso la sostituzione del cristallino permette di correggere anche altri difetti visivi come l'astigmatismo. Per questo - conclude l'esperto - si parla di chirurgia riabilitativa perché andando a eliminare la cataratta si restituisce al paziente una visione anche migliore di quella che possedeva prima dell'intervento".

I vantaggi aggiuntivi dell'intervento

"Oggi la chirurgia della cataratta si è evoluta nella chirurgia rifrattiva del cristallino che ha triplicato i vantaggi per il paziente. Non solo mediante l'intervento si va a sostituire la lente naturale dell'occhio con un cristallino artificiale, ma l'intervento è in grado di raddoppiare i benefici nel correggere totalmente i difetti di vista per lontano, miopia, astigmatismo e ipermetropia. L'intervento di cataratta può anche eliminare la presbiopia ovvero la necessità di portare occhiali per la lettura o ricamare", spiega Matteo Piovella, presidente della Società Oftalmologica Italiana.

In ambulatorio, senza ricovero

Pur senza addentrarsi nei particolari più tecnici Piovella riguardo l'intervento spiega: "L'intervento di cataratta si esegue ambulatorialmente, senza necessità di ricovero ospedaliero e consiste nella frammentazione della lente naturale opaca al fine di rimuoverla totalmente e inserire al suo posto un cristallino artificiale ad alta tecnologia capace di eliminare tutti i difetti di vista, anche quelli preesistenti all'intervento: ecco perché successivamente si riesce a guidare la macchina, guardare la televisione, andare al cinema, utilizzare il computer, leggere un libro o il giornale senza più dipendere da una correzione della vista con occhiali o lenti".

Il rischio di complicazioni

"Per l'intervento - prosegue il presidente SOI - si opta per un'anestesia topica che si ottiene con la sola instillazione di colliri ripetuta adeguatamente per controllare lo stress e ogni disconfort. L'intervento dura 15 minuti quando ci si può avvalere delle nuove tecnologie, che purtroppo oggi sono ancora troppo poco diffuse a livello di SSN. Il tempo di convalescenza è una settimana durante la quale fondamentale è non toccarsi gli occhi con le mani".

Come per ogni intervento chirurgico, sussiste il rischio di comparsa di complicanze e quella maggiormente temibile è il rischio di infezioni anche se a tale proposito il presidente Piovella tiene a precisare: "Per ridurre il rischio di infezioni viene riservata una grande attenzione alla sterilità prima durante e dopo l'intervento. Ecco perché, per ridurre il rischio di infezioni, è meglio che a istillare le gocce di collirio fondamentali per un buon decorso post operatorio non sia il paziente ma un'altra persona che dovrà seguire un'opportuna igiene delle mani e dovrà evitare di toccare il becuccio dal quale fuoriescono le gocce di collirio.

Terapia post operatoria e recidive

La terapia post operatoria dura un mese, ma ci vogliono almeno due mesi perché la ferita cicatrizzi. I controlli post intervento sono progammati a 24 ore, a 7 giorni, un mese, e poi tre, sei e 12 mesi". Non vi è il rischio di nessuna ulteriore complicanza dopo l'intervento? Non proprio: "Dopo un anno dall'intervento si può presentare una velatura sulla capsula posteriore posizionata dietro il cristallino artificiale con funzioni iniziali di sostegno. Si parla in questo caso di cataratta secondaria anche se della cataratta non ha nulla. In questi casi serve effettuare una "pulizia del cristallino" utilizzando uno YAG laser, lo strumento oggi indispensabile per superare questa situazione che si verifica in molti pazienti operati di cataratta dopo circa un anno. L'oculista valuterà in ogni caso le giuste tempistiche applicando il trattamento yag laser quando necessario e utile".

Quando si ha la "pupilla stretta"

Fino a qualche decennio fa l'operazione di cataratta poteva risultare difficoltosa per quei pazienti refrattari all'azione dei colliri usati per dilatare la pupilla, conclude il presidente Piovella: "Oggi riusciamo a operare anche i pazienti con la "pupilla stretta", poco sensibili cioè all'azione dei farmaci dilatatori. A volte basta aumentare i tempi di instillazione delle gocce capaci di "allargare" la pupilla, altre volte si deve intervenire applicando dei dispositivi chirurgici capaci di aprire, previa dilatazione, la pupilla e permettere di effettuare l'intervento previsto. Sono gli "uncini" che, posizionati correttamente permettono di allargare la pupilla fino al raggiungimento di un diametro idoneo all'effettuazione dell'intervento di cataratta in estrema sicurezza. Ci sono poi farmaci iniettabili all'interno dell'occhio, con capacità favorenti la dilatazione dell'iride. Insomma abbiamo a disposizione opportunità straordinarie: dobbiamo però evitare ritardi dovuti alle liste d'attesa e impegnarci per diffondere capillarmente le tecnologie innovative a livello di Sistema Sanitario Nazionale".

di Angela Nanni