giovedì 31 dicembre 2020

Fine di un anno travagliato: quale bilancio per l’inclusione?

Disabili.com del 31/12/2020

Pandemia, scuole chiuse, didattica a distanza: il 2020 è stato un anno difficile per tutti, e in particolare per i bambini, soprattutto per i piccoli con disabilità.

Il 2020 volge ormai al termine e quasi scaramanticamente ne attendiamo la fine con premura, nella speranza che il nuovo anno possa iniziare in maniera più positiva. È stato verosimilmente l’anno più difficile per tutti noi, abbiamo visto tante persone andarsene in un sospiro, tanti nonni, una generazione, quella che ha portato il nostro Paese al benessere.

Alcune immagini e sensazioni ci accompagneranno per tutta la vita, eppure una forza dentro di noi chiede ancora vita, spinge a desiderare, a volere luce e calore, speranza. La speranza di poter portare questa sofferenza come testimonianza in un mondo che possa ancora consentire prossimità, vicinanza, fisica, umana, materiale. Quella vicinanza che tanto è mancata in questo terribile anno, soprattutto ai bambini, ai più piccini, che non capiscono perché sono soli, ai bambini con disabilità, già deprivati e ora, ancora più, pure di ogni contatto.

Quest’anno li ha messi a dura prova: li ha lasciati da soli nelle case troppo vuote e troppo silenziose, li ha assegnati alla distanza, ha tolto loro ogni parola. E quando hanno provato a farli uscire di casa li hanno lasciati da soli a scuola, con un solo insegnante, troppo spesso in gruppi formati soltanto da alunni con disabilità e da docenti di sostegno.

Ma dove stiamo andando? Cos’accadrà adesso? Cosa vediamo all’orizzonte se ci turba perfino l’azione del legislatore, se non ne comprendiamo il senso? Le norme cambiano, o forse no, si innovano e tutto è fermo. La spirale gattopardiana fagocita ogni ardire e siamo qui, ad attestare l’eterno ritorno dell’uguale che, per chi ha una disabilità, è sempre una parola amara: esclusione, marginalizzazione, stigmatizzazione, discriminazione. Una vale l’altra, se vogliamo, è un pezzo di dolore. Si torna indietro forse, ci si arrende. L’inclusione diventa sberleffo, smorfia innaturale, si piega su sé stessa e ci abbandona.

Ne parliamo con E. Chiocca, Presidente del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno (CIIS), docente e formatrice da sempre in prima linea a tutela dell’inclusione che, da tempo ormai, evidenzia preoccupazione per lo stato delle cose.

Come valuta il cambiamento in atto nel suo insieme?

Devo dire che sono molto preoccupata del “nuovo” che, avanzando, distrugge quanto faticosamente costruito in oltre quarant’anni di storia dell’inclusione scolastica in Italia. Evidentemente sono in molti a non crederci. Evidentemente in molti ritengono che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. E, accanto a loro, ci sono coloro che si sentono ‘fuori’, perché, per loro, la questione non li riguarda. Fra questi, è triste dirlo, ci sono anche gli insegnanti. Gli alunni con disabilità sono scomodi: ti mettono in discussione, ti obbligano a pensare e a ripensare il tuo agire e il tuo essere. Ti impongono di trovare altre strade, di non fermarti all’apparenza, di fidarti di loro, di raccogliere la sfida e di provare. Ti riportano alla realtà delle cose, in cui la perfezione è un’idea costruita, non una realtà, in cui la diversità è la caratteristica fondante e non uno slogan, in cui l’unicità della persona è tale nelle sue accezioni e non nello standard che ci siamo culturalmente costruiti e dietro il quale ci nascondiamo per giustificare la non reale accoglienza o le nostre manifeste azioni di discriminazione.

Le etichette hanno fatto il resto e ci sono utili, perché aiutano a nascondere le nostre miserie e la nostra pochezza. Tanto non ci riguarda, si pensa! Succede ad altri. Ci pensino loro. E con questo ritornello torniamo alla quotidianità, compiangendo gli alunni con disabilità quando li vediamo, commiserandoli quando li incontriamo, e lanciando ogni tanto qualche pensiero a “quelle povere famiglie” alle quali la natura ingrata ha dato un figlio che nessuno di noi vorrebbe e vuole.

Ma se capitasse anche a noi? Se domani nella nostra famiglia si presentasse un piccolo con disabilità? O se noi stessi ci trovassimo in una condizione di disabilità? O se noi ci trovassimo nei loro panni? Che cosa diremmo? Manterremmo i nostri atteggiamenti ipocriti e di perbenismo? L’essere quasi obbligati a provare a metterci nei panni degli altri o a trovarci nelle stesse condizioni delle famiglie al cui interno vive una persona con disabilità mostra come siamo distanti non tanto dal processo di inclusione, quanto dalla cultura dell’umanità. E questo il nuovo modello di PEI lo conferma.

Il nuovo modello di PEI, ancora in bozza, consegna alla società una prospettiva di frattura e di conflitto fra scuola e famiglia, rompe il dialogo, spezza il confronto, impedisce la condivisione e affida di fatto arbitrariamente alla scuola ogni decisione riguardanti una persona, l’alunno, le cui responsabilità la Costituzione affida ai genitori.

Che cosa significa tutto ciò? Qualche cosa si è rotto nel delicato e faticoso equilibrio di un dialogo talvolta difficile di un confronto a volte complesso, ma anziché trovare forme atte a garantire il diritto allo studio, si è trovato l’escamotage per aggirare ogni possibilità di incontro. Bastava agire su altri fronti, come quello della formazione, per esempio, assicurando alla scuola personale professionalmente competente, ovvero specializzando tutti i docenti e formando i dirigenti scolastici, in modo puntuale. Ne avrebbe giovato il percorso inclusivo e ne avrebbero giovato tutti gli alunni, non solo quelli con disabilità. Non è andata così…

Il futuro non è roseo. Vedo la nave naufragare contro gli scogli. Vedo sorgere classi speciali nella scuola di tutti. E questa prospettiva è angosciante. Al tempo stesso confido nell’autodeterminazione delle famiglie, nella capacità di riprendere in mano la situazione, di intervenire e di agire. Non credo che si possa buttare al vento quanto faticosamente costruito e sono convinta che molti genitori insieme a molti docenti siano in grado di riportare la barra al centro della via dell’inclusione. Quella reale.

Condividiamo ogni timore, ogni paura e tuttavia coltiviamo speranza. La cerchiamo negli occhi dei bambini, che pure guardano ancora con stupore e meraviglia.

Buon anno a tutti.

giovedì 24 dicembre 2020

Creata la prima retina artificiale bioibrida con fibroina di seta

TecnoAndroid del 24/12/2020

Uno studio sul Journal of Neural Engineering presenta la prima retina bio-ibrida costruita con fibroina della seta e cellule retiniche.

La retina è un tessuto di origine nervosa che riveste quasi tutta la parete interna dell’occhio. Si tratta di una delicata struttura che contiene i fotorecettori, cellule sensibili alle onde luminose e che si distinguono in coni e bastoncelli. È una membrana davvero importante e che in alcune malattie, come la degenerazione maculare, va in contro a deterioramento smettendo di funzionare adeguatamente. Oggi, però, sembra che per problematiche come questa ci sia una possibile soluzione: una retina artificiale bio ibrida.

A presentare questa retina artificiale bio ibrida è uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Neural Engineering. La ricerca in questione riporta la firma di un team di scienziati dell’Istituto di sanità Ricerca dell’Ospedale Clinico San Carlos de Madrid (IdISSC). Nello specifico, questa struttura bio ibrida è costruita utilizzando fibroina di seta sottilissima, un biomateriale che non dovrebbe creare problemi a contatto con i tessuti umani. Inoltre, la stessa fibroina della seta è ricoperta da uno strato di gel che serve per dare il tempo necessario alla stessa pellicola di integrarsi correttamente con il tessuto vivo circostante.

La retina artificiale bio ibrida può essere innestata attraverso un trapianto. Essa si caratterizza per la presenza di cellule mesenchimali che lavorano per produrre molecole neuro-protettive e neuro-riparative. Queste stesse cellule favoriscono l’integrazione tra le cellule impiantate e quelle dei pazienti. Questa retina artificiale bio ibrida è dunque compatibile, a livello biologico, con il corpo umano. Essa rappresenta un significativo passo in avanti per la riduzione di tutte le problematiche correlate, ad esempio, alla degenerazione maculare legata all’età. Infatti, quando provata in vitro, i neuroni di coltura primaria crescevano e si sviluppavano correttamente sulla bio pellicola di fibroina di seta.

di Carmela Pitasi

mercoledì 23 dicembre 2020

La rivoluzione dell’ICF, che ha cambiato la cultura della disabilità

Superando del 23/12/2020

Intervista di Antonio Giuseppe Malafarina a Matilde Leonardi*

In quale modo l’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute definita nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e di cui recentemente è uscita la nuova edizione, ha cambiato la cultura della disabilità? Ne parliamo approfonditamente con Matilde Leonardi, che ha contribuito a scrivere quel documento, in cui uno dei punti centrali è «che ogni persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un contesto sfavorevole diventa disabilità».

Ho conosciuto Matilde Leonardi quasi vent’anni fa. Sempre in giro per il mondo, ama l’arancione e le belle cose semplici della quotidianità. È una delle maggiori esperte internazionali di disabilità e con l’uscita della nuova versione dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.] non potevo che chiedere a lei cosa fosse questa oscura sigla e cosa c’entrasse con la disabilità. La dottoressa è stata infatti fra quelli che hanno contribuito a produrre il documento che ha cambiato la cultura della disabilità.

Matilde, si presenti.

«Sono un medico, un neurologo, un ricercatore. Dirigo l’Unità Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità e il Centro Ricerche sul Coma all’Istituto Neurologico Besta di Milano. Da oltre vent’anni mi occupo di tanti aspetti legati alla disabilità, in particolare dal 1995 sono nel Gruppo Coordinatore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che si è occupato di scrivere la classificazione ICF. L’ho presentata e ne ho parlato in quasi tutto il mondo. Sono stata tra il 2010 e il 2013 il coordinatore dell’Osservatorio Nazionale delle Persone con Disabilità che dopo la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità si è occupato della sua applicazione nel nostro Paese. Qui l’ICF si è fatto strumento per monitorare se i diritti sono stati resi operativi».

Ma cos’è esattamente l’ICF?

«Questo acronimo indica la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute ed è parte della più ampia famiglia delle Classificazioni Internazionali dell’OMS. Si tratta di uno strumento importantissimo dalle molteplici funzioni: garantisce infatti uno standard per la descrizione della salute e delle condizioni ad essa correlata, creando di fatto un linguaggio comune e permettendo la comunicazione tra i vari professionisti; permette inoltre di raccogliere dati in maniera coerente, che possono essere scambiati anche tra i vari Paesi; fornisce, infine, una base scientifica per la comprensione della salute e della disabilità intesa come interazione tra individuo e contesto ambientale, che può essere “facilitatore” o “barriera”, il cosiddetto modello biopsicosociale».

Qual è dunque la principale novità di questa classificazione?

«L’ICF, con il modello biopsicosociale, sposta il focus dalla visione riduttiva della disabilità come menomazione fisica o psichica, una visione cosiddetta solo medica, ai bisogni dell’ambiente della persona. Accettare questa prospettiva biopsicosociale ci permette di riaffermare quella che io definisco “la rivoluzione dell’ICF” e cioè che ogni persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un contesto sfavorevole diventa disabilità».

Quando nasce l’ICF e quali sono le novità dell’ICF 2020?

«Uscita nel 2001, la Classificazione ha subito diverse revisioni. Nel 2007 è uscita la versione per bambini e adolescenti ICF-CY e, dopo le revisioni del 2017, nello scorso mese di ottobre è uscito l’ICF 2020, che ha incorporato l’ICF-CY, diventando così la classificazione di riferimento che presto l’OMS pubblicherà sul proprio sito».

Dottoressa, ci parli liberamente dell’ICF.

«Tanto lavoro, con anni di continui contributi di esperti e utenti ICF di tutto il mondo hanno condotto tale classificazione a diventare il punto di riferimento per i Governi di tutto il pianeta, che ora possono standardizzare la raccolta di dati sul funzionamento, una cosa che ancora oggi avviene in pochissimi Paesi. In Italia, ad esempio, molte leggi prevedono l’uso dell’ICF per la valutazione, in particolare penso al Decreto Legislativo 66/17 per la scuola, ma molto si può fare».

Si parla spesso di “funzionamento”, ma cos’è e a cosa serve?

«Il funzionamento è il risultato dell’interazione fra una persona con una condizione di salute e i fattori ambientali facilitatori. Parlare di funzionamento è importante perché il funzionamento come concetto entrerà sempre più nei sistemi sanitari, dal momento che sempre più persone hanno malattie croniche e la diagnosi da sola aiuta ma non è sufficiente a descrivere la realtà di una persona. I dati sul funzionamento, quindi, sono fondamentali e l’ICF è lo strumento globale per la raccolta dati, poiché “se non sei contato non conti”».

Cosa vuol dire parlare di disabilità oggi?

«Come scrissi nell’introduzione del primo ICF, parlare di disabilità oggi vuol dire adottare una visione dell’uomo che lo consideri sin dall’inizio della sua esistenza una persona dotata tanto di capacità razionale, emotiva e affettiva, quanto di concreti bisogni fisici e materiali. Una visione, quindi, che adotti completamente e praticamente il modello biopsicosociale alla base dell’ICF. Sono convinta, infatti, che soltanto una concezione che comprenda sia le fasi esistenziali della crescita, sia quelle del declino ci metterà nelle condizioni di riflettere in modo adeguato su ciò che la società dovrebbe prevedere per garantire la giustizia. La società, quindi, tutti e ognuno di noi, dev’essere facilitatore e non barriera».

Se oggi dunque mi càpita di ripetere allo sfinimento che la disabilità sta nella relazione sfavorevole fra persona, con le sue condizioni di salute, e ambiente circostante è colpa della dottoressa Leeonardi. Fra gli infiniti spunti di riflessione di questa intervista mi cattura l’invito a considerare la persona nella sua globalità anche temporale: l’uomo per ciò che è stato, è e sarà.

Avrei voluto dirlo prima io. Non sempre, però, l’allievo supera il maestro. Grazie Matilde, signora dell’umanità.

La presente intervista è già apparsa in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “La classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (Icf), un documento che ha cambiato il mondo”). Viene qui ripresa, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione. Matilde Leonardi è neurologa all’Istituto Besta di Milano ed esperta di disabilità, già Copresidente del Gruppo di Riferimento FDRG (Funzionamento e Disabilità) nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Monza e Brianza – Santa Lucia ai tempi della pandemia di Luigi Meani

Giornale UICI del 23/12/2020

La giornata del Cieco che celebriamo ogni anno il 13 Dicembre in occasione di Santa Lucia, martire cristiana di inizio IV secolo e protettrice degli occhi è un momento importante per tutti noi, festeggiato e ricordato in tutte le sezioni.

In tempo di pandemia, questa occasione lungo lo stivale ha dovuto essere pensata in un modo diverso dagli altri anni. Così è successo anche nella sezione UICI di Monza e Brianza dove quest’anno, grazie alle tecnologie, i soci hanno potuto collegarsi da remoto.

Presenti in sede nel rispetto della normativa vigente il commissario straordinario Nicola Stilla, una delegazione di membri del comitato di gestione straordinaria e alcuni soci. Gli altri amici hanno partecipato da remoto.

Tra gli altri erano presenti in sezione alcuni soci per un importante riconoscimento al loro impegno profuso con dedizione e passione in tutti questi anni di attività.

Tre gli amici premiati:

- Rodolfo Cattani, per il costante impegno sociale e politico profuso all’interno dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti con dedizione, competenza e abnegazione a favore delle persone con disabilità in generale e per le persone non vedenti e ipovedenti in particolare – sia a livello territoriale che nazionale e internazionale;

- Ambrogio Crippa, per il costante impegno profuso all’interno dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti con dedizione, competenza e abnegazione a favore delle persone non vedenti e ipovedenti in ambito pensionistico e lavorativo;

- Antonio Vismara, ex Presidente e Dirigente della nostra Sezione, per il costante impegno sociale profuso con dedizione, competenza e abnegazione a favore delle persone non vedenti e ipovedenti.

A conclusione non poteva mancare un brindisi virtuale con la promessa che appena possibile tale brindisi diventerà reale per tutti in un nuovo momento di festa.

Un momento che è stato testimonianza attiva di resilienza. Una sezione oggi commissariata che poco per volta torna ad una nuova vita sociale. Possibile grazie ai dipendenti, ai volontari e all’impegno dei soci che insieme ed uniti sono capaci di rendere pulsante e vivo il cuore dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

lunedì 21 dicembre 2020

L’impegno della Commissione Europea per vaccini accessibili e inclusivi

Superando del 21/12/2020

«Vi assicuriamo il nostro impegno a prendere tutte le misure necessarie per proteggere la salute dei cittadini con disabilità»: lo hanno scritto le Commissarie Europee Stella Kyriakides e Helena Dalli, rispondendo al messaggio inviato da Yannis Vardakastanis, presidente del Forum Europeo sulla Disabilità, che aveva chiesto «l’inclusione delle persone con disabilità e delle organizzazioni che le rappresentano nella pianificazione delle strategie di vaccinazione, fornendo loro, così come alla loro rete di sostegno, un accesso prioritario a vaccinazioni sicure, affidabili e gratuite».

«Vi assicuriamo il nostro impegno a prendere tutte le misure necessarie per proteggere la salute dei nostri cittadini, comprese le persone con disabilità. Apprezziamo il lavoro del Forum Europeo sulla Disabilità in questo campo e ci auguriamo una continua collaborazione e un dialogo futuro»: si conclude così la lettera con cui Stella Kyriakides, Commissaria Europea per la Salute e la Sicurezza Alimentare e Helena Dalli, Commissaria Europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere, hanno risposto, a nome di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, al messaggio inviato a suo tempo da Yannis Vardakastanis, presidente dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, nella quale – come avevamo ampiamente riferito anche sulle nostre pagine – si chiedeva «di includere le persone con disabilità e le organizzazioni che le rappresentano nella pianificazione delle strategie di vaccinazione, fornendo loro, così come alla loro rete di sostegno, un accesso prioritario a vaccinazioni sicure, affidabili e gratuite».

Si tratta di un tema, lo ricordiamo, ripreso con forza, anche a livello nazionale, dalle Federazioni FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), che a firma dei rispettivi Presidenti Vincenzo Falabella e Nazaro Pagano, avevano inviato congiuntamente un messaggio al Ministro della Salute Roberto Speranza, chiedendo «con urgenza e certezza la garanzia e il pieno accesso alle cure e alla salute in condizione di sicurezza ed agibilità anche rispetto alle differenti disabilità, a partire dai futuri vaccini che dovranno essere garantiti per tutte le persone con disabilità e alle persone con quadri clinici di particolare rischio, e non solo per coloro che si trovano in stato di ricovero, nel rispetto della loro libertà di scelta individuale e di quella delle loro famiglie» (se ne legga anche sulle nostre pagine).

«La pandemia Covid-19 – scrivono nella loro lettera le Commissarie Kyriakides e Dalli – è una sfida senza precedenti, con un impatto di vasta portata sulla salute pubblica e sui gruppi vulnerabili, comprese le persone con disabilità. La Commissione Europea continua per altro a lavorare a stretto contatto con gli Stati Membri, con il sostegno dell’ECDC (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie». «E tuttavia – aggiungono – le questioni di salute pubblica, come l’organizzazione e la fornitura dell’assistenza sanitaria, le strategie di vaccinazione e dei test, sono di competenza degli Stati Membri e sono i Governi Nazionali a decidere le misure e le strategie specifiche in base alla situazione epidemiologica e sociale nazionale di ciascun Paese».

«Nell’àmbito però di una risposta più ampia alla pandemia – sottolineano poi – è importante garantire che le popolazioni vulnerabili, come le persone con disabilità, siano protette dal contagio e abbiano pari accesso a tutte le procedure necessarie, soprattutto in considerazione del fatto che, come sottolineato dal Presidente dell’EDF, sono maggiormente a rischio di Covid-19, ciò che è stato anche riconosciuto dall’OMS, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità), in un documento con il quale ha invitato le varie Autorità Nazionali a intraprendere azioni appropriate per garantire che le misure di emergenza includano le esigenze delle persone con disabilità, all’insegna di un’assistenza sanitaria accessibile e inclusiva».

«E ancora – ricordano Kyriakides e Dalli – l’Unione Europea è stata cofirmataria di una dichiarazione congiunta con la quale ha approvato l’appello del Segretario Generale dell’ONU António Guterres per una risposta alla pandemia che sia inclusiva della disabilità. Una dichiarazione, quella, in cui si è sottolineato che in questa situazione di emergenza i diritti e le esigenze delle persone con disabilità dovrebbero essere messi al centro dei nostri sforzi, come previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e dall’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Per questo stiamo lavorando a stretto contatto con gli Stati Membri dell’Unione, condividendo le migliori pratiche e fornendo competenze sulle misure nazionali. Il già citato ECDC ha pubblicato in luglio una guida tecnica sulla fornitura di sostegno ai gruppi vulnerabili, comprese le persone con disabilità, con l’obiettivo di fornire un orientamento alla società civile, alle organizzazioni non governative e alle autorità nazionali e regionali che stanno fornendo sostegno alle persone con vulnerabilità mediche e sociali durante la pandemia. In particolare, lo scopo era quello di individuare alcune delle principali sfide trasversali, dei successi e delle lezioni apprese da tali organismi nei mesi primaverili di quest’anno. Il 18 settembre scorso, quindi, la Commissione Europea ha pubblicato una serie di Raccomandazioni per un approccio comune ai test COVID-19, a ricaduta di una Comunicazione del mese di luglio sulla Preparazione Sanitaria a Breve Termine dell’Unione Europea per i focolai di Covid-19. Tali Raccomandazioni stabiliscono una serie di concreti passaggi attuativi che dovrebbero sostenere i vari Stati nella pianificazione e nell’organizzazione dei loro sforzi di sperimentazione nelle varie fasi di risposta alla pandemia. L’ECDC ha pubblicato inoltre le Strategie per i test Covid-19, dove è stato sottolineato che, idealmente, tutte le persone con sintomi della malattia dovrebbero essere testate il più presto possibile dopo l’insorgenza dei sintomi stessi. Il 17 giugno, infine, la Commissione Europea ha presentato una Strategia Europea per accelerare lo sviluppo, la produzione e la diffusione di vaccini. Ora, con la disponibilità di tali vaccini, le azioni dovranno essere adattate di conseguenza».

«Come affermato nel recente documento Preparazione per le strategie di vaccinazione e la diffusione di vaccini contro la Covid-19 – concludono le Commissarie Europee – l’accesso prioritario ai vaccini dovrebbe essere dato a gruppi particolari, comprese le persone di età superiore ai 60 anni, le persone il cui stato di salute le rende particolarmente a rischio, i gruppi socioeconomici vulnerabili e altri gruppi a più alto rischio. Quest’ultimo riguarda le persone con disabilità per i motivi evidenziati anche nella lettera del Presidente dell’EDF. Garantiamo pertanto il nostro impegno a prendere tutte le misure necessarie per proteggere la salute dei nostri cittadini, comprese le persone con disabilità».

(S.B.)

Ringraziamo Luisella Bosisio Fazzi per la collaborazione.

mercoledì 16 dicembre 2020

Distanze per i ciechi “A noi serve una mano”

Gazzetta di Mantova del 16/12/2020

MANTOVA. In affanno, come e più di tutti, per le norme che impongono il distanziamento e mortificano il contatto, l'Unione Ciechi e Ipovedenti di Mantova non ha rinunciato a condividere con soci e amici la Giornata nazionale del cieco, che coincide con il giorno di Santa Lucia. L'appuntamento (virtuale) si è svolto sulla piattaforma Zoom meeting: sono intervenuti il vescovo Marco Busca, con un messaggio dedicato, rappresentanti delle associazioni e delle amministrazioni locali, e collaboratori particolarmente vicini alla sezione Uici di Mantova. Tra gli ospiti anche Matteo Restani, autore del libro "Con gli occhi di un cieco", che racconta il percorso di crescita di un cucciolo destinato a diventare cane guida, e di come questo percorso s'intrecci alla vita della famiglia che lo accoglie.

"Il virus, le tante paure oggettive e quelle legate alla mancanza del controllo e della percezione di ciò che ci circonda, pongono le persone non vedenti e ipovedenti in una condizione di continua ricerca di soluzioni ai propri bisogni e insicurezze da affrontare e gestire nella quotidianità" riferisce la presidente di Uici Mantova, Mirella Gavioli. Sottolineando come il distanziamento ostacoli e contraddica le esigenze di chi ha letteralmente “bisogno di una mano”.

"Non volendoci mai arrendere, ma, piuttosto, re-inventare, la nostra associazione è riuscita a mantenere alto il livello di assistenza morale e materiale - rivendica Gavioli - garantendo la presenza costante al fianco degli associati".


Una terapia genica per ringiovanire la retina, studio su Nature

Salute del 16/12/2020

Uno studio sui topi sperimenta un 'cocktail' di tre geni in grado di riportare indietro le lancette dell'orologio biologico.

"Ringiovanire" la retina e combattere così le tipiche patologie oculari dell’invecchiamento, a partire dal glaucoma. È quanto lascia sperare un nuovo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, della Harvard Medical School (Usa). I ricercatori sono riusciti letteralmente a portare indietro le lancette dell’orologio delle cellule oculari e a ringiovanire la retina, ripristinandone le funzioni grazie alla terapia genica. In questa ricerca, dunque, non si è studiato l’effetto di un occhio bionico e neppure quello di un trapianto, ma il ripristino della retina originale. Anche se la ricerca è stata realizzata sui topi, viene considerata molto promettente.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato un vettore virale, un virus adeno-associato (AAV), per trasportare nella retina dei topi tre geni del ringiovanimento in grado di mandare indietro le lancette del tempo: Oct4, Sox2 e Klf4. Questi tre geni insieme a un quarto, cMyc che non è stato usato in questa sperimentazione, sono i fattori di Yamamaka che regolano la differenziazione delle cellule staminali pluripotenti indotte, capaci di riportare le cellule staminali al loro stato embrionale primitivo dal quale possono svilupparsi in qualsiasi altro tipo di cellula. Una terapia che sfrutti le potenzialità anti-aging di questi geni potrebbe riparare i danni alla vista provocati sia dal glaucoma che dall’invecchiamento.

La sperimentazione con tre geni

In passato, erano stati condotti degli studi utilizzando tutti e quattro i geni, denominati ‘i fantastici 4’ della riprogrammazione cellulare’, ma erano falliti per l’elevato rischio di generare tumori o di ottenere cellule talmente primitive che erano private della loro identità. In questo caso, invece, i ricercatori hanno ottenuto risultati soddisfacenti eliminando il gene cMyc e servendosi degli altri tre.

I risultati

La terapia a base dei tre geni è stata testata sulle cellule gangliari retiniche di topi adulti con lesioni del nervo ottico ottenendo un numero doppio di cellule sopravvissute dopo la lesione e un aumento di cinque volte della ricrescita dei nervi. I tre geni sono stati utilizzati anche in topi affetti da glaucoma e si è visto che, dopo la terapia, c’è stato un aumento dell'attività elettrica delle cellule nervose e un notevole aumento della acutezza visiva, valutata in base alla capacità degli animali di vedere le linee verticali in movimento su uno schermo. La terapia ha funzionato anche sui topi anziani, migliorandone notevolmente la capacità visiva.

di Irma D'Aria

Inaccettabile che milioni di cittadini con disabilità non possano ancora votare

Superando del 16/12/2020

«Com’è possibile che nel XXI secolo milioni di cittadini con disabilità dell’Unione Europea non possano godere del loro diritto di voto e che i responsabili politici non facciano quasi nulla per cambiare questa situazione? È una questione fondamentale per la democrazia dell’Unione»: lo ha dichiarato Krzysztof Pater, relatore del Parere denominato “La necessità di garantire l’effettivo diritto di voto per le persone con disabilità nelle elezioni del Parlamento europeo”, adottato dal CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) e rivolto a tutte le principali Istituzioni continentali.

Già anticipato nel mese di novembre scorso sulle nostre pagine, è stato adottato il 2 dicembre all’unanimità dal CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), fondamentale organo consultivo della Commissione Europea, un Parere con cui si invitano il Parlamento Europeo, il Consiglio dell’Unione Europea e tutti gli Stati Membri di quest’ultima a modificare urgentemente l’Atto Elettorale Europeo del 20 settembre 1976, per far sì che tutti i cittadini con disabilità dell’Unione abbiano un effettivo diritto di voto alle prossime elezioni del Parlamento Europeo, previste per il 2024.

Intitolato La necessità di garantire l’effettivo diritto di voto per le persone con disabilità nelle elezioni del Parlamento Europeo, il Parere chiede in sostanza che il testo dell’Atto Elettorale chiarisca i princìpi del suffragio universale e diretto e della segretezza delle elezioni. Come viene spiegato in una nota del CESE, «ciò porrebbe fine alla discriminazione nei confronti degli elettori con disabilità legata alle norme o alle modalità vigenti nei diversi Stati Membri, che differiscono notevolmente da un Paese all’altro. La modifica della legge elettorale potrebbe inoltre eliminare gli ostacoli giuridici o tecnici attualmente esistenti, che privano milioni di cittadini del diritto di voto».

«Il CESE – ha dichiarato al momento dell’approvazione Krzysztof Pater, relatore del Parere – ritiene che tale discriminazione sia inaccettabile e contraria ai valori fondamentali dell’Unione Europea, al Trattato Europeo e ai principali atti giuridici e politici internazionali».

Il Parere – che ha fatto seguito a una relazione informativa prodotta dal Comitato lo scorso anno – è stato adottato nel corso dell’ultima sessione plenaria del Comitato, durante la quale le questioni relative alla disabilità sono state poste in primo piano, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con disabilità.

«In primo luogo – ha sottolineato ancora Pater – questo Parere riguarda la dignità umana. Ciò che chiediamo, infatti, è il rispetto del principio della parità dei diritti per tutti. Com’è possibile che nel XXI secolo milioni di cittadini con disabilità dell’Unione Europea non possano godere del loro diritto di voto, e che i responsabili politici non facciano quasi nulla per cambiare questa situazione? Si tratta di una questione fondamentale per la democrazia dell’Unione».

Il relatore ha per altro espresso l’auspicio che le persone con disabilità non debbano subire la stessa sorte delle donne europee, che hanno visto revocare l’ultima limitazione del loro diritto di voto nell’attuale Unione Europea appena nel 1976, ovvero settant’anni dopo che la Finlandia, prima tra gli Stati europei, le aveva ammesse ai seggi elettorali.

Il CESE ha avvertito inoltre che, in assenza di modifiche giuridiche, il numero di cittadini potenzialmente privati di tale diritto continuerebbe ad aumentare costantemente, dato che la percentuale di persone con qualche tipo di disabilità in una popolazione europea in rapido invecchiamento aumenta in media di un punto percentuale ogni sei anni.

E ancora, il diritto di voto viene negato anche alle persone sottoposte a cure ospedaliere di breve durata, a quelle in fase di terapia o di riabilitazione a domicilio o a coloro che si trovano in isolamento a causa di rischi epidemiologici.

La già citata relazione informativa prodotta lo scorso anno ed elaborata dallo stesso Pater, aveva elencato nel dettaglio le limitazioni e gli ostacoli incontrati dagli elettori con disabilità in ciascuno Stato Membro, assieme a ben duecento esempi di soluzioni esistenti nei diversi Paesi. Le analisi contenute in quel documento, pubblicato due mesi prima delle Elezioni del Parlamento Europeo, erano state successivamente confermate dalle relazioni elettorali dei media e delle organizzazioni della società civile.

E tuttavia, nonostante alcuni cambiamenti positivi nelle legislazioni nazionali francese e tedesca, subito prima delle Elezioni Europee, è risultato che le Leggi Nazionali di quattordici Paesi escludevano ancora circa 400.000 cittadini dal voto a causa di problemi di salute mentale o disabilità intellettive. E in totale si era stimato come le persone con disabilità che non potessero votare, a causa di disposizioni organizzative o tecniche derivanti dalle norme nazionali, fossero nell’ordine di milioni.

Secondo la relazione, ad esempio, in otto Paesi dell’Unione le persone che non possono recarsi fisicamente al seggio elettorale a causa di disabilità o malattia non hanno altro modo di votare, mentre in diciotto Paesi le persone con disabilità visive non possono votare in modo indipendente e in nove Stati gli elettori devono indicare sulla scheda elettorale il numero di identificazione del candidato prescelto, il suo nome o il nome del partito che per cui intendono votare, il che costituisce per molti un grave ostacolo.

A detta del Parere adottato nei giorni scorsi dal CESE, dunque, le pratiche esistenti che discriminano i cittadini con disabilità dell’Unione Europea potrebbero essere eliminate rapidamente, modificando la Legge Elettorale Europea, in modo da obbligare i Paesi Membri ad applicare norme che garantissero a queste persone un effettivo diritto di voto. A tal fine, come inizialmente accennato, il Comitato ha chiesto che il principio del suffragio universale sancito nell’Atto Elettorale del 1976 venga chiarito, affermando esplicitamente che nessun cittadino dell’Unione può essere privato del diritto di voto alle elezioni del Parlamento Europeo a causa di una disabilità o del suo stato di salute sulla base di norme nazionali.

Per chiarire inoltre i princìpi del suffragio diretto e della segretezza delle elezioni, il CESE ha proposto una serie di sei misure che gli Stati dell’Unione dovrebbero adottare, per garantire il rispetto di tali princìpi e l’accesso al voto di tutti i cittadini, comprese le persone con disabilità. Il tutto guardando anche alle esperienze positive già attuate in molti Paesi.

«Se tutto ciò verrà attuato – afferma Pater -, le Elezioni Europee del 2024 saranno veramente universali e accessibili a tutti. Questo è il nostro obiettivo ed è un risultato che potrebbe segnare l’inizio di una nuova era per i diritti delle persone con disabilità in Europa». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa CESE (Daniela Marangoni), daniela.marangoni@eesc.europa.eu.

martedì 15 dicembre 2020

Una volta di più: accompagnamento e pensione d’invalidità non fanno reddito

Superando del 15/12/2020

«Sia la pensione di invalidità che l’indennità di accompagnamento esulano dalla nozione di “reddito” ai fini del calcolo ISEE, in quanto non costituiscono incrementi di ricchezza, ma importi riconosciuti a titolo meramente compensativo o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità»: lo ha sancito una volta di più una recente Sentenza del Consiglio di Stato, imponendo al Comune di Parma di annullare quel regolamento relativo ai progetti di vita in favore delle persone con disabilità, che si era mosso in senso contrario.

Due anni fa era stata l’Associazione di Promozione Sociale emiliana Prima gli ultimi a ricorrere contro il Comune di Parma per un regolamento approvato dal Comune stesso, che disciplinava il sostegno economico ai progetti di vita in favore delle persone con disabilità residenti nel Distretto della città. Motivo del contendere la decisione su chi avesse diritto a riduzioni o esenzioni dal pagamento di servizi non sanitari, tema sul quale l’Amministrazione Comunale aveva incluso nel reddito ai fini dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) anche le indennità di accompagnamento e le pensioni di invalidità.

Il ricorso, dunque, era stato dichiarato inammissibile dal TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), ma nei giorni scorsi il Consiglio di Stato, tramite la Sentenza n. 07850/2020, resa pubblica il 10 dicembre, ha inappellabilmente rovesciato quella decisione, sancendo l’ilegittimità di quel provvedimento del Comune di Parma.

«Nel prevedere che i familiari o i tenuti al mantenimento siano chiamati ad una corresponsabilità nel “budget di progetto” del disabile – si legge nella Sentenza, a proposito del regolamento impugnato -, si pone in contrasto con quanto delineato dagli artt. 2 e 6 del DPCM 159/2013 che sanciscono quale unico debitore dei costi del servizio il disabile stesso e la cui compartecipazione deve essere valutata sulla base del solo ISEE del nucleo ristretto [grassetti nostri nelle citazioni, N.d.R.]».

«Sia la pensione di invalidità che l’indennità di accompagnamento – recita ancora il Consiglio di Stato – esulano dalla nozione di “reddito” ai fini del calcolo ISEE, in quanto non costituiscono incrementi di ricchezza, ma importi riconosciuti a titolo meramente compensativo o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità».

L’appello è pertanto stato pienamente accolto, con l’ordine al Comune di Parma di annullare il regolamento in questione. (S.B.)

Ringraziamo Carlo Hanau per la segnalazione.

Il prezioso patrimonio culturale di Matera accessibile a tutti

Superando del 15/12/2020

Creare le condizioni affinché tutti i visitatori possano accedere al prezioso patrimonio culturale, archeologico e naturalistico di Matera: è questo l’obiettivo del progetto MuDiMa Matera, ovvero Museo Digitale Matera, che grazie a particolari tecnologie e ausili, oltreché all’attenzione verso i bisogni di tutti, rende appunto fruibili a tutti alcuni siti della cultura.

«Con i suoi interventi – spiegano dalla Cooperativa Sociale materana Oltre l’Arte, che ha realizzato il progetto – MuDiMa Matera rappresenta una grande possibilità di innovazione, non soltanto un semplice modo per intrattenere e incuriosire il pubblico, ma uno strumento per trasmettere informazioni utili e preziose per la fruizione dei beni culturali della città, offrendo tale possibilità a tutti, qualunque sia la loro condizione e aumentando il livello di partecipazione e di conoscenza».

Coinvolti nel percorso, dunque, sono i siti della Chiesa rupestre di San Pietro Barisano, della Chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve, delle Chiese rupestri di Santa Maria de Idris e San Giovanni in Monterrone e – ultimato proprio in occasione della recente Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità – quello della Chiesa Cattedrale di Maria Santissima della Bruna e di Sant’Eustachio. Qui sono stati di volta in volta inseriti particolari supporti visivo-tattili che attivano audio-video descrizioni in italiano, inglese e LIS (Lingua dei Segni Italiana), permettendo, come detto, la piena fruizione a qualunque visitatore, con l’acquisizione di varie informazioni e contenuti specifici.

Ma quali sono le tecnologie e gli ausili che consentono di ottenere questo risultato? Lo spiega l’Associazione torinese Tactile Vision, che insieme all’Associazione veneziana Lettura Agevolata, ha lavorato in prima persona per la loro realizzazione. «In ognuno dei siti – si informa – sono presenti pannelli informativi che, attraverso accorgimenti di natura multimediale e multisensoriale, sono in grado di comunicare i siti stessi, in modo semplice e inclusivo, ad un pubblico il più ampio possibile, fatto di persone di ogni età e abilità, comprensivo anche delle persone con difficoltà sensoriali (ciechi, ipovedenti, sordi, ipoacusici, anziani). Ogni pannello contiene la planimetria dell’edificio, con le informazioni essenziali sulla storia di esso e sulla sua importanza civile e culturale, oltre al prospetto delle facciate principali (testi e immagini, con testo Braille e immagini in rilievo), integrate con audio per le persone vedenti e non vedenti, video per le persone sorde, con sottotitoli e traduzione dei testi in LIS e in diverse lingue (italiano, inglese), accessibili mediante QR Code e sensori di prossimità NFC (Near Field Communication), posti nella parte bassa del pannello e attivabili con i più comuni smartphone».

E ancora, «vi sono poi i modelli in 3D ruotabili a trecentosessanta gradi, attraverso i quali avere l’immediata comprensione delle volumetrie dei siti rilevati mediante l’utilizzo di specifici software, che ne consente la piena fruizione attraverso una visione virtuale e immersiva. Essi sono fruibili tramite visori Oculus, che permettono la piena navigabilità dei siti e la loro esplorazione, vivendo un’esperienza unica e quanto mai realistica».

Infine, «i maxi schermi interattivi touch screen, che consentono a un più ampio pubblico di visionare i modelli 3D secondo il proprio interesse e diversi livelli di approfondimento delle informazioni, senza dimenticare l’applicazione per visionare in realtà aumentata oggetti in 3D di interesse storico-artistico».

Il progetto, ricordiamo in conclusione, è stato finanziato dalla Fondazione Carical e attuato in collaborazione con la Fondazione Matera-Basilicata 2019 e l’Associazione Volontariato Materano. (S.B.)

lunedì 14 dicembre 2020

Alunni disabili: il ruolo delle famiglie

Resegone Online del 14/12/2020

Evelina Chiocca, presidente del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno, spiega le dinamiche che intercorrono tra scuola e famiglia.

In collaborazione con Articolo 26, abbiamo intervistato Evelina Chiocca, Presidente del Coordinamento Italiano insegnanti di Sostegno. Come Un Villaggio per educare APS, nell'ambito della rassegna "Per fare un Bambino ci vuole un Villaggio", ci siamo spesso occupati di inclusione e di disabilità, come del resto di scuola e di famiglia. Una riflessione ricchissima e argomentata su quello che stanno vivendo in questi mesi, di cosa aspetta e cosa rischiano i nostri bambini e ragazzi con disabilità e fragilità. Un contributo prezioso per tutti i genitori per capire e accompagnare al meglio i loro figli. Un richiamo fortissimo all’ importanza delle famiglie nel dialogo con le scuole; dialogo che oggi rischia gravemente di essere messo in crisi a danno di tutti.

D: In queste settimane il dibattito intorno alla scuola, sembra essersi spostato dai “banchi a rotelle”, al confronto serrato tra didattica a distanza e didattica in presenza, ma la sensazione è che, ancora una volta, gli studenti, soprattutto quelli considerati più fragili siano i veri assenti. Quali rischi e quali opportunità intravede in tutto questo a fronte di una scuola e di una didattica che vuole essere realmente inclusiva?

R: In ambito pedagogico è ampliamente riconosciuto che l’attività didattica per tutti gli alunni, e in particolare per la maggior parte degli alunni con disabilità, sia da proporsi in presenza. Ed è partendo da questo assunto che, a fronte dell’ipotetica sospensione delle lezioni, determinata da emergenza sanitaria dovuta alla seconda ondata epidemiologica, già nei provvedimenti di giugno è stato anticipato che sarebbe stata privilegiata la frequenza in presenza per gli alunni con disabilità, a condizione che fossero garantite “condizioni di reale inclusione”. Il piccolo gruppo che entra in classe, infatti, deve essere costituito da alunni con capacità differenti. Non si possono proporre classi differenziali o classi speciali, come purtroppo è capitato e come sta succedendo in troppe scuole, tanto da costringere il Ministero a emanare una Nota, la n. 1990, lo scorso novembre.

Quel che sta accadendo è che, laddove le lezioni sono state sospese, si pensa prioritariamente a far entrare nelle scuole gli alunni con disabilità e non anche a garantire loro il diritto allo studio mediante gli insegnamenti formali. In queste scuole, infatti, sono solamente i docenti incaricati su posto di sostegno che al mattino si presentano, mentre quelli incaricati su posto disciplinare o comune, quelli cioè che hanno il compito di “insegnare i contenuti disciplinari”, non ci sono e i collegamenti con loro avvengono, se avvengono, tramite l’on-line, quella modalità che ha messo molto in difficoltà gli alunni con disabilità nel periodo di marzo-aprile-maggio e che ora, per scongiurarne la riproposizione, è stata scartata a favore della frequenza in presenza. Ma qualcosa non sta funzionando. Sicuramente gli alunni andando a scuola trovano una realtà diversa da quella dello stare soli in casa, ma qui la solitudine assume altri aspetti: la solitudine è imposta dall’assenza dei compagni, dalla mancata interazione e della necessaria dimensione relazionale, fondamentali per garantire gli apprendimenti.

La didattica è bene che sia in presenza, ma la presenza non può escludere una parte degli alunni e neppure una parte dei docenti. La scuola, ad oggi, resta uno dei luoghi più sicuri: le regole sono rispettate da tutti, si impara a condividerle con facilità perché tutti provvedono a misurare la temperatura, a igienizzarsi le mani, a sanificare gli oggetti, ad aerare gli ambienti, a indossare la mascherina, a mantenere le distanze. L’elenco è lungo, ma è già routine, pertanto acquisito e questo favorisce quelle condizioni di sicurezza necessarie.

Dal mese prossimo le scuole riapriranno per tutti, indistintamente. Si tornerà in classe. Probabilmente nella secondaria di secondo grado in classe accederà solo il 75% degli studenti e ci sarà una rotazione, ma ciò consentirà a tutti gli alunni di lavorare in una dimensione altamente inclusiva, dato che agli alunni con disabilità, prima che ad altri, sarà garantita sempre la presenza (stanti, ovviamente, le condizioni, che devono essere definite con le rispettive famiglie).

Il contesto è fondamentale, proprio perché presupposto affinché, nelle azioni della quotidianità, siano garantiti tanto gli apprendimenti quanto la socializzazione, la relazione e la comunicazione.

D: Di recente il MIUR ha emanato la Nota 1990 del 5/11/2020 in cui si sottolinea la necessità che le attività in DID (didattica integrata a distanza) “realizzino un’inclusione scolastica effettiva e non solo formale, volta a mantenere una relazione educativa che realizzi effettiva inclusione scolastica”. Suona “strana” la necessità, da parte del MIUR, di utilizzare in poche righe e per ben due volte, il termine “effettiva”, quasi il voler ribadire e riaffermare un qualcosa che …

R: All’indomani delle Ordinanze regionali e dei DPCM, emanati dal Governo, in cui, a fronte della chiusura delle scuole, veniva “consentita” la frequenza in presenza dei soli alunni con disabilità e, successivamente, anche degli alunni con BES, il Ministero è stato obbligato a chiarire, perché, di fatto, quei provvedimenti invitavano a costituire classi speciali, abrogate nel nostro Paese già nel 1977.

La questione è che le scuole, molte scuole, anziché tener conto delle normative vigenti, forse anche un po’ disorientate dall’emergenza sanitaria e dai molti vincoli (necessari) da rispettare, hanno preso alla lettera le Ordinanze regionali e i dpcm e hanno convocato a scuola i soli alunni con disabilità e gli insegnanti di sostegno (dimenticandosi dei docenti disciplinari), organizzando, in più situazioni, piccoli gruppi di soli alunni con disabilità. È evidente che una organizzazione di questo tipo è in netto contrasto con quanto prevedono le norme ed è in aperto contrasto con l’idea di scuola inclusiva che, faticosamente, stiamo cercando di realizzare da circa cinquant’anni.

D: Piano educativo personalizzato (PEI), piano didattico personalizzato (PDP), gruppo di lavoro operativo (GLO)… un mare di acronimi in cui spesso e volentieri i genitori rischiano di perdersi e in cui spesso la burocrazia sembra farla da padrona. Cosa può dirci in proposito e quale ruolo possono e devono avere i genitori in tutto questo?

R: Per ciascun alunno con disabilità è prevista l’elaborazione di un piano, noto come PEI (Piano educativo individualizzato), in cui sono descritti gli interventi rivolti all’alunno stesso, coordinati con la progettualità del gruppo-classe, tesi a soddisfare quegli obiettivi che la legge 104/92 declina negli apprendimenti, nella relazione, nella socializzazione e nella comunicazione. Il PEI è elaborato congiuntamente dai componenti del GLO, il gruppo di lavoro operativo, che è costituito:

- da tutti i docenti della classe in cui è iscritto l’alunno con disabilità;

- dai genitori dell’alunno con disabilità;

- dagli specialisti che seguono l’alunno con disabilità;

- e, se presente, dall’assistente all’autonomia e/o alla comunicazione assegnato all’alunno con disabilità.

Il PDP, invece, è il documento che viene predisposto dai docenti della classe in collaborazione con i genitori dell’alunno per il quale la famiglia ha presentato una diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), ai sensi della legge 170/2010. Per gli alunni con diagnosi di DSA gli obiettivi disciplinari e i contenuti corrispondono a quelli della classe alla quale sono iscritti; per loro si adottano strategie e metodologie didattiche, che peraltro sono vantaggiose ed efficaci per tutti gli alunni della classe, oltre ad altre misure specifiche.

E poi esiste un documento denominato sempre PDP (ma che è completamente differente da quello previsto per gli alunni con diagnosi di DSA), che viene redatto per quegli alunni per i quali i docenti della classe riconoscono come utili strumenti compensativi, per un periodo particolare e limitato del percorso scolastico (sicuramente non oltre l’anno scolastico), riconoscendo per loro una condizione temporanea di bisogno educativo speciale. Chiaramente questo documento richiede il consenso della famiglia, senza il quale la scuola non può classificare l’alunno come alunno con BES, né tantomeno può predisporre alcun documento come il PDP.

D: Qual è il ruolo della famiglia nel GLO, ossia nel gruppo di lavoro deputato alla stesura del Piano educativo individualizzato a favore di un alunno con disabilità?

R: Un ruolo rilevante, centrale, fondamentale. La famiglia, che detiene la responsabilità genitoriale del figlio e che, per lui, opera le scelte educative, è l’interlocutore privilegiato della scuola, in quanto è chiamata a condividere il percorso programmato per il figlio. Fra scuola e famiglia deve realizzarsi una solida alleanza educativa, basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco, coerentemente con i ruoli ricoperti, sicuramente fra loro differenti. La scuola deve ascoltare la famiglia, confrontarsi, coinvolgerla, accoglierla, considerarla. E la famiglia, a sua volta, deve manifestare questa reciprocità nell’aprirsi e nel fidarsi. Sicuramente è un percorso che richiede tempo, non si costruisce in un incontro; la professionalità dei docenti può fare la differenza, come pure la capacità di porsi non in modo giudicante, ma di collaborazione.

La sintesi di queste considerazioni sta in due parole chiave, senza le quali ogni progettualità rischia la deriva e il fallimento: corresponsabilità e condivisione.

La scuola non può interfacciarsi per parlare dell’alunno con altre figure professionali, come gli specialisti, per esempio, senza prima aver acquisito l’autorizzazione da parte dei genitori o in loro assenza. E il GLO è per l’appunto il luogo ideale per parlare dell’alunno, non solo con la presenza, ma con la partecipazione attiva della famiglia, in quanto componente effettiva. La famiglia può offrire molti elementi di conoscenza del figlio, sui suoi interessi, sulle sue attitudini, su ciò che non apprezza o che crea disagio o fastidio o disturbo, elementi che possono sfuggire ai docenti, ma che possono risultare strategici per l’impostazione educativo-didattica. Il suo ruolo è quindi di primaria importanza.

Purtroppo, in prospettiva, secondo l’impostazione che il nuovo modello di PEI introdurrà, se sarà confermata, nella trasformazione del GLO in organo collegiale, il ruolo della famiglia sarà fortemente ridimensionato, perdendo quella rilevanza che oggi, invece (giustamente), detiene. La famiglia, nella nuova formulazione, è destinata a restare al margine dei processi decisionali a favore del figlio. Confidiamo che ciò non avvenga e che il Ministero non dia seguito alle ipotesi formulate dal gruppo di lavoro che ha elaborato le bozze del modello di PEI e dei correlati documenti.

D: In questi mesi si è spesso parlato del nuovo PEI e del modello unico nazionale. Cosa può dirci in proposito?

R: Il nuovo modello di PEI, ancora in bozza e non ancora utilizzabile sia perché manca il provvedimento attuativo sia perché, essendo in bozza, potrà essere modificato se non addirittura riscritto, come auspico. Questo nuovo modello, infatti, tradisce non solo il processo inclusivo così come lo conosciamo oggi, ma annulla anche le conquiste faticosamente raggiunte in oltre 40 di storia. Vediamo alcuni punti chiave di questo modello:

- l’impostazione:

- il modello, che dovrebbe essere basato sul profilo di funzionamento, che ancora non esiste, ma che dovrà sostituire, inglobandoli, la Diagnosi funzionale e il Profilo dinamico funzionale, contiene al suo interno tutta la struttura del Profilo dinamico funzionale, anche se articolato in modo differente. Si evince l’evidente appesantimento del modello e di come esso sottenda un’idea di scuola più preoccupata di promuovere l’autonomia, sicuramente importante, a discapito degli apprendimenti, scarsamente presi in considerazione. Il nuovo modello avrebbe dovuto caratterizzarsi per la facilità di consultazione e di documentazione: obiettivo non raggiunto!

- la descrizione degli obiettivi e dei contenuti disciplinari è praticamente assente da questo modello, che, come detto, attribuisce scarsa importanza agli apprendimenti, in netto contrasto con la legge 104/92 che, ai commi 3 e 4 dell’art. 12, ribadisce che la disabilità non può e non deve impedire l’esercizio del diritto allo studio e che, pertanto, gli apprendimenti devono essere assicurati;

- il modello propone, per ciascun ciclo scolastico, un’ulteriore scelta nella definizione del curricolo, a mio parere non necessaria. Oggi nel primo ciclo il percorso è individualizzato (PEI semplificato), mentre nel secondo ciclo di istruzione vi sono due scelte: un PEI semplificato o uno differenziato. La terza ipotesi, contenuta nel modello, prevede lo stesso percorso dei compagni della classe, e questo può avvenire per alcuni alunni, ma sono omessi i riferimenti a eventuali ausili o sussidi didattici, in genere indispensabili. Diversamente come si motiverebbe un documento come il PEI?

- la possibilità dell’esonero, prevista per gli studenti del secondo ciclo di istruzione (teoricamente potrebbe rientrare, stanti le dichiarazioni contenute nella finanziaria, ma è ancora tutto da definire). Ciò che sconcerta è come il gruppo di lavoro, incaricato di redigere la bozza di PEI, abbia potuto ipotizzare di escludere alcuni alunni dagli insegnamenti formali “a causa della certificazione di disabilità”; a livello culturale il messaggio che traspare è di non riuscire a concepire questi alunni fisicamente presenti nelle classi della scuola italiana. Va da sé che una tale ipotesi poteva condurre a due situazioni: la costituzione di gruppi di alunni con disabilità in classi speciali, in quanto esonerati da alcuni insegnamenti, o la riduzione del loro orario di frequenza. Entrambe le situazioni sono palesemente discriminanti;

Sono alcuni aspetti, cui si aggiungono la redazione di un PEI in bozza redatto a giugno, contenente non solo gli obiettivi, ma anche le influenze dei fattori contestuali; ciò denota che chi ha pensato a questa evenienza non ha considerato:

- che gli alunni nel periodo estivo cambiano e quindi a settembre i loro bisogni formativi saranno differenti da quelli del mese di giugno;

- che il contesto che li accoglierà, seppur simile, sarà in parte diverso perché le persone saranno differenti: i ragazzi crescono, cambiano, acquisiscono nuovi comportamenti, si rapportano in modo differente; i docenti possono non essere gli stessi; gli arredi possono essere disposti in modo diverso; l’aula potrebbe essere cambiata per sopraggiunte necessità di modifica. Insomma… i fattori contestuali e l’influenza che essi potranno avere in un futuro non noto sull’alunno con disabilità (come pure sui compagni e sui docenti) non possono essere anticipati con mesi di anticipo,

- l’assenza di personale sanitario, fra le risorse da prevedersi; vi sono alunni che possono frequentare solamente se viene garantita la presenza di infermieri o personale para-infermieristico. Come è possibile non prevedere ciò all’interno del PEI? Forse per questi alunni in futuro sarà preclusa la frequenza in classe a causa della loro particolare condizione di salute?

Altra questione fortemente critica che accompagna il nuovo modello è il ruolo della famiglia, che sarà completamente stravolto. Il nuovo modello, nonostante non sia indicato nel d.lgs. 66/17, e neppure nel 96/19, prevede che il GLO funzioni come un organo collegiale. Questa impostazione impedirà alla famiglia di partecipare attivamente alle scelte che riguardano il figlio. Le decisioni assunte dal GLO, infatti, saranno soggette a votazione e considerato il numero dei componenti del GLO è facile intuire come, al conteggio, la famiglia risulti minoritaria e come, in caso di contrasto, possano essere non accettati o rigettati i suggerimenti o le scelte, anche quelle educative, indicati dalla famiglia. Questa configurazione, di fatto, contraddice quanto prevede la Costituzione, che affida alla famiglia la responsabilità educativa dei figli. Sarà necessario ricorrere alla Corte costituzionale se il Ministero, nel frattempo, non modificherà questa impostazione, che anche il CSPI ha bocciato?

a cura di Gualtiero Raimondi Cominesi

Loris Cappanna, maratoneta non vedente, che traccia la strada agli altri a cura di Matteo Simone

Superando del 14/12/2020

È una persona tosta, Loris Cappanna, maratoneta non vedente, già campione nazionale nella sua categoria, che ama osare un po’ per volta, per aprire nuove strade e nuovi percorsi, tracciando la strada ad altri. Per lui è fondamentale affidarsi e fidarsi a un “atleta guida” che ne condivida le sensazioni, comprendenti sia il benessere che la performance, e dello sport dice che «è un mezzo di aggregazione, di contatto con il mondo esterno, di acquisizione delle regole e soprattutto un modo di socializzare alternativo ai social».

Ha ottenuto nel 2017 il titolo italiano nella categoria T11 alla Mezza Maratona di Oristano, coprendo la distanza di 21 chilometri in 1 ora 25 minuti e 34 secondi. Un mese dopo, ha vinto un altro titolo nazionale, nella medesima categoria, alla Maratona di Roma (42 chilometri e 195 metri in 3 ore e 13 secondi). «Lo sport – racconta Loris Cappanna – mi ha dato nuovi stimoli e opportunità, e quando gareggio, essendo cieco totale, più che stare attento io, devono stare attente le mie guide, anche se devi comunque fare sempre attenzione ai rumori che ti circondano».

Diventa dunque importante nello sport, soprattutto per Loris, affidarsi e fidarsi, farsi guidare da qualcun altro, da un “atleta guida” che ne condivida le sensazioni, comprendenti sia il benessere che la performance.

Quali sono le condizioni fisiche o ambientali che più spesso ti hanno indotto a una prestazione non ottimale?

«L’eccessivo caldo o un percorso non adatto ad atleti con disabilità».

Quali persone hanno contribuito al tuo benessere nello sport o alla tua performance?

«Atleti guida, sicuramente, e il mio preparatore atletico».

Qual è stata la gara della tua vita, dove hai sperimentato le emozioni più belle?

«Ogni gara è un’emozione unica, però l’emozione più forte è stato quando ho fatto il pacer, ovvero il corridore di riferimento, alla Maratona Alzheimer del 2017».

E a proposito di pacer, avere la responsabilità della prestazione di un altro atleta può comportare una sensazione di ansia, di insicurezza: si tratta infatti di fare bene per l’altro, di non poter fallire, ma se c’è cuore, passione, motivazione, non ti preoccupi, ti metti scarpe e completino e dai il massimo di te per l’altro, per condurre l’altro all’arrivo nel tempo prefissato.

Quali sono i meccanismi psicologici che ritieni ti abbiano aiutano nello sport?

«La volontà di raggiungere l’obiettivo e di non mollare mai».

Questo è lo sport che vogliamo, prefissarsi una meta, un obiettivo e impegnarsi, allenarsi duramente, crederci e non mollare.

I tuoi familiari e amici cosa dicono circa il tuo sport?

«Ne sono positivamente entusiasti e alle volte anche increduli, quando pensano alla quantità di chilometri che faccio ogni settimana».

Ti va di descrivere un episodio curioso o divertente della tua attività sportiva?

«Le prime volte che correvo, ancora nessuno mi conosceva, alcuni arrivando da dietro, vedevano il cordino che mi legava all’atleta guida e si affiancavano chiedendo: “Ma siete gay?», o domande simili. In quei casi il divertimento stava nel cercare sempre la risposta migliore».

Ora sono in aumento atleti non vedenti e ipovedenti che corrono accanto a guide e le persone si stupiscono sempre di meno. Certo, resta l’incredulità. Ma cosa hai scoperto di te stesso nel praticare attività fisica?

«Che ho forza e volontà da vendere».

Quali sensazioni sperimenti o hai sperimentato nello sport: allenamento, pregara, gara, post gara?

«L’emozione della partenza, l’adrenalina che ti sale in gara, la soddisfazione all’arrivo qualunque sia il risultato».

Mi è capitato di vedere personalmente all’opera Loris, in occasione della Spring Run di Ferrara, dove lui era testimonial. L’ho visto riscaldarsi con la guida, fare gli allunghi, sempre disponibile e gentile a farsi fotografare con amici che glielo chiedevano, e poi, alla partenza, ascoltare le indicazioni del suo atleta guida, concludendo la gara di 7 chilometri, percorrendo la distanza in 3 minuti e 50 secondi a chilometro.

Qual è stata la tua gara più difficile?

«La Rimini-San Marino con tre pendenze oltre il 20%. E d’altronde il primo non vedente a farla ancora mancava!».

Loris è uno tosto, che ama osare un po’ per volta, per aprire nuove strade e nuovi percorsi, tracciando la strada ad altri.

Hai mai rischiato di incorrere nel doping? E c’è un messaggio che vorresti dare per sconsigliare il doping?

«Assolutamente non ci ho mai pensato, il duro lavoro, il sacrificio e i bei piatti di pastasciutta sono il miglior doping del mondo».

Riesci ad immaginare una vita senza lo sport?

«Proprio no».

Come hai gestito eventuali crisi, sconfitte, infortuni?

«Nel modo più semplice possibile, ritenendole come opportunità per migliorarmi».

Pensi che potrebbe essere utile la figura dello psicologo dello sport?

«Credo di sì, soprattutto nei giorni prima della gara, dove tutti i dubbi ti assalgono».

Quale messaggio vuoi rivolgere ai ragazzi per farli avvicinare a questo sport?

«Preferisco considerare tutti gli sport come un mezzo di aggregazione, di contatto con il mondo esterno, di acquisizione delle regole e soprattutto come un modo di socializzare alternativo ai social».

Quali sono i sogni che hai realizzato?

«Avere inaspettatamente vinto i Campionati Italiani di Mezza Maratona e la Maratona Paralimpica».

Affidarsi e fidarsi, l’abbiamo detto, è quello che si può sperimentare nello sport, ed è quello che si sperimenta correndo e camminando con gli atleti con disabilità visiva.

Matteo Simone - Psicologo dello sport, psicoterapeuta Gestalt ed EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).

domenica 13 dicembre 2020

“Museo Palatino. Accarezzare la storia di Roma” è la prima guida tattile del Parco archeologico del Colosseo

Turismo Italia news del 13/12/2020

... nell’ambito di un protocollo di intesa in corso di stipula per la definizione di progetti condivisi in tema di accessibilità, insieme a Lazio Innova.

ROMA. La prima guida tattile del Parco è stata presentata in una vetrina virtuale della Maker Faire Rome 2020: è stata ideata, promossa e curata dal Parco e realizzata da atipiche edizioni nel Fablab dello Spazio Attivo della Regione Lazio Loic Zagarolo (Por Fesr 2014-2020). "La collaborazione del Parco con Lazio Innova ha l’obiettivo di indirizzare l’uso delle tecnologie e dell’innovazione per il fine ultimo dell’inclusione e della piena accessibilità del patrimonio”, commenta il direttore del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo - non ci fermeremo alla guida tattile ‘Museo Palatino. Accarezzare la Storia di Roma’, ma proseguiremo su questa strada per ampliare la conoscenza del nostro patrimonio con prodotti accessibili a tutti e fortemente legati al tema del digital”.

La guida, ideata e curata per il Parco da Giulia Giovanetti e Federica Rinaldi, con Donatella Garritano - che ha anche curato la traduzione inglese - e Silvia D’Offizi, è nata nell’ambito del corso di formazione realizzato dal Parco con il Museo Tattile Statale Omero di Ancona e la Direzione Generale Educazione e Ricerca del Mibact (2018-2019) e si inserisce nella serie di azioni coordinate che favoriscono l’autonomia di visita agli ipovedenti e ai non vedenti e che fanno parte del più ampio Progetto "Il Parco tra le mani”. Il prototipo realizzato da atipiche edizioni – Andrea Delluomo e Giulia Foscolo - si compone di una scatola di grande formato che, oltre a contenere il materiale tattile e testuale, una volta aperta diviene il piano di lettura della mappa dell'area archeologica. All'interno sono presenti due raccoglitori ad anelli, contenenti le 16 schede con le opere più rappresentative della collezione del Museo, descritte con testi scientifici ma ad alta leggibilità (in Italiano e Inglese con trascrizioni in braille) e illustrate con immagini tattili.

Per lo sviluppo e la creazione del prototipo si è rivelato fondamentale il supporto delle tecnologie e delle risorse del Fablab di Zagarolo – Manlio Di Dio, Berenice Marisei, Giorgio Salvioni – che, dopo una specifica formazione, ha messo a disposizione dell'équipe di lavoro la tecnica della stampa digitale UV, mediante una Roland VersaUv Lef-12i, con la quale sono state realizzate particolari stampe a rilievo, illustrazioni e texture tattili, come per alcuni testi in braille. La caratteristica di questa stampante è proprio quella di utilizzare inchiostri foto-polimerizzanti, che vengono istantaneamente asciugati e solidificati grazie ad una sorgente luminosa ad ultra violetti. Ciò consente di poter stampare su qualunque supporto di base e di poter realizzare spessori diversificati, permettendo ad esempio la realizzazione di un testo braille sovrapposto ai normali testi stampati, per la contemporanea fruizione della guida tattile a persone con deficit visivo e non. Per la rappresentazione di alcune illustrazioni materiche è stata invece utilizzata la tagliatrice laser CO2 da 80W, che ha consentito il taglio di materiali accoppiati e, dove necessario, l'incisione.

Patrimonio culturale, patrimonio sensoriale.

L’approccio alla realizzazione della guida tattile, a opera di atipiche edizioni, è un ibridazione tra artigianalità e utilizzo consapevole delle nuove tecnologie di prototipazione digitale, favorita dal processo di coprogettazione e collaborazione che ha coinvolto molteplici professionalità, competenze e sensibilità tra archeologi, storici dell'arte, artigiani, artisti, maker e persone con disabilità visiva. La guida tattile vuole dimostrare che l’innovazione tecnologica applicata ai beni culturali in relazione con la creatività intellettuale e il saper fare manuale, può essere in grado di generare buone pratiche, presentando al pubblico un nuovo modo di fruire del patrimonio culturale, maggiormente coinvolgente e multisensoriale. La collaborazione al progetto di due artisti ha permesso, attraverso la loro specifica sensibilità e un approccio materico, di arricchire l’efficacia della guida tattile come strumento di promozione del patrimonio culturale in senso inclusivo.

L'illustratrice e incisore Susanna Doccioli della Stamperia a Ripa ha contribuito alla tavola tattile ispirata alle grandi ali in marmo bianco greco, appartenute a una “Vittoria alata”. Si tratta di un reperto scultoreo con particolari incredibilmente realistici, che sono stati resi dall'artista grazie a un’incisione dettagliata e alla stampa di una piuma “in gaufrage” su carta Fabriano Rosaspina. Restituendo, per chi la accarezza, il dettaglio minuzioso e la delicatezza del soggetto. Dario Zeruto, alchimista della carta, ha contribuito a rendere unica l'ultima pagina della Guida Tattile, che affrontando il tema della scultura ideale rappresenta “l'eroe” e la “cosiddetta Danzatrice” resi tramite una contrapposizione di materiali, in particolare stoffe di differente fattura magistralmente lavorate in pieghe. E così, la resa visiva e tattile della veste della “cosiddetta Danzatrice” in un lungo chitone lavorato a fitte piegoline rimanda a una leggerezza della plissettatura che Zeruto rende con l'applicazione della tecnica della piega a V, applicata su matrici di carta e poi riversata su soffice seta.

Il passato come ponte per il futuro. Il ruolo dell’archeologia

La collezione di reperti conservata nel Museo Palatino consente la conoscenza della storia del Colle Palatino, dove la città di Roma vede i suoi primi sviluppi, in un percorso nel tempo, dalla preistoria all’età imperiale. L’idea che ha guidato il progetto è stata quindi la selezione dei reperti archeologici più rappresentativi in relazione alle tappe fondamentali della storia del Colle e dell’Urbs. Ogni scheda approfondisce la conoscenza degli oggetti con un testo accessibile che permette diversi livelli di lettura, collegando sempre il singolo oggetto a tematiche più ampie, relative alla storia della città, alla storia dell’arte e alle metodologie di studio del mondo antico. La selezione di opere vuole accompagnare tutti i visitatori alla riscoperta di questa Storia lunga più di dieci secoli attraverso i materiali, le tecniche edilizie, i reperti che lo scavo archeologico ha rinvenuto nel sottosuolo. Accanto al percorso di visita, la guida propone anche un approfondimento sul mestiere dell’archeologo, con focus sullo scavo stratigrafico, sulle tecniche edilizie, e ancora sul metodo di ricostruzione storica a partire dall’analisi dei reperti, fino ad arrivare alla ritrattistica, una delle massime e caratteristiche espressioni dell’arte romana. In questo percorso l’archeologia si fa strumento di racconto, consentendo di riconoscere con il tatto il tipo di materiali, i dettagli delle lavorazioni, i particolari delle acconciature e delle vesti o della muscolatura di eroi e divinità. Il disegno tattile assieme alla riproduzione in 3d di alcuni reperti si inseriscono appieno nella filiera della innovazione tecnologica al servizio dell’accessibilità per tutti. Completa la scatola un cassetto “immersivo” con le riproduzioni in 3d di reperti.

Finta cieca? No, totale. "Lo Stato deve restituire il denaro sequestrato"

Il Resto del Carlino del 13/12/2020

Bologna: la donna, 38 anni, era finita nei guai a giugno quando venne indagata. "Assolta, il fatto non sussiste". L’indagine della Finanza partì ad aprile da uno scritto indirizzato a INPS e INAIL.

BOLOGNA. Cieca, la signora L., lo è del tutto. A stabilirlo adesso c’è pure una sentenza del tribunale che l’ha assolta dalle accuse di truffa ai danni dell’Inps e di falso per aver indotto un medico dell’istituto previdenziale a formulare un certificato di invalidità e inabilità totale. Assolta dal gup Letizio Magliaro, in abbreviato, con formula piena "perché il fatto non sussiste". Perché, spiegano nelle memorie difensive gli avvocati Luca Moser e Silvia Scota, "la patologia oculistica che la affligge è di una gravità tale, da comportare una sua classificazione come cieca totale". Con tutto ciò che "questo implica in relazione al trattamento pensionistico e previdenziale" e ne consegue perché "mai ha simulato alcunché, nè tramato per ingannare e indurre in errore coloro che l’hanno esaminata negli anni".

Ma da giugno scorso, a seguito di un’indagine di Finanza e Procura, il tribunale aveva deciso di ’sigillare’ il suo conto corrente, chiedendole la restituzione di quasi 130mila euro di "ingiusti profitti" tra indennità di accompagnamento e pensione per inabilità. Per l’esattezza: 120.674 euro fino al 31 dicembre 2019, più 8.736 fino a maggio 2020. Gli inquirenti vennero attivati nell’aprile 2019 da uno scritto indirizzato a Inps, Inail e Gdf, che segnalò "una situazione di grave irregolarità" da parte di L., 38 anni ligure residente a Bologna e con due figli a carico, cieca ma non del tutto, secondo lo scrivente. La quale, con "artifizi e raggiri", sarebbe riuscita a strappare un certificato di "cecità assoluta". A settembre, per quattro giorni consecutivi, venne pedinata e filmata nel tragitto casa-scuola. E vedendo qualche frame di quei lunghi video, la donna sembrava davvero mostrare grande dimestichezza nei movimenti, scansando pedoni e ostacoli in strada senza l’aiuto del cane, o leggendo i prezzi sui cartellini dei prodotti nei negozi avvicinandoli al viso.

Alla fine del 2019 il suo nome è nel registro degli indagati per truffa e falso per induzione. Secondo la Procura, infatti, avrebbe pure raggirato una dottoressa dell’Inps a "formulare conclusioni di invalidità e inabilità, certificando falsamente l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa". L’ultima stangata arriva a giugno con il sequestro preventivo dei conti. Da qui in poi il lavoro dei legali della donna, capaci di smontare, a suon di consulenze mediche, gli addebiti. Dimostrando che la sua retinopatia, malattia che presenta diversi stadi, può portare alla "conseguente cecità totale". Un "progressivo sviluppo con aggravamento certificato nel 2005". Solo un lungo e difficile percorso riabilitativo "in orientamento, mobilità e autonomia personale", le avrebbe permesso di "acquisire indipendenza e sicurezza", raggiungendo "obiettivi e traguardi grazie alle sue capacità di apprendimento". Ma, si legge dagli atti, senza modificare "i requisiti per il riconoscimento dello stato di cecità assoluta". Elementi che hanno portato ora il tribunale, su richiesta della stessa procura, ad assolverla, rendendo il provvedimento di sequestro non più efficace. Resta aperto un contenzioso con l’Inps (che era costituita parte civile), con la difesa della 38enne che chiede il pregresso economico dell’invalidità che da giugno le è stata ridotta.