lunedì 25 luglio 2022

Accessibilità dei siti: perché troppe aziende e PA ignorano la legge e i diritti dei disabili

Agenda Digitale del 25/07/2022

L’ultimo in ordine di tempo è il caso Iliad: troppe aziende e pubbliche amministrazioni continuano a ignorare che fornire servizi tramite siti (e app mobili) non accessibili significa discriminare gli utenti con disabilità e ricorrono a scorciatoie- beffa come gli overlay di correzione automatica. Il punto.

Nelle scorse settimane sugli organi di stampa dedicati è comparsa in pompa magna la notizia che Iliad, l’operatore di telefonia mobile che opera nel nostro mercato da ben quattro anni, ha fatto dono della possibilità di navigare nel suo sito ai suoi clienti con disabilità.

Si potrebbe dire “meglio tardi che mai”, se non fosse per il fatto che, ancora una volta, dobbiamo constatare che il dono si è rivelato l’ennesimo motivo di frustrazione per le persone con disabilità e che per Iliad non è ancora giunto il tempo per vantare una piena inclusività.

(Non) accessibilità dei siti: Iliad e le altre

Questo purtroppo non è un caso isolato. Sì, perché come sta accadendo purtroppo spesso, invece di seguire la via maestra di produrre siti che tengono conto già in fase di sviluppo delle regole prescritte dal consorzio mondiale per il web (W3C) per realizzare contenuti web accessibili, tra l’altro un obbligo per aziende con fatturato superiore ai 500 milioni di euro, si è scelta per l’ennesima volta una scorciatoia, un apparente uovo di Colombo.

La soluzione scelta da Iliad è uno strumento che automaticamente corregge problemi di accessibilità. Si tratta tecnicamente di un overlay di correzione automatica, che vediamo comparire sempre più spesso nei siti della Pubblica Amministrazione (tra cui il portale del turismo italia.it) e purtroppo non solo (si pensi ad esempio a Barilla, Campari, Dolce e Gabbana, Conad, Findomestic e molti altri), che promette una accessibilità automatizzata ma che in realtà genera il solito accrocco dove la persona disabile naviga con fatica.

Mettetevi nei panni di una persona con disabilità che vuole consultare i servizi turistici del paese, comprare un prodotto al supermercato online, stipulare un’assicurazione o conoscere meglio gli aperitivi della nota multinazionale Campari, e si trova davanti una soluzione che lo obbliga ad attivare alcune funzionalità per fruire del sito web.

Torniamo però al caso Iliad. Nello specifico, ad una analisi solo sommaria da parte di utenti non vedenti, il sito di Iliad non presenta una suddivisione corretta per intestazioni; i link e le immagini hanno etichette di scarsa comprensibilità e le parti interattive, i cosiddetti form, non sono interamente completabili.

La legge sull’accessibilità troppo spesso disattesa: perché?

Partiamo da un concetto di base: fornire servizi tramite siti (e app mobili) non accessibili significa discriminare gli utenti con disabilità. Esistono leggi come la 67 del 2006 che prevedono la possibilità per chiunque, con disabilità, si senta discriminato, di poter diffidare alla messa a norma ed agire poi per via giudiziaria per ottenere la rimozione delle barriere ed un indennizzo per il danno subito.

Come Invat (Istituto Nazionale Valutazione Ausili e Tecnologie) da anni mettiamo a disposizione di chiunque lo richieda le competenze di utenti web con disabilità visive, e saremmo ben stati lieti di offrire ad Iliad un supporto puntuale e verificato dall’esperienza d’uso, ma purtroppo non ci hanno consultati.

L’episodio è particolarmente preoccupante perché in Italia, il prossimo novembre, scatterà l’obbligo per tutte le aziende con fatturato annuo superiore ai 500 milioni per tre anni, di rendere completamente accessibili i propri servizi offerti via Web. Non vorremmo che per risparmiare qualche spicciolo, queste prendessero esempio da Iliad ed altri e ricorressero all’accrocco. Sarebbe l’ennesima beffa nei confronti delle persone con disabilità che tradisce buone intenzioni ma produce pessimi risultati.

La stessa AgID, che in Italia si occupa di regolamenti tecnici per le piattaforme informatiche e si occuperà della vigilanza e dell’iter sanzionatorio delle imprese inadempienti, spiega, in un articolo eloquente ed esaustivo, perché questi accrocchi non possano sostituire l’intervento umano.

Quello che deve essere chiaro è che noi utenti con disabilità richiediamo che i prodotti forniti dalle aziende e dalle PA siano conformi agli obblighi di legge ed agli standard di accessibilità, per poter usare (ed acquistare!) i loro servizi. Non acquistare prodotti conformi, voler risparmiare per la messa a norma di quelli non conformi pensando di risolvere con cose automatizzate fa ancora più adirare chi ottiene un’informazione di “cortesia” sull’accessibilità del sito ed in realtà si ritrova a doversi districare in oggetti tortuosi. Inoltre, quando questi plugin saranno rimossi, i siti torneranno come prima; quindi, a chi giova non riparare dei problemi ma a mettere un cerotto “molto visibile”?

Conclusioni

Giova altresì ricordare che tali soluzioni stanno subendo una contestazione legale di rilevante importanza proprio negli USA, culla del diritto in questo ambito, proprio perché trattasi di soluzioni tampone che spesso e volentieri creano più difficoltà che benefici reali nella navigazione di una piattaforma web. L’uso di questi overlays di correzione automatica è un fenomeno che desta non poche perplessità e preoccupazioni, in quanto si sta diffondendo a macchia di leopardo, dal momento che, non solo entità private, bensì anche Pubbliche Amministrazioni si stanno avvalendo di queste soluzioni. Soluzioni proposte per una manciata di euro, evidentemente spesi male, alle spalle dei contribuenti; platea della quale anche i disabili, a buon diritto/dovere fanno parte: beffa nella beffa dunque!

E a proposito di beffe: una chiosa finale, da sorriso beffardo, se non fosse che quanto scritto sul comunicato diffuso da Iliad è tremendamente vero; citiamo dall’articolo: “Il tool è identificabile in basso a sinistra dello schermo (sia nella versione desktop che mobile) attraverso un’icona rossa che permette di impostare tutte le personalizzazioni necessarie a rendere le pagine accessibili al maggior numero di utenti.”! Un’icona rossa… come rampognare un utente sordomuto che non apprezza la nona sinfonia di Beethoven… ogni commento suonerebbe come superfluo…

di Francesco Tranfaglia, gruppo osservatorio siti internet di INVAT – Istituto Nazionale Valutazione Ausili e Tecnologi

domenica 24 luglio 2022

Così riusciamo a raddoppiare la luce nella vita dei nostri piccoli pazienti

L’Eco di Bergamo del 24/07/2022

AZZANO SAN PAOLO. Libri tattili e pasta da modellare per proposte multisensoriali. Quello che non si può misurare con gli occhi si può ascoltare con le orecchie e con il cuore. È ancora piccolo ma lo ha già capito Andrea, 7 anni, nato con una malattia congenita rara, l'ectopia lentis, uno spostamento del cristallino che condiziona pesantemente le sue capacità visive. Nel nuovo spazio ludico «CriGioco» dell'Associazione Amici della Pediatria, al Centro di Ipovisione di Azzano San Paolo, ha appena finito di costruire una pista per le macchinine con Antonella Nicoli, pedagogista, e con Anna Sartori, volontaria, e si è divertito così tanto che certamente non si è accorto che nel frattempo stava allenando le sue capacità manuali e le sue abilità matematiche. E questo è solo uno degli incanti che accadono nelle stanze accoglienti di questo Centro gestito dall'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo nella sede di Azzano San Paolo dove le piccoli e grandi trasformazioni suscitano sempre emozione e meraviglia, anche se sono parte del lavoro quotidiano, come spiega Mariella Bana, responsabile della riabilitazione visiva: «Ci sono bambini che arrivano qui piccolissimi, disorientati, e man mano che acquisiscono consapevolezza del loro residuo visivo cambiano completamente, anche nella postura del corpo».

I disegni alle pareti

Ogni particolare, dai disegni appesi alle pareti all'arredamento degli ambulatori, fa trasparire la cura e l'attenzione riservate ai pazienti e alle loro famiglie. Le terapie - condotte da un team di specialisti di diverse discipline - raddoppiano la luce nella vita dei pazienti del Centro, fondato 22 anni fa dalla dottoressa Flavia Fabiani, da poco in pensione, con Mariella Bana. Da un lato permettono di valorizzare le capacità visive ancora esistenti, e dall'altro cambiano radicalmente la qualità della vita. Potenziano l'autonomia e le possibilità espressive, aiutano a riacquistare sicurezza, a sorridere di nuovo. Accedono a questo servizio - un centro di riferimento regionale - persone di ogni età, dagli anziani ai bambini, che a volte, come spiega la dottoressa Bana, «prendiamo in carico direttamente dalla culla di patologia neonatale». Attualmente sono circa 150 i pazienti seguiti di età pediatrica, fra 0 e 18 anni, di cui si occupano anche i volontari dell'associazione Amici della Pediatria. Andrea è perfettamente a suo agio nella nuova sala, appena inaugurata, piena di giochi e di colori: ci sono costruzioni di legno, libri tattili, strumenti musicali, pasta da modellare. L'arredamento è studiato in modo da poter accogliere bambini di ogni età, offrendo la possibilità di svolgere attività adeguate a diversi gradi di ipovisione. Anche Delia, la mamma di Andrea, ha dovuto affrontare la stessa malattia. Trent'anni fa, però, le possibilità di cura non erano le stesse: «La prima conseguenza - spiega - è una forte miopia. Ce ne siamo accorti quando il nostro bimbo aveva tre anni e aveva appena iniziato la scuola dell'infanzia. Le insegnanti si sono rese subito conto che si avvicinava troppo agli oggetti per osservarli e poi faticava a riprodurli nei disegni». Una visita con il dottor Miroslav Kacerik, direttore dell'Unità Oculistica dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha sgombrato il campo da ogni dubbio: «Dopo la diagnosi è stato lui a indicarci la necessità di riabilitazione per aiutare Andrea a sfruttare al meglio il residuo visivo e a rafforzare la funzione oculo-manuale. Al centro di Ipovisione ho scoperto nuove possibilità e accorgimenti da adottare per aiutare mio figlio che ai miei tempi non esistevano». Grazie ai consigli della dottoressa Mariella Bana, responsabile della riabilitazione visiva, ha trovato per esempio un banco ergonomico adatto per la scuola e ha misurato a quale distanza fosse opportuno collocarlo rispetto alla lavagna. «Anche per merito di questi consigli Andrea ha frequentato con buoni risultati la prima elementare, senza bisogno di assistenza. Si è integrato con i compagni, che non gli fanno troppe domande sul suo banco "speciale", sui suoi occhiali spessi e sulla benda che deve portare per una parte della giornata. I bambini trovano tanti modi per stupirci. Certamente continua ad avere timore dei nuovi ambienti, deve prima conoscerli e studiarli con calma. Anche per questo gli sono di grande aiuto gli incontri con gli Amici della Pediatria, a cadenza settimanale, in cui si cimenta in giochi e attività studiati su misura per lui, per migliorare, per esempio, la coordinazione tra occhio e mano».

«Ogni bambino è speciale»

L'ectopia lentis si può curare con la sostituzione del cristallino: «Nel mio caso - spiega Delia - l'intervento è stato risolutivo. Mi è rimasta solo una lieve miopia. Andrea affronterà l'operazione quando lo sviluppo dell'occhio sarà completo e speriamo che possa portargli un miglioramento altrettanto significativo. Mi auguro di poter risparmiare a mio figlio tante fatiche che io ho invece dovuto affrontare». Ogni bambino è speciale per Antonella Nicoli, pedagogista degli Amici della Pediatria: «I nostri interventi sono sempre coordinati con la dottoressa Bana, che ci fornisce le indicazioni cliniche di partenza. Ci mettiamo in rete, se possibile anche con gli altri specialisti che seguono i bambini, inserendoci nel progetto educativo che accompagna il loro percorso di sviluppo. Teniamo conto delle capacità, delle necessità e delle passioni di ognuno, mettendo a punto interventi mirati. Svolgiamo per ognuno cicli che vanno da 6 a 12 incontri a seconda delle necessità. Il nostro terreno d'azione è il gioco, che fa da ponte relazionale e permette di crescere dal punto di vista fisico e cognitivo, creando nuovi legami e interazioni. Andrea, per esempio, ha un buon residuo visivo quindi lavoriamo molto per valorizzarlo. Ci concentriamo anche sulla motricità fine, per sviluppare la muscolatura delle mani, usando mezzi semplici come la pasta da modellare. Queste attività possono aiutarlo a migliorare la scrittura, a restare nelle righe e nei quadretti. Per tutta la durata del percorso offriamo consigli e indicazioni ai genitori per poter proseguire le attività anche a casa e potenziarne i benefici». Gli interventi hanno un grande valore anche per chi li mette in atto: «Questi bambini - sottolinea Antonella - mi hanno fatto scoprire il vero senso della bellezza che non sta nella perfezione, ma nella diversità, una ricchezza per se stessi e per gli altri». Anna Sartori, forte di un'esperienza di 12 anni con l'Associazione amici della Pediatria all'Ospedale Papa Giovanni, da circa un anno ha deciso di dedicarsi al Centro di ipovisione: «È una nuova sfida che ho accolto con molto entusiasmo. C'è sempre bisogno di ascolto, di attenzione, di una carezza in più. Lavoriamo con mezzi semplici, ci adattiamo ai bisogni di ogni bambino unendo gioco e apprendimento. Per me sono incontri bellissimi, mi consentono di mettere in gioco risorse che non pensavo neppure di avere. È bello vedere i bambini felici, sapere di aver alleviato almeno un po’ le loro difficoltà». Le attività condotte nel Centro di ipovisione aggiungono un tassello al progetto «Crescendo-giocando» dell'Associazione Amici della Pediatria: «Ci è sembrato importante - sottolinea Milena Lazzaroni, presidente dell'associazione -, ampliare le attività pensando anche ai bambini sottoposti a terapie per l'ipovisione. Per loro vengono sviluppate proposte multisensoriali, un impegno molto stimolante per l'équipe che si occupa di questo particolare ambito, chiamata a pensare e realizzare iniziative diverse e mirate. È un sostegno bello e importante per i bambini, una possibilità di crescita in più. I pomeriggi con le pedagogiste e i volontari diventano ricordi preziosi e generano tanto divertimento. Hanno anche un rilievo dal punto di vista sanitario, perché permettono ad alcuni di potenziare in parte la vista rimasta, e incoraggiano altri a "rompere il ghiaccio" e a partecipare ai giochi dei coetanei, mostrando loro che è possibile farlo, adottando i corretti accorgimenti. Abbiamo notato che si abbandonano con fiducia alle istruzioni offerte dalla pedagogista Antonella e dalla volontaria Anna, che mettono a disposizione due giorni alla settimana per questa esperienza. Alla sala ludica speriamo di poter aggiungere presto un giardino sensoriale che permetterà ai bambini di vivere nuove esperienze nello spazio esterno del Centro di ipovisione: ci saranno piante aromatiche, elementi sonori, giochi d'acqua e tante sorprese, sempre potenziando gli aspetti multisensoriali delle attività. Siamo molto contenti di poter sostenere e affiancare questi bambini offrendo loro le stesse proposte che si svolgono all'Ospedale Papa Giovanni, compreso il kit di giochi che doniamo ogni venerdì, che viene confezionato su misura per ogni piccolo paziente e può rappresentare un forte incentivo per superare le difficoltà e le fatiche della terapia».

Magia per cambiare

Ricordiamo che a settembre parte il corso per i nuovi volontari per potenziare il gruppo in presenza. Tutte le informazioni su iscrizioni e progetti sul sito www.amicidellapediatria.it.

Come scrive J. K. Rowling in «Harry Potter», «Non abbiamo bisogno della magia per cambiare il mondo, abbiamo dentro di noi tutto il potere di cui abbiamo bisogno, abbiamo il potere di immaginare le cose migliori di quello che sono». Ed è nato proprio così lo spazio «CriGioco», frutto di un gesto d'amore di Cristina Rota Belotti, che ha voluto festeggiare il suo cinquantesimo compleanno sostenendo un progetto a favore dei piccoli più fragili. «È anche un modo - ha sottolineato all'inaugurazione, accompagnata dal papà Tommaso - per ricordare Maddalena, mia madre, la sala è intitolata a lei. Le sarebbe piaciuto poter offrire gioia, speranza e sorrisi a questi bambini».

sabato 23 luglio 2022

Storie di scienziati ipovedenti che lottano contro il pregiudizio

Il Foglio del 23/07/2022

Troppo spesso chi non vede è considerato meno in grado di portare un impatto nel mondo. Michele Mele nel suo libro cerca di scardinare queste convinzioni senza fondamento.

Il compositore inglese William Sterndale Bennett disse in una circostanza: “Devo ammettere di invidiare gli scienziati. A differenza della gran parte di noi, essi parlano la lingua del vero e, mentre conversano con Dio, l’universo scorre tra le loro dita”. Questa frase è assai indicativa se gli scienziati in questione sono chiamati a osservare il cosmo proprio con quel particolare strumento di lavoro che è il tatto. Il giovane matematico ipovedente Michele Mele – che svolge attività di ricerca su problemi di Ottimizzazione Combinatoria presso l’Università del Sannio e coordina il progetto “Accessibilità all’Arte” del Touring Club Italiano – ha radunato in un eccellente florilegio dieci biografie di personaggi della scienza e della tecnica, ipovedenti o non vedenti: L’universo tra le dita (prefazione di Veronica Gavagna, Edizioni Efesto, 144 pp., 13.50 euro) è il frutto di una seria battaglia condotta dall’autore contro i “pregiudizi”, la “discriminazione sistematica” e il “tarlo dell’ignoranza” che gravano tutt’oggi contro gli ipovedenti e i non vedenti, trattati spesso con falsa condiscendenza, considerati diversi e non capaci di studiare e realizzarsi.

Come scrive Mele nell’introduzione al testo, “secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa un quinto delle persone con bisogni speciali, il 3% della popolazione mondiale, è composta da ipovedenti e non vedenti, con i primi in numero triplo rispetto ai secondi. Si tratta di una delle categorie più bistrattate e incomprese, nonché di una minoranza fortemente penalizzata all’interno del mondo del lavoro. Il tasso di disoccupazione tra gli ipovedenti varia drammaticamente a seconda della nazione, passando da valori compresi tra il 15% ed il 20% in Svezia, Norvegia, Regno Unito e Australia a valori che superano il 75% in Spagna, Montenegro, Romania e Croazia. Per i non vedenti la situazione risulta ancor più drammatica, dato che negli Stati più virtuosi poco più della metà dei non vedenti trova lavoro; meno di uno su dieci in Spagna o Grecia”.

Eppure la scienza ci insegna che le cose stanno diversamente. Dal matematico Nicholas Saunderson al fisico Eulero, dall’ingegnere civile John Metcalf all’entomologo Franc?ois Huber: moltissime sono le storie (entusiasmanti), le imprese e le scoperte che “provano concretamente l’inconsistenza degli stereotipi, dimostrando come i processi di inclusione favoriscano le possibilità per le persone con bisogni speciali di seguire la strada che il talento suggerisce, al di là di ogni ostacolo materiale o ideologico”. Sono cinque gli scienziati americani che fanno la loro comparsa nel libro. Jacob Bolotin (1888-1924), di origine ebraica, nato “privo della più minima percezione della luce”, compì gli studi di medicina a pieni voti, rimbalzando ben presto “su tutti i giornali locali”. Superò la prova dell’esame di abilitazione “con il punteggio più alto dello Stato” e, abbattendo una sequenza impressionante di tabù, fu il primo medico non vedente al mondo, esperto nelle malattie del cuore e dei polmoni. Anche l’inventore Abraham Nemeth (1918-2013) proveniva da una famiglia ebrea ed era affetto da una “degenerazione maculare” combinata con una “retinite pigmentosa”. Assunto dall’Università di Detroit, “iniziò a sviluppare [...] un fedele ed efficace sistema di notazione matematica in Braille che divenne ben presto il suo principale tema di ricerca”.

Fra i quattro scienziati viventi presi in considerazione da Mele, oltre all’ingegnere biomedico britannico Damion Corrigan, figurano gli statunitensi Lawrence Baggett (1939), Mona Minkara (1987) e Henry Hoby Wedler (1987). Se il primo insegna all’Università del Colorado ed è autore di un teorema il cui risultato di globalità si rivela “un utile sostegno matematico per i fisici quantistici nei loro tentativi di descrivere il nostro universo e la sua stessa formazione”; la seconda si occupa di chimica ed è docente alla Northeastern University di Boston, dove svolge un’intensa attività teorica legata alle “differenti classi di tensioattivi” e ai cosiddetti “Algoritmi di Montecarlo”. Il terzo, chimico e imprenditore californiano, è invece il fondatore di Senspoint, “una società di consulenza strategica creativa che offre supporto alle aziende e agli enti che si propongono di offrire un’esperienza multisensoriale ai propri clienti”. La prosa di Mele è piacevole, competente (come dimostra il lungo spettro bibliografico in coda al volume) e ha il pregio di immergerci in vicende straordinarie, dove le barriere umane sono costantemente trascese nel segno della tenacia, della speranza e di un’inesausta tensione conoscitiva.

di Alberto Fraccacreta

Venezia, l’arte «vista» dai ciechi con il corpo: grazie alle guide di «Isola Tour»

Corriere della Sera del 23/07/2022

Dalle Gallerie dell’Accademia alle bellezze nascoste del Ghetto, l’arte e i luoghi di Venezia finalmente «visibili» anche ai ciechi grazie ai percorsi tattili, sensoriali e corporei studiati e resi disponibili dalle guide di «Isola Tour».

«Avvicinati, allarga le braccia. Ecco, sì, così. Immagina che il tuo volto sia l’abside, i tuoi piedi l’ingresso della chiesa. Questa che stai rappresentando è una pianta a croce latina». Lisa Maria Antonelli, 15 anni, segue con attenzione la voce di Federica. Si affida a lei. E immagina. Lisa è una ragazzina non vedente. E oggi ha deciso di visitare Venezia con le guide di «Isola Tour» per scoprirne gli angoli nascosti. «L’aiuto che da a noi la rappresentazione fisica, il riproporre con il nostro corpo le posizioni delle cose che stiamo osservando è incredibile - spiega Alessandro Trovato, presidente dell’Unione italiana ciechi - con le guide di «Isola tour» lo abbiamo fatto anche con l’uomo vitruviano alle Gallerie dell’Accademia di Venezia ed è stato molto bello». Anche in quel caso Lucia Bondetti e Federica Montesanto avevano mostrato ai loro ospiti il disegno di Leonardo facendo assumere ad ognuno di loro le due posizioni tracciate dal maestro. «Sono molto brave: un’isola felice dedicata a noi - continua Trovato - in una situazione museale italiana che non ha l’attenzione adeguata alle persone non vedenti».

Isola Tour infatti è un’associazione culturale che si occupa della didattica e divulgazione del patrimonio artistico locale in particolare a Venezia. Dal 2016 ha iniziato una formazione specifica per poter raccontare le opere d’arte a chi soffre di minorazioni visive e da allora svolge percorsi tattili e sensoriali progettati ad hoc in alcuni musei veneziani nella città anche con l’aiuto di diversi materiali. E la riproduzione corporea delle opere d’arte con ognuno dei loro ospiti è uno dei loro cavalli di battaglia. «Nella cecità si ha la necessità di lavorare a livello percettivo - spiega Federica Montesanto, classe 1985 - e quando si riesce a traferire un’immagine esterna sul proprio corpo si sviluppa una percezione efficace».

Questa tecnica usata dalle guide di «Isola tour» arriva dagli insegnamenti di Loretta Secchi, dell’istituto Cavazza di Bologna specializzato in formazione specifica per la restituzione delle opere d’arte ai non vedenti attraverso la restituzione corporea. Poi naturalmente c’è il tatto. Si «sentono» le riproduzioni stampate sulle carte speciali, si toccano i bassorilievi, le opere scultoree. Ma i dipinti sono la parte più complicata. E la descrizione, in quel caso, deve passare attraverso un linguaggio studiato ad hoc. Potrebbe sembrare un eccesso di zelo, ma non lo è affatto.

«Quando siamo piccoli il linguaggio grafico nasce da quello che vediamo, è l’esperienza di quell’oggetto che - dice Montesanto - trasformata in un gesto crea il segno grafico. Una persona non vedente non ha questa esperienza la sua esperienza del mondo è tendenzialmente tattile. Un esempio? Non è affatto scontato che una sfera, in due dimensioni diventa un cerchio. Allo stesso modo la prospettiva non ha praticamente alcun significato per una persona non vedente. L’idea di una stanza è quella di una stanza vera e propria o l’esperienza tattile di una scatola ad esempio. Un bassorilievo con un segno in prospettiva è complesso da capire».

Gallerie dell’Accademia, Palazzo Grimani, Ghetto Ebraico. Ad oggi quasi tutti i musei di Venezia hanno attivato delle convenzioni con Isola tour che, però, è solo all’inizio (per info didattica.isolatour@gmail.com). Ci sono i tour dedicati ai musei, quelli alle passeggiate in città e pure quelli enogastronomici. «Federica e Lucia preparano un po’ di tutto nei loro giri - dice Trovato - c’è la parte descrittiva ma la maggior parte del tempo della visita è occupato dalle parti della conoscenza tattile. Si tratta di persone specializzate nell’accompagnamento e corredano tutto con aneddoti e storie piacevoli e divertenti».

di Alice D’Este

giovedì 21 luglio 2022

Martedì 26 luglio, ore 16.30 – Incontro in streaming di presentazione del Progetto di studio "The response of the sensory-deprived brain to perturbation"

La Sezione di Mantova invita a partecipare all’incontro di presentazione del progetto di ricerca “The response of the sensory-deprived brain to perturbation” organizzato in modalità on line tramite la piattaforma Zoom Meeting per martedì 26 luglio 2022 alle ore 16.30

The response of the sensory-deprived brain to perturbation

I ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche ‘Luigi Sacco’ dell’Università degli Studi di Milano e della Scuola IMT Alti Studi Lucca cercano partecipanti non vedenti, sia congeniti che tardivi, per uno studio non clinico sperimentale finalizzato a indagare l’organizzazione e il funzionamento del cervello. Nello specifico, questo studio contribuirà a comprendere le potenzialità plastiche del nostro cervello, grazie soprattutto allo studio dei meccanismi di riorganizzazione e compensazione sensoriale che avviene nei soggetti deprivati di una modalità sensoriale. Tali meccanismi di compenso a livello cerebrale, la cui comprensione è essenziale per future innovazioni in ambito clinico e riabilitativo, saranno per la prima volta studiati attraverso l’unione di due metodiche non invasive: l’attività e i segnali del cervello, misurati con l’elettroencefalografia, saranno ‘perturbati’ da un segnale esterno fornito con stimolazione magnetica transcranica (TMS) che verrà applicata sulla parte posteriore della testa, in corrispondenza delle zone deputate alla percezione della vista. Questo permetterà ai ricercatori di simulare un segnale ‘visivo’ nel volontario cieco e descrivere come questo impulso viene trasmesso al resto del cervello, comprendendo i cambiamenti e i fenomeni di compenso che si realizzano in assenza della vista.

Per partecipare allo studio, i volontari non vedenti devono avere un’età compresa tra i 18 e i 60 anni ed essere in buone condizioni di salute generale. Le persone interessate saranno contattate dai ricercatori per una breve intervista telefonica per verificare la possibilità di partecipare allo studio. Lo studio richiederà il completamento di una sessione preliminare di risonanza magnetica per acquisire le immagini del cervello e quindi una sessione sperimentale di stimolazione magnetica transcranica (TMS) con registrazione elettroencefalografica. Durante la sessione di TMS, uno strumento NON invasivo di stimolazione (composto fondamentalmente da una calamita) verrà avvicinato alla testa dei volontari che partecipano allo studio, mentre l’elettroencefalografia registrerà le risposte del loro cervello.

Il sonno rappresenta un’ulteriore importante “finestra” per comprendere come le diverse parti del cervello interagiscono e scambiano informazioni. Infatti, nel sonno, il cervello si trova “isolato” dall’ambiente esterno e cessiamo di avere un controllo volontario su ciò che vi accade. Date queste premesse, come complemento allo studio sopradescritto sarà possibile effettuare sessioni notturne opzionali di registrazione elettroencefalografica dell’attività cerebrale durante il sonno, con o senza l’uso di brevi stimoli acustici. Gli studi del sonno saranno svolti in autonomia, direttamente nell’abitazione dei volontari, con un dispositivo di registrazione elettroencefalografica portatile.

La partecipazione allo studio è ricompensata con un totale di 150 Euro, a cui si aggiungono 120 Euro per ogni sessione sperimentale notturna. È possibile avere ulteriori informazioni su questa sperimentazione inviando una mail a questo indirizzo: isabella.decuntis@imtlucca.it

Promotori dello studio:

Silvia Casarotto, Mario Rosanova Università degli Studi di Milano.

Emiliano Ricciardi, Giulio Bernardi, Isabella De Cuntis, Davide Bottari, Pietro Pietrini - Scuola IMT Alti Studi Lucca.

Entra nella riunione in Zoom

https://zoom.us/j/5927304162?pwd=OE1FQ2YrYmtyeno5SDc4QVBoWEJ2UT09

ID riunione: 592 730 4162

Passcode: 4672

Un tocco su dispositivo mobile

+390200667245,,5927304162#,,,,*4672# Italia

+3902124128823,,5927304162#,,,,*4672# Italia

Componi in base alla tua posizione

+39 020 066 7245 Italia

+39 021 241 28 823 Italia

+39 069 480 6488 Italia

ID riunione: 592 730 4162

Passcode: 4672

Trova il tuo numero locale: https://zoom.us/u/ao054z1Ry

lunedì 18 luglio 2022

Lierna: "Io ti vedo così", mostra per riflettere sulla disabilità visiva

Lecco Online del 18/07/2022

LIERNA. Come vedono il mondo le persone con disabilità visiva? Come percepiscono la natura, gli individui, gli animali, la città coloro che hanno problemi con la vista e a causa di una patologia vedono le cose offuscate o con un quadro limitato? A raccontarlo, attraverso le immagini, è l’artista Beatrice Pavasini, che il 23 luglio dalle 9.00 alle 20.00 sarà protagonista a Lierna, sul lungolago Castiglioni, della mostra fotografica itinerante “Io ti vedo così”, proposta dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS-APS di Lecco con il patrocinio e la collaborazione del Comune.

Una carrellata di immagini che mettono in luce il mondo così come lo percepiscono le persone con disabilità visiva. Una mostra che nasce da un lavoro svolto all’interno del gruppo di sostegno mensile del Centro Regionale di Ipovisione dell’Unità Oculistica di Cesena, insieme alla sezione territoriale dell’Unione italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Forlì. La mostra di Pavasini comprende una carrellata di pannelli fotografici che riproducono figure umane, elaborate e modificate dalla stessa artista, che fanno capire come vedono gli occhi di chi è ipovedente. Il tutto corredato da didascalie che spiegano la patologia e i problemi che provoca alla vista. Un modo non solo per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione, ma anche per abbattere barriere e pregiudizi nei confronti di chi ha difficoltà di questo tipo. Perché solo capendo come vede una persona con disabilità visiva ci si rende conto degli ostacoli che ogni giorno deve affrontare.

Una mostra allestita anche per celebrare il 25esimo anniversario dell’UICI di Lecco e per ricordare alla popolazione di imparare a guardare con occhi diversi chi, per malattia o per un trauma, non vede perfettamente. Perché quella visiva resta ad oggi, purtroppo, una disabilità che isola e rende invisibili. Anche se queste persone hanno affinato un modo tutto loro per “osservare” e conoscere il mondo.

“Le persone che vedono bene hanno una scarsa conoscenza dei problemi che nella vita di tutti i giorni deve affrontare chi invece ha un serio deficit visivo - commenta Paola Vassena, presidente dell'UICI di Lecco -. Questo può a volte determinare diffidenza nei confronti di chi non vede o vede poco. Si è quindi sentita l’esigenza di sensibilizzare e informare i cittadini attraverso un’esperienza che possa risultare di forte e immediato impatto, anche emotivo”.

Paola Vassena e Angela Gianola, referente del gruppo ipovisione del Consiglio regionale lombardo UICI, invitano a vivere questa intensa esperienza di “indossare gli occhiali” di chi non vede.

sabato 16 luglio 2022

Presentato il bassorilievo tattile di Palmerino Di Guido

Assisi Oggi del 16/07/2022

ASSISI. È stato presentato nella Sala degli Sposi, Pinacoteca comunale, il bassorilievo tattile dell’opera “Madonna in trono col Bambino, Angeli e San Francesco” di Palmerino di Guido, uno dei capolavori di epoca giottesca esposti nelle sale museali di Palazzo Vallemani.

Giulio Proietti Bocchini, responsabile della Pinacoteca di Assisi, ha illustrato la genesi dell’opera e del bassorilievo realizzato dal Centro di Produzione dell’Istituto dei Ciechi “Cavazza” di Bologna, sottolineando l’importanza di uno strumento di trasmissione della conoscenza e di accesso all’arte e alla bellezza da parte di persone non vedenti o con ridotte capacità visive.

L’assessore alla cultura Veronica Cavallucci ha messo l’accento su operazioni come queste che vanno nella direzione intrapresa da anni dall’amministrazione comunale e cioè quella di organizzare iniziative ed eventi, culturali e sportivi pensando alle persone con disabilità perché la cultura e lo sport appartengono a tutti.

Il presidente di CittàItalia Alberto Improda, nel ringraziare il Comune di Assisi per aver accolto un intervento del genere, ha voluto rimarcare l’azione della propria Fondazione per progetti inclusivi con il coinvolgimento diretto della comunità a vantaggio di tutti affinché la cultura possa far parte di tutte le persone senza differenze alcune.

Il momento più emozionante è stato lo svelamento dell’opera quando una ragazza dell’Istituto Serafico di Assisi ha iniziato a leggere attraverso il linguaggio braille il testo illustrativo dell’opera unitamente alla lettura tattile del dipinto; insieme ai ragazzi del Serafico ha preso parte anche la comunità dell’Istituto Casoria. E per l’amministrazione erano presenti anche la presidente del consiglio comunale Donatella Casciarri e il consigliere comunale Isabella Fischi.

mercoledì 13 luglio 2022

Retina artificiale liquida: efficace anche per la retinite pigmentosa avanzata

Tecno Medicina del 13/07/2022

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Milano e l’Ospedale Policlinico San Martino di Genova hanno testato con successo il prototipo di retina liquida negli stadi avanzati di retinite pigmentosa in cui attualmente è consentito l’intervento chirurgico di protesi retinica.

Il buon esito della sperimentazione, pubblicato su Nature Communications, rappresenta un ulteriore avvicinamento alla fattibilità di futuri studi clinici sull’uomo.

Il gruppo formato da ricercatori e ricercatrici del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova diretto dal prof. Fabio Benfenati presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e del Center for Nano Science and Technology dell’IIT di Milano, diretto dal prof. Guglielmo Lanzani, in collaborazione con la Clinica Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dalla dott.ssa Grazia Pertile (nella foto), ha dimostrato l’efficacia del modello di retina artificiale liquida presentato dallo stesso team nel 2020 anche negli stadi più avanzati e irreversibili della degenerazione retinica dovuta alla retinite pigmentosa, patologia genetica che può portare alla cecità.

Poiché è proprio nella fase avanzata che i pazienti affetti da questa malattia vengono sottoposti ad interventi di chirurgia protesica, questo risultato getta solide basi per i passaggi successivi mirati a condurre i primi test sugli esseri umani, stimati intorno al 2025-2026.

La retina liquida è un modello di retina artificiale di “seconda generazione”, biocompatibile, ad alta risoluzione ed è costituita da una componente acquosa in cui sono sospese nanoparticelle polimeriche fotoattive realizzate ad hoc nei laboratori IIT, delle dimensioni di circa 1/100 del diametro di un capello, che prendono il posto dei fotorecettori danneggiati. Rispetto ad altri approcci già esistenti, la nuova natura liquida della protesi assicura interventi più brevi e meno traumatici che consistono in microinieizioni delle nanoparticelle direttamente sotto la retina, dove queste restano intrappolate prendendo il posto dei fotorecettori degenerati, oltre a una maggior efficacia.

Lo studio, soprannominato Nanosparks, letteralmente “nanoscintille”, ha potuto contare sul supporto della Fondazione 13 Marzo, Fondazione Cariplo e di finanziamenti europei come Marie Curie Training Network e EuroNanoMed3.

I test di tipo preclinico sono stati condotti su modelli sperimentali riportanti pari condizioni dell’essere umano nelle fasi più avanzate della retinite pigmentosa, condizioni più critiche rispetto agli stadi in cui erano stati effettuati dallo stesso team gli studi negli anni passati. In questi casi, la retina oltre ad essere completamente priva di fotorecettori presenta anche significative alterazioni dei neuroni che convogliano il segnale al nervo ottico.

Nei modelli preclinici sperimentali la parte del cervello addetta alla visione (corteccia visiva) è completamente silente, mentre in seguito all’iniezione delle nanoparticelle polimeriche fotoattive “made in Italy” si registrano nuovi segnali fisiologici, la corteccia visiva si riattiva, riacquisisce acuità e tornano a formarsi memorie visive. Questi risultati dimostrano che l’approccio basato sulla retina artificiale di “seconda generazione”, biocompatibile e ad alta risoluzione, è vincente.

Lo sviluppo del concetto di retina artificiale liquida è affidato a Novavido s.r.l. la startup nata nel 2021, che si occupa di implementare e standardizzare la produzione delle nanoparticelle per avvicinarsi ai primi test su pazienti di retinite pigmentosa.

“Avere dimostrato – afferma la dott.ssa Pertile – che le nanoparticelle fotovoltaiche rimangono efficaci in stadi di avanzata degenerazione della retina non solo completamente priva di fotorecettori, ma anche “destrutturata” a causa delle profonde modificazioni dei circuiti retinici residui, uno scenario che mima fedelmente la situazione dei pazienti candidati a un intervento di protesi retinica, apre la porta all’applicazione di questa strategia alle patologie umane”.

“Il nostro recente studio – afferma Simona Francia, ricercatrice IIT nel gruppo del prof. Benfenati e prima autrice del lavoro – è un’ulteriore importante tappa verso la terapia di patologie come la Retinite pigmentosa e la degenerazione maculare legata all’età. Non solo queste nanoparticelle si distribuiscono ad ampie aree retiniche permettendo di guadagnare un ampio campo visivo, ma in virtù delle loro piccole dimensioni sono in grado di assicurare un recupero dell’acuità visiva”.

“Le nanoparticelle polimeriche – conclude Guglielmo Lanzani, Direttore del centro IIT di Milano – 250 volte più piccole dello spessore di un capello agiscono come microcelle fotovoltaiche, convertendo la luce in un segnale elettrico e non determinano nessuna reazione negativa nel tessuto essendo costituite da polimeri del carbonio, come le nostre proteine e i nostri acidi nucleici. L’avere ridotto la protesi retinica a una sospensione di nanoparticelle, riduce l’intervento di impianto della protesi a una semplice iniezione molto meno invasiva”.

Retinite pigmentosa legata al cromosoma X: speranze dalla terapia genica

Osservatorio Malattie Rare del 13/07/2022

ROMA. Per molti bambini la visita dall’oculista è un momento ad alta tensione culminante con l’applicazione delle gocce di collirio midriatico per l’esame del fondo oculare. Questa pratica tanto temuta dai più piccoli - motivo per cui richiede una certa affabilità ed empatia da parte del professionista - è necessaria per ottenere una dilatazione della pupilla sufficiente per l’esame del fondo dell’occhio, indispensabile per una diagnosi di retinite pigmentosa. Delle distrofie retiniche a carattere ereditario la retinite pigmentosa è la più frequente e la più variabile in termini di modalità di trasmissione: autosomica dominante o recessiva oppure legata al cromosoma X. Per quest’ultima forma di malattia potrebbe presto arrivare una specifica terapia genica.

Per i pazienti affetti da retinite pigmentosa legata al cromosoma X e dovuta a mutazioni del gene RPGR, infatti, è al via un trial destinato a valutare l’efficacia della terapia genica messa a punto dalla biotech MeiraGTx e sviluppata grazie alla collaborazione con Janssen, società del gruppo Johnson & Johnson. Il trattamento è già stato testato in studi pre-clinici su modelli animali e nelle prime sperimentazioni di sicurezza sull’uomo, quest’ultime condotte su una ristretta corte di pazienti allo scopo di valutare la tollerabilità del prodotto.

“La retinite pigmentosa legata al cromosoma X ha esordio in età precoce, con la maggior parte delle diagnosi che si concentrano nella prima e seconda decade di vita del bambino”, spiega la dott.ssa Lucia Ziccardi, dell’Ambulatorio di Neuroftalmologia e Malattie Genetiche e Rare dell’IRCCS Fondazione G.B. Bietti di Roma. “Si tratta di adolescenti che giungono in ambulatorio accompagnati dai genitori perché non riescono a vedere bene al buio o non riconoscono gli oggetti presenti al margine del campo visivo. La loro visione periferica risulta compromessa ed essi inciampano spesso o vanno a sbattere lateralmente”. Inizialmente giudicati come casi di goffaggine, tali comportamenti supportano l’oculista nella definizione di una diagnosi che arriva solo dopo l’esame del fondo oculare.

“La difficoltà a collaborare dei giovani pazienti spesso rende complicato il percorso di analisi ma con l’esame del fondo oculare diventa già possibile visualizzare il pigmento intraretinico, che costituisce un’anomalia ed è il carattere distintivo della patologia”, aggiunge Ziccardi. “Di fronte a un nervo ottico pallido caratterizzato dalla presenza di vasi sanguigni filiformi, e al pigmento retinico, l’oculista trova conforto nella diagnosi inequivocabile di retinite pigmentosa”.

A questo punto si conferma la diagnosi con l’esecuzione dell’elettro-retinogramma e, laddove possibile, l’esame del campo visivo, quindi si avvia una serie di analisi sui parenti stretti del paziente, alla ricerca di altri membri della famiglia che possano essere affetti dai medesimi sintomi, magari non riconosciuti o non correttamente classificati. Ha così inizio un percorso che l’oculista e il paziente devono compiere insieme e che comprende anche l’esecuzione di un test genetico per la ricerca della specifica mutazione associata al gene responsabile della patologia.

Una volta fatto ciò, si comincia a pensare ai trattamenti per la retinite pigmentosa, che tuttavia, per il momento, puntano solo a rallentarne la progressione. Per questo motivo, è alto il livello di attesa per la nuova terapia genica, la cui sperimentazione si svolgerà anche presso l’IRCCS Bietti di Roma.

di Enrico Orzes

I non vedenti potranno muoversi tra gli ostacoli con l’intelligenza artificiale

b2eyes del 13/07/2022

Biped, imbragatura da indossare sulle spalle imbottita di sensori, permette a chi la utilizza di evitare le collisioni: a ideare il dispositivo una start up francese che potrebbe lanciarlo sul mercato entro qualche mese.

FRANCIA. Un supporto importante che potrebbe cambiare per i non vedenti il modo di affrontare la realtà di tutti i giorni: è ciò che si propone di essere il nuovo dispositivo il quale, grazie all’intelligenza artificiale, consente a chi lo indossa di muoversi con più facilità fra gli ostacoli che lo circondano. «Biped è un’imbragatura intelligente da indossare sulle spalle che, grazie alla sua speciale tecnologia in grado di replicare quella utilizzata per i veicoli autonomi, ma applicata all'uomo, serve per guidare le persone non vedenti e ipovedenti con suoni 3d - si legge sul sito dell’omonima start up - Intuitivo da usare, può essere il complemento ideale per il bastone bianco o il cane guida».

La tecnologia brevettata del sistema cattura le immagini dell’ambiente utilizzando telecamere 3d, identifica e prevede grazie all’intelligenza artificiale le traiettorie di tutti gli oggetti circostanti in un raggio di 30 metri in tempo reale, per concentrarsi solo su ciò che conta di più, ignorando gli ostacoli che non sono a rischio di collisione e, infine, guida l'utente utilizzando suoni 3d. Come mostrato in un servizio andato in onda il 2 luglio su Tg3 Pixel, Biped lancerà una allerta all’utilizzatore se, ad esempio, individua una bicicletta che si avvicina e si trova a una decina di metri di distanza: gli allarmi vengono comunicati al non vedente con delle cuffie auricolari a conduzione ossea, a destra o a sinistra a seconda della direzione da cui proviene il potenziale pericolo.

L’imbragatura pesa intorno ai 700 grammi e funziona con batterie che hanno una durata di circa 9 ore. Attualmente è in fase di test ed è possibile entrare a far parte del programma di prova. Una volta sul mercato si dovrebbe poter acquistare a un prezzo inferiore ai 500 euro. (red.)

«Vedere» l'arte: chi ha detto che serve la vista?

BresciaOggi del 13/07/2022

BRESCIA. «Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a ciò che vedi: gli occhi vedono soltanto ciò che è limitato». Da scoprire, invece, c'è molto di più: un universo sinestetico cui accedere attraverso «passi dell'arte», testimonianza di una possibilità per ribadire forte e chiaro che «la disabilità non è un mondo a parte, ma è una parte del mondo». E, al contempo, «l'arte un diritto di cittadinanza che va esteso al massimo e con ogni mezzo, affinché tutti possano avere l'occasione di viverla da protagonisti». Così, in continuità d'intenti con la mostra «Sculture dall'invisibile», allestita fino al 18 luglio al Museo Diocesano, in città, durante il fine settimana il progetto frutto della collaborazione tra Accademia di Belle Arti Laba, Cfp Rodolfo Vantini, Scuola di Arte Sacra di Firenze e patrocinato dall'Uici (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), sezione provinciale di Brescia, si è concretizzato in un nuovo, sperimentale momento d'incontro e confronto sul campo andato in scena proprio nelle aule della Laba e del laboratorio della stessa Vantini di Rezzato. Dove per quattro giorni, da mattina a sera, ha preso forma un workshop per non vedenti e ipovedenti che ha delineato un percorso di formazione originale e all'avanguardia, senza frontiere e senza barriere. Entrato nel vivo prima con la lavorazione dell'argilla, quindi plasmando il marmo di Botticino, materia d'elezione, capace di esprimersi attraverso molteplici sfumature sensoriali colte da Alessandro Tornello (vicepresidente dell'Uici), Marco Venturelli, Renato Hagman e Matteo Vezzoli. Ovvero gli apprendisti scultori che si sono dati da fare con precisione, curiosità e tanta passione, lavorando di fino affiancati dai docenti della Scuola d'arte sacra di Firenze (Fernando Cidoncha Pérez, Massimo Gulisano), dall'artista ipovedente Antonino Ruggeri e, contestualmente, anche dai docenti di scultura della Vantini (Silvia Maffioli, Angelo Bordonari e Pietro Maccioni) con alcuni studenti Laba come assistenti (Domenico Barreca, Luna Belotti e Luca Passeri). Comune il soggetto scelto per l'opera: una mano. Da realizzare con grande meticolosità e altrettanta sensibilità, tra colpi di martello e scalpello, rafforzando i meccanismi di appropriazione e ricostruzione della composizione. Il workshop, che fra i tanti momenti significativi ha contemplato anche una visita al Museo del marmo di Botticino assieme al direttore Maurizio Bettinzoli e un incontro con l'artista Giuseppe Tregambe, non rimarrà ovviamente un episodio isolato. Al contrario, apre la strada a una pianificazione già focalizzata e destinata a nuovi sviluppi. Come hanno sottolineato Marcello Menni e Lara Vianelli, rispettivamente direttore dell'Accademia di Belle Arti Laba e direttrice della Scuola Vantini: «Il nostro convincimento è che non vi sono ostacoli o tabù che non possano essere affrontati con intelligenza, competenza e rispetto». 

(E.Zup.)

domenica 10 luglio 2022

Rabbolini testimonial contro la sosta selvaggia dei monopattini

Il Giorno del 10/07/2022

MILANO. Un video con la campionessa paralimpica Martina Rabbolini per promuovere un uso dei monopattini rispettoso delle regole e di chiunque usi la strada e i marciapiedi. È l'iniziativa realizzata da Bird, una delle società attive nello sharing, con la sezione milanese dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti (UICI). Nel video Martina, nuotatrice pluri-medagliata con partecipazione alle Olimpiadi e vicecampionessa mondiale in Portogallo, sottolinea i benefici dei monopattini in termini di mobilità sostenibile ma anche l'importanza di parcheggiarli correttamente a lato strada anziché abbandonarli in qualche modo sui marciapiedi, dove possono rappresentare un pericolo per le persone con disabilità visiva. «Abbiamo aderito a questa iniziativa - spiega Alberto Piovani, presidente della sezione UICI di Milano - consapevoli che la micro-mobilità può rappresentare il futuro negli spostamenti nelle città ma anche con la consapevolezza che un uso distratto di questi veicoli rappresenta un pericolo per i disabili visivi». Quindi Cristina Donofrio, general manager di Bird Italia: «È imperativo per noi fare il possibile per garantire la sicurezza di tutti, in particolare delle persone con disabilità».

venerdì 8 luglio 2022

Degenerazione maculare senile, impiantato un "serbatoio" di farmaco nell'occhio

La Repubblica del 08/07/2022

ROMA. Un piccolo serbatoio, da riempire ogni sei mesi e basta. Un bel vantaggio rispetto alle fastidiose iniezioni mensili che impegnano i pazienti, i loro accompagnatori e intasano oggi i reparti di oculistica. Già, perché la degenerazione maculare legata all'età, una forma di maculopatia, è la principale causa di cecità nel mondo occidentale. E curarla - con iniezioni periodiche dell'occhio - è un impegno per tutti, tanto per i pazienti, in genere anziani, che i clinici. Per questo la notizia del primo paziente italiano operato per impiantare nel suo occhio un serbatoio per lento rilascio dei farmaci all'interno di uno studio sperimentale è così innovativa: potrebbe cambiare la gestione della malattia.

La degenerazione maculare legata all'età

A raccontare tutto questo è Stanislao Rizzo, professore di oculistica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di oculistica del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. Qui ieri, Rizzo insieme ai colleghi Angelo Maria Minnella e Tomaso Caporossi, ha eseguito l'intervento per impiantare un piccolo Port Delivery System (PDS), in sostanza un piccolo serbatoio, in un paziente con degenerazione maculare legata all'età di tipo umido.

"Distinguiamo due forme di malattia infatti, una secca a lenta progressione, dovuta essenzialmente all'atrofia dei tessuti e per la quale non ci sono ancora trattamenti se non in fase di studio, l'altra umida, in cui si osserva la formazione di nuovi vasi sanguigni sotto la macula, con associato il rilascio di liquidi", spiega Rizzo: "Per queste forme, se prese in tempo e se trattate con costanza, i trattamenti funzionano e nella maggioranza dei casi si riesce ad evitare la perdita della vista".

Il trattamento si basa sulla somministrazione di sostanze capaci di bloccare la crescita dei vasi sanguigni, inibendo un fattore che ne promuove la formazione. Sono gli anti-VEGF, ovvero farmaci che prendono di mira il fattore di crescita vascolare endoteliale: "Ci sono molti farmaci anti-VEGF e sostanzialmente si differenziano per intervalli di trattamenti, gli ultimi mirano a fare un'iniezione ogni due mesi dopo una fase di trattamento iniziale", aggiunge Rizzo.

Un "refill" del farmaco ogni sei mesi

Le iniezioni nell'occhio di farmaci anti-VEGF sono piuttosto impegnative ma al tempo stesso utilissime per i pazienti. Un sistema che permetterebbe di ridurle andrebbe a beneficio di tutti. Ed è in questa direzione che va lo sviluppo del Port Delivery System (PDS) contenente ranibizumab, un anti-VEGF, impiantato ieri a Roma: "Si tratta di un piccolo serbatoio riempito con il farmaco, che viene rilasciato lentamente - spiega l'esperto - è stato sviluppato per essere riempito una volta circa ogni sei mesi".

L'intervento è complesso, ammette Rizzo, non privo di potenziali rischi (come lo spostamento dell'impianto) e riservato solo ai pazienti che hanno risposto in passato positivamente al farmaco. Ma sebbene non si tratti di una pratica ancora consolidata, parliamo di un dispositivo altamente innovativo, sicuro e che ha già mostrato di funzionare come le iniezioni mensili, riprende l'esperto: "Siamo arrivati alla fase III della sperimentazione clinica, quella conclusiva, che prelude, se efficacia e sicurezza verranno confermati, all'arrivo in commercio del dispositivo".

La speranza è che dopo la sperimentazione - che coinvolge diversi centri nel mondo, e prevede il test di due diversi intervalli di refill del dispositivo, a 24 e 36 mesi - in futuro possa essere proposto ai pazienti, cambiando la storia dei loro trattamenti contro la degenerazione maculare.

di Anna Lisa Bonfranceschi

giovedì 7 luglio 2022

Far tornare il sorriso ai bambini dell’Ucraina con disabilità visive

Superando del 07/07/2022

«In Ucraina – sottolineano dall’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) – ci sono circa 160.000 ciechi assoluti e oltre 2 milioni e 100.000 ipovedenti. Sono bambini, ragazzi, adulti e anziani che non riescono a lasciare il Paese sotto attacco, oppure giovanissimi che hanno perso gli ausili necessari per scrivere e leggere, o ancora adulti o anziani, anche con disabilità gravissime o multiple, che scappano per mettersi in salvo. Li unisce l’impossibilità di pensare a un futuro, perché, anche laddove tentino di trovare rifugio nei Paesi confinanti con l’Ucraina, non possono accedere a strutture specializzate di accoglienza e supporto, ormai al collasso».

Tenendo dunque conto di ciò, la stessa UICI, in collaborazione con l’EBU, l’Unione Europea dei Ciechi, si è attivata in una gara di solidarietà che a partire dal territorio delle Marche, e in particolare la zona di Pesaro e Ascoli Piceno, e del Cuneese in Piemonte, si è via via estesa a tutta Italia, per aiutare i più fragili e i più dimenticati da ogni conflitto come è sempre il caso delle persone con disabilità. L’obiettivo è segnatamente quello di garantire ospitalità, inclusione scolastica, nel caso di studenti e studentesse, e supporto alle famiglie. Il tutto all’insegna del motto lanciato per raccogliere fondi, che è “La bellezza fiorisce dal sorriso di tutti i bambini”.

«E oggi – raccontano dall’UICI – Elisabeta, Sofia, Mattvi, Nicolai e Nicoleta hanno già iniziato a ritrovare questo sorriso, non più inseguiti dalle bombe, e tanti altri stanno iniziando a trovare rifugio in Italia. Elisabeta, 12 anni, cieca assoluta, oggi accolta presso una nostra struttura e sostenuta da diversi operatori, ha iniziato a superare il problema linguistico e grazie agli ausili tiflodidattici messi a disposizione, può continuare il suo percorso di apprendimento, ma soprattutto tornare a sorridere alla vita. Colpisce anche la storia di Sofia e Mattvi, 5 anni, ipovedente lei, cieco assoluto lui, che grazie ai libri tattili hanno ricominciato a condividere giochi e lettura con i loro compagni di classe, frequentando la scuola dell’infanzia. Si affianca a loro il piccolo Yaroslav, 3 anni appena compiuti, accolto a Pesaro insieme alla famiglia, dopo un lunghissimo viaggio, dove è stato inserito in un programma multidimensionale a carattere socio-sanitario e riabilitativo. Bimbo con pluridisabilità grave, tra cui epilessia, anomalie dell’encefalo e alterazioni delle funzioni neurovisive, Yaroslav è stato dapprima intercettato dal personale della Fondazione Policlinico Gemelli, per poi essere affidato alla Caritas, che ha offerto un alloggio gratuito, mentre il nostro personale si è fatto intermediario con i servizi sanitari ed educativi per accoglierlo e prendere parte a un percorso integrato di fisioterapia, neuropsicomotricità, assistenza e supporto alla famiglia».

«Ma c’è bisogno di fare di più, molto di più – proseguono dall’UICI – perché il flusso di persone, il mare della sofferenza non si arresta, il conflitto e anzi le necessità aumentano ogni giorno e non si riesce a farvi fronte. Per rilanciare dunque gli obiettivi di questa campagna, che a due mesi dall’avvio ha comunque consentito di raccogliere un primo importante nucleo di risorse e di dare supporto a decine di bambini, abbiamo anche promosso qualche giorno fa un’iniziativa di sensibilizzazione nel nella nostra web radio, Slash Radio, punto di riferimento per l’informazione verso il mondo della disabilità visiva, un’iniziativa che ha visto la partecipazione di tante personalità del mondo dello spettacolo, della cultura, del giornalismo, per portare il nostro appello a un pubblico ancora più vasto. Tra queste la giornalista RAI inviata speciale Tiziana Ferrario, Ugo Poletti, direttore di “Odessa Journal”, il musicista Max Tagliata, la pianista e cantante Silvia Zaru, il musicista Franco De Feo, la scrittrice Desi Icardi e molti altri».

«Con questa campagna – commenta Mario Barbuto, presidente dell’UICI – ci siamo posti un duplice obiettivo: da un lato sviluppare interventi a sostegno della popolazione colpita dalla guerra sia sul territorio dell’Ucraina, sia presso le istituzioni specializzate coinvolte nell’accoglienza nei Paesi confinanti, come Polonia, Ungheria, Romania, Moldavia, attraverso la gestione e il coordinamento dell’invio di supporti e risorse. Dall’altro lato sostenere azioni di accoglienza sul territorio italiano in strutture specializzate nell’intervento, la riabilitazione e il supporto educativo e della famiglia per le persone con disabilità visiva. E lo abbiamo fatto, oltreché coinvolgendo attivamente le nostre Sezioni territoriali e attivando la collaborazione con l’EBU, facendo sistema con altre realtà sia interne alla nostra rete, sia esterne ma con le quali c’è un dialogo attivato da tempo, come è il caso di Caritas e Croce Rossa Italiana, perché c’è bisogno di un impegno corale e integrato, per dare risposte efficaci a una situazione di emergenza di questa portata. Per questo ci auguriamo che in tanti rispondano al nostro appello e ci aiutino a raccogliere più risorse possibile per aiutare tutte le persone che hanno bisogno di noi in questo momento».

Oltre, come detto, alle Sezioni territoriali dell’UICI, la campagna, che sta proseguendo tuttora – coinvolge gli Enti collegati all’Unione (l’IRIFOR, Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione, la Biblioteca per i Ciechi Regina Margherita di Monza, la Scuola Cani Guida-Centro Regionale Helen Keller, la Stamperia Regionale Braille di Catania, la IAPB, Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità e l’UNIVOC, Unione Nazionale Italiana Volontari Pro Ciechi), oltre a diversi Istituti per Ciechi, quali l’Istituto Centro Regionale Sant’Alessio di Roma, l’Istituto per Ciechi Francesco Cavazza di Bologna, l’Istituto dei Ciechi Florio e Salamone di Palermo, l’Officina dei Sensi di Ascoli Piceno e l’Istituto Ardizzone Gioeni di Catania. (S.B.)

Per ogni ulteriore informazione: Angela La Terra (angela_laterra@yahoo.com).

mercoledì 6 luglio 2022

Io ti vedo così: le foto che mostrano come vede il mondo una persona con disabilità visiva

Come vedono il mondo le persone con disabilità visiva? Come vedono la natura, le persone, gli animali, la città chi ha problemi con la vista e a causa di una patologia vede il mondo offuscato o con un quadro visivo limitato? A raccontarlo, attraverso le immagini, è l’artista Beatrice Pavasini che il 23 luglio dalle 9 alle 20 sarà protagonista a Lierna, nel lecchese sul lungo lago Castiglioni, della mostra “Io ti vedo così”.

Una mostra fotografica itinerante proposta dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS-APS di Lecco con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Lierna. Una carrellata di immagini che mostrano il mondo così come lo percepiscono le persone con disabilità visiva. Una mostra che nasce da un lavoro svolto all’interno del gruppo di sostegno mensile del Centro Regionale di Ipovisione dell’Unità Oculistica di Cesena, insieme alla sezione territoriale dell’Unione italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Forlì.

La mostra della Pavasini comprende una carrellata di pannelli fotografici che riproducono figure umane, elaborate e modificate dalla stessa artista, che mostrano come vedono gli occhi di chi è ipovedente. Il tutto corredato da didascalie che spiegano la patologia e che problemi provoca alla vista. Un modo non solo per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione, ma anche per abbattere barriere e pregiudizi nei confronti di chi ha problemi visivi. Perché, solo vedendo come vede una persona con disabilità visiva, ci si rende conto degli ostacoli che ogni giorno questa persona deve affrontare.

Una mostra allestita anche per celebrare il 25esimo anniversario dell’UICI di Lecco e per ricordare alla popolazione di imparare a vedere con occhi diversi chi, per malattia o per un trauma, non vede perfettamente. Perché la disabilità visiva resta ad oggi, purtroppo, una disabilità che isola e rende la persona invisibile. Anche se queste persone hanno affinato un modo tutto personale per “osservare” e conoscere il mondo.

“Le persone che vedono bene hanno una scarsa conoscenza dei problemi che nella vita di tutti i giorni deve affrontare una persona con un serio deficit visivo - commenta Paola Vassena presidente UICI di Lecco -. Questo può a volte determinare diffidenza nei confronti di chi non vede o vede poco. Si è quindi sentita l’esigenza di sensibilizzare e informare i cittadini attraverso un’esperienza che possa risultare di forte e immediato impatto visivo ed emotivo”.

La presidente Paola Vassena e Angela Gianola (referente del gruppo ipovisione del Consiglio regionale lombardo UICI) invitano non solo i lecchesi a vivere questa intensa esperienza di “indossare gli occhiali” di chi non vede.

martedì 5 luglio 2022

Le sfide di Frida Bollani Magoni «La bella musica? Basta studiare»

Corriere Fiorentino del 05/07/2022

La musicista figlia di Stefano Bollani è una degli ospiti più attesi della serie di concerti del Musart.

La musica è la sua vita. La sua vita è musica. Sarebbe davvero troppo semplicistico spiegare questo doppio binomio con la familiarità. Non è solo questione di genetica. Tra i tanti doni speciali di Frida Bollani Magoni ci sono una volontà di ferro e un’innata capacità di trarre positività dalle avversità. Dai suoi occhi che guardano altrove, senza vedere, finanche al Covid, che le è “servito” per studiare sodo e preparare i suoi primi concerti, da cui è nato anche un album, Primo tour, registrato live, che presenterà da nord a sud Italia, fino a settembre. Con una sola pausa certa, il 18 settembre, quando compirà 18 anni. «L’anno scorso ho brindato in aereo, mentre andavo in Sardegna per partecipare a “Musica Nuda”: applaudirono hostess e passeggeri. I 18 anni, simbolo di indipendenza, sono da festeggiare», dice. È convinta che sua madre, la cantante e attrice pisana Petra Magoni, continuerà a seguirla ovunque. Fenomeno esploso sui social poco più di un anno fa dopo l’esibizione nella trasmissione di Stefano Bollani (suo padre), «Via dei Matti n° o», Frida Bollani Magoni è tra gli ospiti più attesi della serie di concerti del Musart nel Cortile degli Uomini, chiostro dell’Istituto degli Innocenti progettato da Brunelleschi, dove arriveranno Tommasi Novi (martedì 12) e poi Nada, Peppe Voltarelli e Dado Moroni.

Cosa significa per lei suonare a Firenze?

«La Toscana è la mia patria: suonare a Firenze è un po’ un ritorno. Dopotutto sono toscana (di Pisa), anche se ho origini in tutto il nord Italia».

Come è essere la figlia di Stefano Bollani?

«È il mi’ babbo. Dal mio punto di vista, non è Stefano Bollani, il musicista; è il mio papà. Porto i cognomi di entrambi i miei genitori perché vengo da loro due: anche se non mi hanno obbligata a intraprendere questa strada, se sono musicista lo devo anche a loro».

A quanti anni ha posato per la prima volta le mani sul pianoforte?

«A 2 anni strimpellavo, dando la mia personale interpretazione jazz, con note a caso. A 5 o 6 anni ho iniziato a suonare a orecchio; a 7 anni a studiare gli spartiti in braille con il maestro Paolo Razzuoli. Non sono stati mamma e papà i miei insegnanti (ed è stato meglio così), però loro mi hanno insegnato tanto: dal sound check alla preparazione della scaletta fino all’interazione con il pubblico, per la quale non esiste una scuola».

A soli 17 anni ha suonato e cantato al Quirinale per la Festa della Repubblica...

«Lì sì che mi sono agitata: avevo davanti il presidente Mattarella, e anche tanti giovani, verso i quali sentivo la responsabilità di essere di esempio, trasmettendo un messaggio di positività: la bella musica esiste, si può fare, basta continuare a studiare».

La determinazione è il suo motore. Ha avuto momenti di sconforto?

«Per la musica, mai. E io parlo solo di musica».

Di ostacoli ne ha superati tanti…

«Ipovedente dalla nascita, ho dovuto iniziare a imparare il braille a 5 anni per poter frequentare la prima elementare a 6 anni. Da piccola sono stata seguita dagli insegnanti specializzati: non avrei potuto imparare a leggere e scrivere da chi non conosceva il braille. Ora che frequento il liceo musicale, per fortuna, ho a disposizione il digitale; altrimenti avrei continuato a riempire casa di giganteschi volumi in braille e a disturbare i compagni con la rumorosissima macchinetta con cui scrivevo. È giusto usare gli strumenti che la nostra epoca ci mette a disposizione. Dal mio punto di vista, nonostante i suoi problemi, la scuola italiana sta migliorando. Io sono stata seguita bene. Anche se c’è sempre qualcosa da migliorare».

Ha chiesto di stampare la cover del suo disco in braille: una scelta inclusiva?

«Ci sono altri dischi con la cover in braille, ma resta comunque una scelta originale, che lo rende più accessibile: il mio nome e il titolo sono leggibili anche dagli ipovedenti. D’altronde, io ho imparato la musica in braille».

Che è successo in “Via dei Matti n° 0”?

«I miei account social sono esplosi. Era stato un momento così semplice che non mi aspettavo tutto quel clamore. La trasmissione aveva un’ambientazione molto casalinga; con mio padre, ma anche con le persone che lavoravano dietro le quinte, mi ero sentita in famiglia. Non avrei immaginato che un attimo dopo quell’esibizione mi sarei trovata a riaggiornare continuamente le pagine social, con 200 reazioni al secondo».

Cosa le ha detto suo padre dopo l’esibizione?

«Più delle parole, hanno tutti notato come mi guardava. Sono intervenuta in una delle ultime puntate di un programma molto seguito e apprezzato: questo sicuramente ha favorito l’esplosione di consensi».

Il disco come è nato?

«Dall’idea di dare al mio pubblico qualcosa da ascoltare dopo i miei concerti. Ho infatti raccolto i brani inseriti in scaletta: da Ariana Grande a Britney Spears. Il pezzo più moderno è una versione ballad (piano e voce) di Toxic di Britney Spears, che mi ha fatto conoscere Frankie hi-nrg».

Con chi vorrebbe duettare?

«Con Jacob Collier, genietto della musica».

Ha detto che potrebbe innamorarsi solo di un musicista…

«I musicisti, tra loro, si capiscono meglio. Di solito è così, anche se io ne ho la prova contraria, visto che i miei genitori si sono separati».

Al di là dell’amore, ha trovato feeling con qualche collega?

«Sì, certo. Ad esempio con il bravissimo cantautore veneto Albert Eno (che non è il figlio segreto di Brian Eno). Abbiamo fatto concerti assieme già l’anno scorso, e più volte ci hanno detto “Sembra che suonate assieme da anni”. C’è un buon feeling musicale tra noi».

Della sua generazione si è detto tutto e il contrario di tutto: lei che idea ha dei suoi coetanei?

«Noi giovani siamo il futuro, e dobbiamo combattere per preservare il nostro futuro. Non seguo tanto le vicende di Greta e i dibattiti sulla questione ambientale, però ritengo molto importante che i giovani facciano sentire la loro voce».

Lei come ha superato i lockdown?

«Facendo almeno una diretta social a settimana. Devo confessare che il primo lockdown mi ha fatto molto bene: mi ha dato la possibilità di dedicarmi alla formazione e prepararmi per il mio primo concerto, che era previsto per il 7 marzo 2020, ma poi è stato rinviato a luglio. Nel frattempo, ho avuto l’opportunità di studiare e crearmi, attraverso i social, il pubblico che è poi venuto a sentirmi dal vivo».

Questo conferma la sua capacità di trasformare le difficoltà in possibilità. In una precedente intervista al “Corriere”, d’altronde, ha ringraziato i suoi geni “sbagliati”, spiegando che nascere ipovedente è stato per lei un dono…

«Confermo. Se avessi visto normalmente non mi sarei magari concentrata così tanto sull’udito. Sarei potuta diventare comunque una musicista, ma non avrei imparato le note fin da piccina. Mi avrebbero insegnato prima i colori. E probabilmente non avrei avuto l’orecchio assoluto, che invece ho, per fortuna e purtroppo».

Per fortuna e purtroppo?

«Sì. È bello riconoscere le note. Però diventa una limitazione: non riesco a suonare se uno strumento è leggermente scordato. E sono molto pignola sul canto. Sì, lo confesso: sono una perfezionista».

Rimpianti?

«A volte penso che mi piacerebbe conoscere i colori. Ma a 17 anni, anzi quasi 18, ci fai l’abitudine».

di Caterina Ruggi d’Aragona

lunedì 4 luglio 2022

Le opere esplorate col tatto guidati da un ipovedente

Gazzetta di Mantova del 04/07/2022

L'artista Marrani ha ideato delle installazioni da apprezzare con le mani prima ancora che con gli occhi. L'unione ciechi ha accompagnato i visitatori.

Guidare le mani delle persone vedenti per aiutarle a vivere un'esperienza totale, sfruttando prima il tatto e l'udito. E' ciò che hanno fatto alcuni membri dell'Unione italiana ciechi e ipovedenti di Mantova (Uici), tra cui la presidente Mirella Gavioli, durante la mostra di arte contemporanea di Ruggero Marrani a Mantova, in via Nievo. Marrani è un artista di ispirazione futurista che vive a Varese e "che ha creato opere che sono da toccare – spiega Gavioli – l'artista vuole che vengano apprezzate e scoperte attraverso il tatto". Marrani vuole che il visitatore comprenda le sue creazioni anche con l'uso delle mani. Grazie alla collaborazione con l'Uici, le persone vedenti sono state guidate da non vedenti a scoprire e apprezzare le opere senza usare in un primo momento la vista. "I visitatori sono stati bendati – spiega Gavioli – noi li abbiamo aiutati e abbiamo facilitato l'esplorazione di quattro opere della collezione. Abbiamo guidato le persone con le nostre mani e col nostro sapere. I visitatori hanno così potuto provare sensazioni nuove utilizzando un senso che generalmente non si usa in una mostra. Le opere d'arte difatti si possono solitamente solo guardare, ma mai toccare. Le giornate in cui abbiamo reso possibile questo percorso sono state due". L'iniziativa ha portato i vedenti a riconoscere ciò che avevano sotto le mani, a cogliere i materiali, i dettagli, le diverse superfici, le forme e a immaginare cosa l'opera rappresentasse. "Il tatto si sofferma sul dettaglio – spiega Gavioli – la vista no. La vista scorre veloce sulle cose". In mostra, opere in ceramica appoggiate su una base di sabbia che simboleggia la precarietà del terreno. Dalle aero-sculture, opere in movimento con vedute dall'alto di paesaggi e città, alle sculture rumore che generano rumore e suoni. Una parte del ricavato delle vendite andrà all'associazione Unione ciechi e ipovedenti di Mantova.

Barbara Rodella

Valentina, la ballerina non vedente che insegna la gioia della danza (anche a chi vede) di Barbara Apicella

Giornale UICI del 04/07/2022

La cecità non le ha impedito di realizzare il suo sogno. Era una bambina quando ha indossato per la prima volta le scarpette e il tutù. La musica e il ritmo li aveva nel sangue e dopo le prime esperienze nella danza classica si è avvicinata a quella moderna. Come tante bambine degli anni Ottanta è cresciuta con il mito di Heather Parisi: ha così scoperto, oltre alla danza moderna, anche il jazz (dove è riuscita a trovare la sua dimensione), il latino americano, il pop e le danze orientali. Giovane ha iniziato ad insegnare danza, prima ai bimbi e poi agli adulti. Ma intanto i problemi di vista hanno iniziato a farsi sentire e dopo la prima gravidanza ha dovuto interrompere quella che, per lei, era (ed è) vita: la danza.

Ma, complice anche il lockdown, ha riscoperto l’amore per la danza e non solo è ritornata ad insegnare, ma ha raggiunto anche il traguardo di essere la prima donna non vedente, ad aver conseguito il diploma di insegnante di danza con la tecnica Simonson.

Questa è la storia di Valentina Bertani, 45 anni, insegnante di danza non vedente di Arcore, un comune nella provincia di Monza e Brianza. Un fiore all’occhiello per l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Monza dove Valentina – insieme alle altre due insegnanti Virginia Fumagalli e Cinzia Manzoni – aveva dato vita al progetto Svista Dance, per avvicinare al mondo della danza anche le persone con disabilità visiva. Perché, anche se non ci si vede è possibile muoversi in modo armonioso nello spazio, e vivere quel senso di estrema libertà che il ritmo riesce a dare.

“Durante l’emergenza sanitaria grazie a Virginia e Cinzia mi sono rimessa in gioco” spiega. “Abbiamo iniziato a cercare in rete se ci fosse qualcosa simile al nostro progetto di Svista Dance. Se c’erano già risultati su quel fronte. E abbiamo scoperto che un progetto simile era stato avviato con successo in Brasile. Così siamo partite, armate di tanto coraggio e di entusiasmo, certe che la danza avrebbe aiutato le persone con disabilità visiva ad uscire di casa, a socializzare e magari, come nel nostro caso, avrebbe cambiato la vita anche a qualcuna di loro”.

Poi la scoperta del metodo Simonson, un metodo molto in voga negli Stati Uniti ma ancora poco conosciuto e praticato in Italia, basato su una tecnica che permette a tutti di danzare. “Da 3 a 100 anni” ha spiegato Valentina. “Perché, a differenza di altri metodi è molto rispettoso del corpo e non sovraccarica l’apparato muscolo scheletrico. Si impara a muoversi in modo corretto senza caricare sui legamenti. Così anche chi ha superato gli anti e vuole avvicinarsi alla danza può farlo senza problemi”.

Valentina è una tosta: la cecità non le ha impedito di proseguire nella sua passione. Durante il lockdown si alzava all’alba per seguire on line le lezioni. Poi ad aprile un volo a Barcellona per i corsi in presenza: tante lezioni, non solo di danza, ma anche di anatomia e biologia. E poi, superato l’esame, l’inizio di una nuova avventura: come ballerina, come insegnante e come donna. Con il grande sogno di abbattere definitivamente le barriere culturali, dimostrando che le persone non vedenti possono senza problemi insegnare danza, e correggere le posizioni e passi esattamente come fa una insegnante normodotata.

“Purtroppo, soprattutto nel mondo della danza, esistono ancora tanti pregiudizi” continua. “Eppure, come già dimostrato, basta bendare gli occhi all’allievo per dimostragli come il collega e l’insegnante non vedente percepiscono lo spazio e il proprio corpo. Il sogno è quello di insegnare nelle scuole, mettere a disposizione delle future generazioni, ma anche di chi in età adulta si è avvicinato alla danza, quanto ho appreso”.

E poi un messaggio speciale alle ragazze e alle donne con disabilità visiva: “Uscite, non rimanete a casa, non nascondetevi. Lo sport (danza compresa) è terapeutico. Per tutti”.