I bambini della luce
Lettera di una giovane madre socia della IALCA.
Raccontare questa storia mi permette di ordinare i miei pensieri e le mie emozioni rispetto a quanto abbiamo vissuto intensamente in questi ultimi 5 anni.
La nostra avventura inizia nel 1997 quando, dopo pochi mesi di matrimonio, nasce nostra figlia. Si realizza il nostro sogno, simile a quello di tante giovani coppie: costruire una famiglia, due o tre figli e magari anche un cane. La rivedo come se fosse ieri, bella, biondissima e assolutamente perfetta. La stringo tra le braccia e un senso di soddisfazione profonda mi invade. Non sono mai stata così felice in vita mia come in quel momento. Tutto procede bene e la vita ci sottopone alle prove classiche di due neogenitori: notti insonni, strilli e piccole preoccupazioni.
Purtroppo questo equilibrio, apparentemente perfetto, vacilla nel giro di poche settimane e ci confronta con un dolore, un'angoscia tremenda, dirompente, quasi tragica. Infatti all'età di due mesi ci accorgiamo che nostra figlia ha un comportamento visivo inadeguato, strani movimenti oculari, reazioni particolari rispetto alla luce solare e tanti altri piccoli segnali di anomalie. Dopo una serie di estenuanti visite mediche sempre con il fiato sospeso finalmente arriva la diagnosi, atroce e liberatoria al tempo stesso. Non sopportavamo più l'incertezza, il dubbio, le domande degli amici e dei parenti a cui non sapevamo rispondere e il senso di assoluta impotenza di un genitore di fronte al suo bambino.
Nostra figlia non vede praticamente nulla. Quei bellissimi occhi azzurri riescono a percepire solo la luce abbagliante e nociva del sole. Amaurosi Congenita di Leber (LCA), così si chiama la sua malattia: una forma rarissima di distrofia retinica congenita che può presentare anche delle varianti degenerative molto gravi sia a livello renale che cerebrale.
Contro la nostra volontà entriamo a far parte di un nuovo universo, sconosciuto e spaventoso: abbiamo paura e non sappiamo cosa fare. È una malattia genetica rara, incurabile. Noi genitori siamo portatori sani del difetto genetico e lo abbiamo trasmesso inconsapevolmente a nostra figlia insieme a tutti gli altri geni perfetti che la rendono ai nostri occhi bellissima, simpatica e intelligente. Nessuno di noi ha colpa eppure questa certezza non allevia la nostra angoscia. Perché è capitato a noi? Perché? Come facciamo a crescere un bambino cieco? Come insegnarli a muoversi, a riconoscerci e a distinguere la diversità delle cose? Come renderlo felice? Come proteggerlo?
Le prime notti trascorrono tutte uguali: insonni, tra le mille domande e le letture medico-scientifiche sull'argomento………certo, capire aiuta ad accettare!! Le prime mattine sono tutte uguali: un senso di vuoto seguito dalla speranza di risvegliarsi da un brutto sogno. Ma alla nostra bimba non interessa la nostra comprensione scientifica dei fatti, lei vuole la nostra attenzione, il nostro amore e la nostra dedizione. Lentamente, giorno dopo giorno, riprendiamo possesso della nostra vita, dei nostri progetti, dei nostri interessi: impariamo a spiegare i fatti a chi ci osserva con occhi increduli, sfoderiamo frasi di conforto a chi si commuove sentendo la nostra storia e ci ribelliamo ad ogni segnale di pietismo inutile. Impariamo insomma ad essere genitori di un bimbo diverso, di un bimbo speciale.
In questo cammino abbiamo la fortuna di incontrare persone stupende: terapisti, medici, insegnanti ed altri genitori sensibili e disponibili che ci offrono i loro consigli e soprattutto la loro amicizia. Inizialmente non riuscivamo ad accettare, la rabbia stava togliendo il gusto della vita, ma nostra figlia con la spontaneità di ogni bambino ci insegna a vedere il lato positivo delle cose, a continuare a sorridere. Sorridere è necessario quando vedi tua figlia sbattere contro le porte e i muri oppure inciampare in un vaso che hai inavvertitamente spostato. Sorridere è necessario quando devi trattenerti dal porgergli la tua mano perché possa imparare a muoversi da sola; sorridere è necessario quando torna dall'asilo arrabbiata perché un suo compagno le ha detto che è cieca, mentre tua figlia insiste nel dire che non è vero perché vede tutto………con le mani però. Ma tutto si impara, giorno dopo giorno, poco alla volta e la tua vita diversa ritorna una vita normale.
Il tempo è galantuomo e cancella tutte le ferite, ma non i sogni. Noi sognavamo di avere un secondo bambino, per noi e per nostra figlia. Non volevamo una figlia unica, magari viziata anche a causa del suo problema. Con coraggio o incoscienza, dipende dai punti di vista, ci lanciamo nella nostra avventura. Sappiamo benissimo che avere un altro figlio significa correre il rischio del 25% che la malattia si ripeta. Ma la vita stessa è un rischio e noi non vogliamo smettere di vivere. Con fiducia affrontiamo la gravidanza e dopo 9 mesi abbastanza sereni, mentre nostra figlia compie 3 anni, nasce il nostro secondo bimbo. Il destino ci ha ripagato del nostro coraggio. Abbiamo un bambino splendido, biondo e con gli occhi azzurri, proprio come nostra figlia. E come i suoi, anche questi occhietti non vedono altro che la luce del sole. È difficile dire come ci siamo sentiti, addolorati ma consapevoli, tristi ma sereni. Non nascondo che lo sconforto ha provato di nuovo a prendere il sopravvento, ma ha trovato due persone più forti e determinate. Dopo l'abituale pellegrinaggio medico abbiamo voltato pagina ed accantonato ogni senso di colpa. Si è creato un nuovo equilibrio, equo, giusto. Nostra figlia ha dichiarato candidamente: "sono contenta che il fratellino non ci veda, così siamo uguali………e non ti preoccupare mamma, gli insegno tutto io!!!". Con questo spirito affrontiamo le difficoltà presenti e ci prepariamo per quelle future che saranno sicuramente numerose ma non insormontabili.
E soprattutto non abbiamo smesso di sognare e di sperare. Ci auguriamo che la scienza e la ricerca genetica possano aiutare in un prossimo futuro i nostri bimbi e le altre persone affette da questa malattia. Forse non tutti hanno trovato la forza di reagire e di condurre una vita normale, per questo vanno aiutati. Ma la ricerca è costosa, i tempi sono tanto più lunghi quanto più rara e poco conosciuta è la patologia. Siamo certi che la genetica stia facendo passi da gigante ma che solo con la solidarietà della gente si possano trovare i fondi necessari per la ricerca scientifica e per le associazioni (in Italia la I.A.L.C.A.) che si occupano quotidianamente di questi problemi.
Noi intanto continuiamo ad educare i nostri figli: dovranno essere più forti, più autonomi e più coraggiosi degli altri, ma soprattutto dovranno vivere sereni e affrontare le difficoltà che il destino ha deciso di regalargli esattamente come a tutte le persone della terra.
Non ci riteniamo persone sfortunate: abbiamo la grande occasione di metterci alla prova, di misurare le nostre capacità, di trovare nuove soluzioni e risposte per il bene dei nostri figli. Certamente è un'avventura diversa da come avevamo immaginato 5 anni fa, mentre stringevamo tra le braccia nostra figlia appena nata e non immaginavamo che i cagnoloni sarebbero stati ben due………due cani guida per ciechi.
«Dolce Emilia, con la tua mamma potrai volare»
Quella che pubblichiamo è la lettera che una giovane donna dedica alla piccola Emilia, affetta da Amaurosi Congenita di Leber, e alla sua mamma ospiti della maratona televisiva di Telethon.
Ciao a tutti mi chiamo Nevina Palmieri. Ho 27 anni e sono una ragazza ipovedente affetta da ROP (retinopatia del prematuro) della provincia di Milano. Lavoro, studio e, nei week end, collaboro alla mostra di dialogo nel buio sempre a Milano. Con un gruppo di amici mi sto mobilitando per fare una colletta da donare a Telethon e sono associata anche all'Airc.
Ieri pomeriggio, 14 dicembre, ho visto per caso in Tv la storia di Emilia e della sua mamma che si augurava che la figlia, nonostante la cecità, possa avere eguali opportunità e una vita autonoma.
Volevo rassicurare la signora che non sarà una strada facile ma, visto il bel caratterino della bambina e se verrà sostenuta dalla famiglia e crederete in lei come la mia famiglia ha fatto e sta facendo con me, potrà andare molto ma molto lontano.
Io nonostante negli anni sia peggiorata (ora vedo quasi 1/50 solo dall'occhio destro) mi sono laureata in scienze della comunicazione, studio, lavoro e nei week end faccio la guida a dialogo nel buio a Milano. Ho vari interessi e frequento un corso di teatro e il mio obbiettivo è mettermi dei soldi da parte per poter comprare casa e andare a vivere da sola. Tutto ciò per dire che, se c'è la volontà ed il sostegno dei tuoi cari, si può arrivare molto lontano. Ah! dimenticavo faccio anche parte di un gruppo di non vedenti ed ipovedenti chiamato GUCI www.guciweb.org.
Con questo vi saluto e spero di aver rassicurato questa mamma che aveva preoccupazioni per il futuro della bambina.
Inoltre faccio un in bocca al lupo a voi di Telethon e auguri di buone feste e un grazie speciale alle mamme coraggio come la mia mamma Anna, la mamma della piccola Emilia e la mamma di quella bimba di tre anni che vi ha scritto.
Senza il loro aiuto e sostegno non potremmo volare...
Emilia, 15 anni e senza vista: "Ho dieci in greco, faccio teatro e corro. Il mio segreto? Sono tosta"
Il Messaggero del 10.06.2019
ROMA. Emilia avrà in pagella la media del nove, in greco ha dieci. É rappresentante di classe, recita a teatro in una compagnia di amici, corre e fa gare di atletica, tifa Roma e va allo stadio, esce con gli amici, da grande vuole fare politica. Emilia non vede. «Ho ricordi di ombre e di luci», così lontani da sfuggirle ormai. Ma il buio non è mai stato un limite. «Fosse per me farei una cosa nuova al giorno. Il mio segreto? Non c'è un segreto, semplicemente sono così. Tosta di carattere. Di ostacoli ne ho incontrati tanti, ma preferisco oltrepassarli piuttosto che aggirarli».
Emilia Fares, romana, non ha ancora sedici anni, quando ne ha compiuti dieci Totti le ha ragalato una maglietta con il suo numero. "Amaurosi congenita di Leber", la diagnosi poco dopo la nascita. Da quando ha tre anni è seguita dal Centro Sant'Alessio, un istituto regionale di riabilitazione per non vedenti, lì ha intrapreso un percorso per raggiungere la totale autonomia.
«Ho dovuto attrezzarmi da subito per superare la disabilità e con due fratelli maschi ho imparato prestissimo ad affrontare e superare il gap di genere».
Emilia prende i mezzi pubblici e si muove da sola con il bastone bianco. «Le buche ci sono per me come per tutti gli altri», taglia corto. Frequenta il liceo Russell, l'anno prossimo sarà il terzo anno. «Mi ha sempre affascinata il mondo greco. L'ho scoperto grazie a un medico che mi leggeva le poesie in greco e poi le traduceva. All'inizio avevo delle perplessità se iscrivermi a questo liceo o no, c'era qualche problema con il vocabolario di greco cartaceo. Poi abbiamo trovato il modo di superarlo». Emilia usa il software Biblos per leggere il greco e Lambda per la matematica. Dal primo anno è rappresentante di classe, sono state le compagne a convincerla e tutti l'hanno votata.
Ma non c'è solo lo studio nelle giornate di Emilia. «Ho la passione per il teatro, recito in una compagnia di ragazzi dai 19 ai 25 anni, tutti vedenti. Quest'anno abbiamo portato in scena uno spettacolo su dodici donne della tragedia greca, io ero Ifigenia. Vado a correre allo stadio della Farnesina con un allenatore insieme ad altri ragazzi che non hanno alcun problema. Ho fatto anche qualche gara con i vedenti. E poi mi diverto molto, esco con gli amici. Da grande voglio occuparmi di politica, mi piacerebbe impegnarmi per i diritti delle persone». Ammira e cita Alexandra Ocasio-Cortez, la più giovane parlamentare statunitense. «Sono abbastanza coraggiosa. Sono forte e ho tutto quello che serve. Ce la posso fare».
di Maria Lombardi
Emilia, 15 anni e senza vista: "Ho dieci in greco, faccio teatro e corro. Il mio segreto? Sono tosta"
Il Messaggero del 10.06.2019
ROMA. Emilia avrà in pagella la media del nove, in greco ha dieci. É rappresentante di classe, recita a teatro in una compagnia di amici, corre e fa gare di atletica, tifa Roma e va allo stadio, esce con gli amici, da grande vuole fare politica. Emilia non vede. «Ho ricordi di ombre e di luci», così lontani da sfuggirle ormai. Ma il buio non è mai stato un limite. «Fosse per me farei una cosa nuova al giorno. Il mio segreto? Non c'è un segreto, semplicemente sono così. Tosta di carattere. Di ostacoli ne ho incontrati tanti, ma preferisco oltrepassarli piuttosto che aggirarli».
Emilia Fares, romana, non ha ancora sedici anni, quando ne ha compiuti dieci Totti le ha ragalato una maglietta con il suo numero. "Amaurosi congenita di Leber", la diagnosi poco dopo la nascita. Da quando ha tre anni è seguita dal Centro Sant'Alessio, un istituto regionale di riabilitazione per non vedenti, lì ha intrapreso un percorso per raggiungere la totale autonomia.
«Ho dovuto attrezzarmi da subito per superare la disabilità e con due fratelli maschi ho imparato prestissimo ad affrontare e superare il gap di genere».
Emilia prende i mezzi pubblici e si muove da sola con il bastone bianco. «Le buche ci sono per me come per tutti gli altri», taglia corto. Frequenta il liceo Russell, l'anno prossimo sarà il terzo anno. «Mi ha sempre affascinata il mondo greco. L'ho scoperto grazie a un medico che mi leggeva le poesie in greco e poi le traduceva. All'inizio avevo delle perplessità se iscrivermi a questo liceo o no, c'era qualche problema con il vocabolario di greco cartaceo. Poi abbiamo trovato il modo di superarlo». Emilia usa il software Biblos per leggere il greco e Lambda per la matematica. Dal primo anno è rappresentante di classe, sono state le compagne a convincerla e tutti l'hanno votata.
Ma non c'è solo lo studio nelle giornate di Emilia. «Ho la passione per il teatro, recito in una compagnia di ragazzi dai 19 ai 25 anni, tutti vedenti. Quest'anno abbiamo portato in scena uno spettacolo su dodici donne della tragedia greca, io ero Ifigenia. Vado a correre allo stadio della Farnesina con un allenatore insieme ad altri ragazzi che non hanno alcun problema. Ho fatto anche qualche gara con i vedenti. E poi mi diverto molto, esco con gli amici. Da grande voglio occuparmi di politica, mi piacerebbe impegnarmi per i diritti delle persone». Ammira e cita Alexandra Ocasio-Cortez, la più giovane parlamentare statunitense. «Sono abbastanza coraggiosa. Sono forte e ho tutto quello che serve. Ce la posso fare».
di Maria Lombardi
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