mercoledì 29 dicembre 2021

Workshop per riflettere sull'inclusione lavorativa promosso da U.I.C.I. Brescia

L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Brescia promuove, il 14 gennaio, un workshop per riflettere sull'inclusione lavorativa.

Lavoro in corso.

Il tema dell’inclusione lavorativa delle persone appartenenti alle categorie protette è questione assai dibattuta. I risultati fino ad ora ottenuti in questo ambito sono, complessivamente, poco soddisfacenti, sia sul versante delle aziende sia su quello dei lavoratori con disabilità;

le prime, perché vivono la pressione di un obbligo di legge che prevede sanzioni se non viene rispettato; i secondi, per la scarsa probabilità di trovare un impiego, raramente commisurato alle proprie potenzialità.

E’ presumibile che parte della responsabilità dell’inefficace integrazione sociale realizzata in Italia in questo ambito sia attribuibile ad un modello culturale della disabilità che antepone il peso del deficit rispetto al valore delle abilità.

Conseguenza di questo stato di cose è l’imposizione legale del supporto e dell’inserimento lavorativo della persona “disabile”, senza la possibilità di percepire e affrontare tale intervento come l’inserimento di una persona “abile” nello svolgimento di compiti utili per l’azienda. Perché ciò possa avvenire, è importante che si modifichi innanzitutto l’atteggiamento di coloro che accompagnano verso il mondo del lavoro la persona con disabilità, superando per primi la definizione diagnostica di deficit e spostandosi sul piano della valutazione funzionale, premessa per l’individuazione delle abilità e per il loro potenziamento.

Il cambiamento di atteggiamento costituisce la premessa perché il rapporto di lavoro tra aziende e lavoratori con disabilità scaturisca dall’incontro delle rispettive esigenze ed opportunità, evitando la contrapposizione tra la logica del profitto aziendale e la questione etica del supporto alle persone in condizione di svantaggio. I due aspetti, infatti, non sono inconciliabili, a condizione che le “tessere” del mosaico vengano collocate ciascuna nel rispetto della forma e della posizione delle altre.

14 Gennaio 2022 dalle ore 15.00 presso il Salone Ponti dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Brescia o tramite collegamento da remoto

Workshop: Lavoro in corso

Modera: Fabio Fornari

- Saluti della Presidente Sezionale UICI di Brescia - Sandra Inverardi

- Giochiamo a carte scoperte con i nostri talenti - Barbara Bresciani

- La ricerca del lavoro: prepariamoci attraverso la scuola - Santo Gaffurini

- Concorsi pubblici: perché no? - Stefano Conter

- Al lavoro con un click - Ignazio Fontana

- Disabili al lavoro. Come quando e perché - Haydée Longo

Modalità di partecipazione

Due sono le modalità per partecipare al convegno:

• In presenza: sarà necessario il greenpass e i posti saranno limitati

• Online: si riceverà un link per partecipare attraverso la piattaforma zoom

Iscrizione

Per entrambe le modalità sopraelencate è necessario iscriversi compilando online il modulo di iscrizione.

Sostegno solo se specialistico

Italia Oggi del 29/12/2021

Risarcibile l'alunno disabile con docente privo di titolo. L'alunno disabile ha diritto ad essere seguito da un insegnante di sostegno munito della prescritta specializzazione per tutte le ore previste dal Piano educativo individualizzato. Lo ha stabilito la IV sezione del Tar Campania con una sentenza pubblicata il 14 dicembre scorso (7990/2021). Pertanto, qualora all'alunno sia stato assegnato un docente privo di tale titolo e per un numero di ore inferiori a quelle previste, l'alunno medesimo ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto allo studio. Lesione dalla quale può ritenersi presuntivamente dimostrato che derivino pregiudizi non patrimoniali risarcibili, quali la maggiore difficoltà del minore alla fruizione dell'offerta formativa, causata dalla mancata assegnazione al minore dell'insegnante specializzato. Per questi motivi i giudici amministrativi hanno condannato l'amministrazione a pagare 3mila euro di danni alla famiglia e anche le spese legali. Il caso riguardava un alunno gravemente disabile, al quale il gruppo di lavoro operativo (Glo) aveva assegnato 30 ore. Il Glo è la commissione di scuola che redige il piano educativo individualizzato e fissa le ore di sostegno da assegnare all'alunno disabile. Il giudice ha ritenuto che il documento redatto dalla commissione fosse vincolante per l'amministrazione. Ma nonostante questo l'ufficio scolastico aveva assegnato all'alunno solo 18 ore ed era stata assunta una docente non specializzata, che poi si era assentata per congedo di maternità. Il dirigente, quindi, aveva tentato di sostituirla con un docente specializzato. La graduatoria però risultava esaurita e il preside aveva seguito la prassi dell'incrocio delle graduatorie di istituto dei non specializzati assumendo un sostituto privo del titolo. I genitori dell'alunno, quindi, si erano risolti ad esperire l'azione giudiziale e il Tar ha accolto il ricorso. Se la pronuncia dei giudici del Tar Lazio dovesse ingenerare un vero e proprio orientamento, l'amministrazione si troverebbe nella difficile situazione di dovere corrispondere risarcimenti in tutti i casi in cui non sia possibile assumere un docente specializzato. Ipotesi, questa, che si verifica sistematicamente in tutte le province a causa della scarsità di docenti in possesso del titolo nelle relative graduatorie. Le graduatorie infatti spesso si esauriscono costringendo ai dirigenti a ricorrere addirittura alle messe a disposizione.

martedì 28 dicembre 2021

Legge delega sulla disabilità approvata: ecco i contenuti

Agenzia Iura del 28/12/2021

Il 20 dicembre 2021 il Senato ha approvato all’unanimità, dopo un iter parlamentare accelerato, il disegno di legge n. 2475 che reca “Delega al Governo in materia di disabilità”. Il testo, di iniziativa governativa, era stato depositato alla Camera il 2 novembre scorso. La Commissione Affari sociali di Montecitorio ha apportato vari emendamenti al testo originale prima dell’approvazione da parte dell’Aula il 9 dicembre e del passaggio all’altro ramo del Parlamento. Il testo approvato è in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Legge delega e PNRR

La norma approvata è incardinata negli interventi collegati al Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR). Esiste infatti un atto dell’8 luglio 2021 con cui il Consiglio d’Europa ha stabilito, dopo averlo valutato e approvato, l’esecuzione del PNRR dell’Italia. L’allegato illustra quali saranno gli interventi e le riforme che il nostro Paese intende adottare. Su quell’allegato si fondano i relativi ingenti finanziamenti destinati all’Italia.

Fra le numerose Missioni previste e approvate, alla Missione 5 è fissata esplicitamente la Riforma 1 denominata “Legge quadro sulle disabilità”. Questa ne è la declinazione: “L’obiettivo principale della riforma è quello di modificare la legislazione sulle disabilità e promuovere la deistituzionalizzazione (vale a dire il trasferimento dalle istituzioni pubbliche o private alla famiglia o alle case della comunità) e l’autonomia delle persone con disabilità. Ciò deve comportare:

I) il rafforzamento dell’offerta di servizi sociali;

II) la semplificazione dell’accesso ai servizi sociali e sanitari;

III) la riforma delle procedure di accertamento delle disabilità;

IV) la promozione di progetti di vita indipendente;

V) la promozione del lavoro di gruppi di esperti in grado di sostenere le persone con disabilità con esigenze multidimensionali.”

La legge delega approvata è orientata quindi all’esecuzione di parte della riforma prevista.

Cos’è una legge delega?

La legge delega è una norma particolare. Non fissa immediatamente nuovi diritti o agevolazioni o disposizioni esigibili da subito dai cittadini. Si tratta di una norma con la quale il Parlamento delega il Governo a legiferare su alcuni precisi aspetti e indica gli ambiti, i principi e criteri direttivi a cui l’Esecutivo si deve attenere, nonché i tempi e le modalità per raccogliere i pareri sugli schemi di decreti delegati (solitamente decreti legislativi).

Dopo l’approvazione della legge delega, quindi, le persone con disabilità non possono ancora contare su nuovi diritti o benefici o prestazioni che al contrario potrebbero avere dopo l’approvazione dei decreti legislativi. I tempi massimi indicati dalla legge delega sono 20 mesi dall’entrata in vigore della stessa (circa fine agosto del 2023).

Se poi quei decreti legislativi avranno necessità di ulteriori integrazioni o modificazioni ci saranno 24 mesi di tempo dopo la loro entrata in vigore.

Gli ambiti di intervento

Come di prassi il primo articolo indica gli ambiti di intervento generali su cui l’articolo successivo entra poi nel dettaglio indicando principi e criteri direttivi.

Gli interventi normativi dei decreti riguarderanno quindi:

a) la definizione della condizione di disabilità nonché revisione, riordino e semplificazione della normativa di settore;

b) l’accertamento della condizione di disabilità e revisione dei suoi processi valutativi di base;

c) la valutazione multidimensionale della disabilità, realizzazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato;

d) l’informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione;

e) la riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità;

f) l’istituzione di un Garante nazionale delle disabilità;

g) il potenziamento dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

Un ultimo ambito afferisce alle disposizioni finali e transitorie.

Disabilità oggi

Per comprendere al meglio lo spirito della norma, in particolare relativamente ai primi tre ambiti, è utile ricostruire alcuni elementi contestuali.

Nella normativa attuale esistono varie definizioni che riguardano le persone con disabilità, frutto di una normativa stratificata nel tempo e non sempre congruente né scientificamente aggiornata. Ne derivano anche percorsi e modalità valutative differenti spesso onerose per il cittadino e per la pubblica amministrazione. A questo si aggiunga l’evidenza che questi percorsi non sempre sono funzionali ad erogare sostegni e supporti efficaci.

Ad esempio si pensi alla coesistenza delle valutazioni delle minorazioni civili (invalidità, cecità, sordità, sordocecità) e quelle dell’handicap previste dalla legge 104/1992. E ancora quelle correlate alla legge 68/1999 oppure alla condizione di alunno con disabilità.

Oltre a questo va aggiunto che nel frattempo la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia nel 2009) delinea una definizione della disabilità con la quale confliggono le disposizioni ancora vigenti. Già nel 2016 il Comitato ONU ha richiamato l’Italia ad una concreta adozione di quella definizione nell’impianto normativo italiano.

È su questo solco che la delega tenta di intervenire. Ma torniamo ai criteri e ai principi direttivi espressi nel testo approvato.

La definizione e il riconoscimento della disabilità

La revisione normativa introdotta da successivi decreti dovrà innanzitutto riprendere la definizione della Convenzione ONU che – giova ricordarlo – è “per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.”

Si tratta di una indicazione che dovrà quindi quantomeno aggiornare la definizione di handicap prevista dalla legge 104/1992.

Non è sufficiente però adottare formalmente una nuova locuzione, ma anche dotarsi di strumenti adeguati per il relativo riconoscimento ed eventuali graduazioni. In tal senso la legge delega prevede l’adozione della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) congiuntamente alla Classificazione internazionale delle malattie (ICD) ma anche di ogni altra eventuale scala di valutazione disponibile e consolidata nella letteratura scientifica e nella pratica clinica.

Sempre in tema di definizioni la legge delega ne prevede l’adozione altre due, entrambe tutt’altro che semplici da delineare. La prima è quella relativa al “ profilo di funzionamento” il cui perimetro dovrà essere coerente con l’ICF e con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e che tenga conto dell’ICD.

La seconda riguarda ancora l’“accomodamento ragionevole” di cui parla la stessa Convenzione ONU e che dovrebbe essere uno strumento che, in aggiunta ai diritti già sanciti dalla normativa vigente, garantisca l’inclusione delle persone con disabilità anche in presenza di situazioni particolari, complesse o impreviste.

Un altro elemento centrale nella delega è la separazione fra la valutazione di base – di cui scriviamo più sotto – e la valutazione multidimensionale, cioè quella più complessa e volta a redigere progetti personali.

Un emendamento rilevante introdotto dalla Camera riguarda senza dubbio anche la separazione dei percorsi valutativi previsti per le persone anziane da quelli previsti per gli adulti e per i minori. Ciò potrebbe consentire di ottimizzare e qualificare percorsi e strumenti rendendoli più specifici per ogni differente età.

La valutazione di base

La parte della legge delega riservata alla valutazione di base è stata oggetto di una più circostanziata riscrittura da parte della Commissione Affari Sociali della Camera.

È ora più chiaro cosa sia incluso nella valutazione di base e ciò che sia escluso rientrano invece nella più articolata valutazione multidimensionale.

Vi rientra la valutazione prevista dalla legge 104/1992 che ad oggi riguarda l’handicap ma che sarà aggiornata con la nuova definizione di disabilità. Oltre a questa condizione sarà rilevata la necessità di sostegno, di sostegno intensivo o di restrizione della partecipazione della persona.

Vi rientrano anche tutti gli attuali accertamenti legati alle minorazioni civili (invalidità, cecità, sordità, sordocecità). I vigenti criteri e modalità di accertamento – che risalgono al decreto 5 febbraio 1992 – saranno progressivamente aggiornati in conformità alla definizione di disabilità e in coerenza con le classificazioni ICD e ICF, un impegno che sarà tutt’altro che semplice.

La valutazione di base include anche tutti quegli accertamenti che sono propedeutici ai successivi accertamenti connessi all’inclusione lavorativa (legge 68/1999) e alla condizione di alunno con disabilità.

Ma la valutazione di base, che dovrebbe essere ricondotta ad un unico procedimento, dovrà contenere anche tutte le informazioni utili alla concessione di assistenza protesica, sanitaria e riabilitativa, all’individuazione della non autosufficienza e dei requisiti necessari per l’accesso ad agevolazioni fiscali, tributarie e relative alla mobilità (esempio: contrassegno disabili).

Ma chi svolgerà la valutazione di base? La legge delega indica che – con decreto successivo – l’esclusiva competenza medico-legale sulle procedure valutative venga affidata ad “un unico soggetto pubblico (…) garantendone l’omogeneità nel territorio nazionale (…)”. Attualmente quelle funzioni sono già in larga misura affidate a INPS con competenze anche delle ASL. È presumibile, ma lo vedremo al momento dei decreti delegati, che ci si riferirà ad INPS attribuendo all’Istituto anche le funzioni non ancora affidate.

La legge delega fissa anche un criterio direttivo nell’ambito dei controlli prevedendo “un efficace e trasparente sistema di controlli sull’adeguatezza delle prestazioni rese, garantendo l’interoperabilità tra le banche di dati già esistenti, prevedendo anche specifiche situazioni comportanti l’irrivedibilità nel tempo, fermi restando i casi di esonero già stabiliti dalla normativa vigente.”

La valutazione multidimensionale della disabilità

Il secondo articolo della legge delega, al punto c), formula le indicazioni che dovranno essere seguite per regolamentare la valutazione multidimensionale della disabilità funzionale alla realizzazione del progetto personale che dalla legge viene ambiziosamente definito come “progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato”.

Nella sostanza la norma nel declinare i principi e i criteri direttivi, delinea i contenuti che nel progetto dovrebbero essere espressi. La loro effettiva realizzazione sarà ovviamente condizionata dalle risorse che saranno rese disponibili. Nell’immediato si profila l’intento di raccogliere elementi per individuare fabbisogni standard, formulare obiettivi di servizio e in prospettiva definire livelli essenziali delle prestazioni, solo così trasformati in reali diritti soggettivi.

Nel frattempo i decreti legislativi dovranno prevedere che la valutazione multidimensionale sia svolta attraverso l’istituzione e l’organizzazione di unità di valutazione multidimensionale composte in modo da assicurare l’integrazione degli interventi di presa in carico, di valutazione e di progettazione da parte delle amministrazioni competenti in ambito sociosanitario e socio-assistenziale.

Va ricordato che le unità di valutazione multidimensionale sono già attive in molte realtà regionali con diverse competenze anche in ambito sanitario. Verosimilmente si ipotizza di qualificarne e indirizzarne l’azione valutativa. In tal senso, anche nel caso della valutazione multidimensionale si dovrà tenere conto delle indicazioni dell’ICF e dell’ICD e che venga definito un profilo di funzionamento della persona, mirato alla predisposizione del progetto di vita e al monitoraggio dei suoi effetti nel tempo.

La legge delega pone come centrale il ruolo e il coinvolgimento diretto della persona (o di chi lo rappresenta) nell’elaborazione del progetto, tenuto conto anche dei suoi desideri e delle sue aspettative.

Il progetto di vita è idealmente volto a migliorare, anche con sostegni e supporti, la qualità della vita della persona, a garantire l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali, tra cui la possibilità di scegliere il proprio luogo di residenza e un’adeguata soluzione abitativa, anche promuovendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socio-assistenziali.

Il progetto dovrebbe – secondo la legge delega – indicare gli strumenti, le risorse, i servizi, le misure, gli accomodamenti ragionevoli che devono essere adottati per la sua realizzazione e che sono necessari a compensare le limitazioni alle attività e a favorire la partecipazione della persona con disabilità nei diversi ambiti della vita e nei diversi contesti di riferimento, compresi quelli lavorativi e scolastici nonché quelli culturali e sportivi, e in ogni altro contesto di inclusione sociale.

Questo dovrebbe essere garantito anche quando la persona sia soggetta a una misura di protezione giuridica o abbia necessità di sostegni ad altissima intensità.

Nel progetto dovrebbe poi essere indicato l’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, “attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali”, utili all’attuazione al progetto medesimo. È esplicitamente prevista l’ipotesi che il progetto possa essere autogestito, in toto o in parte, con obbligo di rendicontazione secondo criteri concordati.

La legge delega contempla anche la possibilità che il progetto mantenga la sua cogenza quando una persona si trasferisce, cambiando magari regione.

Un punto specifico richiama la possibilità di definire supporti e sostegni per l’abitare in autonomia, per la vita indipendente e, ancora, per l’accompagnamento alla deistituzionalizzazione. E per queste finalità sono previsti anche meccanismi di riconversione delle risorse attualmente destinate all’assistenza nell’ambito di istituti a favore dei servizi di supporto alla domiciliarità e alla vita indipendente.

Appare evidente come l’elaborazione del decreto che dovrà disciplinare nel dettaglio e nei meccanismi del progetto di vita sarà un percorso assai impegnativo, come lo sarà la successiva omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale.

L’informatizzazione dei processi valutativi

A supporto dei percorsi valutativi e dell’elaborazione dei progetti di vita la legge delega prevede che vengano istituite piattaforme informatiche che dovranno consentire la consultazione delle certificazioni e delle informazioni riguardanti i benefìci economici, previdenziali e assistenziali e gli interventi di assistenza sociosanitaria che spettano alla persona con disabilità e della sua famiglia. Opportunamente la legge delega prevede che queste piattaforme siano interoperabili con quelle già esistenti (ad esempio il SIUSS Sistema Informativo Unitario dei Servizi Sociali, il SIOSS Sistema Informativo dell’Offerta dei Servizi Sociali, il Sistema informativo delle prestazioni e dei bisogni sociali ecc.).

Riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità

Un ulteriore filone della delega punta esplicitamente all’inclusione e all’accessibilità nell’ambito dei servizi pubblici profilando interventi che dovrebbero riqualificarne l’attività. In sede di analisi del disegno legge è stato opportunamente inserito un richiamo al rispetto della normativa già vigente in materia, sicché ciò che verrebbe attuato dovrebbe essere comunque aggiuntivo e qualificante.

La logica del punto dedicato a questi aspetti è quella di includere le azioni per l’inclusione e per l’accessibilità nelle disposizioni che in questi anni hanno tentato di incidere sull’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni e, più di recente, sul rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Per completezza: il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e la legge 6 agosto 2021, n. 113. Nella sostanza gli obiettivi di inclusione e accessibilità dovrebbero rientrare nella programmazione strategica e nel piano della performance delle pubbliche amministrazioni e rientrare tra gli obiettivi di produttività delle stesse. I decreti legislativi futuri dovrebbero entrare nel dettaglio.

In ciascuna amministrazione sopra i 150 addetti, potrà (non è un obbligo) essere individuata una figura dirigenziale preposta alla programmazione strategica della piena accessibilità, fisica e digitale, delle amministrazioni da parte delle persone con disabilità.

Il rispetto degli obiettivi strategici potrà essere inserito e usato per valutare la performance del personale dirigenziale con ciò che ne deriva in termini di premi, incentivi e altro.

La legge delega delinea una progressiva estensione delle regole che varranno per la pubblica amministrazione anche ai concessionari dei pubblici servizi ad iniziare dalla carta dei servizi che dovrà indicare i livelli di qualità (accessibilità) del servizio erogato evidenziando quelli obbligatori ai sensi della normativa vigente

La legge delega poi prevede la nomina, da parte dei datori di lavoro pubblici, di un responsabile del processo di inserimento delle persone con disabilità nell’ambiente di lavoro, ai sensi della legge 12 marzo 1999, n. 68. Sul punto, in attesa dei decreti legislativi, sembra che l’intento sia di ampliare quanto già vigente col decreto legislativo n. 75 del 25 maggio 2017 (Decreto Madia) che ha stabilito presso le amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, la presenza di un responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità che curi i rapporti con il centro per l’impiego e che predisponga accorgimenti organizzativi e soluzioni tecnologiche che facilitino l’integrazione al lavoro, in collaborazione con il medico competente e con il comitato tecnico.

Il Garante nazionale delle disabilità

Anche sulla parte dedicata al Garante il Parlamento ha introdotto alcune precisazioni rispetto al testo originale del disegno di legge. In particolare non sfugge la sottolineatura di come questo organo sia da intendersi come indipendente il che significa, ad esempio. che non sarà funzionalmente sottoposto a nessun ministero. La tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità ne rappresentano la competenza che potrà esercitare raccogliendo segnalazioni da persone con disabilità che denuncino discriminazioni o violazioni dei propri diritti e più in generale vigilando sul rispetto dei diritti e sulla conformità alle norme e ai princìpi stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti.

Potrà poi svolgere verifiche sull’esistenza di fenomeni discriminatori e richiedere alle amministrazioni e ai concessionari di pubblici servizi le informazioni e i documenti necessari allo svolgimento delle funzioni di sua competenza, intervenendo con raccomandazioni e pareri, sollecitando o proponendo interventi, misure o accomodamenti ragionevoli per superare le criticità riscontrate.

Viene anche parallelamente previsto potenziamento dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità (che non è il Garante), ridefinendone le competenze e potenziandone la struttura organizzativa. Fra l’altro ques’ultimo aspetto è l’unico per il quale nella legge delega vi sia certezza di finanziamento: 800.000 euro a partire dal 2023.

Anche su questi ambiti i dettagli e l’effettiva attuazione sarà oggetto di successiva regolamentazione.

“Salvaguardia” dei diritti acquisiti

Fra le norme transitorie la legge delega prevede una forma di “clausola di salvaguardia” che in larga misura può rassicurare – a fronte di una riforma delle modalità valutative – circa i timori di perdere diritti in qualche modo acquisiti. Si prevede infatti di coordinare “le disposizioni introdotte (…) con quelle ancora vigenti, comprese quelle relative agli incentivi e ai sussidi di natura economica e ai relativi fondi, facendo salvi le prestazioni, i servizi, le agevolazioni e i trasferimenti monetari già erogati ai sensi della normativa vigente in materia di invalidità civile, di cecità civile, di sordità civile e di sordocecità e della legge 5 febbraio 1992, n. 104, anche con riferimento alla nuova tabella indicativa delle percentuali d’invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti, di cui al decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992 (…) al fine di salvaguardare i diritti già acquisiti”.

Copertura finanziaria

La legge delega non prevede finanziamenti ulteriori, oltre quelli già in essere, per gli eventuali nuovi oneri derivanti dall’attuazione della nuova norma. Le risorse derivano quindi dal Fondo per la disabilità e la non autosufficienza, dai fondi destinati dal PNRR (non sono fondi strutturali, ma straordinari) e dalla “razionalizzazione e la riprogrammazione dell’impiego delle risorse previste a legislazione vigente per il settore della disabilità.”

Inoltre le amministrazioni competenti (es. Comuni, Regioni…) provvedono agli adempimenti previsti dai decreti legislativi “con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.”

Infine la legge delega fissa un’ultima regola: i decreti legislativi attuativi non possono essere emanati se non vi sia la necessaria copertura finanziaria o fino a quando non si siano assicurate le risorse necessarie. (Carlo Giacobini, Direttore generale di Iura)

venerdì 24 dicembre 2021

Frida Bollani: «Ringrazio anche i miei geni sbagliati. Non vedo il mondo ma lo sento di più»

Corriere della Sera del 24/12/2021

Figlia di Stefano Bollani e Petra Magoni, ha 17 anni e una passione divorante per la musica. «Non vedere mi ha permesso di esplorare il mondo in modo diverso. Il mio futuro? In viaggio e pieno di concerti».

Busso e ricevo il permesso per entrare da una voce timida. Apro la porta del suo camerino e me la trovo davanti. Una massa vulcanica di capelli biondi, le lunghe dita affusolate e bianche infilate dentro un pacchetto di patatine, e gli occhi verdi che non mi guardano. Ascolta i miei passi avvicinarsi, estrae le dita dal pacchetto con un movimento incerto, come a chiedere: posso mangiare? Sistemo una sedia di fronte a lei, la invito a continuare. Sorride sollevata: come scoprirò a breve, le patatine sono la sua terza passione dopo i gelati e, naturalmente, al primo posto, incontrastato, il pianoforte. Frida Bollani Magoni ha diciassette anni. L’abbiamo conosciuta tutti all’improvviso non molti mesi fa, quando si è esibita in tv ospite di suo padre, Stefano Bollani, alla trasmissione Via dei Matti n. 0 , e poi al Quirinale per la Festa della Repubblica. Intorno al suo talento si è levato un clamore intenso, ma lei non ne sembra turbata.

«HO DUE VITE, VADO A SCUOLA E SUONO. INNAMORARMI? SOLO DI UN MUSICISTA, ANCHE SE I MIEI SONO LA PROVA CHE È COMPLICATO»

Il suo incarnato è diafano, il suo sguardo altrove: al primo impatto assomiglia a un fiore d’acqua fragilissimo. Le chiedo se le piace leggere, ascoltare audiolibri, per rompere il ghiaccio (lo chiedo a tutti gli adolescenti), e la creatura timida sfodera subito una risolutezza di marmo. «No» mi risponde «a me piace solo la musica». Che l’apparenza ingannasse anche nel suo caso, l’avevo già capito. In particolare il 2 giugno, ascoltandola interpretare una delle mie canzoni preferite, La cura di Franco Battiato, in un modo che mi aveva fatto venire i brividi. Durante quell’esibizione, la ragazzina delicata, esile dietro il pianoforte, era presto scomparsa per lasciare spazio alla voce sicura, al dominio dello strumento. Ero rimasta impietrita da come toccava i tasti, con una padronanza sfacciata e una grazia feroce. Come dichiarando: adesso suono. E – citando Vasco – tutto il mondo fuori.

Con due genitori come Petra Magoni e Stefano Bollani, è come se tu fossi cresciuta in un acquario sonoro.

«Esistono video di me che ballicchiavo a tempo di musica già nella culla mentre papà suonava. A due anni, mia mamma mi ha insegnato le scale al pianoforte. Prima dell’alfabeto, ho imparato le note; prima il pianoforte, poi il canto. Ancora oggi, quando tocco un tasto, è come se quella nota mi dicesse: “Do”, “Mi”, “Fa”. Come se mi parlasse».

È stata tua madre a iniziarti alla musica?

«Fu lei ad accorgersi che riconoscevo le note. I primi concerti a cui ho assistito, quando forse avevo solo dieci giorni, sono stati i suoi. Crescendo l’ho seguita con Musica Nuda, ci siamo esibite insieme. C’è stato un periodo, avrò avuto 8 o 9 anni, in cui abbiamo fatto cinque date in cinque giorni: ho imparato subito quanto potesse essere stancante questo lavoro, ma anche come gestirlo. Adesso che ho iniziato a suonare da sola, è lei che accompagna me. C’è sempre».

Ricordo bene quanto alla tua età facessi disperare mia madre. Voi due davvero riuscite a viaggiare sempre insieme andando d’accordo?

«Ho 17 anni, deve viaggiare con me per forza. Ma non mi pesa, anzi, ne sono felice: è un ottimo aiuto durante il tour. Tutto ciò che sta intorno a un concerto mi stressa parecchio: il sound check, la cena… O, ragazzi, io voglio sonà! – un marcato accento toscano irrompe come una sferzata e mi sorprende –. Allora ci vuole lei che mi dice: “Frida, sta’ calma, è tutto normale, il tour è così, però è anche il suo bello”. Ci troviamo sulla stessa lunghezza d’onda, entrambe musiciste: si va sul sicuro! Ma sono certa che se avessi scelto un altro lavoro, per lei non sarebbe stato un problema. Come non lo è stato per mio fratello maggiore, che a un certo punto ha detto: “Io in questa famiglia di musicisti mi devo differenziare”. È rimasto nel campo dell’arte, ma ha preso un’altra direzione: character designer per videogiochi».

Anche con lui vai d’accordo?

«Eh – ride con una smorfia –. Come possono andare d’accordo fratello e sorella… ».

E il rapporto con tuo padre?

«Il discorso è uguale a quello di mia mamma, con la differenza che, vivendo in case diverse, purtroppo ci vediamo meno. Quando ero bambina, i miei genitori stavano insieme e io li ascoltavo suonare insieme. Lui non è stato il mio insegnante di pianoforte come mia madre non è stata la mia insegnante di canto, però entrambi mi hanno insegnato ad ascoltare e ad amare questo lavoro».

Nei video che si trovano in Rete si ha la prova che Frida non mente. La si vede duettare con la madre, con il padre, e si percepisce a pelle il loro affiatamento. Non sembra esserci traccia dei conflitti che inaspriscono le famiglie quando i figli hanno la sua età.

Di cosa è fatta la tua normalità di adolescente?

«Ho due vite: vado a scuola e suono. Sono mondi separati che si uniscono solo in parte, perché frequento un liceo musicale (il Carducci di Pisa), ma, al di là di questo, c’è una netta differenza. Di sabato mi esibisco, vivo il mondo dei concerti. Sono circondata da adulti, con cui però mi trovo a mio agio perché sono tutti musicisti. Durante la settimana invece torno a essere la ragazza normale che va a scuola e frequenta i coetanei. Anche loro sono importanti: a prescindere dalla famiglia, se non hai il sostegno di un’amica e/o un amico, non vai da nessuna parte».

È la passione il fondamento?

«A questa età ce l’abbiamo tutti. Ma se vuoi trasformarla in mestiere non è sufficiente. Penso sia una questione di volontà. Molti studiano al liceo musicale e poi non fanno della musica una professione perché si fanno l’idea che c’è troppo lavoro, troppo da studiare, non c’ho voglia. Ma non basta nemmeno passare 7, 8 ore al giorno al pianoforte, perché la gavetta, l’esperienza sul palco, sono importanti. Quello che davvero conta, secondo me, è la determinazione: sapere qual è la tua strada. Io so che è questa e non cambierà mai».

Vorrei incidere sulla carta il timbro della sua risolutezza. Ma lei scoppia a ridere di colpo.

«Solo per un periodo ho pensato di fare la gelataia. Nessun vocal coach mi ha mai dato ragione, ma io garantisco che a me i gelati fanno bene. Prima di cantare, mi danno nuova vitalità alle corde vocali. Come le patatine mi danno energia – accartoccia il pacchetto che ha finito, glielo prendo per buttarlo, le nostre mani si sfiorano e avverto l’energia che vi si nasconde –. Per fortuna quel periodo è passato in fretta».

Da amante della provincia e, in particolare, dei talenti che vi sbocciano, non posso non chiedertelo: quanto sei legata a Pisa, la tua città?

«Pisa è bella, c’è una splendida scena musicale. Però se rimani lì, rimani lì. Per me è importante conoscere gli artisti di Pisa, fare eventi in città, ma è fondamentale anche uscire dai confini. Amo viaggiare. Non si può passare tutta la vita nello stesso posto, secondo me. In giro per l’Italia e all’estero, dove spero di tornare sempre più spesso, scopro sonorità nuove. Alcuni luoghi in particolare mi sono rimasti nel cuore: la Sardegna, la Puglia, Parigi, Londra».

«IO NON HO UNA MALATTIA, NON HO VISSUTO IL TRAUMA DI AVER PERSO LA VISTA: SONO NATA COSÌ. E NON SO SE ACCETTEREI DI OPERARMI»

Più parliamo, più la timidezza iniziale si scioglie in spensieratezza. Prima il toscano era appena percettibile, adesso ha rotto gli argini. La guardo negli occhi, tra una pagina e l’altra dei miei appunti, anche se so che lei di me percepisce solo un’ombra. Intuisco che, attraverso la mia voce, abbia già messo a fuoco come sono fatta.

In una precedente intervista al Corriere della Sera, le dico, hai pronunciato una frase molto forte: che per te non vedere è un dono. E io ti credo. A dispetto di un mondo che ci impone un’astratta perfezione, penso siano le imperfezioni, le crepe, le differenze a generare creatività, ambizione. Le tue parole mi sono suonate non solo autentiche, ma anche liberatorie per tutti.

«Io non ho una malattia, non ho vissuto il trauma di aver perso la vista. Sono nata così. Qualcosina ci vedo e la situazione rimarrà questa, a meno che non mi propongano, in futuro, un intervento per migliorare la vista. Ma, sinceramente, non so se accetterei di operarmi. Non vedere mi ha permesso di esplorare il mondo in modo diverso, ho esercitato meglio altri sensi, come l’udito. Sono certa che, se avessi potuto usare gli occhi, sarei stata meno attenta ad ascoltare, e ascoltare è importantissimo per me e per il mio mestiere. Quindi sono contenta di come sono nata. Di questi due geni sballati che mi hanno causato problemi non tanto agli occhi, che come vedi non sono bruttissimi e non devo portare gli occhiali, ma alla retina. Tra l’altro, l’essenziale è invisibile agli occhi, no?».

Assolutamente d’accordo. E i suoi occhi verdi, inquieti, rivolti altrove rispetto ai nostri, sono molto belli. Quindi li ringrazi, i due geni sballati?

«Sì, insieme ai geni del talento che ho ereditato dai miei».

Il tuo suona come un destino preciso al millimetro. Dai geni giusti alla casa giusta per dedicarti tutta alla musica.

«Sono stata fortunata. In un’altra famiglia forse avrei fatto più fatica, la mia gavetta sarebbe partita da zero, però, alla fine it is what it is. E io sono musica musica musica».

La tua preferita?

«Quella di Oren Lavie, un cantautore israeliano che ho conosciuto da bambina tramite mio papà e da subito ho cominciato a cantare i suoi pezzi. Adesso Oren scherza, dice che se continuo così lo farò diventare famoso in Italia. Siamo arrivati al punto che gli dispiace non far uscire abbastanza musica da permettermi di eseguire sempre nuove cover. Lui ha fatto due dischi in dieci anni, io vado molto più veloce».

Altri artisti che ammiri?

«Per la genialità musicale, Jacob Collier. I Beatles sono la band più grande. Di italiani, grazie ai miei nonni, mi sono appassionata a Shapiro e Vandelli. Ma ascolto anche la musica di adesso: la tecnica vocale di Ariana Grande è un mistero che voglio risolvere».

«MENTRE CANTAVO AL QUIRINALE, A UN CERTO PUNTO, NON MI RICORDAVO PIÙ LE PAROLE. È STATO IL PANICO: E ADESSO CHE FACCIO?»

La notorietà è arrivata come un vento inaspettato tramite due esibizioni a un mese e mezzo di distanza l’una dall’altra che ci hanno preso un po’ tutti alla sprovvista e lasciato una profonda meraviglia. Quando Frida ha suonato Hallelujah di Leonard Cohen e A quarter past wonderful del suo amato Oren Lavie a Via Dei Matti n°0, papà e Valentina Cenni sembravano molto più emozionati di lei, che invece pareva assolutamente a suo agio.

Anche al Quirinale, interpretando l’Inno di Mameli, La cura e Caruso, irradiava sicurezza. Era solo una mia impressione? Provavi ansia per la visibilità improvvisa?

«Da mio papà l’atmosfera era così familiare che mi sentivo a casa. Non immaginavo la visibilità che mi avrebbe portato, quindi non mi ha creato problemi. È avvenuto tutto dopo, in pochi minuti. Ho finito la diretta e subito i miei social sono esplosi, hanno iniziato a chiedermi un sacco di interviste! – Frida sorride come se ne fosse ancora stupita –. Invece al Quirinale ero agitata. Era la prima volta che suonavo davanti a un pubblico dall’ottobre 2020. Pensavo: oddio, suono davanti al presidente della Repubblica! C’erano anche degli studenti e sentivo la responsabilità di mandare loro un messaggio positivo...».

Quale?

«… Di non mollare, non arrendersi. Soprattutto in questo periodo, dopo il lockdown e tutto quello che abbiamo passato. E insomma c’era il Presidente, c’erano tutti questi ragazzi… Durante La cura, a un certo punto, non mi ricordavo più il testo. È stato il panico. C’era una pausa, per fortuna. Ho pensato: e adesso come vado avanti? Strappo tutto. Non posso mica ricominciare. O chiedere: chiudete il sipario, per piacere. Tempo due secondi la memoria è tornata. E adesso quella pausa dilatata mi piace talmente tanto che la faccio sempre durante i miei concerti».

Dopo questa confessione andrò a riguardarmi il video sul web. Troverò un’unica pausa brevissima che suonerà del tutto congeniale all’esecuzione, e Frida ispirata: imperturbabile.

«Ero convinta di aver fatto una faccia tremenda…».

Non vedere, ma sentire: il pubblico, gli altri. Non avere pregiudizi per come ci si veste e ci si atteggia. Accedere direttamente alla voce delle persone senza passare per l’esteriorità. Provo a immaginare come sia, e forse è come leggere: non vedi i corpi, ma subito i pensieri, i sentimenti delle persone.

«MI SENTO UNO SPIRITO LIBERO, QUANDO SUONO PARTO PER IL MIO MONDO. POTREI AVERE SUCCESSO O NO, NON CAMBIEREBBE NULLA»

«Non mi è mai importato dell’esteriorità. Non sono una fan del trucco e parrucco, delle foto: non capisco nemmeno se siano utili. Vorrei suonare e basta, concentrarmi sull’essenziale. E qui il discorso potrebbe farsi molto ampio e riguardare anche… – Frida lo grida in falsetto e scoppia a ridere –. I ragazzi! No, non c’è niente da dire. Solo che la sottoscritta si innamora del carattere. Di più, credo di potermi innamorare solo di un musicista. Anche se dicono che due musicisti insieme non funzionano, e io ne ho la prova perché i miei si sono separati. Però voglio smentire questo pregiudizio ».

A proposito di smentire pregiudizi, come si vive in una famiglia allargata?

«Bene. Sono stata particolarmente fortunata perché mio padre si è risposato con Valentina Cenni, una delle mie migliori amiche adulte. L’unico problema è che non è facile trovarsi perché siamo tutti sempre in giro a destra e a sinistra. Ma tradizione vuole che il Natale lo festeggiamo a casa Magoni e Santo Stefano, dato che è l’onomastico di papà, a casa Bollani».

I tuoi due cognomi te li tieni stretti?

«Non posso essere solo Bollani o solo Magoni. Il mio nome è quello di tutti e due. Come io sono figlia di entrambi nella vita e nella musica».

Ogni tanto qualcuno si affaccia in camerino, compresa Petra Magoni che sorride e non vuole disturbare, solo sapere se c’è bisogno di qualcosa. Frida le chiede un altro pacchetto di patatine. Percepisco le voci aumentare fuori dalla porta. So che lei deve provare e io devo darmi una mossa, anche se avrei molte altre domande per questa ragazza tutta protesa in avanti.

Come immagini il tuo futuro?

«Pieno di concerti. Mi sento uno spirito libero, voglio essere sempre in viaggio e incontrare persone nuove. Quando suono, parto per il mio mondo. Sono libera e me stessa. Potrei avere successo o non averlo, non cambierebbe nulla. La musica è la vita, punto».

La porta si apre con decisione, la chiamano e Frida si alza. È arrivato il momento che le parole lascino spazio alle note. La mamma, gli adulti che la seguono in ogni concerto, la accompagnano giù, in una grande sala che vede al centro un imponente pianoforte a coda. M’infilo tra loro, voglio sentirla suonare dal vivo per la prima volta. Frida prende posto. La sua impazienza si respira nell’aria, è tangibile: la stessa di ogni adolescente innamorato di qualcosa. Inizia, poi si accorge di avere ancora i capelli sciolti allora si interrompe e chiede alla madre di legarglieli. Petra accorre, glieli raccoglie stretti in cima alla testa. Riesco a captare i modi e la tenerezza di quella presenza di cui sua figlia mi ha tanto parlato: una madre complice, non ingombrante. Un angelo custode che si prende cura del talento lasciandolo libero di esprimersi. Frida ricomincia. Esplode nella sala con Halleluiah.

Ascolto l’irruenza dei suoi diciassette anni, la forza con cui vuole prendersi il futuro. Senza perdere tempo a chiedersi il perché e il per come. «Sono nata così», «la mia strada è questa»: Frida è assoluta. E io mi rendo conto che la vita è anche un atto di fede. Chi siamo, un desiderio. Lo sentiamo pulsare, lo scegliamo, lo pretendiamo. Ci incamminiamo risoluti lungo il percorso, con la certezza che di questo si tratta: non vincere, non fallire. Solo amare spudoratamente, tenacemente, quello che ci fa sentire vivi.

di Silvia Avallone

martedì 21 dicembre 2021

Via libera anche al Senato per la Legge Delega sulla Disabilità

Superando del 21/12/2021

ROMA. Dopo il voto unanime della Camera, dunque, di cui avevamo riferito nelle scorse settimane, è arrivato quello del Senato, anch’esso all’unanimità, rendendo definitiva l’approvazione del Disegno di Legge Delega al Governo in materia di disabilità, prodotto dal Consiglio dei Ministri il 27 ottobre scorso, secondo gli impegni assunti dall’Italia nell’àmbito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Lo stesso Disegno di Legge Delega, infatti, è una delle riforme previste dal PNRR nella Missione 5, Componente 2 (Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore).

Come riportato dalla testata «Vita», intervenendo al Senato durante il dibattito sulla stessa Legge Delega, la ministra per le Disabilità Erika Stefani ha voluto sottolineare la necessità di un «cambiamento vero nella visione del mondo delle disabilità», aggiungendo, poi, rispetto al tema delle risorse, che «le riforme e gli interventi non camminano se non sulle gambe delle risorse. In tal senso vi è uno stanziamento predisposto per questa Legge Delega, riguardante in particolare i Nuclei di Valutazione Multidimensionale e Multidisciplinare, ma sono certa che nel momento in cui partirà il volano del mondo delle disabilità, tutti i Governi a venire e chi deciderà delle future Leggi di Bilancio terranno in debita considerazione un sistema che dovrà essere sottratto al pietismo e alla “donazione di Natale”, ma che deve poter contare su risorse strutturali e fondamentali».

Dal canto suo, Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), ribadendo il favore già espresso in sede di approvazione da parte della Camera, «per questo ulteriore passo avanti verso un nuovo approccio al mondo delle disabilità», si dichiara ora soddisfatto nel vedere «questi risultati, che sono anche frutto del nostro impegno, concretizzatosi sin dalla pubblicazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tramite un’ampia documentazione, scaturita da un fitto e acceso dibattito con tutte le nostre componenti e da una costante interlocuzione con la ministra Stefani».

«Ora – aggiunge – ci aspetta il lavoro che dovrà portare entro venti mesi ai Decreti Attuativi del Disegno di Legge, dando corpo e sostanza ai princìpi affermati da quest’ultimo, un lavoro che dovrà far cogliere al meglio questa che riteniamo un’occasione da non perdere».

«E in questo momento in cui plaudiamo all’assunzione di responsabilità da parte di Camera e Senato – conclude – non possiamo a nostra volta non ricordare quanto sia urgente lavorare per cambiare realmente una società in cui i diritti umani delle persone con disabilità sono ancora troppo spesso calpestati. Lo dimostrano periodicamente fatti terribili quale la situazione di violenze e maltrattamenti emersa proprio nei giorni scorsi in una struttura residenziale della Sicilia, vicenda che temiamo possa non essere isolata e riguardare altre strutture del nostro Paese. Nei prossimi mesi, dunque, tra i nostri principali punti di riferimento vi sarà certamente l’impegno per una società in cui le persone con disabilità diventino effettivamente soggetti portatori di diritti, decidendo dove, come e con chi vivere, con l’avvio, nei fatti, di un percorso di deistituzionalizzazione». (S.B.)

lunedì 20 dicembre 2021

Opportunità di Formazione e Lavoro – Progetto Pilota

L’Istituto dei Ciechi di Milano ha avviato una collaborazione con le società CloudResults e Salesforce per la formazione di persone cieche o ipovedenti al fine di svolgere attività professionali necessarie a modellare soluzioni CRM assecondando i processi aziendali e integrando il CRM con il sistema ERP (Enterprise Resource Planning - ambiente integrato di gestione).

CloudResults è una società che opera nell’ambito della digitalizzazione dei processi (Informatica, Cloud Computing, CRM Platform – Customer Relationship Management); Salesforce è proprietaria di una soluzione CRM (Salesforce) interamente basata su cloud che permette alle aziende di connettersi con i clienti in un modo completamente nuovo nel marketing, nelle vendite, nell'e-commerce, nel servizio clienti.

Tale iniziativa richiede un periodo di formazione/addestramento di alcuni mesi seguiti da un percorso di specializzazione sul campo che porta una persona ad acquisire familiarità e competenze rispondenti ad una forte domanda del mercato lavorativo.

Si riscontra infatti una importante richiesta di specialisti in digitalizzazione delle attività aziendali; questa richiesta si articola in vari filoni di tecnologia associati a marchi di produttori leader nei propri settori di vocazione.

Uno di questi filoni di tecnologia è associato all’implementazione di soluzioni informatiche basate su piattaforma CRM di Salesforce.

Le attività che è necessario svolgere per tali progetti possono essere realizzate quasi totalmente da remoto.

Il percorso di autoapprendimento assistito si svolgerà on line in lingua tassativamente inglese. L’Istituto dei Ciechi e CloudResults svolgeranno funzioni di assistenza e di integrazione alla formazione.

Al termine del percorso sarà favorito l’inserimento in un team operativo per la successiva fase di specializzazione (training on the job) prevedendo una assunzione con contratto a tempo indeterminato.

Prerequisiti e selezione

Al progetto pilota possono partecipare fino a 3 candidati da avviare ad un primo corso che inizierà il 24 gennaio p.v. e durerà 6 mesi.

Gli aspiranti partecipanti dovranno possedere:

• eccellente conoscenza della lingua inglese;

• conoscenze informatiche e di programmazione a livello di diplomato o laureato in informatica;

• soft-skills (molto graditi) quali: ottime capacità comunicative (verbali e scritte), determinazione nella risoluzione dei problemi, adattabilità, atteggiamento maturo e serio, auto-motivazione, capacità di leadership, spiccata etica lavorativa e integrità.

Tempi e modi

I candidati dovranno far pervenire la propria adesione allegando il CV alla mail sportello.lavoro@istciechimilano.it entro il 16 gennaio 2022. Seguiranno colloqui di selezione.

Nel Curriculum Vitae occorre riportare testualmente in calce le due seguenti diciture:

“Ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2020 n. 445, consapevole delle sanzioni penali per dichiarazioni mendaci, falsità in atti e uso di atti falsi, così come disposto dall’art. 76 del citato D.P.R. 445/00, sotto la mia responsabilità, dichiaro che quanto asserito nel presente Curriculum Vitae corrisponde al vero”.

FIRMA DATA

“Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” e del Regolamento Generale sulla Protezione Dati – GDPR – Regolamento UE 2016/679.”

FIRMA DATA

Costi

Tutti i costi per la formazione e l’assistenza verranno coperti dall’iniziativa in oggetto.

domenica 19 dicembre 2021

«Ero pieno di rabbia, è diventata energia: Eliot è l'amico che mi presta i suoi occhi»

L’Eco di Bergamo del 19/12/2021

BERGAMO. Eliot, il cane guida - un giovane Labrador biondo -, cammina accanto a Claudio Mapelli, non vedente, presidente dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (UICI) di Bergamo, mantenendo il suo passo con naturalezza. Procedono insieme, allo stesso ritmo, superando incroci e scalini, salendo e scendendo dai marciapiedi lentamente ma senza incertezze. Si vede subito che fra loro c'è un legame profondo di fiducia e di lealtà. «Eliot rappresenta i miei occhi - sorride Claudio - mi permette di muovermi autonomamente». Ogni giorno percorrono lunghi tratti a piedi: «Abito a Calusco d'Adda - spiega - e la stazione dista oltre due chilometri da casa mia, per raggiungerla devo attraversare da nord a sud tutto il paese, comprese una strada provinciale, una piazza, diversi semafori. Poi salgo sul treno per scendere alla stazione di Bergamo. Da lì raggiungo a piedi la sede dell'associazione in via Diaz, davanti al parco Locatelli. Ho lavorato per tanti anni in centro e sono sempre andato in ufficio in questo modo». Avere accanto il cane guida gli permette una maggiore autonomia: «La sua presenza è essenziale, mi permette di muovermi agevolmente da solo. Se dovessi seguire gli stessi itinerari affidandomi soltanto al bastone, impiegherei il doppio del tempo, invece il cane mi aiuta molto nell'individuare e superare gli ostacoli». Claudio ha vissuto i suoi primi vent'anni con spensieratezza, da «normodotato»: «Sono nato a Medolago, ho 69 anni e ho avuto una vista perfetta fino a vent'anni. Ho seguito un percorso di formazione professionale come disegnatore meccanico e lavorato in un'azienda metalmeccanica. Mi piaceva molto giocare a calcio, uscivo con gli amici e mi divertivo. Tra le mie grandi passioni c'era anche la caccia, che praticavo con alcuni amici». È stato proprio un colpo accidentale esploso in volto che a vent'anni lo ha privato della vista. Ricorda con precisione quel giorno, nonostante sia passato molto tempo, perché in un attimo la sua vita ha cambiato direzione: «Era il 10 settembre del 1972 - racconta -. Ci trovavamo a trecento metri da casa mia, inseguendo dei fagiani, eravamo su un terreno incolto e abbiamo circondato una siepe. Nella confusione sono finito nella traiettoria di un fucile, così sono stato ferito gravemente. Quel giorno sono precipitato nel buio, in modo imprevisto e per sempre». L'hanno ricoverato d'urgenza agli Ospedali Riuniti di Bergamo, dove è poi rimasto per tre mesi. Una svolta inattesa, aspra e traditrice, che l'ha proiettato lontano dai suoi progetti, dai suoi sogni e dalla vita che si era costruito: «Ho dovuto rimboccarmi le maniche e tornare sui banchi di scuola. Ho imparato il Braille e mi sono dato da fare per imparare un altro mestiere, perché non potevo più proseguire con quello di prima. Ho seguito un corso per diventare centralinista telefonico a Brescia». Accettare le conseguenze dell'incidente, secondo Claudio, «è stato come superare un lutto, e ci sono riuscito grazie alla mia famiglia e alla mia fidanzata Mariangela, che non mi ha mai lasciato da solo. Ci sono voluti due anni, durante i quali ho tentato di tutto per recuperare la vista, perché non riuscivo a rassegnarmi e speravo in un miracolo. Mi sono rivolto ad altri ospedali italiani e poi alle principali strutture di tutta Europa. Alla fine mi sono reso conto che purtroppo non c'era alcuna possibilità di recupero. È stato un periodo durissimo».

Energia positiva

All'inizio ha sofferto molto ma ha trovato un maestro e un alleato importante in Francesco Colleoni, anche lui non vedente, che abitava nel suo stesso paese e lavorava nella pubblica amministrazione: «È stato lui ad aiutarmi a stabilire un contatto con l'Unione italiana ciechi di Bergamo, a individuare un corso professionale adatto a me, a offrirmi le indicazioni di base per poter proseguire la mia vita affrontando in modo positivo la mia nuova condizione. Ho ricevuto un grandissimo aiuto dall'associazione. Una volta superato il periodo più doloroso sono riuscito a trasformare la rabbia in energia positiva, con la voglia, la determinazione di riprendere. Ho vissuto a livello personale un'esperienza vicina a quella che abbiamo sperimentato in modo collettivo con il Covid, costretti a stare fermi per un po’, ma poi pieni di entusiasmo e di ribellione, pronti a darci da fare per recuperare il tempo perso». Come un bruco rompe il bozzolo per diventare farfalla, così Claudio alla fine ha trovato la strada giusta per la sua metamorfosi personale: «Mi sono adattato e a 25 anni mi sono sposato con Mariangela. Ci conosciamo da sempre: ci siamo incontrati a 15 anni durante un torneo di calcio, una passione condivisa. Lei giocava nella squadra del Lecco, io in quella del mio paese. Da un incontro casuale è nato un legame che dura da tutta la vita e ha affrontato tante tempeste, uscendone rafforzato». Claudio e Mariangela hanno avuto due figli, Federica e Luca: «Entrambi oggi hanno una propria famiglia e abitiamo tutti vicini. Ho anche una nipotina, Arianna, di 7 anni, di cui sono molto orgoglioso. Spero che ne arrivino anche altri, perché mi piace molto fare il nonno». Ottenuto l'attestato di «operatore telefonico e centralinista» Claudio ha trovato un impiego nella pubblica amministrazione, all'Agenzia delle entrate, dove è rimasto fino alla pensione nel 2016. Nel frattempo ha proseguito anche nell'impegno associativo: «Sono impegnato nell'Unione italiana ciechi dal 1974, nel 1978 sono entrato nel consiglio direttivo a livello provinciale. Sono stato vicepresidente per tre mandati, ora sono al secondo come presidente». Proprio in virtù di questa attività rivolta al prossimo, affiancando altre persone con problemi affini ai suoi, nel 2016 ha ottenuto anche la nomina di Cavaliere della Repubblica per meriti di lavoro e associativi. «Ho sempre creduto nell'associazione, che considero come una seconda famiglia, e fin dall'inizio mi sono impegnato molto in essa. Mi sono appassionato in particolare alle questioni legate al lavoro: non è facile trovare strade di vera inclusione, nel tempo ci siamo impegnati a farlo in modi diversi, creando fra l'altro la cooperativa "La sfida", finalizzata in modo specifico all'inserimento lavorativo di persone non vedenti, che ora ha 15 dipendenti». Poche settimane fa nella sede dell'associazione è stata inaugurata anche una nuova sala polivalente, attrezzata per accogliere incontri di formazione e attività d'intrattenimento, arricchita anche da un ambulatorio medico specialistico, che farà da coordinamento per tutti i controlli, le visite, il sostegno necessario alle persone non vedenti. Claudio ha accolto il suo primo cane guida nel 1973, un anno dopo l'incidente: «Era un pastore tedesco - racconta - e veniva dalla scuola nazionale di Scandicci, vicino a Firenze. Si è rivelato fin dall'inizio un aiuto preziosissimo. Ogni cane guida può svolgere il suo compito per dieci-undici anni, ma rimane come membro a pieno titolo della famiglia per tutta la vita. Ora nella sua casa oltre a Eliot c'è anche Ghea, che ha 13 anni e mezzo e non ha più la responsabilità di accompagnarlo. Bisogna prendersi buona cura di questi cani, spazzolarli, nutrirli, non sono sicuramente inerti come il bastone, che una volta a casa si ripone nella cassapanca. Quando sono a casa lascio Eliot libero di muoversi all'interno o in giardino, in modo che possa godersi anche momenti di gioco e di riposo come un qualsiasi animale da compagnia». Attualmente Claudio Mapelli è rappresentante lombardo per i cani guida: «La richiesta attualmente in Italia è di 350 cani all'anno, ma ce ne vogliono almeno due prima che un cucciolo sia addestrato e pronto, e le scuole esistenti non sono in grado di ultimare questo percorso per più di un centinaio di esemplari ogni anno, e questo allunga molto le liste d'attesa». Tanto che lo stesso Claudio è stato costretto a rivolgersi all'estero, in Svizzera, per poter avere con sé un cane con un tempo d'attesa ragionevole, che alla fine è stato comunque di otto mesi. «Ogni anno - sottolinea - a Bergamo promuoviamo una manifestazione, la "Corridog" proprio per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza dei cani guida per i ciechi e per stimolare il potenziamento delle scuole di addestramento».

Rapporto di fiducia

Questi cani straordinari sono protagonisti anche del calendario 2022 dell'associazione UICI, corredato da suggestivi scatti fotografici. «Nella provincia di Bergamo sono 24, ed è uno dei capoluoghi in cui il loro numero è più alto. Gli istruttori li accompagnano a destinazione in modo da aiutarli ad ambientarsi nei primi giorni, ma ciò che conta, poi, è creare un rapporto di fiducia tra il cane e il conduttore, perché nasca un buon feeling». Eliot accompagna Claudio ovunque, è un «angelo custode» che abbatte le barriere e gli consente una vita serena, fatta di impegni, spostamenti, incontri, divertimento. Ha una struttura massiccia, ma come tutti i Labrador è un cane mansueto, dall'indole giocosa, che non incute timore: «È più grande rispetto ai mie precedenti cani guida - sottolinea Claudio - e sui pullman spesso le persone mi chiedono permesso per passare, ma non fa paura, è un gigante buono color miele. Anche questo è importante, perché se il cane incutesse timore accentuerebbe le differenze che già sono innescate dalla disabilità visiva. Sui mezzi pubblici Eliot richiama sempre l'attenzione e le coccole dei passeggeri. Tanti si fermano, mi fanno domande, lo accarezzano. Così anche lui, inconsapevolmente, facilita le mie relazioni con il mondo e diventa strumento di inclusione, un ambito in cui sono stati fatti molti passi avanti, ma in cui c'è ancora tanto da fare».

sabato 18 dicembre 2021

«Da non vedente, ho scolpito l’uomo della Sindone»

La nuova bussola del 18/12/2021

Un'opera artistica e un'opera di fede: è la scultura Ecce homo secondo la Sindone, realizzata dall'artista non vedente Andrea Bianco dopo aver ascoltato una conferenza sulla Sindone della professoressa Emanuela Marinelli. «Volevo rappresentare correttamente ciò che Gesù ha patito»

L’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ha festeggiato i quindici anni dall’inaugurazione della sua Mostra Permanente della Sindone. Lo ha fatto accogliendo al suo interno un’opera più unica che rara: la rappresentazione del volto dell’Uomo della Sindone, realizzata dallo scultore non vedente di Bolzano Andrea Bianco. L’opera, denominata Ecce Homo secondo la Sindone, è stata realizzata sotto la supervisione della sindonologa Emanuela Marinelli, ed è stata presentata sabato scorso al Regina Apostolorum, alla presenza dell’artista, della professoressa Marinelli, di padre Rafael Pascual LC, direttore di Othonia (associazione internazionale che promuove la conoscenza della Sindone nel mondo), di Giuseppe De Micheli, già segretario generale dell’Opera di Santa Croce di Firenze, e di padre Michael Ryan LC, cappellano della Regina Apostolorum, che ha benedetto l’opera inaugurata. In videoconferenza ha inviato i suoi saluti Bruno Barberis, direttore del Centro di Sindonologia di Torino.

Quella di Andrea Bianco è un’“opera artistica ma anche scientifica”, ha affermato la professoressa Marinelli. È inoltre “un’opera di fede”, ha aggiunto la sindonologa, “un’opera viva, che parla e da cui non si può distogliere lo sguardo”.

Con Ecce Homo, l’autore ha mostrato qualcosa che vuol essere come un “pugno nello stomaco”, mostrandoci com’è diventato Gesù “per colpa nostra” e dei nostri peccati. Uno sprone a domandarci se, davanti alla Passione, vogliamo essere “Giuda o il Cireneo”, “come Giovanni e Maria o come quelli che volevano insultarlo”, come “il buon ladrone e il cattivo ladrone”.

A margine dell’incontro, Andrea Bianco ha raccontato alla Nuova Bussola Quotidiana la sua esperienza di vita e lo spirito che anima la sua arte.

Andrea Bianco, come nasce il suo approccio alla scultura?

Nel 2010, navigando su Internet, scoprii che i non vedenti possono lavorare l’argilla. Da quel momento iniziai a modellare l’argilla io stesso, passando poi al marmo, al legno e al bronzo. Con il legno ho fatto tre anni di formazione con uno scultore tedesco in Germania: lui pensò semplicemente a insegnarmi qualche taglio, a riprodurre forme piane, concave e convesse ma da lì ho imparato a scolpire il legno, utilizzando solamente tatto e udito. È stato quindi un grande arricchimento reciproco.

In seguito, si è anche impegnato per la promozione di percorsi tattili nei musei, per persone non vedenti…

Di musei con questi percorsi, in cui è permesso ai non vedenti di toccare le sculture, ne stanno nascendo molti. È sicuramente un passo importante, tuttavia non esiste una vera formazione artistica per i non vedenti che vogliano imparare a scolpire. In questo ambito sto spingendo molto, anche in prima persona.

Cosa l’ha spinta a realizzare un’opera così impegnativa come Ecce Homo secondo la Sindone?

L’idea è nata dopo la mia partecipazione a due conferenze della professoressa Marinelli: la prima riguardava l’intero corpo della Sindone, nella seconda si analizzava nello specifico il volto dell’uomo della Sindone. La spiegazione mi aveva profondamente colpito. Ho quindi compreso che dovevo realizzare quest’opera, che di per sé è quasi una follia, in primo luogo perché bisogna trasformare un’immagine bidimensionale in tridimensionale, il che è già di suo non semplice, tanto più per una persona non vedente, che non ha mai visto la bidimensionale. Dirò di più: dal punto di vista logico è impossibile! Per quello che mi riguarda, però, più un obiettivo è difficile, più mi stimola e diventa una sfida. Ho quindi contattato la professoressa Marinelli, la quale, ogni giorno, attraverso messaggi su WhatsApp, mi ha guidato in questo lavoro, spiegandomi come trasformare un soggetto normale, semplice ed anatomicamente corretto in un’opera che fosse il più simile possibile a ciò che la Sindone ci trasmette. L’uomo della Sindone, ad esempio, ha il naso schiacciato e piegato di fianco, un occhio è tumefatto, manca un lembo della barba. Altra caratteristica è il colpo di lancia e di bastone sullo zigomo. Sulla fronte, c’è un rivolo di sangue a forma di numero tre. La corona di spine, infine, è un vero e proprio casco. La Sindone, quindi, ha caratteristiche ben precise e ho cercato di riprodurle, per far sì che vengano restituite le indicazioni della sofferenza di Cristo nella Passione.

La professoressa Marinelli ha definito la sua scultura un’“opera di fede”…

Direi che è soprattutto un’opera di fede. Poi, può anche essere considerata un’opera d’arte ma sono certo vi siano tanti artisti che hanno rappresentato Gesù meglio di me… Il mio scopo, comunque, non era tanto quello di realizzare un’opera “bella”, quanto un’opera che rappresentasse correttamente ciò che Gesù ha patito.

Lei è sempre stato un uomo di fede?

Prima dell’incidente in cui io persi la vista (avvenne nel 1991, avevo 21 anni), di fede non ne avevo proprio. Credo che quell’incidente sia stato voluto da Dio, perché un suo figlio si stava perdendo per strada e Lui voleva rimetterlo in carreggiata. Ho sempre visto in quell’incidente un atto di grande misericordia.

Le sue opere hanno anche una funzione evangelizzatrice?

Non realizzo soltanto opere sacre, molte sono a sfondo “laico”. Il mio scopo, comunque, è sempre quello di arricchire umanamente, emotivamente e spiritualmente le persone, perché, secondo me, fondamentalmente l’arte nasce con questo obiettivo. Oggi, è vero, assistiamo alla deriva di un’arte gridata, “graffiata” e mescolata al business. Rimango, però, dell’idea che, sia attraverso l’arte sacra in senso stretto, sia attraverso l’arte profana, le persone possano alzare lo sguardo. Ho incontrato persone che, dopo aver visitato una mia mostra, mi hanno domandato: lei ha fede? Io della mia fede nemmeno gliene avevo parlato ma loro l’avevano percepita. Anche quando realizzo sculture di soggetti femminili, non mi interessa che esaltino l’aspetto estetico o esteriore della donna. Al contrario, io le impoverisco esteriormente, per far sì che sia messa in risalto la parte interiore della donna, che rivela quelle caratteristiche che l’uomo non ha: spiccata sensibilità, delicatezza, emotività. Tutto questo è importante portarlo alla ribalta, specie in un momento storico in cui, più che mai, la donna è strumentalizzata e banalizzata.

Ha già in cantiere nuovi progetti?

Il bozzetto di questo lavoro andrà presto al Museo dei Bozzetti di Pietrasanta. Di opere ne ho in mente tante, per ora posso dire che la mia collaborazione con la professoressa Marinelli sta proseguendo e che, in tempi brevi, vi riserveremo una nuova sorpresa.

Ecco come la vista e l'udito interagiscono nel cervello

Il Tirreno del 18/12/2021

Lo studio di Berto, Ricciardi, Pietrini e Bottari, pubblicato sulla rivista iScience, è stato realizzato con la collaborazione dell'Unione dei ciechi e degli ipovedenti.

LUCCA. Per riconoscere e distinguere i suoni tipici dell'ambiente quotidiano, molto spesso la vista è il nostro migliore alleato. Basti pensare a quanto risulti più difficile comprendere un interlocutore che parla dietro una mascherina. Ma che cosa succede all'udito quando la vista è assente?

Un gruppo di ricercatori del Molecular Mind Laboratory della Scuola IMT Alti Studi Lucca - Martina Berto, Emiliano Ricciardi, Pietro Pietrini e Davide Bottari - ha utilizzato una metodologia innovativa per mettere in luce aspetti ancora sconosciuti dell'interazione tra udito e vista. I ricercatori hanno così scoperto che, per una parte della nostra vita, alcuni aspetti dell'elaborazione dei suoni non necessitano dell'aiuto della vista per riconoscere la realtà circostante.

Tuttavia, ad un certo punto dello sviluppo, vista e udito interagiscono a tal punto che, se la vista viene meno, il cervello è "costretto" a riorganizzarsi per compensarne la perdita.

Lo studio, dal titolo "Le interazioni tra l'elaborazione delle statistiche uditive e l'esperienza visiva emergono solo nel tardo sviluppo", è stato pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista scientifica iScience ed è stato realizzato grazie alla collaborazione di volontari dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, del cui prezioso contributo la Scuola IMT si avvale da tempo.

In particolare, sono stati coinvolti tre gruppi di persone: vedenti, non vedenti dalla nascita e persone che hanno perso la vista nel corso della vita. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti all'ascolto di suoni provenienti dall'esperienza comune (la pioggia, il crepitio del fuoco, le cicale, il traffico, il cinguettio degli uccelli), suoni che, in questo caso sono stati però creati artificialmente in laboratorio, grazie all'uso di un algoritmo. Una sorta di "cervello artificiale" che, tenendo conto del modo in cui il cervello umano processa le informazioni acustiche, ha portato all'elaborazione di suoni sintetici del tutto simili a quelli naturali. Una metodologia che ha permesso, quindi, di studiare alcuni processi basilari messi in atto dal nostro cervello durante l'ascolto, con un grado di controllo senza precedenti.

Ai volontari è stato chiesto di individuare le differenze fra i suoni proposti, date in un primo esperimento da variazioni in piccoli dettagli acustici, nel successivo dalla loro diversa provenienza, come nel caso di una cascata d'acqua e di applausi scroscianti. Vedenti e non vedenti dalla nascita hanno eseguito entrambi i test nello stesso modo, dimostrando che i processi uditivi coinvolti in questo tipo di compiti non hanno bisogno della visione per svilupparsi.

Sorprendentemente, invece, le persone che hanno perso la vista ad un certo punto della vita hanno mostrato di usare le informazioni acustiche in modo diverso dagli altri, attribuendo poca importanza ai dettagli e focalizzandosi piuttosto sull'identità generale dei suoni. I risultati ottenuti hanno quindi portato i ricercatori a concludere che, nonostante questi processi acustici di base si sviluppino indipendentemente dalla vista, essa può modificarli nel corso della crescita.

Ciò emerge qualora la vista venga a mancare, una forma di adattamento che consente alla persona divenuta cieca di identificare il più rapidamente possibile, mediante l'udito, gli oggetti e gli eventi circostanti in assenza degli indizi visivi che prima ne supportavano il riconoscimento. Lo studio ha permesso di svelare in maniera sistematica e controllata la profonda interazione tra vista e udito e come essa si affini nel corso dello sviluppo, oltre ad aprire importanti prospettive per future ricerche e fornire spunti per lo sviluppo di nuovi strumenti volti a favorire l'accessibilità e una sempre maggiore indipendenza delle persone non vedenti.

«Molti studi sono già stati condotti per valutare gli adattamenti del sistema uditivo in caso di cecità. Questa ricerca è la prima a combinare metodi computazionali che consentono di ingegnerizzare suoni sintetici che corrispondano ai suoni del mondo reale e quindi di controllare con precisione le proprietà statistiche dell'input sensoriale, con lo studio di individui con sviluppo sensoriale tipico e atipico», afferma Davide Bottari, autore dello studio e ricercatore in Neuroscienze cognitive presso la Scuola IMT. La metodologia utilizzata, spiegano i ricercatori, potrà essere impiegata in futuro anche per indagare il funzionamento degli altri sensi. «In linea con i dati acquisiti in due decenni di ricerca, questi risultati indicano che la visione non è obbligatoria per lo sviluppo di diversi aspetti dell'organizzazione funzionale del cervello, come rivelato da precedenti studi del nostro laboratorio che indicano una natura sovra-modale di parte dell'architettura cerebrale», conclude il professor Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare e Direttore del Molecular Mind Laboratory presso la Scuola IMT.

giovedì 16 dicembre 2021

Il Museo Tattile Statale Omero di Ancona apre una nuova sezione “Collezione Design”

Pianeta Salute del 16/12/2021

Una nuova ala del Museo dedicata al design, un luogo multisensoriale dove i visitatori potranno scoprire in maniera interattiva, non solo quindi con il tatto ma con tutti i cinque sensi, gli oggetti iconici della storia del Design italiano, selezionati tra i progetti vincitori e menzionati del Compasso d’Oro.

ANCONA. Sabato 18 dicembre alle ore 17:00 presso l’Auditorium “O. Tamburi” della Mole Vanvitelliana inaugura una nuova sezione del Museo Tattile Statale Omero dedicata al Design.

Lo spazio che ospiterà la “collezione Design” si trova proprio all’ingresso Mandracchio della Mole con un’entrata separata. La filosofia che sottende alla sua creazione, però, è la medesima del Museo Omero: sarà un luogo multisensoriale dove scoprire, in maniera libera e interattiva, la bellezza degli oggetti e il pensiero che li ha prodotti. Trentadue oggetti che chiedono di essere toccati, ascoltati, manipolati, in un percorso che li organizza per temi: viaggiare, abitare, cucinare, lavorare, giocare.

Sono oggetti di Design che dagli anni ‘60 hanno vinto il Compasso d’oro o sono stati selezionati per il premio, diventando icone di culto: dalla Moka Bialetti alla radio Cubo della Brionvega, dalla sedia Ghost della Kartell alla macchina da scrivere Valentine della Olivetti, dai 16 animali di Danese alla Vespa Piaggio.

Come sottolinea il curatore dell’allestimento Fabio Fornasari: “Le cose ci parlano attraverso i loro linguaggi che non sono necessariamente visivi e che agiscono anche sulle nostre emozioni. Come per l’arte anche il design è una ricerca continua che opera nella forma, nel contenuto e nella materia. Con questa collezione il museo Omero allunga la mano su una selezione di trentadue oggetti, trentadue variazioni di design“.

L’idea dunque sottesa a questa collezione è ribadire la centralità della tattilità, della sensorialità e delle sinestesie per rileggere il nostro modo di abitare e per apprezzare la qualità degli oggetti esposti, offrendone soprattutto un’analisi di natura esplorativa e concettuale in relazione con le aziende produttrici, i collezionisti, con i designer.

L’allestimento, che sfrutta un lungo bancone per gli oggetti più piccoli e isole espositive per quelli di maggiori dimensioni, nasce con l’intento di mostrarne il viaggio dai negozi alle nostre case: la scatola, la confezione diviene così un elemento scenografico e narrativo. A completare il racconto degli oggetti e dei loro creatori anche le studiate sonorità del sound designer Paolo Ferrario e le parole di Chiara Alessi, docente di Design al Politecnico di Milano.

Un innovativo sistema di audioguida, dotato di segnalazioni vibratili e informazioni acustiche, sarà a disposizione delle persone con disabilità visiva. Il sistema ideato dalla CPU I-Teach, permetterà alle persone non vedenti di vivere in autonomia la collezione.

Come ricorda Aldo Grassini, direttore del Museo Omero, questa sezione nasce proprio da una donazione dell’Associazione per il Museo Tattile Statale Omero ODV-ONLUS ed è dedicata all’ex-direttore del Museo Roberto Farroni, che fortemente l’ha promossa.

La collezione Design sarà, dunque, una casa dove sperimentare con gioia gli oggetti. Ad accogliere il visitatore una grande opera scultorea in terracotta di Paolo Annibali dal titolo Frontone, ad evocare il legame del Design italiano con la classicità. Lungo il percorso sarà presente lo spazio “Fuori tutti”, un luogo del silenzio e dello studio, dove verranno collocate le miniature degli oggetti esposti, miniature da manipolare e su cui meditare in solitaria, una stanza piacevole per tutti e particolarmente funzionale per le persone con neurodiversità.

La nuova sezione del Design rispetterà gli stessi orari di apertura del Museo Omero, mentre l’ingresso sarà a pagamento (5 euro) con le opportune gratuità.

L’inaugurazione, sabato 18 dicembre alle ore 17:00 presso l’Auditorium “O. Tamburi” della Mole, sarà su invito e vedrà tra i presenti: Luigi Gallo, Direttore Generale Musei Marche, Valeria Mancinelli, Sindaco del Comune di Ancona, Paolo Marasca, Assessore alla Cultura del Comune di Ancona, Aldo Grassini, Presidente del Museo Omero, Fabio Fornasari, curatore dell’allestimento, Daniele Bottiglieri, Direttore della CPU I-Teach e Andrea Gioia, Presidente dell’Associazione “Per il Museo Tattile Statale Omero ODV-ONLUS”.