lunedì 31 gennaio 2022

Degenerazione maculare senile, gli Usa approvano il primo anticorpo bispecifico

La Repubblica del 31/01/2022

La Food and Drug Administration ha dato il via libera per l'utilizzo di faricimab, nuovo farmaco diretto contro due proteine alla base di questa malattia. L'approvazione si estende anche all'edema maculare diabetico.

Negli Usa, la Food And Drug Administration (FDA) ha approvato il primo anticorpo bispecifico per il trattamento di due comuni malattie che compromettono la vista: la degenerazione maculare senile "umida" e l'edema maculare diabetico. Il nuovo farmaco si chiama faricimab ed ha appena dimostrato di essere efficace quanto l'attuale standard di cura, aflibercept, ma con un vantaggio per i pazienti: stando agli ultimi studi pubblicati su Lancet non più tardi di una settimana fa, nella maggior parte dei casi può essere somministrato ad intervalli di tempo più lunghi, ogni tre o quattro mesi. Il farmaco oggi utilizzato, invece, richiede una somministrazione al mese, od ogni due mesi.

Un solo anticorpo per due bersagli

Faricimab appartiene alla nuova classe di anticorpi in grado di legarsi a due bersagli molecolari contemporaneamente, e di "bloccarli". Uno dei due è lo stesso preso di mira dalle altre altre terapie mirate sviluppate fino ad oggi: VEGF-A (fattore di crescita vascolare endoteliale-A), una proteina che promuove la crescita di vasi sanguigni anomali sotto la retina. Nella degenerazione maculare senile "umida", da questi vasi fuoriesce del liquido o si verificano delle emorragie che compromettono gravemente la visione centrale. Oltre ad aflibercept, gli altri anti-VEGF sono brolucizumab, ranibizumab e bevacizumab.

di Tiziana Moriconi

sabato 29 gennaio 2022

Torino, rivoluzione alle fermate del tram: il codice qr al posto dei vecchi orari

La Repubblica del 29/01/2022

Inquadrando il simbolo sarà possibile conoscere anche quanto è pieno il mezzo che sta per arrivare e scoprire dov'è la rivendita di biglietti più vicina.

TORINO. A Torino si inquadra il Qr code in fermata con lo smartphone ed è subito possibile conoscere in tempo reale gli orari di bus e tram ma anche sapere in anticipo se i mezzi sono pieni vista la capienza ridotta per il Covid o consultare la mappa delle rivendite dei biglietti più vicine. È la novità in casa GTT: sulle paline dell'azienda del trasporto torinese, stanno spuntando gli adesivi che permettono velocemente di fornire informazioni sui passaggi dei mezzi e anche avvisi di servizio sulle linee a chi non ha l'app GTT, adesivi che andranno a sostituire gli orari.

Grazie ai codici sarà possibile conoscere in tempo reale le notizie su bus e tram attraverso adesivi con il codice in rilievo da inquadrare con lo smartphone per avere in tempo reale passaggi previsti, avvisi di servizio sulle linee, presenza di stazioni della metropolitana nel raggio di 500 metri, ma anche l'eventuale raggiungimento dell'occupazione massima a bordo, mezzi accessibili alle persone con disabilità e mappa delle rivendite più vicine.

Non solo, il Qr code, che sostituirà gli orari, è stato studiato e testato con il disability manager di GTT e con le organizzazioni che tutelano le persone con disabilità visiva e cognitiva.

L'iniziativa, assicurano dall'azienda, ha riscosso il plauso di realtà come Apri (Associazione pro retinopatici e ipovedenti) e Uici (Unione italiana ciechi e degli ipovedenti) che hanno partecipato alle prove di funzionalità. "Un adesivo - sottolinea GTT - come veicolo d'informazione, ma che racchiude quindi anche un valore intrinseco più elevato di integrazione. Proprio per questo tocca ora a tutti dare prova di sensibilità e civiltà nel preservarli, nella consapevolezza della loro utilità anche di inclusione sociale".

Al momento sono stati posizionati su tutte le paline delle linee 4 - 3 - 10 - 13 - 15 - 16 CD - 16 CS - 9 e 2. La posa è quasi terminata anche sulle linee 8 e 6, seguiranno subito dopo le linee 5 - 12 - 14 e man mano anche le altre.

di Cristina Palazzo

Gli audiolibri dell'ex sindaco, memorie sulla deportazione. Rellini: avanti con il progetto

Messaggero Veneto del 29/01/2022

Dal Comune di Aviano al lavoro storico con l'ANED e i lettori volontari.

In sedici mesi messi in rete 45 documenti, altri dieci presto in arrivo.

PORDENONE. Quest'anno la Giornata della memoria si è caratterizzata per una particolare iniziativa dell'ANED provinciale che salva in rete, sotto forma di audiolibri, testimonianze e memorie della deportazione nei campi di sterminio nazisti.

Gianluigi Rellini, già sindaco di Aviano dal 1995 al 2004, promotore del progetto "audiolibri", ne ripercorre le varie tappe. Molto si deve all'impegno dell'ANED di Pordenone, associazione presieduta da Eliseo Moro, partigiano e reduce del campo di concentramento di Dachau, e ai numerosi volontari, prestatori di voce, che trasformano le testimonianze dei reduci dei lager nazisti in audiolibri. «In sedici mesi abbiamo messo in rete, 45 audiolibri - commenta Rellini -. Sono memorie e saggi sulla deportazione nazista. Altri dieci libri grazie a prestatrici e prestatori di voce stanno per diventare audiolibri, per il futuro abbiamo in programma di trasformare in audiolibri ulteriori trenta testi che verranno letti dai volontari».

«Per mantenere sempre presenti, storia e memoria della Shoah e dei genocidi nazisti non basta commuoversi alle Giornate della memoria: bisogna muoversi, realizzando nuove iniziative per impedire che siano disperse le testimonianze dei deportati nei lager nazisti - osserva Rellini -. Da parte mia, comincerò a sentirmi soddisfatto quando come ANED avremo raggiunto la pubblicazione di almeno cento audiolibri».

Alla loro realizzazione, cosa importante, collaborano la sezione pordenonese dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, nonché il Centro internazionale del libro parlato. Le due associazioni contribuiscono a procurare i volontari, donatori di voce, e forniscono l'assistenza per la registrazione dei file. L'audioteca è inserita nel sito ANED (www.deportatipordenone.it). Attualmente conta 45 testi che si possono ascoltare, puntualizza Rellini, su computer, tablet, o trasferire sugli smartphon.

Si tratta delle testimonianze dirette dei reduci dai campi di sterminio - Piero Maieron, primo presidente dell'ANED pordenonese, Ivo Rosset, Olivo Soravito e tanti altri - nonché di saggi storici sulle deportazioni dal Friuli e dall'Italia.

La sollecitazione è ad associazioni e privati per trasformare in audiolibri tutte le memorie rintracciate sulla deportazione e per incrementare il numero dei lettori volontari, che comprende le avianesi Silvia Barbieri e Mariangela Battistin.

di Sigfrido Cescut

venerdì 28 gennaio 2022

Materne e primarie senza insegnanti di sostegno, è emergenza al Nord

Avvenire del 28/01/2022

In Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia dal prossimo anno sarà problematico seguire tutti gli alunni con disabilità.

Le scuole dell’infanzia e primaria delle regioni settentrionali (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia), rischiano, il prossimo anno scolastico, di avere un serio problema nel reperire gli insegnanti di sostegno per gli alunni disabili. Categoria che, più di altre, ha già sofferto molto le conseguenze della pandemia sulla didattica in presenza.

L’allarme arriva da un dossier di Tuttoscuola, che ha elaborato i dati finora disponibili relativi al concorso, arrivato a metà del guado con la conclusione delle prove scritte. Rispetto ai 5.741 posti messi a concorso nelle sei regioni considerate (pari all’84% di tutti i 6.847 posti di sostegno previsti a livello nazionale), i candidati iscritti alle prove erano 2.583, meno della metà dei posti disponibili. Già in partenza, dunque, il concorso, qualunque fosse l’esito delle prove, lasciava scoperti 3.158 posti, pari al 55% di quelli da assegnare.

Nelle restanti regioni, invece, a fronte di 1.106 posti complessivi, i candidati sono stati 7.175, pari al 73% del totale. In sostanza: tanti posti con pochi candidati al Nord e pochi posti con tanti pretendenti nelle restanti aree del Paese.

Dopo la conclusione degli scritti, la situazione, al Nord, è ulteriormente peggiorata: dei 2.583 candidati, ne sono stati ammessi all’orale soltanto 902, il 34,9%. I posti vacanti sono così saliti a 4.843, l’84,4% del totale. E il quadro potrebbe ulteriormente peggiorare se ci saranno altre bocciature all’orale. La situazione più drammatica è quella della Lombardia (dove gli alunni disabili sono 2.676 alla scuola dell’infanzia e 19.916 alla primaria), che, tra mancate iscrizioni alle prove e bocciature, alla fine conterà 2.024 posti vacanti, pari all’87,2% del totale, ben tre punti sopra la già pesante media delle sei regioni settentrionali.

A livello nazionale, ricorda Tuttoscuola, non saranno assegnati ben 7 posti di sostegno su 10. Un bel problema per le scuole e una grave preoccupazione in più per le famiglie degli alunni disabili.

«Ritorna ora valida la nostra proposta di una graduatoria nazionale (a iscrizione volontaria) dei candidati “idonei” di altre regioni per coprire i posti vacanti del Nord – si legge nel dossier di Tuttoscuola –. Oltre a contenere in qualche modo lo scoperto dei tanti posti vacanti, servirebbe anche a mettere a profitto la spesa sostenuta dall’amministrazione scolastica per l’organizzazione del concorso».

La penuria di insegnanti di sostegno mina alle fondamenta uno dei principi dell’inclusione scolastica: la continuità didattica. A questo obiettivo punta ora una proposta di legge presentata dalla Federazione italiana per il superamento dell’handicap, che ha ottenuto il sostegno del sottosegretario all’Istruzione, Rossano Sasso, che ha recentemente sottoscritto una dichiarazione d’intenti col presidente della Fish, Vincenzo Falabella.

La proposta di legge prevede l’istituzione di «apposite classi di concorso per il sostegno», che potranno essere ricoperte solo da docenti specializzati e assunti a tempo indeterminato.

Un passaggio importante riguarda gli alunni disabili iscritti alle scuole paritarie. Per loro la proposta di legge chiede, al pari dei coetanei che frequentano le scuole statali, insegnanti di sostegno e assistenti per l’autonomia assegnati (e pagati) dallo Stato e dagli Enti locali. E non più dalle famiglie, attraverso le rette, come avviene ora.

di Paolo Ferrario

Il primo test di gravidanza tattile per donne con disabilità visiva

Superando del 28/01/2022

Uno dei principali enti cui fa capo la comunità di persone cieche e ipovedenti in Gran Bretagna, ha sviluppato un prototipo di test di gravidanza tattile che mostra i risultati sollevando delle protuberanze in silicone, ciò che consentirebbe alle donne con disabilità visiva di utilizzare il test in autonomia e con la necessaria riservatezza. Certo, l’ideale per il futuro dovrà essere poter disporre di test di gravidanza che siano tutti accessibili, ma per l’intanto l’idea di questo prototipo, che si sta ora cercando di commercializzare, è certamente meritoria.

GRAN BRETAGNA. Una delle aree nelle quali le donne con disabilità sono maggiormente discriminate è certamente quella della salute sessuale e riproduttiva. Sono ancora tanti, infatti, i pregiudizi su di loro in merito a questo àmbito della vita. Si pensa che siano asessuate o, al contrario, che siano ipersessuate, con una sorta di sessualità fuori controllo. Si pensa inoltre che non siano in grado di procreare e che, qualora riescano a divenire madri, non siano capaci di prendersi cura di eventuali figli e figlie in modo adeguato.

L’idea che le donne con disabilità, al pari delle altre donne, possano intraprendere un percorso di maternità non è ostacolata solo da tali pregiudizi, ma anche dal fatto che in Italia sono ancora pochi i servizi di ginecologia e ostetricia preparati ad accoglierle (a questo link è disponibile un repertorio), e anche dalla circostanza che alcuni dispositivi medici di uso comune – come i test di gravidanza – non sono stati progettati per essere utilizzati in autonomia da tutte le donne.

I test di gravidanza possono essere di diversi tipi – urinario, sanguigno e salivare (ancora poco diffuso, quest’ultimo, qui in Italia) – e sono accomunati dal fatto di misurare la presenza dell’ormone Beta-HCG (Gonadotropina Corionica), un ormone glicoproteico prodotto dalle cellule della placenta circa otto giorni dopo l’avvenuta fecondazione. I test di gravidanza di uso domestico più utilizzati sono quelli di tipo urinario e hanno un’affidabilità del 99%. Possono essere di tipo classico (con uno stick dotato di una striscia reattiva all’ormone Beta-HCG da sottoporre per pochi secondi al flusso di urina), oppure digitali (con un indicatore da immergere in un contenitore contenente l’urina). Qualora il test risulti positivo, è sempre bene eseguire anche il test sanguigno che, avendo un’affidabilità del 100%, fornisce una risposta ancora più sicura.

Ebbene, sotto il profilo dell’accessibilità, il problema di questi test di uso domestico è che essi danno un responso di tipo visivo, e dunque non possono essere utilizzati in autonomia dalle donne cieche e ipovedenti, e nemmeno garantire loro la riservatezza che è invece assicurata alle altre donne.

Nel tentativo di porre rimedio a tali criticità l’RNIB (Royal National Institute of Blind People), uno dei principali enti di beneficenza della comunità di persone cieche e ipovedenti del Regno Unito, ha sviluppato un prototipo di test di gravidanza che mostra i risultati sollevando delle protuberanze tattili in silicone, anziché visualizzare un testo o delle linee su uno schermo, come accade con i comuni test di gravidanza di uso domestico.

A darne notizia è il quotidiano internazionale «The Wall Street Journal», che ha illustrato anche altri accorgimenti di accessibilità del dispositivo, come la circostanza che esso sia dotato di un tampone assorbente più grande del 50% rispetto alla media degli altri dispositivi, e l’uso di una combinazione di colori giallo e rosa a contrasto per aiutare le utenti ipovedenti a distinguere tra la parte superiore e inferiore del dispositivo stesso. Quando l’urina viene assorbita dal tampone, si attiva un motore interno per sollevare le protuberanze tattili sul lato inferiore del dispositivo. Se vengono rilevati gli ormoni della gravidanza, un’altra serie di protuberanze viene sollevata sul lato superiore, indicando un risultato positivo. In caso di risultato negativo queste ultime rimangono inattive.

Il nuovo dispositivo è stato sviluppato innanzitutto per affrontare la difficoltà delle donne cieche nella lettura degli esiti del test, ma anche per la mancanza di privacy a cui esse sono soggette quando lo effettuano, come ha spiegato al quotidiano americano Eleanor Southwood, presidente del Royal National Institute of Blind People. Infatti, le donne che non sono in grado di leggere il risultato del test spesso devono chiedere al proprio partner, ad un amico o ad un vicino di farlo per loro, il che significa che non sono le prime a sapere della propria gravidanza, ha aggiunto Southwood, sottolineando anche che alcune donne cieche potrebbero non volere che i loro partner o i propri familiari conoscessero il risultato del test.

«Una donna con cui abbiamo parlato ha dovuto chiedere a qualcuno di leggere il suo test di gravidanza e, quando è risultato negativo, questa persona le ha detto: “Beh, probabilmente è meglio così, vero?”», ha riferito ancora Southwood. «Ciò significa che questa donna era costretta ad affrontare la risposta della persona prima della questione della sua stessa gravidanza».

A ideare il test è stato il designer londinese Josh Wasserman, che in fase di progettazione ha incontrato diverse donne cieche nelle loro case. Inizialmente egli aveva preso in considerazione l’idea di un test che trasmettesse il risultato attraverso il suono, ma l’ha rigettata dopo avere scoperto che le donne volevano un’esperienza che non potesse essere ascoltata, accidentalmente o di proposito, da terzi. Sotto questo profilo la soluzione tattile si è rivelata ottimale.

Il prototipo è stato testato da un piccolo gruppo di utenti cieche. Il Royal National Institute of Blind People ha pubblicato i metodi di ricerca e il design industriale del dispositivo, nella speranza che le aziende sanitarie prendano atto del lavoro svolto e producano il prototipo o costruiscano i propri test di gravidanza accessibili, come ha raccontato Southwood.

E in effetti alcune aziende si stanno muovendo in tal senso. Ad esempio Clearblue, un marchio di test di gravidanza prodotto da Swiss Precision Diagnostics GmbH, nel 2019 ha stretto una partnership con l’applicazione gratuita Be My Eyes, che collega persone non vedenti e ipovedenti bisognose di assistenza con volontari vedenti attraverso una videochiamata. I consulenti di Clearblue utilizzano una piattaforma per rispondere alle domande delle persone cieche sull’esecuzione di un test di gravidanza e sulla comprensione del risultato. La qual cosa però non tutela le utenti sotto il profilo della riservatezza; per questo, dunque, Clearblue e RNIB stanno lavorando per trovare nuovi modi che rendano totalmente accessibili i test di gravidanza e altri dispositivi medici. Cosa non molto semplice, ammettono, se si considera che il numero contenuto di clienti significherà che i costi di produzione rimarranno più elevati rispetto ai test già sul mercato. Ciò porta Southwood a ritenere che l’opzione migliore potrebbe essere quella di lavorare con le aziende sanitarie per produrre un test di gravidanza utilizzabile da vedenti e non vedenti.

Insomma, le donne con disabilità visiva non dovrebbero ritrovarsi in farmacia a dover spiegare di avere bisogno di un tipo specifico di test di gravidanza perché sono cieche. «Il sogno è acquistare qualsiasi test di gravidanza con la consapevolezza che sia accessibile», ha concluso Southwood.

di Simona Lancioni,

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo è già apparso. Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Relativamente ai temi qui sopra trattati, suggeriamo anche la consultazione della sezione Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi nel sito del Centro Informare un’h.

mercoledì 26 gennaio 2022

Salute: esperti, "PNRR ignora malattie oculari, impossibili cure per tutti"

Il Foglio del 26/01/2022

Oculisti e associazioni, "senza risorse non sarà possibile disegnare nuovo e efficiente sistema assistenziale".

ROMA. "Il PNRR non prende in considerazione l'oftalmologia e questo far? venire meno tutti i presupposti fondamentali per quell'ampio ridisegno organizzativo, basato sulla digitalizzazione e sul largo impiego della telemedicina: strumenti fondamentali per il superamento delle molte inefficienze e delle troppe disomogeneità assistenziali sul territorio che compromettono gravemente il livello delle risposte sanitarie per le malattie oculari: dalla prevenzione alla diagnostica alle terapie". È l'allarme lanciato da Teresa Petrangolini, portavoce dell'Alleanza per l'Equità di accesso alle cure per le malattie oculari, promossa nel 2020 dalla rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB), della quale fanno parte 7 organizzazioni civiche, con il supporto dell'Agenzia Internazionale per la prevenzione della Cecità - IAPB Italia Onlus.

Le ha fatto eco Marco Verolino, responsabile dell'Oculistica dell'Area Vesuviana e consulente scientifico dell'Inter-gruppo parlamentare Tutela della Vista, sottolineando che "oggi i pazienti dovrebbero essere assistiti secondo nuovi modelli frutto di una reingegnerizzazione dell'intero sistema assistenziale; un sistema che poggi su nuovi modelli organizzativi e di accesso alle cure, oltre che su nuove risorse tecnologiche che solo il sostegno del PNRR potrebbe rendere realisticamente disponibili. La tecnologia applicata e l'innovazione digitale dei processi sanitari - prosegue il clinico - sono un passaggio fondamentale per migliorare il rapporto costo-qualità dei servizi sanitari, limitare sprechi e inefficienze, creare una maggiore interazione tra paziente e strutture sanitarie, agevolare le procedure amministrative, ridurre le differenze tra i territori, gestire in sicurezza le persone".

"È fondamentale, infatti, disporre di una piattaforma informatica gestionale unica, un registro nazionale, capace di offrire e rendere consultabili in tempo reale dati, informazioni, notizie su trattamenti pregressi, fino alle necessità assistenziali dei singoli pazienti. Un insieme di informazioni che consentirebbero davvero di raggiungere quell'equità di accesso alle cure ancora così lontana".

Un altro ostacolo da superare per l'equità di accesso alle cure che l'Alleanza intende portare all'attenzione delle future scelte di politica sanitaria è quello della fruizione tempestiva della diagnostica e delle terapie che la incombente pandemia Covid-19 ha drammaticamente reso ancor più irrinunciabili. "Purtroppo manca ancora una oftalmologia territoriale forte e tecnologicamente ben attrezzata - denuncia Edoardo Midena, segretario generale della Società italiana della retina (Sir) - basata anche su centri di differenziata gestione territoriale, che consenta ai pazienti di evitare, insieme al triste fenomeno del turismo sanitario, liste d'attesa bibliche e la triste esperienza di essere spesso rimbalzati tra diversi specialisti, con la conseguenza di un allungamento dei tempi prima di poter accedere ad una efficace scelta terapeutica e bloccare l'evoluzione delle patologie".

Una reingegnerizzazione del sistema assistenziale passa però anche attraverso una più incisiva attività di prevenzione che deve, anch'essa, essere sostenuta da adeguate risorse pubbliche per l'avvio di campagne di screening e il cui ruolo è fondamentale per il contrasto precoce di queste patologie. In proposito, Mario Barbuto, presidente di IAPB Italia Onlus, ha riferito i primi risultati della campagna itinerante di prevenzione 'Vista in Salute’ che, grazie a un finanziamento triennale della legge di Bilancio 2019 e con il patrocinio del ministero della Salute e dell'Istituto superiore di sanità, sta svolgendo un'attività di screening nelle principali città delle regioni italiane con l'ausilio di una struttura mobile dotata di strumenti diagnostici ad alta tecnologia. "Ad oggi il progetto ha toccato 13 regioni italiane in 35 città realizzando 5.400 screening".

"I dati complessivi saranno presto disponibili - riferisce Barbuto - ma un primo elemento fa riflettere: nella sola popolazione di Lombardia, Abruzzo e Campania che si è sottoposta agli esami diagnostici presso la nostra struttura mobile - mirati principalmente alla ricerca del glaucoma, della retinopatia diabetica e delle maculopatie - sono stati rilevati segni di malattia in atto o sospetta o, ancora, di premonizione di malattia nel 40% circa delle persone. Una percentuale elevata e preoccupante, questa che, anche se parziale e preliminare, ci fa comprendere quanto diffuse siano le minacce che gravano sulla vista degli italiani e delle quali non abbiamo troppo spesso consapevolezza".

Altro punto debole del sistema assistenziale - secondo l'Alleanza - è quello della riabilitazione visiva, perché la legge 284 del 1997 che avrebbe rappresentato, per come fu concepita, un esempio illuminato di attenzione rispetto ai temi della prevenzione e della riabilitazione visiva, oltre che dell'integrazione sociale e lavorativa, è stata, di fatto, quasi totalmente disattesa dalle regioni. Resta quindi moltissimo da fare, a partire dal fatto che la riabilitazione visiva non è nemmeno compresa nei Livelli essenziali di assistenza.

Sono circa 6 milioni gli italiani colpiti dalle principali malattie oculari: glaucoma, retinopatia diabetica e maculopatie. Ma ciò che più preoccupa - segnalano gli esperti - è l'ancora notevole disomogeneità assistenziale sul territorio che genera risposte sanitarie spesso inadeguate e disomogenee, perché ancora inadeguato è il controllo delle patologie oculari sul piano della prevenzione, della diagnosi e delle terapie. Se già nel 2006 l'Oms indicava in circa 6,5 miliardi di euro l'impatto economico annuo in Italia delle tre patologie, tra costi sanitari e costi indiretti, si può ben immaginare quale possa essere oggi l'onere complessivo di queste malattie oculari considerando, oltre alla normale lievitazione dei costi, le ben note dinamiche demografiche del nostro Paese. Valori enormi, questi, se rapportati alla vastità di questa popolazione di pazienti, che minano la sostenibilità del nostro SSN e che potrebbero essere meglio tenuti sotto controllo con nuovi modelli organizzativi e una più incisiva attività di prevenzione.

"È assolutamente centrale che, accanto alla prevenzione, il nostro sistema sanitario sia in grado di assicurare una risposta efficace e omogenea su tutto il territorio nazionale anche in termini di accesso alle terapie", afferma Paolo Russo, presidente dell'Inter-gruppo Parlamentare Tutela della Vista. "In questo senso, è fondamentale che siano identificate, all'interno del PNRR e delle prossime leggi di Bilancio, quelle risorse che consentano di rendere disponibile quella economica massa critica capace di tradurre in concreto quel rivoluzionario processo di riorganizzazione del sistema assistenziale oftalmologico basato sull'apporto centrale della digitalizzazione e, più in generale, delle nuove tecnologie, le uniche in grado di creare i presupposti per una vera democrazia delle cure".

lunedì 24 gennaio 2022

L’uccisione delle persone con disabilità primo capitolo della “soluzione finale”

Superando del 24/01/2022

«Seguendo la cronologia delle operazioni di sterminio naziste – scrive Domenico Massano in questo approfondimento cui diamo spazio nell’imminenza della Giornata della Memoria del 27 gennaio -, si può dire che essendo stato l’omicidio delle persone con disabilità il primo, con buona probabilità è servito anche da “prova generale” per i successivi. Il successo dell’operazione convinse infatti i gerarchi nazisti che era possibile indurre uomini e donne comuni a uccidere un gran numero di persone innocenti, con la copertura e la cooperazione delle strutture burocratiche e culturali/scientifiche»

Ormai da molti anni «Superando.it» dedica ampio spazio allo sterminio delle persone con disabilità durante il regime nazista e nel corso della seconda guerra mondiale, tramite quello che venne definito come il Programma Aktion T4, terribile “prova generale”, ma anche primo capitolo della cosiddetta “soluzione finale”, nei confronti della popolazione ebraica e di tante altre persone. Si tratta di un tema che seguiamo in occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio, ma anche in vari altri momenti. In tal senso, segnaliamo ad esempio una delle migliori ricostruzioni, da noi pubblicata qualche anno fa, quale quella curata da Stefania Delendati, con il titolo di Quel primo Olocausto.

Oggi diamo spazio ad un’altra ottima ricognizione, opera di Domenico Massano, che spiega appunto come «l’omicidio delle persone con disabilità, oltre ad essere stato il primo, sia stato con buona probabilità è servito anche il modello e la “prova generale” per i successivi».

Il genocidio nazista non si è verificato in un vuoto. Esso fu soltanto il metodo più radicale per escludere alcune classi umane dalla comunità nazista tedesca. La linea politica di esclusione seguì e si sviluppò nel corso di oltre cinquant’anni di opposizione scientifica all’eguaglianza fra gli uomini (H. Friedlander, Le origini del genocidio nazista. Dall’eutanasia alla soluzione finale, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 3).

Nel 1920 apparve un libro dal titolo L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute, in cui gli autori, Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra, e Karl Binding (1841-1920) un giurista, svilupparono un concetto di “eutanasia sociale”: il malato incurabile, secondo Hoche e Binding, era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali, ma anche di sofferenze sociali ed economiche. Da un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e, dall’altro, sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato, dunque, arbitro della distribuzione delle ricchezze, doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione, più razionale e utile, delle risorse economiche (1). Tuttavia, la motivazione economica non appariva ancora sufficiente per passare dalla teorizzazione alla pratica della soppressione delle «vite indegne di essere vissute». Il nazismo avrebbe completato le teorie “economiche” aggiungendovi il suo progetto razziale.

Già al tempo della pubblicazione del Mein Kampf, fra il 1924 e il 1926, Hitler aveva dichiarato che la sacra missione razziale del popolo tedesco era quella di «raccogliere e conservare […] i più preziosi fra gli elementi originari di razza e […] di sollevarli con lentezza, ma in modo sicuro, in una posizione di predominio». Hitler fu chiarissimo sulla necessità della sterilizzazione («i mezzi medici più moderni»), a sostegno di una visione immortalizzante della razza mediata dallo Stato («un futuro millenario»). Per lui il rischio era assoluto: «Se non è più presente la forza per lottare per la propria salute, cessa il diritto di vivere in questo mondo di lotta» (2).

Il nazismo predicava un progetto di “igiene della razza” su base “eugenetica”, vale a dire coltivava l’idea di ottenere un miglioramento della “razza” germanica coltivando e favorendo i caratteri ereditari favorevoli, “eugenici”, e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli, “disgenici”. All’interno di questo progetto non trovavano ovviamente posto i malati incurabili e le persone con disabilità o con disturbi psichici. Queste persone erano sostanzialmente una minaccia non soltanto per l’economia tedesca, ma, cosa ancor più grave, un terribile pericolo di degenerazione per la razza tedesca nel suo complesso. È opportuno, però, ricordare che se «l’eugenetica condusse, a lunga scadenza agli orrori dell’olocausto hitleriano», questa deriva criminale trovò il suo “humus vitale” nella teorizzazione e nell’istituzionalizzazione dell’eugenetica in moltissimi Paesi democratici (Stati Uniti, Svezia, Svizzera…) (3).

Il movimento nazionalsocialista giunse al potere nel gennaio del 1933, con la nomina di Hitler come Cancelliere da parte del Presidente del Reich. Il 14 luglio 1933 fu promulgata la legge sulla sterilizzazione, con il macchinoso nome di Legge per la prevenzione di nuove generazioni affette da malattie ereditarie. Tale norma aprì l’offensiva contro le persone con disabilità e servì da pietra angolare per la legislazione eugenetica e razziale del regime. Alle politiche di sterilizzazione furono affiancate politiche di eugenetica positiva, ossia d’incoraggiamento e promozione delle nascite ritenute “positive” per il regime.

Relativamente a queste misure promozionali di soggetti “puri”, è doveroso ricordare il progetto Lebensborn o “Fonte della vita”. Himmler aveva dato vita a questo istituto al fine di «creare nelle SS […] un’élite biologica, un nucleo razziale da cui la Germania potesse attingere per rinvigorire un’eredità ariana ora pericolosamente diluita attraverso generazioni di mescolanza razziale».

Nell’ambito del progetto nazista che doveva sfociare nell’omicidio delle “vite non degne di essere vissute”, un’attenzione particolare venne dedicata alla preparazione dell’opinione pubblica fin dagli Anni Trenta, attraverso un oculato e mirato programma propagandistico. Le organizzazioni naziste prepararono opuscoli, poster e film, dove si mostrava il costo di mantenimento degli istituti medici preposti alla cura dei malati incurabili, e in cui si affermava che il denaro risparmiato poteva essere speso con più profitto per il “progresso” del popolo tedesco “sano”.

Nel 1939, secondo quanto testimoniato dal dottor Brandt al processo di Norimberga, il padre di un bambino, di nome Knauer, si rivolse alla Cancelleria del Fuhrer (KdF), pregandolo di autorizzarlo a ricorrere all’eutanasia: «Hitler mi incaricò di occuparmi di quella faccenda e di partir subito per Lipsia, per costatare sul luogo se le cose che gli erano state dette rispondevano a verità. Si trattava di un bambino che era nato cieco e sembrava idiota, e a cui inoltre mancavano una gamba e parte di un braccio […]. I medici sostennero che mantenere in vita un bambino simile era veramente ingiustificato. Qualcuno osservò che era più che naturale che negli istituti di maternità, in casi simili, i medici stessi di propria iniziativa somministrassero loro l’eutanasia, senza star tanto a discutere» (4). Brandt, dopo il consulto con i medici, fece uccidere il bambino.

In seguito al “Caso Knauer”, Hitler autorizzò Philipp Bouhler, direttore della Cancelleria del Fuhrer, e Karl Brandt, a istituire un programma di soppressione dei bambini portatori di difetti fisici e/o mentali. Verso l’estate del 1939 la pianificazione era stata terminata e le prime uccisioni avvennero nell’ottobre dello stesso anno. Per l’uccisione furono creati i cosiddetti “reparti per l’assistenza esperta dei bambini”. Il primo di essi fu aperto nella clinica di Heinze a Brandenburg-Gorden e, nella Circolare che ne annunciava la creazione, si dichiarava che «sotto esperta supervisione medica il reparto di psichiatria infantile a Gorden fornirà tutti gli interventi terapeutici disponibili resi possibili da recenti scoperte scientifiche». Furono istituiti altri ventidue reparti simili in tutta la Germania, sul modello di quello di Gorden (5). L’attuazione della politica di eutanasia infantile fu così lasciata agli specialisti, ai medici dei reparti infantili, la scelta della tecnica di soppressione era lasciata alla loro discrezione.

Dopo la sterilizzazione obbligatoria e l’uccisione dei bambini, l’uccisione degli adulti rappresentò l’ulteriore passo la cui autorizzazione e copertura “legale” arrivò con una lettera che Hitler stesso indirizzò a Bouhler e Brandt nell’ottobre 1939 (successivamente retrodatata al 1° settembre 1939): «Al capo [della Cancelleria] del Reich Bouhler e al dottor Brandt viene affidata la responsabilità di espandere l’autorità dei medici, che devono essere designati per nome, perché ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa» (6).

La sede dell’organizzazione fu stabilita al civico numero “4” della Tiergartenstrasse. Proprio da questo indirizzo fu ricavato il nome in codice per l’operazione di eutanasia: T4. Così come per l’eutanasia infantile, la seconda sezione del KdF (la citata Cancelleria del Fuhrer al cui vertice vi era Bouhler), diretta da Victor Brack, fu quella cui venne assegnato il compito di coordinare l’eutanasia degli adulti affidandone direttamente allo stesso Brack la direzione e il coordinamento. Egli assunse lo pseudonimo di “Jennerwein”, e insieme al suo collaboratore Werner Blackenburg, che utilizzava lo pseudonimo di “Brenner”, iniziò il reclutamento del personale che doveva integrare quello già presente e scelse personalmente tutti gli uomini e le donne che avrebbero dovuto far parte della T4. Tutto il personale aderì volontariamente.

In seguito furono fondati sei centri di uccisione, anche se, nel corso dello sviluppo del programma, lavorarono insieme non più di quattro centri. I primi due, istituiti nel gennaio 1940, cui come a tutti gli altri fu poi assegnata una sigla in codice, furono quelli di Brandeburgo (B), dove si erano tenuti gli esperimenti, e di Grafeneck (A). A maggio del 1940 fu aperto il centro di Hartheim (C) e a giugno quello di Sonnenstein (D). A settembre del 1940 Bernburg (Be) sostituirà Brandeburgo e a dicembre Hadamar (E) sostituirà Grafeneck. Queste sostituzioni si resero necessarie, viste le crescenti critiche provenienti dalla popolazione, e spinsero i dirigenti della T4 a prestare maggiore attenzione alla segretezza e alla dissimulazione dell’operazione, come con l’istituzione dei centri di smistamento in cui i pazienti facevano tappa prima di essere portati alla destinazione finale (7).

“Centro di uccisione” è la definizione che Henry Friedlander utilizza per definire gli istituti destinati alla soppressione delle persone selezionate, perché ritiene che sia la più adeguata per descrivere «luoghi in cui gli esseri umani erano uccisi con una procedura che prendeva a modello la produzione industriale», distinguendoli dai campi di concentramento poiché in questi ultimi gran parte dei prigionieri moriva per fame, malattie, lavori forzati e/o esecuzioni sommarie (8).

Nei centri di uccisione l’utilizzo di farmaci per via iniettiva, come testimonierà Karl Brandt, fu sperimentato con scarso successo, sia per i tempi del decesso, sia perché la morte con questa procedura era giudicata “inumana”. Fu così fatta la proposta dell’impiego del monossido di carbonio e lo stesso Brandt, in un successivo colloquio con Hitler, gli consiglierà l’impiego del gas come metodo più umano di uccisione delle vittime. La scelta, il numero e l’organizzazione del personale rispondevano a un’esigenza strettamente correlata all’uccisione delle persone, ossia, come ben descrive Friedlander: «Se la camera a gas fu un’invenzione della Germania nazista, una creazione ancora più rilevante fu il metodo approntato per trascinare le vittime nelle camere a gas, ucciderle e disfarsi dei loro corpi, come in una catena di montaggio. […] Ogni partecipante poteva sentirsi ridotto al rango di non più di una piccola rotella in una grande macchina medica che aveva la sanzione ufficiale dello stato» (9).

Il memoriale dell’Olocausto delle persone con disabilità, denominato “Gegenueber” (“di fronte”), inaugurato il 2 settembre 2014, proprio nella Tiergartenstrasse di Berlino, dove era stato gestito lo sterminio delle persone con disabilità

La concomitanza di diversi fattori, quali l’impossibilità di mantenere il segreto sull’operazione, le crescenti proteste della cittadinanza, i sermoni di denuncia del vescovo Clemens August von Galen, e il probabile raggiungimento del numero di vittime previsto (10), portò Hitler a ordinare la sospensione dell’operazione T4 il 24 agosto 1941. Tale ordine, tuttavia, se da una parte obbligò dirigenti e responsabili a ridimensionarne l’impianto organizzativo, dall’altra non ebbe l’effetto di sospendere gli omicidi, bensì esclusivamente quello di imporre un cambiamento del metodo con cui erano effettuati.

Si aprì così una nuova fase, comunemente definita di “eutanasia selvaggia”, e in cui i medici potevano decidere di loro iniziativa chi doveva o no morire e come ucciderlo. Non si uccidevano più le persone nelle camere a gas, si uccidevano nelle corsie degli ospedali, con farmaci e/o per inedia (11). Le professioni sanitarie, in particolare gli psichiatri, assunsero il comando delle operazioni e ponderarono attentamente i modi “scientificamente” migliori per uccidere i pazienti.

Parallelamente al proseguimento delle uccisioni delle persone con disabilità negli ospedali, vi fu, inoltre, anche la prosecuzione del progetto di ampliamento del raggio d’azione della T4, le cui pratiche erano state esportate già nella primavera del 1941, prima dell’ordine di sospensione di Hitler, nei campi di concentramento sotto la sigla 14f13, e si erano estese in modo indiscriminato a un vasto numero di prigionieri e, in particolare, agli ebrei.

Nell’ambito dell’operazione 14f13, assistiamo all’ampliamento delle potenziali vittime, attraverso un passaggio che appare significativo e l’anello di congiunzione più chiaro tra lo sterminio dei disabili e quello degli ebrei. Oltre alle persone con disabilità e agli inabili al lavoro, in precedenza selezionati e uccisi, gli ebrei diventano infatti una categoria di persone da uccidere, pur con l’inutile formalità, come si è visto, della visita medica.

Con la conclusione della T4, inoltre, il personale impiegato nel progetto di eutanasia fu reclutato per portare avanti le azioni di sterminio coordinate e gestite dalle SS. Particolarmente significative in tal senso sono le valutazioni che lo storico Edouard Husson fa sui collegamenti tra il programma T4 e Reinhard Heydrich, braccio destro di Himmler e, probabilmente, l’artefice e il principale ideatore della “soluzione finale”. Il coinvolgimento delle SS e l’interesse di Heydrich sugli sviluppi del programma T4, fin dal suo inizio, erano legati all’idea che il sistema “eutanasia” avesse tutte le caratteristiche di una “soluzione definitiva”, e che ci fosse la possibilità di ampliarlo ad altri gruppi di persone, non appena ve ne fossero stati i presupposti.

Nel novembre del 1941, un centinaio di funzionari e medici impiegati nella T4 furono inviati in Polonia, per lavorare, sotto le direttive di Odilo Globocnik e Adolf Eichmann, alla realizzazione del campo di sterminio di Belzec. Quest’ultimo, insieme a Sobibor e Treblinka, faceva parte di un unico progetto finalizzato allo sterminio degli ebrei di Polonia, che prenderà il via nel 1942 e sarà definito “Aktion Reinhard” in relazione al nome del suo ideatore, morto nel giugno 1942 (12). Nel mese di dicembre 1941 arrivò a Belzec anche Christian Wirth, che aveva avuto una parte centrale nella realizzazione della prima camera a gas a Brandeburgo. Wirth fu poi promosso ispettore di tutti e tre i centri, subordinato solo a Globocnick.

Dopo la fine di “Aktion Reinhard” nel 1943, il gruppo della T4, composto da ben novantadue persone, sotto la direzione di Wirth si trasferì sulla riviera adriatica, occupando e cercando di trasformare la vecchia Risiera di San Sabba, vicino a Trieste, in un campo di sterminio.

Secondo diversi autori vi fu una stretta relazione tra lo sterminio delle persone con disabilità e la soluzione finale attuata dai nazisti e finalizzata all’eliminazione degli ebrei. In particolare secondo Friedlander, gli ebrei non furono l’unico gruppo di persone selezionato con criteri biologici, ma tale criterio fu applicato anche alle persone con disabilità, secondo il medesimo crescendo che passò attraverso la definizione di normative discriminatorie, l’attuazione di politiche ostracizzanti e in ultimo la realizzazione del programma di omicidio di massa per l’eliminazione definitiva.

Seguendo con attenzione la cronologia delle operazioni di sterminio naziste, si può ragionevolmente concludere che essendo stato l’omicidio delle persone con disabilità il primo, precedendo quello degli zingari e quello degli ebrei, con buona probabilità è servito anche da modello e “prova generale” per i successivi. Il successo dell’operazione convinse i gerarchi nazisti che era possibile indurre uomini e donne comuni a uccidere un gran numero di persone innocenti, con la copertura e la cooperazione delle strutture burocratiche e culturali/scientifiche. Lo sterminio delle persone con disabilità, quindi, secondo Friedlander non fu solo la premessa della soluzione finale, ma il suo primo capitolo (13).

Nell’opera di Raul Hilberg La distruzione degli Ebrei d’Europa”, Christopher R. Browning evidenzia come il numero delle pagine e gli approfondimenti legati all’argomento siano stati considerevolmente aumentati tra la prima edizione del 1961 e quella, riveduta e ampliata, del 1985, in cui l’Autore afferma che «l’eutanasia era la prefigurazione concettuale e nello stesso tempo tecnica e amministrativa della “soluzione finale” che sarebbe stata attuata nei campi di sterminio» (14) e (15).

Se il nazismo contribuì allo sviluppo parossistico di questi nuovi meccanismi di potere, è importante rilevare come gli stessi siano, tuttavia, presenti in tutte le società moderne che funzionino secondo le modalità del bio-potere (16). Occorre sviluppare un’analisi approfondita di questi meccanismi, proprio a partire dalla loro manifestazione estrema. Il rischio di banalizzarli o dimenticarli non solo sarebbe ingenuo, ma, forse, sarebbe un nuovo passo verso la loro tacita accettazione e verso le loro potenziali derive.

Note:

(1) J. Rifkin, Il secolo biotech. Il commercio genetico e l’inizio di una nuova era, Milano, Baldini & Castoldi, 2000, passim.

(2) R.J. Lifton, I medici nazisti, Milano, Rizzoli, 2002, p. 43.

(3) R. De Franco, Nel nome di Ippocrate. Dall’olocausto medico nazista all’etica della sperimentazione contemporanea, Milano, FrancoAngeli, 2001, p. 114.

(4) A. Mitscherlich, F. Mielke, Medicina disumana. Documenti del “Processo dei medici” di Norimberga, ed. it. 1967 (I ed. 1949, II ed. 1960), Milano, Feltrinelli, p. 138.

(5) G. Moriani, Pianificazione e tecnica di un genocidio, Roma, Franco Muzzio, 1996, p. 71.

(6) Ibidem, p. 72.

(7) Friedlander, Le origini del genocidio nazista cit., p. 123.

(8) Ibidem, p. 454.

(9) Ibidem, p. 129.

(10) R.J. Evans, Il Terzo Reich in guerra, Milano, Mondadori, 2014, passim.

(11) Lifton, I medici nazisti cit., p. 134.

(12) M. Burleigh, W. Wippermann, Lo Stato razziale, Milano, Rizzoli, 1992, p. 148.

(13) Friedlander, Le origini del genocidio nazista cit., p. X.

(14) C. R. BROWNING, Le origini della Soluzione finale, Milano, il Saggiatore, 2012, p. 205.

(15) R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Torino, Einaudi, 1999, p. 985.

(16) M. Foucault, Bisogna difendere la società, Milano, Feltrinelli, 2009, p. 225.

di Domenico Massano

Limbiate: teneri cuccioli di Labrador cercano famiglia (per 6 mesi). Diventeranno cani guida

MB News del 24/01/2022

Un servizio essenziale e destinato a cambiare la vita di molte persone: sono già oltre 2200 i cani guida addestrati al Lions Club di Limbiate (via Galimberti) ed assegnati a non vedenti in tutta Italia..

LIMBIATE. “Due occhi per chi non vede”. Anche quest’anno l’Amministrazione comunale di Limbiate ha rinnovato la collaborazione con il Servizio Cani Guida del Lions Club per l’adozione di un cucciolo destinato a diventare guida per non vedenti. Il contributo offerto dal Comune coprirà parte delle spese necessarie per la prima fase di crescita, che proseguirà con l’addestramento e la consegna a coloro che ne hanno fatto richiesta.

Un servizio essenziale e destinato a cambiare la vita di molte persone: sono già oltre 2200 i cani guida addestrati al Lions Club di Limbiate (via Galimberti) ed assegnati a non vedenti in tutta Italia. Per diventare un cane guida serve un lungo addestramento che inizia già da cuccioli. S’inizia con le coccole, la socializzazione e le prime regole, poi si va avanti con dei giochi che man mano diventano sempre più impegnativi. Un lungo percorso che gli educatori cinofili di Lions non possono fare da soli: i cani devono prendere confidenza con più persone possibili, vivere in casa, a contatto con le routine quotidiane, soprattutto quando sono cuccioli in crescita fino ai 10 mesi, per questo si cercano famiglie affidatarie, PUPPY WALKER , che vogliano intraprendere un progetto di crescere un cucciolo dai 4 a 10 mesi.

di Valentina Vitagliano

domenica 23 gennaio 2022

La scuola (modello) di via Vivaio verso il trasloco: conti, politica e proteste. Ora serve una via d’uscita

Corriere della Sera del 23/01/2022

Il Comune ha annunciato di non poter più sostenere l’affitto, ritenuto troppo oneroso, e ha proposto alla scuola quattro sedi alternative. Il caso sul tavolo del ministro dell’Istruzione Bianchi: salvare il percorso all’Istituto dei ciechi.

MILANO. Fuori dalla retorica del coer in man, che cosa succede nella Milano che inclina il suo destino verso il nuovismo, portatore di investimenti e progetti immobiliari, e apre uno dopo l’altro conflitti trasversali sulle storiche memorie? Il caso di una scuola che da 47 anni educa all’integrazione con la musica all’Istituto dei Ciechi, in rotta con il Comune che non vuol più pagare l’affitto, si aggiunge ad altri casi aperti e interrompe un idillio che dura dai tempi dei sindaci Aniasi e Tognoli e del riformismo municipale. La disdetta del contratto da 800 mila euro all’anno mette in discussione una riconosciuta eccellenza, uno storico esempio di comunità educante in un luogo simbolico. Il rischio di perdere, con il trasloco ad altra sede, il valore di un’esperienza unica ha creato in poche settimane un fronte tra insegnanti e genitori che ha portato il caso sul tavolo del ministro della Pubblica Istruzione Bianchi. Responso salomonico, dopo un’interrogazione parlamentare di Valentina Aprea: non disperdere un progetto educativo che rappresenta un modello per tutti. Ma il caso resta aperto.

C’è una frantumazione di simboli identitari nella Milano che si reinventa alle prese con la pandemia. Dire via Vivaio significa mettere insieme accoglienza, benefattori e solidarietà con una scuola che dalla metà degli anni Settanta offre un percorso particolare a studenti e famiglie: 270 alunni di cui 38 con patologie particolarmente gravi, 70 con bisogni educativi speciali e il resto selezionato anche attraverso attitudini musicali. C’è, dopo settimane di infruttuose trattative, la necessità di trovare un punto di equilibrio tra due fronti che esprimono per ragioni diverse una forte divergenza.

Proviamo a metterci nei panni dell’Istituti dei ciechi, che ospita la scuola media nata negli anni Venti e allargata a tutti nel 1976. Ha permesso la crescita e lo sviluppo di un’importante esperienza socio-educativa. Con la musica, il tempo lungo e le altre insolite materie che contemplano anche l’affettività, la scuola di via Vivaio ha dimostrato che si possono superare le differenze e valorizzare la ricchezza che viene dalla diversità. L’affitto garantisce sostenibilità e autonomia, permette l’acquisto di dotazioni e di avviare progetti speciali. Il canone è stato definito congruo per i 2.600 metri quadrati dell’edificio storico, ma per favorire un’intesa è stato ridotto di 150 mila euro. Inutilmente. La rottura dell’accordo con il Comune lascerebbe un pesante vuoto nel bilancio e genitori e insegnanti protestano: temono la dispersione di un modello educativo.

Mettiamoci adesso nei panni del Comune. Deve pagare 650 mila euro all’anno, ma l’affitto si potrebbe risparmiare se la scuola fosse in una sede di proprietà pubblica. C’è il timore di incappare in una multa della Corte dei Conti, dicono a Palazzo Marino. Per contenere i costi si chiede alla Vivaio di traslocare in un altro edificio, interrompendo quello che alcuni definiscono un privilegio per pochi. La legge impone alle pubbliche amministrazioni di trovare soluzioni equivalenti al minor costo. E davanti alle lettere di protesta il Comune si difende così: abbiamo le mani legate.

Proviamo a ragionare con il buon senso: perché si deve interrompere un’esperienza unica che Milano può vantare come eccellenza formativa? Solo per i costi? Possibile che nel bilancio comunale in attivo o nei fondi in arrivo con il Pnrr non ci sia la possibilità di mantenere in funzione via Vivaio, in attesa – se non se ne potrà fare a meno-di un accompagnamento graduale verso una soluzione condivisa? È una scelta unicamente di budget, quella del Comune, oppure è una decisione politica? È una domanda che genitori e insegnanti si fanno, perché certi tagli, come in passato nella sanità, assecondano più la logica aziendale che quella del servizio.

Davanti alle nuove sedi offerte dal Comune, e scartate perché ritenute non adeguate, in via Vivaio la situazione è di stallo. Ma non può andare avanti così. Il caso deve uscire dai recinti in cui si è infilato: c’è una scuola speciale e unica, ci sono genitori e figli, c’è il valore di un’esperienza da rispettare, c’è un Istituto che deve fare i conti con una perdita che non aveva messo in conto. E c’è una Milano che fatica a ritrovarsi. I passaggi contro immobilismo e immobilità sono necessari se servono a migliorare situazioni invecchiate e logore. Ma non è il caso di via Vivaio.

di Giangiacomo Schiavi

Lockdown e lezioni al pc - Crescono i bimbi miopi. «Fateli stare all'aperto»

Corriere della Sera del 23/01/2022

L'allarme. Incremento del difetto visivo del 30-40 per cento. Giuliano Stramare (ospedale di Negrar): «Situazione peggiorata con la pandemia, rischio di malattie da adulti»

VERONA. La sedentarietà, è noto, fa male alla salute per innumerevoli ragioni. Tra le tante c’è anche il danneggiamento alla vista nei bambini, che, poi, può sfociare in malattie più gravi in età adulta. È la conclusione a cui sono arrivati gli oculisti pediatrici, che di recente ne hanno discusso anche in un congresso nazionale. In sostanza il passare troppe ore davanti agli schermi di pc, televisioni, palmari e tutto ciò che è digitale, tenendo lo sguardo su distanze ravvicinate e in condizioni di luce artificiale, causa la miopia. Con un incremento del difetto visivo fino al 30-40 per cento. Lo spiega l’oculista pediatrico dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), Giuliano Stramare. «La condizione che abbiamo osservato non è nuova, ne parliamo da quasi dieci anni. Lo riscontriamo nei bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni. La pandemia ha peggiorato le cose, poiché tutto il confinamento in casa che abbiamo vissuto, ha inasprito la situazione con i ragazzi che passano le giornate davanti agli schermi», spiega il dottore.

Vuole dire che la Dad ha determinato un incremento importante di miopie?

«Non puntiamo il dito sulla Dad, anzi ci ha salvato in questi due anni. Diciamo solo che lo stile di vita in cui ci ha confinato il Covid va gestito. Bisogna imparare ad alternare l’attività di studio o di lavoro a ore all’aperto, dove si possa guardare lontano, oltre i 5-7 metri, e con luce naturale. È da molto che lo diciamo. Bisogna ridurre la sedentarietà stando all’aperto, facendo attività sportiva, anche una semplice passeggiata. Ogni ora, o ora e mezza, staccarsi dallo schermo, uscire un po’ e guardare lontano».

Il danno lo subiscono anche gli ipermetropi?

«Gli ipermetropi sono soggetti anch’essi alla astenopia, vale a dire, l’affaticamento della vista che produce mal di testa, arrossamento cronico degli occhi, disattenzione scolastica, ma la progressione del difetto visivo avviene nei miopi. La miopia si manifesta per condizione genetica ma anche per spinta ambientale, quindi per stile di vita. In parole povere, se un ragazzo passa tutta la mattina a guardare da vicino uno schermo, poi per rilassarsi non va bene che passi a un videogioco, come spesso invece succede, deve muoversi».

Che rischi corrono i bambini con la miopia?

«Non è un problema l’occhiale al bambino, il problema è che la miopia peggiora in età adulta e questo comporta un rischio per la popolazione avanti con gli anni che può sviluppare malattie oculari come il distacco della retina, la maculopatia e il glaucoma».

Ci sono dei dati che registrano questo andamento?

«Ci sono alcuni studi, anche uno asiatico, ma i numeri ufficiali li potremo vedere solo fra un anno o due. Dal 2019, però, noi registriamo un numero sempre più crescente di richieste di visite ai bambini, che iniziano ad arrivare soprattutto da settembre in poi, quando si comincia a stare più chiusi in casa».

di Annamaria Schiano

sabato 22 gennaio 2022

Alunni diversamente abili e BES. Attività didattiche in presenza

La Tecnica della Scuola del 22/01/2022

Il Ministro dell’istruzione con nota n. 71 del 21 gennaio 2021 ha dettato delle indicazioni in merito all’opportunità di svolgere le attività didattiche in presenza per gli alunni diversamente abili e BES.

Inclusione

Le indicazioni ministeriali, al fine di favorire il processo inclusivo degli alunni diversamente abili e dei BES, indicano la possibilità di svolgere l’attività didattica in presenza, anche nei casi in cui siano operanti misure restrittive al fine di contenere la diffusione del Virus.

Attività didattica in presenza

Secondo quando emerge dalle indicazioni ministeriali, è irrinunciabile per l’istituzione scolastica promuovere una relazione educativa in presenza indipendentemente dalla sospensione delle attività didattiche, fermo restante il collegamento telematico con gli alunni della classe.

Regole da rispettare per gli alunni fragili

Per lo svolgimento delle attività didattiche in presenza per gli alunni diversamente abili e BES, va assicurata la massima sicurezza per cui è opportuno, oltre ad avere il consenso dei genitori, rispettare le seguenti regole:

- il divieto di accedere o permanere nei locali scolastici ai soggetti affetti da SARS-CoV-2, o comunque a coloro che manifestino sintomatologia respiratoria o nei quali la temperatura corporea risulti superiore a 37,5°;

- per il personale scolastico e gli alunni, laddove non vi sia una specifica esenzione al riguardo, è obbligatorio l’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 e l’adozione di misure igieniche quali, a titolo esemplificativo, l’uso di gel per le mani e la frequente areazione dei locali;

- lo svolgimento della didattica in presenza deve avvenire in condizioni tali da assicurare un adeguato distanziamento interpersonale;

- è consentita la consumazione dei pasti a scuola a condizione che possa essere mantenuta una distanza interpersonale di almeno due metri.

Rapporti scuole e amministrazione

È istituito il servizio Help Desk Amministrativo Contabile (HDAC) – canale ufficiale di assistenza, consulenza e comunicazione fra l’Amministrazione e le Istituzioni scolastiche su tematiche organizzative, gestionali, amministrative e contabili – accessibile al seguente percorso: “SIDI → Applicazioni SIDI → Gestione Finanziario Contabile → Help Desk Amministrativo Contabile.

di Francesco Di Palma

venerdì 21 gennaio 2022

Immersi nel fascino marino, corsi per non vedenti di archeologia subacquea

Corriere della Sera del 21/01/2022

L’iniziativa «ArcheoPugliAbile» in programma a Taranto. Studi, briefing ed esercitazioni, ideati dall’associazione «Asbi-Albatros-progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International».

TARANTO. Quattrocento immersioni. Fino a quaranta metri di profondità. Tra caverne, ghiacciai e relitti. E una marea (è il caso di dirlo) di brevetti conseguiti. È davvero impressionante il curriculum degli abissi di Elisabetta Franco, Tonino Tramacere, Roberto Polsinelli, Daniele Renda, Roberto Rabito e Marina Zerbin, i primi magnifici sei sub non vedenti a frequentare «ArcheoPugliAbile», primo corso di archeologia subacquea nel mondo in programma a Taranto dal 19 al 23 gennaio. Arrivano da Venezia, da Roma, da Lecce e da Bari, diretti in quella che fu la capitale della Magna Grecia, e oggi sede della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo. I sub sono pronti a cinque giorni di studi, briefing e immersioni, ideati dall’associazione «Asbi-Albatros-progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International», fondata diciassette anni fa dalla barese Angela Pinto e dedicata alla memoria di suo marito, Paolo, tra i grandi protagonisti della storia del nuoto di fondo italiano: l’avvocato delle imprese impossibili (è stato lui, nel 1979, il primo nuotatore a portare a termine l’attraversamento della Manica) amante dal mare in tutte le sua sfaccettature.

Il libro dei sogni

«Oggi si parla tanto di sostenibilità, e mio marito, in tempi non sospetti, ha realizzato delle imprese estreme, nuotando tra foche e balene, in posti lontanissimi e incontaminati», ricorda Angela Pinto, alla quale, se le si chiede perché sia stata scelta Taranto come sede di «Archeopugliabile», prima risponde in maniera ufficiale elencando tutte le bellezze archeologiche della città fondata dagli spartani, per poi ricordarsi di un collegamento molto privato, decisamente famigliare, alla Città dei due mari: «Paolo, da parte di madre, era tarantino: non gli sarebbe dispiaciuta questa scelta». Della quale fa parte Manrico Volpi, il livornese da sempre al fianco di ogni idea di «Asbi-Albatros»: è lui il supervisore degli istruttori sub, ed è sempre lui l’autore di un libro quasi magico: un riconoscitore di 116 specie marine del Mediterraneo, in formato A4 e scritto sia in caratteri ordinari che in Braille. «È il cuore della didattica di Albatros: ci serve per ricrearci una immagine fedele di ciò che andremo a toccare, dopo esserci immersi», spiega Elisabetta Franco, 50 anni, impiegata assicurativa, barese amante del mare, come tutti i suoi concittadini, e tra i primissimi corsisti, nel gennaio del 2006, delle lezioni di teoria e pratica di Asbi – Albatros-progetto Paolo Pinto-Scuba Blind International.

Attori diversi

L’idea di accompagnare dei sub non vedenti sott’acqua spetta, appunto, al livornese tenace Manrico Volpi, 63 anni, il quale, nel 2005, nel corso di una giornata di studi alle isole Tremiti, in Puglia, conosce Angela Pinto. «Manrico mi fece vedere un video dove c’erano dei sub. Poi, mi disse che quei ragazzi erano dei non vedenti, accompagnati da lui, fino a dieci, venti metri di profondità. Improvvisamente è come se avessi avuto una illuminazione, ricordandomi di Paolo, mio marito - era scomparso da poco - il quale, negli ultimi tempi, nonostante fosse diventato cieco per una malattia genetica, ricordava che soltanto immergendosi nella profondità del mare aveva la sensazione di poter vedere ancora», racconta la signora Angela, accompagnata in questa impresa tarantina da altri amici e partnership: dalla Regione Puglia alla già citata Soprintendenza nazionale dall’Uici-Puglia al Nucleo carabinieri subacquei di Pescara, fino alle associazioni l’Anfora e la Jonian Dolphin Conservation.

Isola di San Pietro

E proprio la Jonian Dolphin Conservation, l’associazione tarantina fondata da Carmelo Fanizza e nata per proteggere delfini, balene e capodogli attraverso programmi di ricerca scientifica, metterà a disposizione il catamarano che porterà i sei sub non vedenti, in compagnia dello staff docenti e istruttori Manrico Volpi, Gianpaolo Colucci, Vincenzo Ladisa, Elisa Corvaglia, Petra Bianca Ferrari, Claudio D’Errico, Simone Boiocchi e Marco Dori, alla volta dell’isola di San Pietro, nel mar Grande al largo di Taranto.

«Scenderemo fino a venti metri di profondità: in una zona in cui esiste, dal tempo degli antichi romani, un’area di dispersione di materiale archeologico: si tratta di un sito di approdo, una sorta di discarica portuale, sicuramente utilizzata fino all’età medievale», spiega Giampaolo Colucci, archeologo subacqueo, che i sei allievi ritroveranno in questi cinque giorni sia in superficie che in un altro sito archeologico marino.

Scambio di esperienze

Colucci ed Angelo Raguso, responsabile per le attività subacquee della Soprintendenza archeologica delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, metteranno a punto un percorso tattile attraverso una serie di reperti archeologici selezionati, oltre alla realizzazione di una quadrettatura subacquea con reticolato da utilizzare nel fondale. Sono delle prove a secco, anteprime di tutto ciò che i sei sub andranno a toccare con mano nella baia di Saturo, a cento metri dalla linea di costa. Ma ciò che sorprende ancora oggi gli stessi istruttori sub, nel momento in cui si immergono e si confrontano con i loro allievi non vedenti, è la nuova visione delle cose. «Sì, ce lo dicono spesso e la cosa non può che farci piacere: perché, in fondo, si tratta sempre di uno scambio di esperienze tra noi, sub non vedenti, e i nostri istruttori», commenta il leccese Tonino Tramacere, uno dei sei corsisti.

«Noi, vediamo così»

Gli istruttori raccontano di essere passati dal guardare tutto molto velocemente al percepire con lentezza e più attenzione le cose. E solo grazie a loro, ai colleghi privati della vista, ma delicati nel tocco: «Sfioriamo le specie marine con molta delicatezza, con i nostri tempi, soffermandoci su tutto ciò che incontriamo sott’acqua. È il nostro modo di vedere», dice Elisabetta Franco, a digiuno di archeologia fino alla vigilia di questi giorni tarantini. Ma tanto, si sa, il fascino della Magna Grecia fa miracoli, da tremila anni, sulla faccia della Terra. Figuriamoci sott’acqua, dove non esistono barriere e pregiudizi.

di Peppe Aquaro

mercoledì 19 gennaio 2022

Progetto “Disabili visivi in musica”

Il Consiglio Regionale Lombardo dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Onlus-APS, in collaborazione con la società di produzione discografica Musicians & Producers, intende offrire la possibilità ad artisti con disabilità visiva di presentarsi attraverso una vetrina globale quale quella del Web Contest, massimizzando la loro visibilità e la possibilità di ottenere riscontri positivi e incontrare il favore di un pubblico più ampio.

I destinatari dell’iniziativa sono i musicisti (professionisti o amatori) appartenenti alle categorie riconosciute dalla legge 138/2001 (ciechi assoluti, ciechi parziali, ipovedenti gravi, ipovedenti medi e ipovedenti lievi), senza alcun limite di età.

In particolare, il progetto mira a:

- scoprire nuovi talenti musicali con disabilità visiva;

- offrire ai musicisti con disabilità visiva un’opportunità di visibilità artistica e/o  professionale, in un campo che storicamente da sempre a costituito vere occasioni di pari opportunità lavorative e di inclusione sociale;

- offrire occasioni e spazi lavorativi e professionali ai musicisti con disabilità visiva;

- favorire la possibilità di commercializzare i loro prodotti artistici.

Entro il 25 febbraio 2022, gli interessati dovranno inviare all’organizzazione la scheda di adesione con la documentazione richiesta e un video o videoclip di una loro esibizione (uno per ciascuna categoria a cui desiderino partecipare), in cui potranno interpretare, a propria discrezione, un brano inedito o una cover. Le categorie in gara sono:

- Classica

- Jazz

- Leggera

- Lirica

- Pop

- Strumentale

La data di inizio del Web Contest, sarà poi ufficializzata con apposito comunicato e ampia pubblicizzazione sui social, sul web e attraverso i mass media; il Web Contest avrà una durata di 60 giorni, durante i quali i candidati ammessi potranno essere votati dal pubblico.

Per tutti gli iscritti ammessi al Web Contest sarà realizzata una scheda di presentazione, che sarà pubblicata sul sito www.disabilivisivinmusica.com, (in fase di allestimento) sulla pagina FaceBook del Contest (in fase di allestimento) e nella presentazione del video su YouTube (in fase di allestimento).

Ogni settimana verrà pubblicata sul sito www.disabilivisivinmusica.com la classifica parziale YouTube, mentre il voto della Giuria di Qualità verrà reso noto solo al termine del Concorso.

Chiunque potrà votare uno o più concorrenti; ogni partecipante potrà linkare e condividere i video del Contest.

La classifica finale premierà l’artista che, per ciascuna categoria musicale, avrà totalizzato il maggior punteggio (dato dalla somma dei like raccolti e dal voto della Giuria di Qualità).

I vincitori avranno la possibilità di realizzare una produzione discografica distribuita a livello globale dalla società di produzione discografica Musicians & Producers attraverso tutte le sue piattaforme di distribuzione digitale.

LINK AI DOCUMENTI DA SCARICARE:

- BANDO E REGOLAMENTO

- SCHEDA DI ADESIONE

- SCHEDA ADESIONE MINORI DI 18  ANNI

- INFORMATIVA PRIVACY

martedì 18 gennaio 2022

Basilica di San Bernardino fruibile anche a non vedenti, ipovedenti e a utenti non in presenza

Radio L'Aquila del 18/01/2022

L’AQUILA. È stato portato a termine il progetto che rende fruibile la Basilica di San Bernardino, nel centro storico aquilano, anche ai non vedenti e ipovedenti e a utenti non in presenza. È l’obiettivo raggiunto, raggiunto da alcuni giorni, dal progetto di “Valorizzazione del complesso monumentale di San Bernardino a L’Aquila e dei tesori di arte sacra e contemporanea”, di cui è capofila l’Associazione Cavalieri del Venerdì Santo insieme ad altri partners tra i quali i Frati minori che da sempre curano l’edificio di proprietà del Fec. Il progetto è sostenuto dal Comune dell’Aquila con fondi Restart per lo sviluppo delle potenzialità culturali. Lo scopo è comunicare ulteriori informazioni sulle opere presenti a San Bernardino utilizzando nuove tecnologie che per prima la chiesa francescana del centro storico utilizza in città.

Per raggiungere gli utenti ipovedenti o non vedenti o non in presenza, il percorso culturale permanente si avvale del sito ufficiale della Basilica, aggiornato per l’occasione dal grafico informatico Cristinel Stan, sempre nell’ambito del progetto Restart. Il nuovo sito è caratterizzato da una grafica più attuale e facilmente navigabile sia da PC che da cellulare o smartphone. In esso si possono reperire informazioni sulle celebrazioni in chiesa o notizie relative alla storia del complesso architettonico e della vita del Santo. Inoltre è stato realizzato anche un filmato conoscitivo della chiesa della durata di 3 minuti, mentre sul canale YouTube è possibile vedere un filmato più breve adatto ad essere condiviso mediante smartphone, ai link: https://www.youtube.com/watch?v=9MFD01ptJdM (video lungo), https://www.youtube.com/watch?v=BrZePbeU66k (video breve). Entrambi i video, realizzati dal filmmaker Luca Cococetta, sono corredati di sottotitoli per gli utenti non udenti.

Per quanto riguarda il percorso per i non vedenti o ipovedenti, realizzato in collaborazione con l’Unione italiana ciechi dell’Aquila presieduta da Antonio Rotondi, le notizie aggiornate si possono conoscere utilizzando una mappa a rilievo della pianta della Basilica posta vicino all’ingresso con l’indicazione in braille delle ubicazioni delle varie postazioni, in tutto 14, dotate, a loro volta, di una fascia in braille per l’identificazione dell’opera e un codice QR code la cui scansione permette di ricevere informazioni dell’opera mediante una sintesi vocale. Anche gli altri visitatori troveranno negli appositi piedistalli trasparenti, autorizzati dalla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio, informazioni brevi delle opere interessate dal progetto e scansionando, poi, gli specifici QR code presenti, accedere alle informazioni integrali e a immagini video con realtà aumentata.

Per le nuove informazioni ci si è avvalsi della collaborazione del professore Michele Maccherin, docente del dipartimento di eccellenza di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila, che insieme all’architetto Maurizio D’Antonio, già responsabile come allora funzionario del Provveditorato alle Opere pubbliche dei lavori eseguiti in chiesa per il ripristino dei danni del sisma 2009, ha curato i testi della nuova guida della Basilica, edizioni Carsa 2020, nonché degli studenti universitari Chiara Cafaggi, Daniele Colantonio e Valentina Pessia.

Punti di vista, al via il festival dedicato all'accessibilità

Agenzia ANSA del 18/01/2022

ROMA. Accessibilità, inclusività, dialogo, per ribaltare lo sguardo sul mondo e sulle persone attraverso molteplici linguaggi, dall'arte alla scienza, dalla danza al cinema, fino all'architettura: si apre il 21 gennaio al Palazzo delle Esposizioni di Roma il festival "Punti di vista", organizzato dall'Azienda Speciale Palaexpo, promosso da Roma Culture e curato dal Laboratorio d'arte. In programma fino al 23 gennaio, questa prima edizione della manifestazione sarà dedicata alla tattilità, con un palinsesto denso che si rivolge a ogni tipologia di pubblico e che è stato co-progettato insieme ad alcuni partner, dall'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Roma alla Lega del Filo d'oro, dalla Compagnia Virgilio Sieni al Gruppo Inclusione per la Didattica e Divulgazione dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), fino al Museo Tattile Statale Omero. Tra le attività offerte dal festival, tutte gratuite e su prenotazione, anche visite alla mostra "Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari" con la guida di persone non vedenti in collaborazione con l'Unione Italiana Ciechi di Roma, exhibit multisensoriali e visite curate dall'Istituto Nazionale di Astrofisica per la mostra "La scienza di Roma. Passato, presente e futuro di una città", visite tattili alla mostra "Ti con Zero" in collaborazione con la Lega del Filo d'oro, ma anche presentazioni di libri (come quella con Virgilio Sieni e il suo Danza cieca), proiezioni in sala cinema, lezioni di danza, laboratori con architetti e illustratrici esperti di accessibilità per immaginare lo spazio con le mani. (ANSA).

lunedì 17 gennaio 2022

Prevenzione della cecità: la relazione del Ministero

Farmacia del 17/01/2022

È stata pubblicata la relazione del Ministero della Salute con riguardo allo stato di attuazione delle politiche inerenti la prevenzione della cecità, l’educazione e la riabilitazione visiva con i dati del 2018. Il rapporto evidenzia una distribuzione territoriale dell’offerta di servizi ancora disomogenea, comportando una mobilità sul territorio nazionale da parte dei cittadini

Lo Stato italiano riconosce l’efficacia della prevenzione e della riabilitazione visiva destinando finanziamenti specifici per le attività dei Centri di educazione e riabilitazione visiva delle Regioni e per le attività istituzionali della Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la prevenzione della Cecità (IAPB), sottoposta alla vigilanza del Ministero della Salute.

La normativa di riferimento in Italia

La normativa di riferimento è rappresentata:

- dalla Legge 284/97 “Disposizioni per la prevenzione della cecità e per la riabilitazione visiva e l’integrazione sociale e lavorativa dei ciechi pluriminorati”;

- dal Decreto Ministeriale 18 dicembre 1997, modificato dal decreto 10 novembre 1999 che ha definito i requisiti organizzativi, strutturali e funzionali dei Centri specializzati per l’educazione e la riabilitazione visiva;

- dall’Accordo Stato-Regioni del 20 maggio 2004 che ha definito i compiti e le attività dei Centri per l’educazione e la riabilitazione visiva, nonché i criteri di ripartizione dei finanziamenti previsti in favore delle Regioni per la realizzazione di interventi di prevenzione della cecità e di riabilitazione visiva;

- dalla Legge 16 ottobre 2003, n. 291 che ha istituito il Polo nazionale di servizi e ricerca per la prevenzione della cecità e la riabilitazione visiva degli ipovedenti.

Annualmente il Ministero della Salute presenta una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle politiche di prevenzione della cecità perché possa esservi trasparenza e diffusione capillare delle informazioni sui programmi di azione e sugli obiettivi raggiunti.

La cecità e la situazione italiana

L’impatto psicosociale della cecità e dell’ipovisione, nonostante l’aumento della sensibilità collettiva su questi temi, è ancora molto rilevante, considerate le notevoli interferenze di questa disabilità con numerose aree dello sviluppo, dell’apprendimento e dell’autonomia dell’individuo. A livello regionale, dall’analisi dei dati raccolti nel 2018, si evidenzia una distribuzione territoriale dell’offerta di servizi ancora disomogenea, comportando una mobilità sul territorio nazionale da parte dei cittadini.

I problemi visivi a livello globale e italiano

Stando ai dati del più recente rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) “World report on vision” dell’ottobre 2019, viene stimato che, a livello globale, almeno 2,2 miliardi di persone abbiano una disabilità visiva. Di questi, almeno 1 miliardo presenta una disabilità visiva che avrebbe potuto essere prevenuta o che non è stata presa in carico.

Secondo il Rapporto ISTAT “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea”, le gravi limitazioni visive colpiscono mediamente il 2,1% della popolazione dell’Unione Europea dai 15 anni in su, mentre a partire dai 65 anni si arriva al 5,6% e dai 75 anni all’8,7%. Nel nostro Paese oltre un terzo degli anziani soffre di limitazioni visive almeno moderate, il che equivale a 4,5 milioni di persone. I dati italiani risultano allineati a quelli dell’UE a 28: 2 persone su 100, dai 15 anni in su, soffrono di gravi limitazioni sul piano visivo, percentuale che sale al 5,4% tra chi ha più di 65 anni e all’8,6% per chi ha almeno 75 anni. Lo scenario diventa più preoccupante se si sommano le limitazioni visive moderate a quelle gravi: in questo caso dai 75 anni in poi ne soffre il 43% della popolazione.

La migliorata assistenza neonatologica e l’incremento della vita media hanno aumentato la prevalenza di patologie legate alla prematurità e di patologie degenerative maculari. Dal momento che un grave danno visivo non compromette soltanto l’occhio, ma la vita stessa dei pazienti, appare cruciale allestire progetti di intervento di tipo preventivo, terapeutico e riabilitativo. L’identificazione delle cause di danno funzionale tanto più è precoce, tanto più garantisce possibilità di trattamento o di efficaci provvedimenti riabilitativi.

Le azioni messe in campo

Il Piano d’azione globale per la prevenzione della disabilità visiva portato avanti dall’Oms per il periodo 2014-2019 poggia su 5 pilastri:

- accesso universale ed equità;

- diritti umani;

- pratiche basate sulle evidenze scientifiche;

- approccio mirato all’intero corso dell’esistenza;

- empowerment delle persone affette da deficit visivi.

Le azioni che gli Stati membri sono stati chiamati a mettere in campo si articolano intorno a tre obiettivi: raccogliere evidenze scientifiche sulle cause dei deficit visivi; incoraggiare l’elaborazione e l’attuazione di politiche, piani e programmi nazionali integrati per la salute oculare; promuovere l’impegno multisettoriale e partenariati efficaci per il miglioramento della salute oculare. Questi tre obiettivi sono stati corredati da indicatori misurabili per verificarne i progressi nazionali e territoriali.

Ai fini dell’identificazione precoce della disabilità visiva e in linea con quanto richiesto nel Piano di azione dell’Oms, il Ministero della Salute ha lavorato all’implementazione e attuazione del Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2019 che ha previsto un’area dedicata alla prevenzione dell’ipovisione e della cecità (con specifici programmi di screening oftalmologici neonatali). I progetti e i programmi regionali all’interno del Piano hanno avviato e supportato le attività delle strutture regionali per l’attuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che hanno introdotto la prevenzione oftalmica neonatale attraverso lo screening oftalmologico neonatale oltre a importanti aggiornamenti nei procedimenti diagnostici e terapeutici in oftalmologia garantiti dal Ssn, aggiornando l’elenco delle prestazioni specialistiche e prevedendo la riabilitazione della funzione visiva degli ipovedenti.

Nel 2018 in Italia è stata inoltre introdotta nei LEA la riabilitazione visiva.

Numerose sono nel nostro Paese le azioni messe in campo per la prevenzione primaria e secondaria: dalle campagne informative agli screening, dalle giornate dedicate (la Giornata Mondiale della Vista, la Giornata del Glaucoma) alle azioni messe in campo dalle unità mobili oftalmologiche al progetto dedicato ai bambini di età scolare “Occhio ai bambini”.

di Elena D'Alessandri