mercoledì 30 giugno 2021

Malattie retiniche rare: nasce una start-up per lo sviluppo della prima retina artificiale liquida

Osservatorio Malattie Rare del 30/06/2021

Il progetto vede coinvolti Alfasigma, Utopia SIS, Istituto David Chiossone e Club202.

Una piccola iniezione di una sospensione di nanoparticelle polimeriche biocompatibili e fotoattive - cioè capaci di reagire allo stimolo luminoso - nell’area retro-oculare. Consiste più o meno in questo la retina artificiale liquida pensata per sostituire i fotorecettori danneggiati e ripristinare la stimolazione dei neuroni retinici che inviano le informazioni visive al cervello. Un’innovazione in grado di cambiare il futuro dei pazienti affetti da cecità parziale provocata da malattie degenerative della retina, fra cui la retinite pigmentosa.

Infatti, in patologie come la degenerazione maculare legata all’età e la retinite pigmentosa è la progressiva perdita dei fotorecettori a determinare l’ineluttabile perdita della visione: il ricorso a protesi di ultima generazione si propone di contrastare questa situazione con sistemi che fanno la funzione dei fotorecettori stessi. Ma la soluzione descritta sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Nanotechnology da un gruppo di ricercatori, di cui fanno parte gli italiani Fabio Benfenati, Guglielmo Lanzani e Grazia Pertile, non necessita del ricorso a occhiali, telecamere o fonti di alimentazione e viene somministrata localmente come un farmaco, tramite iniezione, nel corso di un intervento chirurgico breve e minimamente invasivo.

Nel corso dei test pre-clinici il progetto ha prodotto risultati sperimentali talmente promettenti da indurre alla nascita di una start-up, frutto dell’attività di ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’IRCSS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona): infatti, grazie anche alle competenze tecnologiche di Alfasigma, è nata una start-up innovativa allo scopo di sviluppare la retina artificiale liquida: si chiama Novavido S.r.l. e ha alle spalle un progetto di ricerca sviluppato nel corso di 10 anni dal Center for Nano Science and Technology (CNST-IIT Milano), guidato da Guglielmo Lanzani, e dal Center for Synaptic Neuroscience and Technology (NSYN-IIT Genova), guidato da Fabio Benfenati, in collaborazione con Maurizio Mete e Grazia Pertile, primario di oftalmologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

“La nascita di Novavido è un caso emblematico di come la ricerca persegua il fine di migliorare la qualità della vita delle persone, avvicinandosi agli obiettivi di sostenibilità sociale alla quale una società sempre più inclusiva deve puntare. Le tecnologie sviluppate nei nostri laboratori hanno raggiunto un grado di maturità che, unito alle competenze e al lavoro del nostro team per il trasferimento tecnologico, hanno consentito di attirare finanziamenti privati molto importanti”, ha commentato Giorgio Metta, Direttore Scientifico dell’IIT. “L’Istituto dimostra così di realizzare in pieno la sua doppia missione: svolgere attività di ricerca di alto livello di rilevanza internazionale e trasferire i frutti dell’attività scientifica sul mercato, impattando concretamente sul tessuto sociale del nostro Paese favorendone lo sviluppo economico”. Da sempre l’Istituto Italiano di Tecnologia sostiene l'eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata per favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale, concentrando la propria attività su quattro grandi aree scientifiche: la robotica, le scienze computazionali, le tecnologie per la scienza della vita e i nanomateriali.

Novavido SrL ha concluso un contratto di licenza per l’utilizzo dei 3 brevetti depositati durante le attività di ricerca di IIT e dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore e, una volta che la tecnologia sarà validata nei primi test clinici, seguirà i pazienti dalle fasi preliminari alla riabilitazione finale e, nel contempo, continuerà l’attività di ricerca per l’ottimizzazione di questo trattamento e la messa a punto di altre soluzioni per affrontare la varietà di malattie neurodegenerative legate alla visione.

“Siamo molto soddisfatti di avere concluso questa operazione e onorati della fiducia che i partner hanno riposto nel nostro progetto che si propone di trasferire la retina artificiale all’uomo”, hanno dichiarato Giovanni Manfredi, Guglielmo Lanzani e Fabio Benfenati, fondatori di Novavido. “L’interesse suscitato e la caratura dei soggetti coinvolti rappresentano una forte spinta per trasformare Novavido in una realtà di successo. Questa iniziativa è un esempio di sinergia tutta italiana tra attori provenienti da diverse realtà che lavorano per uno scopo comune. È il risultato della collaborazione tra ricerca pubblica, ricerca industriale, sistema sanitario, esponenti del mondo imprenditoriale e finanziario e associazioni di pazienti”. Un esempio virtuoso da cui ci si augura di ricavare risultati concreti e di grande interesse nei prossimi anni.

Retina Italia onlus, Assia Andrao: “Quant’è faticoso avere come compagno di vita una distrofia retinica”

Salute del 30/06/2021

Il senso di inadeguatezza, la tendenza a isolarsi con il rischio di depressione. E poi le difficoltà a scuola e al lavoro. La presidente dell’associazione di pazienti spiega come si può convivere con le distrofie retiniche e quali sono i problemi ancora da risolvere.

Nessuno meglio di chi vive in prima persona una malattia sa spiegarti cosa si prova, quali sono i bisogni più urgenti, come essere d'aiuto in modo concreto. Per questo "Retina in salute" ha incontrato Assia Andrao, presidente dell'Associazione Retina Italia onlus, che qui ci porta alla scoperta del mondo degli ipovedenti.

Si può convivere con una distrofia retinica? Quali sono le cose che non si possono fare?

Una patologia con conseguenze così gravi non si può accettare mai, ma conviverci devi e puoi. Superando anche un impatto psicologico importante per la famiglia, prima se la diagnosi è fatta ad un minore, e a tutti quando la diagnosi è fatta in età adolescenziale o più avanti. È molto difficile prevedere la progressione della malattia, potrebbe peggiorare velocemente e portare alla cecità in poco tempo o in maniera più lenta passando attraverso le molte fasi di ipovisione. Per questo, non si riesce a programmare la vita con progetti a lungo termine. Ogni scelta viene fatta in funzione della gravità dell’ipovisione. Insomma, per convivere con una distrofia retinica occorre prenderne coscienza, per poter valorizzare le proprie possibilità, ma anche per poter acquisire le capacità e le armi per combattere contro pregiudizi e stereotipi. È un percorso complesso e difficile che non si può fare da soli: avere come compagno di vita una distrofia retinica è certamente molto faticoso, ma il primo passo per conviverci è conoscere la propria malattia.

Comprendere questa malattia non è semplice. Come spiegarla in parole facilmente comprensibili?

Le distrofie retiniche sono patologie rare, degenerative, progressive e come viene spiegato dai ricercatori sono dovute a mutazioni genetiche. I geni che causano le distrofie retiniche sono più di 200 ma queste patologie sono monogeniche quindi si possono manifestare in modo diverso a seconda del gene in causa. Da qui l’importanza, per ogni paziente, di avere la diagnosi corretta attraverso il test genetico. Ci sono forme di distrofie retiniche che si manifestano già in età infantile con conseguenze già molto gravi, come l’Amaurosa Congenita di Leber, che determinano fin da subito il coinvolgimento della famiglia nelle scelte di vita. Ma la maggior parte delle distrofie retiniche come la Retinite Pigmentosa o la malattia di Stargardt si manifestano con evidenza in età adolescenziale o anche più tardi.

Quali suggerimenti pratici può dare a chi deve gestire questa patologia ma vuole mantenere la propria autonomia? Cosa si può fare?

Oggi la tecnologia ci aiuta moltissimo e ci sono centri per la cosiddetta “abilitazione visiva”, in grado di individuare gli ausili tecnici che rispondono alle nostre esigenze, per le persone ancora ipovedenti. È possibile poi seguire corsi di mobilità che ci insegnano ad usare il bastone bianco, o farsi guidare da un cane guida. Certamente occorre che le istituzioni prendano seriamente coscienza della necessità di abbattere le barriere architettoniche. Purtroppo, quando si parla di persone con disabilità si pensa sempre alle persone con disabilità motoria, mentre quelle sensoriali o cognitive non sono previste. La causa forse è da ricercare nella idea radicata che le persone ipovedenti o cieche devono essere sempre accompagnate, oppure devono “restare a casa”. Oggi non è più così, fortunatamente i giovani vogliono essere autonomi, fare da soli le loro scelte, non dover dipendere sempre da altri. Certamente ci saranno situazioni in cui avranno bisogno d’aiuto, ma quello che potrebbero fare in autonomia lo vogliono fare.

Per chi studia che soluzioni ci sono nella vita di tutti i giorni?

Gli studenti a cui è stata riconosciuta una invalidità grave possono avvalersi della normativa vigente. In particolare, il D.LGS. n. 66/17, Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità, è uno dei decreti attuativi della Buona scuola, ridefinisce molte delle procedure previste per gli alunni con disabilità, riformando non pochi aspetti della L. n. 104/92. Tuttavia, per coloro che sono ipovedenti e non necessitano di insegnanti di sostegno e non hanno richiesto o ottenuto il riconoscimento di invalidità, saranno gli stessi insegnanti che dovranno collaborare con gli studenti per capire quali accorgimenti adottare per permettere un normale percorso scolastico.

E, invece, per chi lavora che tipo di tutele sono previste?

Chi lavora e appartiene alle cosiddette categorie protette può far riferimento alla Legge n.68 del 1999 che riforma il collocamento obbligatorio introducendo il c.d. Collocamento mirato, vale a dire come testualmente riportato nella norma: “quella serie di strumenti tecnici e di supporto, che permettono di valutare adeguatamente le persone in base alle loro capacità lavorative, così da inserirle nel posto adatto, attraverso forme di sostegno, analisi del lavoro, soluzioni dei problemi connessi agli ambienti lavorativi”. Il problema diventa più complesso per le persone con distrofia retinica che hanno intrapreso il percorso lavorativo in una condizione non grave della patologia, con un percorso professionale che non è più possibile proseguire al peggioramento della malattia.

A volte chi soffre di queste patologie tende ad isolarsi e può cadere in depressione: come evitare questo rischio?

Ricordo che parliamo di patologie rare e senza terapia fatta eccezione per la terapia genica indicata soltanto per coloro che hanno la mutazione del gene RPE65. Patologie che iniziano con sintomi lievi, che progrediscono inesorabilmente, lentamente o velocemente e che portano alla cecità. Sapere che nessuno può fare nulla, anche solo per rallentare la degenerazione, porta ad un senso di solitudine e abbandono che coinvolge anche la famiglia. L’ipovisione è una condizione ibrida, invalidante, disomogenea alla quale non è possibile dare una connotazione precisa, perché data la complessità della patologia, è molto soggettiva. Finché resiste un residuo visivo, persiste la speranza che la ricerca scientifica trovi una terapia, che vista la problematica della malattia e nonostante i grandi obiettivi raggiunti, sembra ancora molto lontana. Chi vede la propria vista degenerare creando sempre più difficoltà nella vita quotidiana, si focalizza su quello che ha perso, vivendo in una continua fase di “lutto”. Questo porta inevitabilmente alla depressione. Occorre quindi imparare a sfruttare sempre il residuo visivo, per non perdere le opportunità di vita che si è in grado di gestire.

Voi come associazione cosa fate per aiutare i pazienti a gestire meglio la malattia?

In una situazione nella quale l’attesa per una cura è il punto ferma nella vita dei pazienti, uno dei nostri obiettivi è fornire informazioni tempestive, pertinenti e accurate che permettano alla comunità dei pazienti di essere aggiornata sulle novità dalla ricerca, sulle possibilità terapeutiche disponibili, sui trials clinici in corso. Pubblichiamo una rivista trimestrale in formato cartaceo, cd o mail, con una newsletter quindicinale o anche giornaliera all’occasione. Organizziamo incontri in audio conferenza ogni 20 giorni e su piattaforme digitali. Questi incontri sono stati molto importanti nel periodo della pandemia, ma hanno sempre fornito ai pazienti un momento di condivisione dei problemi e di confronto su come vengono da ognuno affrontati. Organizziamo anche due convegni scientifici all’anno in collaborazione con il nostro comitato scientifico presieduto dalla Prof.ssa Francesca Simonelli, direttore della Clinica oculistica Vanvitelli di Napoli. Abbiamo in cantiere diversi progetti e speriamo di realizzare al più presto “Convivere con una distrofia retinica”, cioè incontri pubblici in diverse piccole città, con lo scopo di sensibilizzare le istituzioni sulle conseguenze delle distrofie retiniche, ma soprattutto sviluppare nei pazienti e nei loro famigliari un’adeguata comprensione della patologia che li ha colpiti.

di Irma D’Aria

lunedì 28 giugno 2021

La stimolazione del nervo ottico per non vedenti

Il Piccolo del 28/06/2021

LOSANNA. Una ricerca condotta anche dalla Sissa. La stimolazione del sistema nervoso attraverso l'impiego di protesi neurali ha aperto nuove strade per il trattamento di diverse patologie. Pensiamo ad esempio alle protesi di braccia e gambe che restituiscono ai pazienti amputati la sensazione del tatto, ad esempio quando si sfiora o si afferra un oggetto. Per quanto riguarda i non vedenti, l'idea di stimolare il cervello tramite un impianto per generare percezioni visive artificiali non è nuova e risale agli anni '70. Tuttavia, i sistemi esistenti sono in grado di indurre la percezione solo di un piccolo numero di "puntini" luminosi artificiali alla volta (detti fosfeni). Un gruppo di ricercatori del Politecnico federale di Losanna - Epfl e della Scuola Superiore Sant'Anna guidato da Silvestro Micera, neuro-ingegnere, in collaborazione con Davide Zoccolan, responsabile del Laboratorio di Neuroscienze Visive della Scuola Internazionale di Studi Avanzati - Sissa, ha dimostrato, mediante simulazioni al calcolatore, come la stimolazione del nervo ottico sia potenzialmente in grado di far recuperare una forma rudimentale di visione nei non vedenti. Nello studio, appena pubblicato su Patterns, il protocollo di stimolazione è stato per ora sperimentato su reti neurali artificiali in grado di simulare il sistema visivo, utilizzate tipicamente nella visione artificiale per il riconoscimento e la classificazione di oggetti. «Nel nostro studio abbiamo lavorato con simulazioni al calcolatore - spiega il Professor Zoccolan - usando degli algoritmi di intelligenza artificiale, o machine learning, si può imparare a stimolare il nervo ottico simulato in modo tale che nella corteccia visiva (sempre simulata) si attivino popolazioni di neuroni nel modo giusto da indurre la percezione di oggetti reali. Nel caso dello studio - prosegue - si trattava di numeri scritti a mano o immagini di capi d'abbigliamento estratti da database di immagini utilizzate per testare i sistemi di visione artificiale. Ma - conclude - la novità del nostro lavoro è di essere tra i primi ad aver dimostrato che è possibile un processo di ottimizzazione automatica, dove la stimolazione intra-neurale viene progressivamente raffinata al fine di indurre l'attivazione desiderata nella corteccia visiva. La definizione del protocollo di stimolazione ad oggi rappresenta una delle maggiori difficoltà per i pazienti con un impianto visivo, in genere si tratta di una procedura lenta, la stimolazione degli elettrodi viene fatta manualmente da un operatore che chiede feedback al paziente sull'immagine indotta e la procedura può durare giorni o settimane. Inoltre la mappatura stimolo-risposta va spesso aggiornata a causa dell'instabilità dell'interfaccia fra elettrodi e neuroni». I prossimi passi prevedono trial pre-clinici e clinici, un passo fondamentale per lo sviluppo di protesi finalizzate alla restituzione della vista.

di Lorenza Masè

venerdì 25 giugno 2021

COMUNICATO STAMPA: IV GIORNATA NAZIONALE DELLE PERSONE SORDOCIECHE

LEGA DEL FILO D’ORO E UNIONE ITALIANA CIECHI E IPOVEDENTI: “URGENTE ADEGUARE LA LEGGE 107/2010 PER LA SUA PIENA ATTUAZIONE E RICONOSCERE ALLE PERSONE SORDOCIECHE I LORO DIRITTI”.

Comunicato della Sede Centrale UICI n. 56/2021

In occasione della IV Giornata Nazionale delle persone sordocieche (27 giugno), la Lega del Filo d’Oro e l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti accendono i riflettori sulla Legge 107/2010 “Misure per il riconoscimento dei diritti alle persone sordocieche”: sebbene in Italia siano state riconosciute sia la sordocecità, che la Lis e la Lis Tattile, alcune incongruenze nel testo di legge assottigliano notevolmente il numero dei sordociechi che possono essere riconosciuti tali.

Roma, 25 giugno 2021 – In Italia, una persona si può definire sordocieca se oltre alla minorazione visiva – che può essere insorta durante tutto l’arco della vita – si aggiunge anche una disabilità uditiva purché la minorazione sia congenita o, se acquisita, insorga durante l’età evolutiva e sia tale da aver compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato. Non sono, quindi, considerate sordocieche le persone che, pur non vedenti, siano diventate sorde dopo il dodicesimo anno di età, o coloro che, nati senza alcuna minorazione sensoriale, siano stati colpiti da sordocecità in età successiva ai dodici anni lasciando quindi in un limbo normativo, e di conseguenza di diritti, moltissime persone che nel nostro paese aspettano un riconoscimento della loro condizione.

Secondo uno studio condotto dall’ISTAT in collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, si stima che in Italia le persone affette da problematiche legate sia alla vista che all’udito siano 189 mila. Circa 108 mila persone sono di fatto confinate in casa, non essendo in grado di provvedere autonomamente a se stesse a causa di altre gravi forme di disabilità che spesso si aggiungono ai problemi di vista e udito. Più del 55% dei disabili sensoriali sperimenta importanti restrizioni alla propria autonomia non potendo uscire di casa a causa di altre forme di disabilità che si sommano a quelle di vista e udito: la metà circa delle persone sordocieche (il 51,7% del totale) presenta anche una disabilità motoria. Per 4 disabili su 10, invece, si riscontrano danni permanenti legati ad insufficienza mentale, mentre disturbi del comportamento e malattie mentali riguardano quasi un terzo dei sordociechi (il 32,5% dei casi).

Grazie alla Legge 107/2010, realizzata sulla base degli indirizzi contenuti nella dichiarazione sui diritti delle persone sordocieche del Parlamento europeo del 12 aprile 2004, la sordocecità è stata riconosciuta come disabilità specifica unica (in precedenza si riferiva alla sommatoria delle due minorazioni). Eppure, oggi appare inadeguata al fine di una tutela giuridica collettiva che includa tutte le persone con disabilità aggiuntive. È dunque necessario e urgente renderla più attuale, adattandola a un contesto sociale in evoluzione in cui i moderni strumenti di comunicazione e di conoscenza devono garantire un processo inclusivo, dando la possibilità a tutte le persone sordocieche di realizzare sé stesse e di accedere al mondo del lavoro

“Per garantire pari opportunità alle persone con disabilità visive ed uditive nell’educazione, nell’accesso ai servizi, all’istruzione ed alla formazione occorre proseguire nel percorso del riconoscimento dei loro diritti – dichiara Rossano Bartoli Presidente della Lega del Filo d’Oro. – Risulta essenziale fare chiarezza sull’applicazione della legge 107/2010 e promuovere un coordinamento efficace fra il livello centrale e le regioni per superare le discrasie operative e soprattutto far in modo che siano riconosciute sordocieche le persone affette da una minorazione totale o parziale combinata della vista e dell’udito, sia congenita che acquisita, che comporta difficoltà nell’orientamento e nella mobilità, nonché nell’accesso all’informazione e alla comunicazione”.

La IV Giornata Nazionale delle persone sordocieche, istituita nel 2018 dall’Unione Europea dei Sordociechi (EDbU) e fissata per il 27 giugno, promossa in Italia dalla Lega del Filo d’Oro e dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, è nata proprio con l’obiettivo di fare luce sulla condizione delle persone che vivono con questa disabilità sensoriale nel nostro Paese, al fine di garantire loro maggiore inclusione sociale, autodeterminazione e autonomia.

“La sordocecità è solo la punta di un iceberg che riguarda le disabilità plurime e complesse che affliggono oggi migliaia e migliaia di cittadini che attendono risposte specifiche, efficaci e innovative – ha dichiarato il Presidente di Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Mario Barbuto – Come UICI siamo impegnati su questo fronte per realizzare modelli di educazione e formazione dedicati, con attività di supporto, sostegno e accoglienza estesi anche alle famiglie, grazie alla nostra rete di 107 sezioni territoriali, con strutture di ascolto, servizio di orientamento e assistenza psicologica, centri di consulenza tiflodidattica. Ma dobbiamo oggi compiere un ulteriore e significativo passo in avanti che guardi alle necessità delle persone sordocieche anche oltre l’età scolare o giovanile, per accompagnarle in età adulta. Per queste ragioni riteniamo importante la creazione di idonee strutture di accoglienza che sappiano sostenere le persone sordocieche in un’ottica di lungo periodo, affinché possano individuare e costruire il loro progetto di vita, in autonomia e dignità. Le risorse attese con il PNRR e gli adeguamenti legislativi e normativi che sono divenuti una urgenza imprescindibile, saranno gli elementi fondamentali del nostro impegno accanto alle persone con pluridisabilità e in particolare con sordocecità”.

Le tante passioni di Andrea Ferrero, che ama la vita con tutte le forze di Luigi Alfonso

Superando del 25/06/2021

La pittura, le trasmissioni in radio, lo sport: sono tante le passioni di Andrea Ferrero che, dice, «per me sono terapeutiche, uno stimolo a vivere con il sorriso. Tutti i giorni». E aggiunge: «Devo tutto al buon Dio e alla mia famiglia, ma un po’ anche a me stesso, se ho trovato la voglia di continuare a lottare. Sempre con il sorriso sulle labbra». Nonostante la sua cecità, Andrea, cinquantenne cagliaritano, ama la vita con tutte le forze ed è una di quelle persone che ti contagiano con il loro ottimismo. Per molti è diventato un esempio positivo da imitare.

«Devo tutto al buon Dio e alla mia famiglia, ma un po’ anche a me stesso, se ho trovato la voglia di continuare a lottare. Sempre con il sorriso sulle labbra». Andrea Ferrero, cinquantenne cagliaritano, è una di quelle persone che ti contagiano con il loro ottimismo. Per molti è diventato un esempio positivo da imitare perché, nonostante la sua cecità, ama la vita con tutte le forze.

Ha perso la vista gradatamente, a causa della retinite pigmentosa, malattia degenerativa progressiva e al momento incurabile. I primi sintomi gli furono diagnosticati ufficialmente nell’autunno del 1998. «In verità mi ero accorto già un po’ prima di avere alcuni problemi alla vista, soprattutto nelle ore notturne, ma li avevo sottovalutati. Questa patologia è scritta nel mio DNA ma non lo sapevo. I miei fratelli invece sono sani, per fortuna. O forse per sfortuna: magari la malattia mi ha migliorato».

Andrea ha fatto dell’ironia una delle sue doti migliori. Ma ammette che non è stato così semplice accettare questa situazione che, nel corso degli anni, lo ha portato a perdere completamente la vista. «La prima reazione è stata di paura, preoccupazione, perché non ero preparato e non lo era neppure la mia famiglia. Anche per loro sono stati momenti difficili, non è semplice avere un figlio con una disabilità così importante. Per me è stata una doccia fredda, il professor Maurizio Fossarello [specialista in Oculistica di Cagliari, N.d.R.] era stato subito molto franco: diventerai cieco, mi disse. Avevo 27 anni. Provavo paura, ma non rabbia, non mi sono fatto travolgere dall’ira, né ho imprecato contro la sfortuna o chissà che altro. Ho cercato di reagire. Mi sono sottoposto a numerose visite in centri ad alta specializzazione (Parigi, Milano, Barcellona), ma il responso è sempre stato lo stesso. Da dieci anni sono in cura a Napoli, in un Centro Telethon dell’Università Federico II (reparto Malattie Ereditarie della Retina, diretto da Francesca Simonelli). Sono passato dall’illusione della guarigione alla speranza. La disabilità mi ha permesso di vedere cose che non avevo mai visto in precedenza».

«Ogni tanto mi chiedono se credo in Dio. Quando mi è stata diagnosticata la malattia, confesso che non ci ho creduto tanto. Ma poi ho avuto la prova, nei momenti più difficili ho percepito la sua presenza al mio fianco. Non mi agito più di tanto perché mi affido a Lui. Poi ho avuto la fortuna di incontrare un sacerdote illuminato, don Ettore Cannavera, che aveva conosciuto mio padre quando era presidente del Tribunale dei Minori di Cagliari. Ettore, che il giovedì organizza un incontro di preghiera presso la sua Comunità La Collina, mi ha aperto gli occhi ad una nuova visione del Cristianesimo. Ma le prove della presenza di Dio nella mia vita sono innumerevoli. Tempo fa conobbi per caso una persona, che mi disse: “Andrea, non avere paura, ci sono tante persone nelle tue identiche condizioni che affrontano serenamente la vita di tutti i giorni. Stai tranquillo, andrà tutto bene”. Ecco, l’ho preso come un segno divino, come se il Padreterno mi avesse voluto rincuorare attraverso uno sconosciuto».

Nel 2004, dopo altre esperienze lavorative, Andrea ha iniziato a lavorare al CRS4 [Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna, N.d.R.], a seguito di un colloquio per le categorie protette. In amministrazione, grazie alla Laurea in Economia e Commercio. Ancora non aveva la cecità totale che è sopraggiunta nel frattempo. Oggi è un tecnologo.

«All’Istituto per i Ciechi della Sardegna Maurizio Falqui, ho incontrato Paolo Mura, che mi ha aiutato a utilizzare i software assistivi. Quando il CRS4 ha realizzato la digitalizzazione del complesso statuario di Monte Prama, sono stato coinvolto nel progetto di accessibilità dei musei. Ho offerto la mia conoscenza delle problematiche che riguardano le disabilità. Oggi seguo, in particolare, un progetto di arte accessibile. In verità l’accessibilità non esiste. Semmai, esistono le cose fatte bene e quelle fatte male».

Si diceva della famiglia. «L’apporto dei miei genitori è stato determinante, anche se mia mamma all’inizio non riusciva ad accettare la mia nuova condizione. Aveva aspettative di guarigione, non si arrendeva all’idea di vedermi diventare cieco. Oggi probabilmente i miei genitori sono orgogliosi di come ho reagito, o forse si sentono fortunati perché mi vedono sorridente, felicemente sposato con Annalisa. Mia moglie mi è stata sempre accanto, nonostante sapesse sin dall’inizio quale sarebbe stato il mio futuro, ma le dico sempre che ha avuto più coraggio a sposare Andrea, piuttosto che ad accettare la mia disabilità. Infatti, alcuni miei difetti sono difficili da accettare, soprattutto la pigrizia…».

Andrea parla della capacità di moltissime persone con disabilità di fare ironia sulle disabilità. «La gente talvolta ha paura di essere scorretta con i disabili, non si permette di trattare certi argomenti. Io pure temo di essere scorretto con, ad esempio, una persona che siede sulla carrozzina. Questione di punti di vista, se mi si passa la battuta. Anni fa facevo nuoto all’Esperia di Cagliari, seguito da Salvatore Bandinu, un istruttore specializzato in attività natatorie per persone con disabilità visiva. Un giorno un mio compagno, a fine allenamento, lasciò lo spogliatoio dicendo: “Ci vediamo sabato prossimo”. Pochi minuti dopo rientrò e si scusò con me, dicendo: “Perdonami, dimenticavo che tu non vedi”. Un piccolo episodio che la dice lunga sulle situazioni imbarazzanti che possono crearsi, anche senza volerlo. Ma io stesso dico che “guardo la TV”, anche se in verità la ascolto!».

Andrea ha mille passioni. Da anni collabora con due emittenti radiofoniche private, curando il programma Oltre le barriere su Radio X, con il collega Andrea Mameli, e un programma di cucina su Unica Radio con Fabio Bettio. «È un’esperienza bellissima, la radio è uno strumento eccezionale di comunicazione che ti permette di conoscere tanta gente e approfondire mille argomenti».

E poi è arrivata la pittura. «Una passione nata per caso, per “colpa” di mia moglie che frequentava il laboratorio di Tonio Spada, un pittore cagliaritano molto affermato. Nel 2017 una pittrice allora vicina di studio del maestro Spada, Anna Lisa Carta, mi convinse a iniziare a provare a dipingere, superando la mia ritrosia da non vedente. “Non vedo, come faccio a dipingere un quadro?”, dicevo. Ero piuttosto scoraggiato, però mia moglie e altre persone mi hanno aiutato moltissimo a credere in me. Ho iniziato con i pennelli, ma, dopo poche lezioni, ho incominciato a utilizzare le mani perché riesco a trovare più facilmente le giuste coordinate».

Ha riscoperto lo sport di recente. «Da ragazzino ho svolto attività sportiva per anni, poi ho smesso per riprendere da adulto. Per me è una medicina, infatti mi è mancata dopo che, a causa della pandemia, sono stato pressoché fermo come tante persone. Pratico lo sci nautico, che mi fa sentire veramente libero. Ho iniziato nel 2016, grazie all’incontro, in un convegno organizzato a Cagliari, con il grande Jeff Onorato [campione e istruttore di questa disciplina, ha perso l’uso di un braccio in seguito a un incidente stradale, N.d.R.]: lo intervistai per la radio e mi trasmise una grande energia. L’estate successiva andai da lui, a La Maddalena, e iniziai a praticare questo sport straordinario. Jeff mi ha insegnato che la sfortuna è amica, perché ti impone di impegnarti in ciò che fai».

Andrea e le sue passioni. Ogni tanto ne trova una diversa. «Per me sono terapeutiche, uno stimolo a vivere con il sorriso. Tutti i giorni».

giovedì 24 giugno 2021

Novavido, la startup della prima retina liquida artificiale, chiude un round da 6 milioni di euro

Startup Italia del 24/06/2021

Alfasigma, Utopia SIS, Istituto David Chiossone e Club2021 (famiglia Taini) entrano nella startup Novavido. Il round da 6 milioni di euro e suddiviso con 2 tranche in aumento di capitale della startup già accelerata da G-Factor di Fondazione Golinelli e sviluppata grazie alla ricerca scientifica di IIT e dell’Ospedale Don Calabria di Negrar. Il progetto ha l’obiettivo di curare la degenerazione della retina.

Novavido, startup di recente costituzione accelerata da G-Factor di Fondazione Golinelli, nasce da un progetto di ricerca sviluppato nel corso di 10 anni dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) con la collaborazione dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e le competenze tecnologiche di Alfasigma. Il progetto riguarda lo sviluppo di un dispositivo iniettabile e biocompatibile, definito “retina liquida”, che si basa sull’utilizzo di protesi retiniche polimeriche volte al recupero almeno parziale della vista. Una nuova proposta terapeutica, potenzialmente rivoluzionaria per degenerazioni retiniche indotte da malattie come la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare. L’idea è nata dal lavoro di due centri di ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia, il Center for Nano Science and Technology di Milano (CNST-IIT) e il Center for Synaptic Neuroscience and Technology di Genova (NSYN-IIT), che hanno traslato la tecnologia organica per produzione di energia solare al campo della biostimolazione. Il progetto è supportato da incoraggianti risultati sperimentali ottenuti durante i test preclinici e pubblicati nel 2020 sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Nature Nanotechnology.

Alfasigma, Utopia SIS, Istituto David Chiossone e Club2021 lanciano il round da 6 milioni di euro, suddivisi in due tranche, nella startup Novavido, attraverso un aumento di capitale necessario a favorire lo sviluppo industriale del prodotto e il conseguente ingresso sul mercato. Il primo round di investimento sarà di 1,4 milioni di euro, mentre il successivo, di circa 4,5 milioni arriverà allo scadere dei 24 mesi, e sarà legato al buon esito e all’implementazione del piano di ricerca e agli step di crescita.

Il team di progetto

Scopo della startup è sviluppare ulteriormente il prodotto, testarlo sull’uomo e infine commercializzarlo. Il team operativo di Novavido è composto da Giovanni Manfredi (CEO) e Sara Perotto, ricercatori esperti di nanomateriali, e tre advisor scientifici, Fabio Benfenati, direttore del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’IIT di Genova, Guglielmo Lanzani, che dirige il Center for Nano Science and Technology dell’IIT di Milano e Grazia Pertile, primario di oftalmologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Il team beneficerà della collaborazione di esperti dei laboratori di Alfasigma coordinati da Emilio Merlo Pich, direttore della Ricerca e Sviluppo di Alfasigma.

Il ruolo dell’Istituto italiano di tecnologia

“La nascita di Novavido è un caso emblematico di come la ricerca persegua il fine di migliorare la qualità della vita delle persone, avvicinandosi agli obiettivi di sostenibilità sociale alla quale una società sempre più inclusiva deve puntare. Le tecnologie sviluppate nei nostri laboratori hanno raggiunto un grado di maturità che, unito alla competenze e al lavoro del nostro team per il trasferimento tecnologico, hanno consentito di attirare finanziamenti privati molto importanti” commenta Giorgio Metta Direttore Scientifico IIT “L’Istituto dimostra così di realizzare in pieno la sua doppia missione: svolgere attività di ricerca di alto livello di rilevanza internazionale e trasferire i frutti dell’attività scientifica sul mercato, impattando concretamente sul tessuto sociale del nostro Paese favorendone lo sviluppo economico” conclude Metta.

“Siamo molto soddisfatti di avere concluso questa operazione e onorati della fiducia che i partner hanno riposto nel nostro progetto che si propone di trasferire la retina artificiale all’uomo. L’interesse suscitato e la caratura dei soggetti coinvolti rappresentano una forte spinta per trasformare Novavido S.r.l. in una realtà di successo. Questa iniziativa è un esempio di sinergia tutta italiana tra attori provenienti da diverse realtà che lavorano per uno scopo comune. È il risultato della collaborazione tra ricerca pubblica, ricerca industriale, sistema sanitario, esponenti del mondo imprenditoriale e finanziario e associazioni di pazienti. Ci auguriamo che la stretta collaborazione tra le molte parti in gioco porti in breve tempo a risultati concreti” affermano i founder della startup Novavido. “L’investimento di Alfasigma in Novavido rappresenta un concreto segnale di fiducia nell’innovativa tecnologia e per il team della startup, accelerata da G-Factor. Alfasigma è orgogliosa di contribuire allo sviluppo del progetto” commenta l’ingegnere Stefano Golinelli, presidente di Alfasigma Spa. “Utopia parte con il suo primo investimento, consapevole del proprio ruolo di investitore finanziario con smart money, ovvero finanza qualificata e specializzata necessaria alla crescita di progetti di ricerca così sfidanti e disruptive. Fare questo con un team di eccellenza e con coinvestitori di così alto standing è un orgoglio” dichiara Antonio Falcone, Executive Vice President di Utopia SIS.

Puntare sulla qualità scientifica

“È un importante impegno e una grande soddisfazione per l’Istituto Chiossone partecipare alla costituzione della Novavido s.r.l. Trovano così sbocco le nostre ricerche, avviate ormai da anni, per l’identificazione di soggetti candidabili all’impianto di protesi visive. Apporteremo al progetto Novavido la conoscenza profonda della condizione di cecità e della sua dimensione psicologica e l’esperienza di oltre trent’anni di riabilitazione sanitaria dei ciechi e ipovedenti. Siamo consapevoli della necessità di elaborare protocolli metodologici rivolti a selezionare adeguatamente i soggetti da candidare all’impianto e definire il successivo percorso di addestramento per ottimizzare la nuova condizione visiva post impianto. Con queste intenzioni il Chiossone, che è un ente non lucrativo, partecipa convintamente ad una SrL investendo 200 mila euro – parte di un lascito testamentario – nella speranza che il successo dell’impresa e l’efficacia dell’impianto possano davvero rappresentare una vera svolta per chi non vede” spiega Claudio Cassinelli, Presidente dell’Istituto David Chiossone Onlus.

“Novavido rappresenta per noi il tipo di progetto ideale con cui cimentarci d’ora innanzi: anche questa volta abbiamo investito sulla più alta qualità scientifica, garantita in questo caso da un centro di ricerca di eccellenza come l’IIT di Genova. Al contempo, “il come” abbiamo costruito il “deal” costituisce un modello di riferimento da tenere sempre ben presente per il futuro: auspico peraltro che tale “modello” sia replicabile e diffusibile nel sistema Paese: “ricerca, impresa e finanza” e “pubblico, privato e privato sociale” “tutti insieme ai nastri di partenza”. Una combinazione ancora molta rara, ma che si è riusciti a dimostrare possibile; siamo riusciti a capirci tutti e ad armonizzare, con mediazioni fruttuose, le rispettive prerogative nel nome dello sviluppo e del fine ultimo della nuova azienda Novavido, e abbiamo ora l’impressione che questa sia la strada giusta” dichiara Antonio Danieli, Vice Presidente Fondazione Golinelli e Amministratore unico di G-Factor S.r.l.

di Gabriella Rocco

mercoledì 23 giugno 2021

Handicap, dal gioco d'azzardo all'azzardo del più forte

Corriere della Sera del 23/06/2021

L’abbiamo preso dall’inglese dove prima definiva un gioco con scommesse, poi nell’ippica un correttivo per limitare i cavalli più forti e far partire tutti alla pari.

di Paolo Fallai

Come lo vogliamo chiamare un disabile? Handicappato, invalido, menomato, minorato. Il dibattito sulla definizione corretta è molto acceso. Per decenni ha prevalso un uso scorretto e spesso offensivo di numerosi termini che si riferiscono alle persone con disabilità, «inabile», «handicappato», «portatore di handicap», «ritardato», «invalido». Per non parlare di grandi arrampicate sugli specchi del «diversamente abile». A noi che siamo «diversamente accomodanti» e quindi piuttosto testardi, piace concentrarci sulle origini.

Un gioco d’azzardo

Abbiamo preso la parola handicap dall’inglese e l’abbiamo fatto molto presto, se Tullio De Mauro nel suo dizionario ne attesta l’uso fin dal 1882, addirittura dal 1754 con riferimento diretto alla locuzione da cui deriva: hand in cap, letteralmente «la mano nel cappello». Nome di un antico gioco d’azzardo in cui venivano estratti a sorte dei gettoni, ma usato anche nel mondo delle scommesse per «coprire» con la mano il denaro che era stato puntato e che si trovava, appunto, nel cappello.

L’ippica che passione

Ed è proprio al mondo dei cavalli che dobbiamo l’evoluzione di handicap in svantaggio. Si definisce con questa parola la limitazione imposta ai cavalli troppo forti per rendere le gare più equilibrate. Insomma, se un puledro è considerato troppo veloce, lo si fa partire trenta metri dietro agli altri, oppure con un peso ulteriore di qualche chilo. L’obiettivo è rendere pari le possibilità di vittoria a tutti i partenti. Questa la condizione delle «gare a handicap».

L’evoluzione figurata

Un’espressione nata per indicare una condizione sfavorevole, uno «svantaggio» (dimenticando subito che si applicava solo ai più forti) si è conquistata la possibilità di definirlo in modo generale, fino a delineare una menomazione fisica o mentale. Prendiamo dal contributo di un bravissimo linguista come Federico Faloppa per l’Accademia della Crusca, l’evoluzione di questo passaggio: «Nei primi decenni del Novecento, dal linguaggio sportivo la voce sarebbe poi passata ad altri ambiti (“L’interventismo bissolatiano ha handicappato il socialismo di Turati”, scrive Luigi Ambrosini su “La Stampa” del 17 maggio 1920), tra cui quello medico-sociale, con significati oscillanti e non sempre definiti ma comunque basati sull’idea di svantaggio, deficienza, incapacità fisica e mentale”».

Oltre l’insulto

La diversità (di qualunque tipo) è sempre stata fonte di definizioni sprezzanti come spastico, mongoloide, cerebroleso ma anche minorato, infelice. Riprendiamo il filo dell’analisi di Faloppa per la Crusca: «“Nelle loro accezioni medico-sociali handicap e handicappato (in forma quest’ultimo tanto di sostantivo quanto di aggettivo) sono stati avvertiti come legittimi (e semanticamente neutri) almeno fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. Non a caso, ancora nel 1992, la Legge quadro 104 si proponeva di normare “l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Tuttavia, durante lo stesso decennio, si è assistito a un significativo avvicendamento tra le coppie handicap/handicappato e disabilità/disabile. Questa ristrutturazione terminologica – abbastanza recente in Italia - era in atto da tempo, se già nel 1976 le Nazioni Unite proclamano il 1981 “anno internazionale delle persone disabili” (il testo originale inglese recita “disabled people”), con lo scopo di garantire piena partecipazione sociale e uguaglianza economica alle persone “con disabilità” (e a questa iniziativa fa seguito, nel 1982, la risoluzione 37/52 dell’Assemblea Generale dell’ONU, che stabilisce il Programma di azione mondiale riguardante le “persone disabili”)».

Spunti di riflessione

«Ma disabile – prosegue Faloppa per l’Accademia della Crusca - deve essere apparso, specialmente in registri medio-bassi, come un’opzione artificiosa: dettata più dalla ricezione di modelli altri, e forse da esigenze di “correttezza politica” (è proprio negli anni Novanta, d’altronde, che nel nostro paese esplode il dibattito sul “politicamente corretto”, con toni, a onor del vero, fin troppo affrettati e isterici), che non dall’uso. Di qui la persistenza di handicappato, che infatti – se in inglese è di fatto scomparso dall’uso – in italiano è ancora decisamente diffuso, almeno nelle varietà meno formali».

Digressione sull’abilità

Disabile viene dal verbo latino habere, cioè avere, da cui habilis nel significato di maneggevole, adatto. L’origine del nostro abile ricopre una vasta gamma di significati, da «capace» a «provetto». Inoltre, come segnala il dizionario Hoepli,

«-abile» è diventato, nella nostra lingua, un diffusissimo suffisso che, unito a verbi della prima coniugazione, dà luogo ad aggettivi che indicano idoneità: mangiabile, trasportabile, stirabile; oppure qualità morale: amabile, stimabile, deprecabile eccetera. Il contrario di abile è inabile, cioè «incapace». Quando l’incapacità deriva da limitazioni fisiche arriviamo a disabile. Lo stesso dizionario segnala che c’è chi dice diversamente abile, ritenendo che dis-abile crei una dis-criminazione. E questo secondo l’etimologia, dal tardo latino discriminatio, vorrebbe dire distinzione, separazione, e peggio ancora, esclusione. Ma siamo sicuri che l’eufemismo diversamente abile sia più rispettoso che non l’onesto disabile, verso chi dolorosamente porta una sua disabilità?

Eufemismi?

Questo discorso porta il dizionario Hoepli ad aprire una breve parentesi sull’eufemismo, vezzo dei nostri giorni molto diffuso e non solo nel giornalismo. «Dal greco eu phemì, cioè “parlo bene”, deriva il termine eufemismo che sta ad indicare l’uso di una parola o una frase gradevole o attenuata per significare cose che in sé suonerebbero sgradevoli o dolorose. Oltre a diversamente abile per disabile si possono fare vari esempi: situazione non facile per indicare una situazione difficile; “è mancato” per dire “è morto” (una volta si diceva “è passato a miglior vita”); mobilità al posto di disoccupazione; ma anche lucciole per prostitute. Se ben ci pensiamo, anche killer al posto di assassino è un eufemismo. Spesso l’uso dell’eufemismo dà un tono di poca chiarezza e di poca sincerità al discorso».

Un simpatico ubriacone

Per gratitudine dovremmo fare un monumento a Reginald «Reg» Smythe che nel 1957 dette vita sul Daily Mirror alla striscia satirica Andy Capp, giocando con l’assonanza con la parola handicap: il protagonista, ubriacone e indolente, ha fatto sorridere milioni di lettori in tutto il mondo, scatenando solidarietà per la moglie in milioni di lettrici. In Italia è arrivato con la traduzione «Le avventure di Carlo e Alice», che più o meno rende un 2 per cento rispetto all’originale, ma ebbe successo lo stesso, data l’irriverente simpatia di questa canaglia. Per inciso le sue avventure sono state pubblicate su 1700 giornali in 17 lingue diverse.

Per capirci

La disabilità non è una scelta e l’handicap non è mai sovrapponibile a chi ci deve convivere. A parte gli insulti, cui ogni disabile è abituato, non sono meno fastidiose le formule edulcorate con ipocrisia. Basterebbe ascoltarli per capirlo. Coloro che hanno problemi di udito si chiamano sordi tra di loro, mai «non udenti». E la meritoria associazione che da sempre accompagna e assiste chi ha un difetto alla vista si chiama «Unione italiana ciechi e ipovedenti». Nessun bisticcio di parole può risolvere la discriminazione o abbattere una barriera architettonica. Per quello servono sensibilità e cultura, merce rara.

Postilla personale (non ripetibile)

L’autore di queste notarelle si permette di parlare del tema in libertà, essendo disabile, handicappato, invalido, menomato. Claudicante è troppo colto e poi chi se lo ricorda che deriva da Claudio che in latino voleva dire zoppo. Ma a Roma se qualcuno cammina storto, indipendentemente dalle cause, lo chiamano da sempre sciancato. E l’autore lo preferisce, senza esitazioni.

martedì 22 giugno 2021

Percorsi turistici per i disabili. Centro e Ticino senza barriere

La Provincia Pavese del 22/06/2021

VIGEVANO. Vigevano diventa "Smart", ovvero capace di offrire due percorsi accessibili anche a turisti con disabilità: uno in centro storico, l'altro a Ticino. Entrambi cofinanziati dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, uno si riferisce al centro e partirebbe dal nuovo polo dei trasporti alla stazione ferroviaria, proseguendo verso la piazza, (percorribile solo nel centro per chi è in carrozzina, ndr) il castello e la chiesa di San Pietro Martire fino al mulino di via Mulini, l'altro invece si trova alla Lanca Ayala.

Associazioni e studenti.

L'iniziativa è stata anche frutto di un bando regionale cui hanno partecipato l'Unione italiana ciechi e ipovedenti come capofila (Uici) in collaborazione con Anmic (Unione mutilati e invalidi civili) Anmil (Invalidi del lavoro) e Ghan Odv di Vigevano. «I percorsi per rendere accessibili il centro città e il Ticino - spiega Paolo Colli, ideatore del progetto e presidente di Ghan Odv Vigevano - sono stati condivisi con gli istituti superiori, soprattutto le classi quarte del liceo Cairoli, indirizzo Scienze Umane, guidate dal professor Paolo Vallin e dalla professoressa Amalia Trifogli. Gli studenti hanno potuto sperimentare i percorsi e verificare le difficoltà di accesso per chi è in carrozzina o per un disabile sensoriale. Il progetto prevedeva anche il coinvolgimento dei commercianti che hanno dato la disponibilità e con i quali continuerà il discorso di accoglienza in negozio del turista disabile con un corso ad hoc. Al progetto hanno anche aderito i Comuni di Vigevano e Pavia e le consulte per l'abbattimento delle barriere architettoniche e per le politiche a favore delle persone con disabilità. Purtroppo le chiusure Covid hanno reso difficile il progetto, che è comunque stato portato a termine con la produzione di due cartine turistiche, una su Vigevano Smart e un'altra sulla Lanca Ayala».

Il nodo accessibilità.

Il Presidente Uici di Pavia Egidio Carantini ha sottolineato la continuità con cui Uici persegue l'accessibilità degli edifici e dei luoghi come ricerca di una migliore qualità di vita per le persone fragili. Il Presidente di Anmic Pavia e regionale Angelo Achilli sottolinea l'importanza di mantenere viva l'attenzione sulle fragilità, infine il professor Alessandro Greco ha sottolineato l'importanza di una progettazione edilizia orientata all'accessibilità, sia per quanto riguarda le abitazioni, sia per l'urbanistica che deve, soprattutto per le città storiche, pensare a un turismo particolarmente esigente. «Aggiorniamo sempre la riflessione sull'accessibilità delle città - conclude Colli - da 10 anni lavoriamo per valutare percorsi accessibili per tutti. A Vigevano l'ultima rilevazione su percorsi accessibili risale a 10 anni fa e l'abbiamo sempre realizzata noi. Adesso questa nuova cartina ci permetterebbe di avviare un progetto sul centro città utilizzando tutte le migliori competenze al nostro interno e con l'università di Pavia».

di Selvaggia Bovani

La maratona del papà e del figlio non vedente, il film campione d'incassi in Cina

Corriere della Sera del 22/06/2021

La pellicola, che valorizza il rapporto umano, è anche lo specchio del crescente interesse nel Paese per le gare di lunga distanza. Un mese fa la tragedia nella quale hanno perso la vita 21 ultra-maratoneti.

di Cesare Balbo

Chissà quante volte avremo sentito dire dallo starter «On your mark», ossia ai vostri posti, la formula che precede la partenza. Ma questa volta si tratta del titolo di un film sulla maratona al primo posto al botteghino della Cina continentale con un incasso di 3,37 milioni di dollari anche grazie alla festa del papà che i cinesi celebrano la terza domenica di giugno. È una commedia familiare dai risvolti drammatici che racconta di un padre che allena il figlio disabile a prepararsi per correre la gara più lunga. Padre e figlio resteranno uniti nella vita e in corsa grazie a un cordino lungo venti centimetri che terrà a distanza ravvicinata l’atleta non vedente all’accompagnatore «guida» non solo paterna. Diretto dal regista malese Chiu Keng Guan, famoso per aver girato Ola Bola ( 2016), film sulla squadra di calcio della Malesia, per il lancio internazionale verrà re-intitolato con The Big Dad per esaltare la grandezza del padre mentre in Cina esce col titolo slogan di Qi Pao, ossia la forza della corsa, anche per non confonderlo con l’omonimo film di animazione di Miyazaki. Nella vicenda del giovane Xiao Erdong che sogna di diventare un maratoneta come sua madre c’è anche un senso di rivalsa contro la sorte sfavorevole che ha bersagliato la famiglia e, grazie al padre, il figlio per scommessa riuscirà a superare i propri limiti. Nel cast ci sono nomi famosi per il cinema cinese come Wang Yanhui ( il padre) e delle serie tv come Youhao Zhang ( il figlio) ma il film ambisce a imporsi prima in Malesia e poi sul mercato internazionale.

Il boom delle ultra in Cina

È significativo che nella Cina ipertecnologica abbia successo un film incentrato su un rapporto umano anziché sull’intelligenza artificiale che consente ai non vedenti, come nel caso di Thomas Panek, di correre in autonomia. Il film, metafora della rivincita della tradizione millenaria sulla modernità emergente, un dualismo che divide la Cina, è uscito a un mese di distanza dalla morte di 21 ultra-maratoneti per ipotermia, tra cui Liang Jing tra i migliori al mondo e Huang Guanjun, vincitore della maratona maschile per i non udenti ai Giochi Paralimpici Nazionali del 2019, a causa del forte maltempo che d’improvviso ha colpito la gara nel nordovest della Cina nella provincia del Gansu vicino alla Foresta di pietra nei pressi del Fiume Giallo.

In Cina c’è il boom delle gare podistiche nonostante più di 60 tra maratone e gare di corsa campestre siano state annullate o rinviate come la «Lanzho International Marathon» (13 giugno) a causa delle crescenti preoccupazioni in merito alla sicurezza, dopo la disgrazia del Gansu. Pare che a contribuire al successo della gare di lunga corsa ci sia stata oltre alla reazione per il lockdown a seguito della pandemia anche una certa cinematografia wuxia, i nostri action movie, che spinge alle imprese epiche. Del resto «l’uomo non esiste veramente che nella lotta contro i propri limiti» a ricordarlo stavolta è il film Qi Pao dove un semplice sottile cordino aiuta a superarli.

venerdì 18 giugno 2021

Chiesa e disabilità. Suor Donatello (CEI): “Le persone disabili abbiano posti di responsabilità...

Agenzia SIR del 18/06/2021

...non sono più sufficienti le quote”.

"La Chiesa italiana non parla su di loro, ma parla con loro. Le persone disabili sempre più dovrebbero essere presenti nei nostri tavoli decisionali, negli eventi organizzativi e nei posti di responsabilità. Vogliamo che le indicazioni del magistero e la Parola di Dio siano trasformati in una prassi dell'ordinarietà". Suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Servizio CEI per la Pastorale delle persone con disabilità, parla all'indomani della pubblicazione della nota della Pontificia Accademia per la Vita.

“La Chiesa italiana non parla su di loro, ma parla con loro. Le persone disabili sempre più dovrebbero essere presenti nei nostri tavoli decisionali, negli eventi organizzativi e nei posti di responsabilità. Vogliamo che le indicazioni del magistero e la Parola di Dio siano trasformati in una prassi dell’ordinarietà. Non basta mettere una persona disabile nell’organizzazione di un evento”. Suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Servizio Cei per la Pastorale delle persone con disabilità, parla all’indomani della pubblicazione della nota della Pontificia Accademia per la Vita su “L’amicizia con le persone con disabilità: l’inizio di un nuovo mondo”.

Che novità è contenuta nel testo?

È un documento che ha una visione mondiale. Ognuno di noi ha diritto alla salute e all’informazione come persona. È un diritto fondamentale che non è possibile lasciare alla benevolenza o al buon cuore. Essere persona è quello che accomuna tutti e la pandemia ha mostrato quanto sia difficile rispettare questo criterio. La nota ribadisce con forza e autorevolezza tutto ciò. Non basta curare l’altro, perché l’altro ha anche una vita. Pensiamo alle persone con autismo che hanno avuto interrotte routine e abitudini, modificati stili di vita. Non c’è stato un accompagnamento per sostenerli in questo vissuto personale. Siamo stati carenti anche noi. Non c’è stata informazione che tenesse conto della pluralità dei linguaggi e, se non badiamo a questo aspetto, escludiamo il 60% delle persone con disabilità che hanno bisogno di comunicativi complessi.

C’è il diritto alla salute, ma anche all’informazione e all’accompagnamento. Dobbiamo accompagnare la famiglia e i caregiver, che non hanno gli strumenti per affrontare situazioni di crisi del genere. Ci sono genitori che hanno dovuto fare i fisioterapisti, gli infermieri, gli educatori, gli psicoterapeuti. E non è giusto.

La pandemia, si legge nella nota, ha avuto un impatto negativo sproporzionato sulle vita delle persone disabili e dei loro cargiver.

È stato uno shock enorme. La società si sta interrogando su come aiutare i giovani e le persone normodotate ad uscire da questo periodo. Pochi, però, si domandano come accompagnare la persona con disabilità. Ci sono famiglie con figli pluri-disabili che hanno timore di rimandarli a scuola a settembre, perché hanno vissuto un anno e mezzo chiusi in casa senza vedere parenti e colleghi. È stato un terremoto.

A volte siamo stati afoni, non abbiamo saputo parlare.

Il Papa ci ricorda che una delle pecche della Chiesa è la mancanza di ascolto. Dobbiamo riconoscerlo: talvolta non abbiamo ascoltato, pensando che ripristinare alcune prassi avrebbe riportato tutto alla normalità. Non è così e dobbiamo prenderne consapevolezza.

Eppure l’Italia rappresenta un’eccezione positiva nella capacità di accompagnamento…

L’Italia ha uno stile mediterraneo di accoglienza e di accompagnamento. Dove la comunità era viva e la famiglia era accanto alla comunità, il sostegno è stato fondamentale. Quando la famiglia non era legata a un ambito territoriale, invece, la fatica è stata tanta. La grande paura dei genitori è stata fonte di enorme stress: chi li accompagna ora? A volte le nostre risposte hanno rischiato di essere normalizzanti, la stessa soluzione per tutti. Non è così.

La forza dell’Italia è nelle comunità che hanno messo in moto l’accoglienza e l’accompagnamento.

Il documento parla di “magistero della disabilità”.

Dal Concilio Vaticano II in poi, la maggior parte dei documenti riservano un’attenzione particolare alla disabilità. Non come quota di partecipazione alla vita della Chiesa, ma come coscientizzazione di appartenere al popolo di Dio.

Le persone disabili e le loro famiglie, se ascoltate, sono un grande dono per la comunità cristiana.

Non in chiave passiva. Il magistero ha una visione di parresia, la cui attuazione è purtroppo lasciata a noi. Che spesso siamo manchevoli.

È il momento di coinvolgere le persone disabili nella Chiesa?

La Chiesa italiana non parla su di loro, ma parla con loro. Le persone disabili sempre più dovrebbero essere presenti nei nostri tavoli decisionali, negli eventi organizzativi e nei posti di responsabilità. Vogliamo che le indicazioni del magistero e la Parola di Dio siano trasformati in una prassi dell’ordinarietà. Non basta mettere una persona disabile nell’organizzazione di un evento, ma questo deve diventare normalità.

Non sono sufficienti le quote, non è questa la Chiesa che vogliamo.

Il magistero è chiaro, le persone con disabilità hanno fatto un cammino durante il quale hanno scoperto il proprio valore. La Chiesa può fare la differenza e lo sta dimostrando. Dobbiamo avere il coraggio di essere uguali.

di Riccardo Benotti

giovedì 17 giugno 2021

Cultura, Franceschini: con il PNRR stop alle barriere architettoniche nell'80% dei siti

Redattore Sociale del 17/06/2021

Trecento milioni di euro volti al superamento delle barriere architettoniche senso-percettive culturali e cognitive. L'investimento del PNRR è rivolto prioritariamente ai siti culturali statali. Lo ha detto il ministro della Cultura, rispondendo a un question time al Senato.

ROMA. "Il ministero proprio per consentire un accesso più ampio ai cittadini nei luoghi della cultura ha previsto nel Pnrr uno stanziamento di 300 milioni di euro che sono volti al superamento delle barriere architettoniche senso-percettive culturali e cognitive. L'investimento del PNRR è rivolto prioritariamente ai siti culturali statali, mentre una quota di cui stiamo discutendo con le Regioni e che attualmente è del 10% andrà ai siti gestiti da Comuni e enti pubblici e organizzazioni no profit. Anche attraverso tale intervento si prevede di poter conseguire il superamento delle barriere architettoniche nell'80% dei musei, aree e parchi archeologici e il superamento delle barriere percettive del 50% delle medesime strutture". Lo ha detto il ministro della Cultura, Dario Franceschini, rispondendo a un question time al Senato sulla rimozione delle barriere architettoniche nei luoghi della cultura. (DIRE)



Scuola: prospettive e speranze per l’anno che verrà

Vita del 17/06/2021

Nell'anno scolastico appena concluso oltre 34mila ragazzi hanno abbandonato la scuola. Non c'è il dato di quanti tra questi siano studenti con disabilità. Una voragine enorme che chiede un corrispondente dispiegamento di forze per rinnovare la scuola nel suo insieme, per garantire pari opportunità a ciascuno, mettendolo nelle condizioni di poter essere e di poter fare. Non è forse questo il compito della scuola che vogliamo?

Ultimi giorni di scuola, tempo di bilanci. È stato un anno indubbiamente difficile e faticoso, che ha messo in luce alcune criticità che è bene tenere sotto osservazione per meglio gestirle nel prossimo futuro. Per gli alunni con disabilità tali difficoltà sono state particolarmente marcate, per evidenti motivi, primo fra tutti per il distanziamento sociale e la didattica a distanza, che hanno privato gli alunni e le alunne non solo dell’aspetto relazionale ma anche con l’esercizio concreto della comunicazione (tutta, non solo quella verbale, anzi!) fondamentale per l’acquisizione degli stessi apprendimenti. È vero che nella scuola dell’infanzia e in quella primaria si sono registrati meno problemi rispetto agli altri gradi scolastici, avendo garantito una frequenza in presenza più assidua e costante. Ed è vero anche che, nonostante le indicazioni ministeriali non tutte le scuole hanno attivato per tempo la didattica in presenza per piccoli gruppi per i loro alunni con disabilità, in alternativa ad una didattica a distanza irrealizzabile per molti (anche se ci sono state buone prassi persino in questa direzione, dalle quali si dovrà pur trarre qualche insegnamento sul fronte “nuove tecnologie per la didattica e l’istruzione domiciliare” quando indispensabili).

Cosa cambiare?

Sicuramente l’approccio agli insegnamenti: ripensare la didattica tradizionalmente intesa in favore di una strutturazione di ambienti di apprendimento per tutti (Universal Design for Learning) perché quello che è necessario per qualcuno può diventare utile per tutti, secondo una logica inclusiva davvero in cui non si guarda solo al particolare di uno o più percorsi, ma che tenga conto degli stili di apprendimento di ciascuno. In una classe gli alunni sono tutti diversi e quindi ogni attività didattica deve essere proposta in modi che possono essere adattati alle esigenze di ciascuno. La rigidita` (proposta unica uguale per tutti) non e` equa e non funziona. Creare una didattica flessibile significa prevedere fin dall'inizio tante forme diverse di fruizione-somministrazione e restituzione, lasciando lo studente (qualunque, non solo quello con disabilità o con BES) libero di scegliere quella piu` efficace per lui.

Lo sguardo dell’ICF sul funzionamento umano, finalmente inserito con decreto nei nuovi modelli di PEI utilizzabili proprio dal prossimo anno scolastico, ad esempio, ci aiuta a guardare la persona e la sua performance all’interno del contesto in cui si trova, superando lo stigma della patologia e finalmente rivoluzionando la prospettiva sulla persona: non cos’ha (o peggio cosa non ha) ma chi è. Abbiamo una occasione unica di cambiamento: non possiamo perderla; dobbiamo ragionare e dunque adeguare il sistema verso una corresponsabilità educativa di tutto il personale docente e non, solo così si eviteranno le deleghe e si costruirà maggiore inclusione, in modo “naturale” non imposto. Inoltre una vera applicazione di didattiche flessibili e ambienti di apprendimento adeguati richiedono una riduzione del numero di studenti per classe (basta con le classi pollaio!), dove la classe va pensata come una comunità di individui attivi e partecipi anche ai processi educativi che li riguardano. Se ci pensiamo, la pedagogia in fondo non deve forse garantire questo? Mettere al centro la persona e salvaguardare le unicità degli individui.

Quali fondi dal PNRR?

Rappresentano un’occasione imperdibile anche gli aiuti finanziari che derivano dal PNRR che per il settore Scuola investe (ancora insufficiente a mio avviso ma ci prendiamo tutto quello che arriva) per lo sviluppo delle competenze digitali dei docenti 0,80 miliardi di euro per “favorire un approccio accessibile, inclusivo e intelligente all’educazione digitale”; altri 7,60 miliardi sono previsti per incrementare le abilità e competenze digitali e per una “conoscenza dei software per la scrittura, il calcolo e per l’impiego delle applicazioni che oramai contemplano tutti i campi disciplinari, dall’arte alla scienza”; 2,10 miliardi per implementare le scuole innovative e nuove aule didattiche e laboratori, mirando a trasformare gli “spazi scolastici in connected learning environments adattabili, flessibili e digitali, con laboratori tecnologicamente avanzati”. Questo va nella direzione su indicata anche per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali. Su questo è interessante ad esempio la proposta di movimenti studenteschi ad esempio UNIDAD per i quali Didattica a Distanza Integrata non solo è una realtà possibile ma è un’opzione che favorisce largamente il diritto allo studio: lo è stato per lo studente lavoratore, per lo studente genitore, per lo studente fuori sede che non può permettersi un appartamento nella città universitaria o che, per motivi personali, non può allontanarsi da casa, per il caregiver familiare.

Come prepararci per settembre?

Intanto assistiamo come ogni anno al valzer del reclutamento: docenti di sostegno specializzati che migrano nelle classi comuni, lasciando ancor più sguarnito un personale docente così fondamentale, di cui già il 30% (su 160 mila circa insegnanti di sostegno) è privo di titolo di specializzazione. Ancora non è stato emanato il Decreto sulla continuità educativa e didattica. Insomma, non sarà facile per molti studenti e studentesse con disabilità ripartire con lo zaino adeguatamente pronto, cioè capace di garantire pari opportunità a tutti gli studenti, indipendentemente dalla situazione nella quale si trovino. Per il momento è necessario accertarsi che tutti i documenti da presentare entro giugno siano stati adeguatamente presentati: il GLO finale, richieste dei sostegni necessari espresse e condivise in ciascun PEI, attivazione dei supporti organizzativi nella scuola etc.

Nel frattempo, anzi contestualmente direi, occorre agire per una riforma complessiva del sistema scuola, un luogo educativo per eccellenza che deve riappropriarsi pienamente e in modo più dinamico di questo ruolo. Con la pandemia abbiamo perso per strada tanti alunni e alunne più fragili, non in grado di fronteggiare senza adeguati supporti e sostegni il grave peso del distanziamento (sociale, familiare, delle Istituzioni), il dato sulla dispersione scolastica registrato infatti è aumentato pericolosamente, un grave prezzo da pagare per tutta la società. Un’indagine IPSOS per conto di Save the Children ha evidenziato per esempio che, nel 28% delle classi superiori ogni studente aveva avvistato l’addio di almeno un compagno. Qui in totale parliamo di oltre 34mila ragazzi in fuga. Non è ancora ufficiale, tra questi, il dato sugli studenti con disabilità. Una voragine enorme che richiede dunque un altrettanto enorme dispiegamento di supporti, energie e forze per rinnovare tutta la scuola nel suo insieme. È una sfida aperta su più direzioni, ma l’obiettivo è lo stesso: garantire pari opportunità salvaguardando ciascuno, mettendolo nelle condizioni di poter essere e di poter fare. Ma, del resto, non è forse questo il compito della scuola che vogliamo?

di Francesca Palmas,

responsabile Scuola di ABC Italia, membro dell'Osservatorio sull’Inclusione Scolastica del Ministero dell'Istruzione e docente dell'Università di Torino

mercoledì 16 giugno 2021

Dopo il Covid: imparare dalle persone con disabilità

Superando del 16/06/2021

«Andare oltre l’inquadramento della disabilità unicamente in termini biomedici» e «costruire un mondo senza pregiudizi contro le persone con disabilità»: sono due tra i più interessanti passaggi del documento “L’amicizia con le persone con disabilità: l’inizio di un nuovo mondo. Imparare dalle esperienze delle persone con disabilità e dei loro caregivers durante la pandemia da COVID-19”, testo degno di grande attenzione, prodotto dalla Pontificia Accademia per la Vita, organismo del Vaticano che ha come fine la difesa e la promozione del valore della vita umana e della dignità della persona.

Vi sono indubbi elementi di grande interesse e modernità nel documento intitolato L’amicizia con le persone con disabilità: l’inizio di un nuovo mondo. Imparare dalle esperienze delle persone con disabilità e dei loro caregivers durante la pandemia da COVID-19 (disponibile integralmente a questo link), di cui risulta apprezzabile anche la correttezza del linguaggio adottato nel parlare di disabilità, fatto che, com’è ben noto, non è certo sempre scontato. A diffondere tale testo in questi giorni è stata la Pontificia Accademia per la Vita, organismo del Vaticano che ha come fine la difesa e la promozione del valore della vita umana e della dignità della persona.

Nel documento si sottolinea innanzitutto che «le persone con disabilità e i loro caregivers necessitano e meritano un’attenzione e un sostegno speciali perché la pandemia ha avuto un impatto negativo sproporzionato sulle loro vite [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]». Inoltre, si mette in luce l’esigenza di «coinvolgere e supportare il più possibile le persone con disabilità, per elaborare piani di assistenza avanzati e decisioni sanitarie in ogni momento, anche durante le pandemie».

Particolarmente significative risultano poi quelle che vengono definite come «tre preoccupazioni etiche fondamentali», vale a dire «promuovere soluzioni per i bisogni specifici delle persone con disabilità affinché beneficino delle politiche e degli interventi di salute pubblica». «Dovremmo – prosegue il testo – coinvolgere il più possibile tali persone nel processo di pianificazione e decisione».

E ancora, «nella salute pubblica, così come nell’assistenza sanitaria, dobbiamo andare oltre l’inquadramento della disabilità unicamente in termini biomedici. Dovremmo curarci di sostenere le persone con disabilità e i loro familiari in un modo coordinato e integrato, che possa coinvolgere tutte le specialità della medicina, così come altre discipline e altri settori del governo e della società».

Infine, viene rimarcata l’esigenza di «sviluppare quadri di salute pubblica basati sulla solidarietà e su una corsia preferenziale per i poveri e i vulnerabili a livello locale e globale».

Per l’ascolto delle persone con disabilità, il documento della Pontificia Accademia per la Vita Nota propone che si dia vita ad un vero e proprio «magistero della disabilità», in quanto, si scrive, «le lezioni che le persone con disabilità possono insegnarci, soprattutto durante questa pandemia, sono provocatorie. Ci sfidano ad adottare una nuova prospettiva sul significato della vita. Ci invitano ad accettare l’interdipendenza, la responsabilità reciproca e la cura gli uni degli altri come stile di vita e come un modo per promuovere il bene comune».

Nella conclusione, il testo esorta a costruire «un mondo senza confini, senza pregiudizi contro le persone con disabilità, dove nessuno è lasciato da solo ad affrontare le sfide della sopravvivenza personale». Dal canto loro, i cristiani «sono chiamati a contribuire alla costruzione di tale mondo».

«Purtroppo – si rileva -, nel pensiero cristiano, non di rado la disabilità è stata identificata come una conseguenza del peccato originale, ma il Vangelo insegna che alla fine della nostra vita e della storia umana saremo giudicati sull’amore per il prossimo, specialmente per i poveri, i più vulnerabili e coloro che sono ritenuti gli ultimi della famiglia umana. Tra questi, ai giorni nostri, ci sono le persone con disabilità. Decidiamoci, quindi, e adottiamo misure durante e dopo questa pandemia per garantire la costruzione di un mondo migliore, un mondo in cui le persone con disabilità siano sempre apprezzate, trattate con amicizia e amate». (S.B.)

Ringraziamo Luisa Borgia per la collaborazione.

martedì 15 giugno 2021

Prato in vista, la prima guida turistica tattile alla scoperta della città

STAMP Toscana del 15/06/2021

PRATO. La città in punta di dita. I luoghi del centro con i monumenti simbolo della sua storia e cultura da scoprire con la prima guida turistica tattile «Prato in vista». Ideata e curata da Arcantarte, associazione di promozione sociale impegnata in ambito culturale e in progetti di inclusività, con la collaborazione dell’UICI di Prato (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Prato che l’ha cofinanziata al 50 per cento, la guida è il primo supporto tattile per la visita di Prato dedicato a persone non vedenti e ipovedenti. Pensata per consentire la piena fruizione in autonomia del patrimonio artistico e culturale della città, la guida propone un viaggio fra i principali monumenti, illustrati con immagini in rilievo e descritti in caratteri braille e in nero grosso che restituiscono al visitatore le informazioni essenziali.

Un semplice supporto che fa di Prato una città ancora più inclusiva e senza barriere, un progetto importante per il turismo accessibile che mette a disposizione uno strumento in grado di ampliare la fruizione e l’approfondimento dell’arte attraverso esperienze tattili e sensoriali. La guida propone in apertura una visione d’insieme del centro storico, la prima mappa tattile offre l’immagine del quadrilatero dentro le mura antiche. Nelle pagine successive il percorso si snoda fra il Duomo, Palazzo Pretorio, la chiesa di Santa Maria delle Carceri e il castello dell’Imperatore, mostrando di ciascun monumento l’illustrazione della facciata mentre a bordo dell’immagine la figura di un uomo simbolo consente di comprendere le dimensioni del monumento. Brevi schede di testo descrittivo, scritti in braille e nero grosso, accompagnano ogni mappa. Risponde alle esigenze dei turisti non vedenti anche la tecnologia NFC (Near field communication) che permette la connessione con i cellulari di ultima generazione per lo scambio di informazioni.

Si stima che il target turistico di non vedenti e ipovedenti solo in Italia rappresenti circa 900mila persone (in provincia di Prato sono circa 500). La guida offre un valido supporto all’accoglienza e all’esperienza di visita di tutte le persone interessate in un progetto ampio di accessibilità del centro storico.

Ideato e realizzato da Arcantarte il progetto si è sviluppato nell’arco di dieci mesi con il supporto di UICI. Stampata in un centinaio di esemplari, «Prato in vista» si trova gratuitamente a disposizione in diversi spazi della città, dall’Ufficio informazioni turistiche di piazza del Comune, alle Biblioteche di Prato e provincia, al Museo di Palazzo Pretorio e al Museo dell’Opera del Duomo, al Castello dell’Imperatore, oltre alle sezioni UICI della Toscana.

L’associazione di promozione sociale Arcantarte nasce nel 2007 dalla volontà dei soci fondatori di condividere le loro competenze nei vari settori: architettura, ambiente, natura, territorio e arte. L’associazione ha come scopo la condivisione, promozione e valorizzazione dell’arte e della cultura in tutte le sue declinazioni e realizza iniziative e progetti di sperimentazione educativa storico-artistica-ambientale con attenzione alla sostenibilità e inclusività.

Fra le molte iniziative anche l’ideazione e l’organizzazione della mostra tattile “Accarezza l’Arte”, in collaborazione con l’associazione Industriale e commerciale Arte della lana, arrivata quest’anno alla quinta edizione, che permette un’esperienza di tipo sensoriale, come quella della lettura tattile di sculture di varia natura (bronzo, marmo, ferro, vetro, rame, terracotta, cemento, legno…) di artisti contemporanei. L’inaugurazione è prevista venerdì 10 settembre, alle 18, nel cortile di Palazzo Vaj (via Pugliesi 26 – Prato): in quell’occasione si svolgerà anche una presentazione pubblica delle mappe tattili di «Prato in vista».

Croce Rossa e UICI: intesa per l'inclusione sociale e lavorativa dei non vedenti

Il Sole 24 Ore del 15/06/2021

ROMA. L'Unione italiana ciechi e ipovedenti (UICI), l'ente che rappresenta le istanze di circa 2 milioni di cittadini ciechi assoluti e ipovedenti, e Croce Rossa Italiana, la maggiore organizzazione di volontariato in Italia, hanno firmato oggi un accordo di collaborazione per promuovere programmi che favoriscano l'inclusione sociale e lavorativa delle persone in condizione di svantaggio e vulnerabilità, con particolare riferimento alle persone con disabilità.

L'accordo, che segna per Croce Rossa Italiana un nuovo percorso di attenzione sui temi dell'inclusione lavorativa come strumento di lotta alla povertà e alla emarginazione sociale, è stato sottoscritto in occasione dell'anniversario della nascita dell'Associazione (15 giugno 1864), con l'obiettivo di rilanciare il tema del lavoro nell'agenda umanitaria globale.

L'accordo, di durata annuale, rientra nel quadro di una collaborazione già attivata nel 2020 e che fu orientata alla promozione di una linea di intervento comune in tutto il territorio nazionale nell'ambito della più ampia emergenza sanitaria derivante dal diffondersi di Covid-19 per dare sostegno alle persone non vedenti e ipovedenti in condizione di svantaggio e vulnerabilità attraverso la consegna a domicilio di spesa e farmaci.

"La sigla di questo accordo – sottolinea Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana è il primo passo di un nuovo percorso strategico per la Croce Rossa Italiana, un impegno a tutto campo anche sui temi dell'inclusione lavorativa come elemento cardine per lo sviluppo e la sicurezza delle nostre comunità e per vincere la lotta alla povertà e all'emarginazione. Da sempre cerchiamo di raggiungere e dare risposte ad ogni tipo di vulnerabilità, volendo essere ‘ovunque per chiunque".

Per Mario Barbuto, presidente UICI "la valorizzazione professionale e l'inserimento occupazionale dei non vedenti è la chiave di volta per la loro piena cittadinanza, e siamo onorati di avere al nostro fianco in questa sfida un'organizzazione di soccorso umanitario del prestigio di Croce Rossa italiana e a cui, anche in virtù di questa sensibilità, destineremo il prossimo Premio Braille, massimo riconoscimento nazionale per chi si impegna in favore della disabilità visiva".