giovedì 29 agosto 2019

Scuola. Decreto inclusione: "cose buone ci sono, ma non chiamatela rivoluzione"

Vita.it del 29.08.2019

«Alcune cose sono ottime, ad esempio l’ICF è diventato lo standard su cui fare il profilo di funzionamento, mentre su altre cose non ci siamo per niente, come la specializzazione degli insegnanti di sostegno. Complessivamente l’aggettivo che mi viene in mente è “vecchio”», afferma Dario Ianes. «Rivoluzione sarebbe togliere gli insegnanti di sostegno, rendere tutti i docenti corresponsabili dell'inclusione e introdurre nelle scuole una équipe socio-psico-pedagogica, come previsto quarant’anni fa dalla legge 517».

Abbiamo una nuova legge sull’inclusione scolastica. È stato pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale il decreto legislativo n. 96 del 7 agosto 2019 che va a modificare il celeberrimo decreto legislativo n. 66 del 13 aprile 2017, figlio della delega contenuta nella Buona Scuola per migliorare l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, nel solco dell’ICF e della Convenzione Onu. La nuova legge entrerà in vigore il 12 settembre 2019, anche se – c’è da dire – c’è comunque bisogno di alcuni decreti attuativi nonché di una certa riorganizzazione del sistema, dalle commissioni che dovranno certificare la disabilità fino alla nascita dei GTI-gruppi territoriali per l’inclusione che prevedono l’esonero della docenza per circa 450 insegnanti. Se il decreto 66, approvato nel 2017, aveva scontentato bene o male tutti perché il cambiamento atteso non c’era per nulla, su quello attuale c’è un giudizio di luci ed ombre. Con Dario Ianes, professore di Pedagogia e Didattica Speciale all'Università di Bolzano, co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento proviamo a capire le novità.

Quest’anno quindi alunni con disabilità e famiglie troveranno una rivoluzione?

Direi di no, non si accorgeranno di nulla, se non altro perché ci vorrà del tempo per realizzare quanto descritto. Rivoluzione sarebbe togliere gli insegnanti di sostegno, prevedere che tutti i docenti sono corresponsabili e introdurre nelle scuole una equipe socio-psico-pedagogica, come peraltro era previsto quarant’anni fa dalla legge 517, la prima sull’inclusione scolastica. Dare un giudizio globale è difficile, alcune cose sono ottime, ad esempio l’ICF è diventato lo standard su cui fare il profilo di funzionamento, mentre su altre cose non ci siamo per niente, ad esempio la specializzazione degli insegnanti di sostegno, in particolare per la secondaria. Bisognerebbe dare un giudizio pezzo per pezzo. Complessivamente l’aggettivo che mi viene in mente è “vecchio”: sono sempre le stesse cose, la certificazione, l’insegnante di sostegno… Ecco, direi che questo è un regolatore di antichità, certo non una rivoluzione copernicana. È un imbullonare il sistema vecchio, mettendoci anche qualcosa di buono.

Quali sono le cose buone?

Bisogna dare atto che l’articolo 1 è meraviglioso. Poi però si cambia subito registro e per tutta la legge si parla solo di inclusione degli alunni certificati. L’inclusione invece dovrebbe riguardare tutti gli alunni, con ogni tipo di differenza, non solo quelli che hanno la certificazione ai sensi della 104. Peraltro il MIUR ha da poco pubblicato i dati sugli alunni con DSA nell’anno scolastico 2017/18 e ci sono dati impressionanti, per cui al Sud Italia le diagnosi sono un quarto rispetto al Nord Ovest, è un divario discriminatorio, significa o che al Sud non ci sono bambini e ragazzi con dislessia o che lì la filiera dei servizi non funziona. È inclusione anche questa. Se inclusione è quella che l’articolo 1 promette… devi fare conseguentemente una serie di misure che si applicano a tutti, anche agli alunni con DSA, a quelli con BES e pure a chi ha un grandissimo potenziale intellettivo.

Altro?

Un punto positivo da segnalare è che c’è finalmente c’è una parte sulla valutazione della qualità dell’inclusione scolastica e si dà incarico a INVALSI di elaborare dei criteri che poi entreranno nella autovalutazione delle scuole. È importante, non si può più andare avanti a dire che in Italia facciamo tutti bene l’inclusione. La massima positività è che l’ICF è diventato lo standard su cui elaborare il profilo di funzionamento, dopo 20 anni. È una cosa ottima, sono molto contento. Ma qui cominciano i problemi.

Perché?

La sanità ha acquisito l’ICF con fatica, è stata più lenta e ha avuto più resistenze ad avere quella visione globale della persona che è il cuore dell’ICF. Il mondo pedagogico ha colto di più la novità. Il fatto è che nel nuovo decreto c’è comunque uno sforzo tremendo sul tema della certificazione, c’è un percorso ad ostacoli figlio della volontà di evitare abusi, per cui il medico dà un timbro che ti fa entrare nel novero dei soggetti aventi certi diritti. La composizione delle commissioni è migliorata, ok, prima c’erano cose assurde ora invece la commissione multidisciplinare che fa il profilo di funzionamento è composta bene, ci sono anche la scuola e la famiglia che collaborano, ma il ruolo della sanità resta centrale e la sanità, come dicevo prima, non ha ancora assimilato l’ICF.

Un successo è l’aver riportato nel PEI la definizione del numero delle ore di sostegno.

Sì, il decreto 66 allontanava il momento decisionale dalla scuola, era nel GIT e poi all’Ufficio scolastico, adesso con il GLO viene dato più ruolo agli insegnanti, alla scuola, alla famiglia… a quelli che conoscono bene il ragazzo. A me però preme sottolineare che su questo è la logica ad essere vecchia e sbagliata: molte famiglie combattono per avere più ore di sostegno, come se un alunno avesse uno zainetto con dentro le “sue” ore di sostegno, un gruzzoletto personale a cui ha diritto, perché sono risarcitorie. Una logica vecchia che pensa ad una attribuzione speciale di ore speciali perché sei certificato.

Quali criticità vede invece? Accennava alla specializzazione degli insegnanti di sostegno…

Esatto. Intanto di quelli della scuola secondaria praticamente non si parla, come se non esistessero. Le associazioni hanno chiesto per gli insegnanti di sostegno più specializzazione, 60 crediti in più, che sono un anno di università. In pratica 5 di scienze della formazione più uno di specializzazione, ma per farlo devi avere 60 crediti sulla didattica inclusiva: in pratica sette anni, come medicina. Le facoltà sono tutte in allarme, perché nessuno sa dove si devono trovare quei 60 crediti e dal decreto non si capisce. In più c’è una grande frattura tra chi vuole fare l’insegnante di sostegno all’infanzia e alla primaria e chi lo vuol fare alla secondaria. Lì, tolto il FIT, resta la laurea, il concorso per il sostegno e un anno di prova, dopodiché vado a ruolo avendo fatto pochissima formazione sulla didattica inclusiva. Nella secondaria però la carriera tra insegnante curricolare o di sostegno si biforca subito e questo a mio giudizio non è propriamente una scelta che esprime una logica inclusiva.

Un altro punto su cui, francamente, da non addetto ai lavori si capisce poco o nulla è tutto quel fiorire di sigle di organismi di supporto: GIT, CTS, CTI…

Il supporto tecnico su cui la scuola può contare per l’integrazione, è un altro punto debole. Non c’è una struttura chiara, si sovrappongono le competenze… Nella legge 517/77 - quella che ha stabilito il principio dell’inclusione scolastica - si prevedevano due cose: gli insegnanti specializzati e un servizio di supporto socio-psicopedagogico che nelle scuole desse un aiuto concreto agli insegnanti. Non si è mai visto. Abbiamo visto invece crescere il numero degli insegnanti di sostegno, 154mila, alcuni dei quali senza nessun titolo per esserlo. Quindi delle due misure immaginate dal legislatore, una ha preso un grande abbrivio e una non è mai nata, perché la scuola tende ad essere un’isola autoreferenziale. Io sono convinto che la storia dell’inclusione scolastica sarebbe stata diversa se da 40 anni avessimo dato un supporto competente alla scuola, invece di lasciare gli insegnanti al fai da te, nella solitudine. Ecco, questa sì che sarebbe una rivoluzione.

di Sara De Carli

Auto elettriche "rumorose": più sicure per chi non vede?

Redattore Sociale del 29.08.2019

Dal 2 luglio è in vigore la norma europea che rende obbligatorio un dispositivo acustico (Avas) a bordo dei veicoli elettrici, per segnalarne la presenza soprattutto ai pedoni ciechi. L'Uici non ha dubbi: “Il veicolo silenzioso è un pericolo per chi non vede”.

ROMA. Le auto elettriche dovranno essere dotate di un dispositivo acustico, che ne segnali la vicinanza a chi non può vederle. Il loro essere silenziose, infatti, potrebbe rappresentare un serio pericolo per le persone cieche. È quanto prevede la norma entrata in vigore, in tutta l'Unione europea, il 1 luglio scorso, che rende obbligatoria la dotazione del cosiddetto “Acoustic vehicle alert system”. Ne parla Federico Del Prete su “The Submarine”, su come “le auto elettriche cambieranno il suono delle città”. Un tema quanto mai attual, nei giorni in cui la questione ambientale si impone pesantemente all'attenzione del mondo.

La norma nasce dalla constatazione che “le cosiddette utenze deboli — ma bisognerebbe iniziare a chiedersi se tutte le utenze della strada non siano, in fondo, deboli — come ad esempio i non vedenti, ma anche un qualsiasi smartphone-dipendente, o un ciclista, un anziano, un bambino, e così via, possono ignorare l’arrivo di un veicolo di questo tipo, molto meno rumoroso di uno a combustione interna. Con conseguenze facili da prevedere”, scrive Del Prete. Ed è per questo che sono state sopratutto le associazioni delle persone cieche – in testa la European Blind Union (Ebu) – a portare avanti una campagna per l'obbligatorietà del dispositivo. Molti modelli di automobile elettrica – ma non tutti - hanno già a bordo l’Avas, che produce un rumore “simile a note d’organo prolungate e distorte elettronicamente, modulato in funzione della velocità: siamo di fronte a qualcosa di completamente innovativo – osserva Del Prete - I veicoli passano dal far rumore, a suonare”.

Tanto rumore per nulla?

Un aspetto, questo, che non riceve unanime consenso, ma suscita anzi qualche perplessità. “Progettate per rispondere alla paura del pubblico di veicoli elettrici silenziosi, le nuove leggi impongono alle automobili di emettere rumore, che deve aumentare o diminuire di tono per segnalare se il veicolo sta accelerando o decelerando – si legge su New Atlas – La normativa consente esplicitamente alle case automobilistiche di offrire ai conducenti una scelta di suoni del motore, parche rispettino determinati marcatori di frequenza e aumentino e diminuiscano con la velocità”. Ci si chiede allora se e come possa cambiare, appunto, “il suo delle città” e se questo non possa rappresentare un pesante effetto collaterale di quella che dovrebbe essere una rivoluzione ambientale. Una perplessità che pare suffragata dall'assenza di dati relativi all'aumento della sicurezza grazie all'Avas. “Non sembra essere ancora stata completata alcuna ricerca che dimostri come un veicolo elettrico rumoroso sia più sicuro di uno silenzioso – si legge ancora su New Atlas - Uno studio norvegese sulla questione dovrebbe presentare i suoi risultati a breve”.

Silenziose uguale pericolose.

Non ha dubbi, invece, Mario Barbuto, presidente nazionale di Uici: “Le auto elettriche silenziose sono un pericolo reale per chi non vede. E renderle 'rumorose’, seppur minimamente, come prevede la norma europea, aumenta la sicurezza. Il pericolo rappresentato, per le persone cieche, dai veicoli silenziosi è dimostrato – commenta Barbuto - Un veicolo in movimento in modalità silenziosa compromette la sicurezza e la mobilità delle persone non vedenti, ipovedenti e non solo. I dispositivi di emissione acustica emettono peraltro segnali a bassissimo volume, al di sotto del normale vocio e dei classici rumori pedonali normali”. Nessun rischio, insomma, di un aumento di rumorosità nelle città.

“L'Unione Europea dei ciechi (EBU) è impegnata da anni sul tema perché le auto elettriche nelle strade a ridotta velocità possono rappresentare un pericolo per i ciechi e non solo – ricorda ancora Barbuto – Ora, la direttiva del parlamento europeo dispone l'obbligo di montare dispositivi acustici sulle auto che entrano in azione automaticamente a velocità inferiori ai trenta all'ora. Le auto di nuova produzione hanno l'obbligo di montare questi dispositivi già dal 2019, mentre l'obbligo si estende a tutte le auto dal 2022. Analoga norma era già stata adottata qualche mese fa negli Stati Uniti – riferisce Barbuto - sempre a seguito di azione delle associazioni di rappresentanza dei ciechi. In Italia abbiamo attivato contatti per inserire la norma anche nel nuovo codice della strada”. (cl)

mercoledì 28 agosto 2019

Blocnotes mese di agosto 2019

Scaricabile al seguente link il numero di agosto del notiziario informativo mensile del Consiglio Regionale Lombardo U.I.C.I., a cura di Massimiliano Penna.

BLOCNOTES AGOSTO 2019 (formato .doc)

martedì 27 agosto 2019

Vedere la musica pur senza la vista “via ogni barriera”

La Provincia di Como del 27.08.2019

Bisogna, necessariamente, fare una premessa. Va sfatato il mito ricorrente sul mondo dei non vedenti, perchè non è vero che coloro che hanno un deficit sensoriale abbiano, automaticamente, gli altri ipersviluppati. Questo diventa vero a fronte di un grande esercizio e di un allenamento precoce e costante, frutto dell'educazione e dell'intervento di esperti nel settore. Per chi non vede, i suoni sono vitali, ma bisogna imparare a conoscerli e a riconoscerli, e spesso non è facile. «Il rock è inclusione». Lo sa bene Domenico Cataldo, che da circa sette anni insegna chitarra a chi ha una disabilità visiva, con la pazienza e il sapere di chi, per quella strada, ci è passato per primo. Domenico, ipovedente dalla nascita, percepisce le luci e la forma delle cose, ma non distingue cartelli, dettagli e scritte, non può guidare e la realtà la vede in modo sommario. Innamorato da sempre del rock progressivo e diplomato al Cpm Music Institute nel 1998, Domenico non nasconde le difficoltà incontrate durante tutto il suo percorso scolastico, soprattutto nell'accesso alle fonti scritte, quei famosi spartiti impossibili da leggere, difficoltà incontrate e superate, con grande impegno e talento.

«Dietro la mia idea di tenere un corso di chitarra c'è, fondamentalmente, una forte volontà di inclusione - racconta - che vorrei portasse alla creazione di qualcosa, un progetto che vedesse suonare insieme musicisti ipo e non vedenti con altri normodotati, magari in occasione del centenario dell'Unione Ciechi, che cade il prossimo anno. Noi ci troviamo a vivere all'interno di un contesto sociale che ospita tanti individui diversi, ognuno con maggiori o minori difficoltà, e credo che la musica possa avere una grande valenza terapeutica, credo che possa essere un grande strumento di riconquista da parte del non vedente, che può vedere valorizzata la sua spiccata sensibilità sia uditiva che d'animo». Proprio per perseguire il proprio ideale di inclusione, il corso di Domenico è aperto a tutte le fasce d'età. «Se devo far vedere a chi non vede la posizione delle dita sulle corde per formare un accordo, l'allievo deve appoggiare le mani sulle mie e sentire la loro posizione, prima di riprodurne il suono. Devo essere il più descrittivo possibile, soprattutto a livello tattile, faccio toccare lo strumento, raccontando com'è fatto e i materiali diversi con cui è costruito, quali sono e dove sono i tasti, come associare la diversa foggia delle corde al suono e così via. é come una danza, nella quale viene coinvolto tutto il corpo e, una volta scoperto lo strumento con il tatto, ogni allievo trova e sviluppa il rapporto con il suono in un modo diverso e molto personale. Il suono non ha barriere, ognuno lo accoglie secondo le proprie caratteristiche, e non c'è differenza tra chi vede e chi no». Doti speciali. L'esperienza didattica riserva sorprese e, a volte, si finisce per scovare qualcuno con doti speciali. «Ho scoperto che uno dei miei allievi ha l'orecchio assoluto, una qualità che nemmeno lui sapeva di avere. Adesso, per accordare gli strumenti, non usiamo più gli accordatori. Ci affidiamo a lui». Su tutto, però, quello che conta è la relazione, perchè le lezioni sono anche un pretesto per raccontarsi, per sentirsi meno isolati, meno diversi dal resto del mondo. E, perchè no, anche di innamorarsi. Basta chiedere a Michela, che è partita suonando la chitarra ed ora è la compagna di vita di Domenico. Davvero una bella storia da raccontare.

Quando alle persone con disabilità venne negato il diritto al salvataggio

Superando.it del 27.08.2019

«“Alle persone con disabilità venne negato il diritto al salvataggio”: la denuncia di qualche anno fa – scrive Stefano Zanut -, riguardante ciò che accadde nel 2005 a New Orleans, con l’arrivo del devastante Uragano Katrina, impone una riflessione e rende necessario, in tema di cambiamenti climatici e disuguaglianze, attivare un percorso nuovo – come stanno facendo le Nazioni Unite -, che a partire da ciò che abbiamo imparato dalle esperienze, sappia delineare un cambio di prospettiva nella cultura dell’emergenza e del soccorso, senza dimenticare di coinvolgere anche le persone interessate».

Il 29 agosto 2005, ovvero poco meno di quattordici anni fa, l’Uragano Katrina devastò la costa sud-orientale degli Stati Uniti, lasciando una drammatica eredità: morirono 1.800 persone, decine di migliaia dovettero abbandonare le proprie case e l’80% di New Orleans, la città più colpita, venne sommersa dalle acque.

Ma quella catastrofe assume anche un’altra dimensione, se analizzata considerando il suo sproporzionato impatto sulle persone più vulnerabili: considerando infatti la sola città di New Orleans, il 73% delle vittime aveva un’età superiore ai 60 anni, anche se questa fascia di popolazione rappresentava solo il 15% di quella totale (fonte: National Council of Disability).

Per ricordare quel tragico evento, dieci anni dopo è stato prodotto The Right to be Rescued (“Il diritto di essere salvati”), un documentario con le testimonianze di persone con disabilità coinvolte e le interviste di avvocati che s’interessano di diritti umani. In quel caso le conseguenze non furono da imputare a Madre Natura, quanto a un’altra condizione in cui l’elemento determinante è stato l’uomo e la sua organizzazione sociale, vale a dire che «alle persone con disabilità venne negato il diritto al salvataggio».

Una denuncia drammatica, questa, da cui è difficile sottrarsi e che necessariamente impone una riflessione, specialmente in un periodo come questo in cui il tema dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze si sta manifestando in tutta la sua drastica realtà.

Solo per fare un esempio, Katrina è stato solo uno degli oltre duecento eventi disastrosi abbattutisi sul territorio degli Stati Uniti nel periodo tra il 1980 e il 2018 e negli anni la situazione si sta gradualmente intensificando, tanto che ben tredici Agenzie Governative hanno stimato un possibile impatto sull’economia statunitense con una perdita del Prodotto Interno Lordo fino al 10%.

Questi sono i casi più studiati e conosciuti, ma il resto del mondo non è certo esente da eventi del genere, tanto da fare intervenire anche le Nazioni Unite con una Risoluzione del 9 luglio scorso, dal titolo Human Rights and Climate Change (“Diritti umani e cambiamenti climatici”), in cui si esortano i governi ad ascoltare le persone che possono essere maggiormente colpite da eventi di questo tipo e ad adottare «un approccio globale, integrato, sensibile al genere e inclusivo della disabilità per le politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici».

Una Risoluzione che certo non cade come un fulmine a ciel sereno, ma è logica conseguenza delle attività che hanno condotto alla Convenzione ONU sui Diritti delle persone con Disabilità, la quale all’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) si esprime proprio su questi argomenti.

«Per ogni individuo – ha scritto David M. Perry dopo l’Uragano Harvey che ha colpito gli Stati Uniti nel 2017 – le conseguenze di un disastro naturale saranno intensificate non solo dalle specifiche necessità connesse alla disabilità, ma anche da altre forme di disuguaglianza ed emarginazione come razza, classe, genere o identità sessuale e stato giuridico».

Un commento che fa eco a quello di Laura M. Stough e Ilan Kelman in Disability and Disaster. Explorations and Exchanges: «I disastri non discriminano, fanno emergere e sottolineano le disuguaglianze che già esistono nelle comunità su cui impattano».

Sempre dalle Nazioni Unite giunge poi un altro contributo sul tema, per evidenziare come in molti Paesi i bisogni delle persone con disabilità siano spesso trascurati nelle prime fasi della risposta alle emergenze umanitarie, evidenziando come il 72% di loro non abbia un piano personale da mettere in atto in caso di catastrofe e quasi l’80% non sia in grado di evacuare immediatamente senza difficoltà.

Episodi lontani da noi solo in apparenza, lontani ma vicini, proprio come i grandi incendi che hanno sconvolto le foreste siberiane e che stanno minando quelle dell’Amazzonia, perché la scala dei cambiamenti a cui stiamo assistendo coinvolgono inevitabilmente tutti i Paesi e le genti del nostro pianeta e non si fermano certo ai confini di una nazione o davanti a muri eretti per altri scopi.

Anche nel nostro Paese si stanno verificando eventi improvvisi e violenti, in genere di origine meteorologica, le cui conseguenze sono spesso amplificate da condizioni ambientali compromesse dall’uomo. Situazioni che richiedono una risposta veloce ed efficace da parte delle persone, a prescindere dalle proprie capacità o condizioni, un risultato che si può conseguire solo con una pregressa preparazione e pianificazione, ma anche attraverso una strutturazione degli spazi che favorisca tali risposte.

Formazione e pianificazione, quindi, come strumenti per affrontare situazioni complesse, ma anche informazione affinché tutti abbiano consapevolezza di ciò e possano dare il proprio contributo alla costruzione di una cultura condivisa e inclusiva su questi argomenti.

È necessario attivare un percorso nuovo su questi temi, che a partire da ciò che abbiamo imparato dalle esperienze sappia delineare un cambio di prospettiva nella cultura dell’emergenza e del soccorso, ma senza dimenticare di coinvolgere anche le persone interessate. La sfida che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni sarà complessa e difficile, ma certamente un sistema inclusivo che sappia superare le disuguaglianze in un percorso comune sarà in grado di fare la differenza.

Stefano Zanut,
Direttore vicedirigente del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco; membro dell’Osservatorio del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco sulla Sicurezza e il Soccorso delle Persone con Esigenze Speciali.

Per approfondire ulteriormente la materia delle persone con disabilità di fronte ai vari tipi di emergenze, è possibile accedere al nostro testo intitolato Soccorrere tutti significa soccorrere meglio, al cui fianco vi è il lungo elenco dei contributi da noi pubblicati in questi anni.

Il mare e l'arte che abbattono le barriere

Superando.it del 27.08.2019

Sarà una festa dell’accessibilità e della condivisione, quella che in settembre porterà in barca a vela da Ravenna ad Ancona “la strana coppia del mare”, costituita da Sante Ghirardi, skipper con disabilità motoria e Felice Tagliaferri, il noto scultore non vedente, che daranno vita al progetto denominato “In onda con Sante e Felice, il mare è come l’arte: entrambi possono abbattere le barriere”.

MARINA DI RAVENNA, agosto 2019, sono pronti per un’uscita in barca a vela, di buon mattino. L’equipaggio è quello che non ti aspetti e che potrebbe essere definita: come“la strana coppia del mare”.

Sante Ghirardi, skipper con disabilità motoria e con circa trent’anni di esperienza tra i mari, fondatore dell’Associazione Marinando di Ravenna, patente nautica per barca a vela e a motore senza limiti e brevetto da sub, profuma di onde e la sua voce evoca ad ogni parola avventure marittime che ascolteresti senza sosta.

“Marinaio” d’eccezione Felice Tagliaferri, maestro scultore, non vedente, le cui opere, scolpite nel marmo, nel legno, nel bronzo hanno incantato un pubblico internazionale, instancabile esempio di estro artistico e di contagiosa energia creativa che travalica ad ogni istante ogni limite.

Sante e Felice si sono incontrati per caso, la scorsa primavera, e subito è scattata un’affinità profonda, oltre alla voglia di fare qualcosa insieme. Ecco quindi prendere vita il progetto In onda con Sante e Felice, il mare è come l’arte: entrambi possono abbattere le barriere.

Il 15 settembre salperà da Ravenna con Sante e Felice Andelusa, barca a vela di dieci metri, che prenderà il mare, per toccare, poi, i porti di Cesenatico, Rimini, Pesaro e Senigallia e giungere, il 20 settembre, ad Ancona, sede del Museo Tattile Statale Omero: il celebre luogo dell’arte senza barriere, con sculture e modelli architettonici da toccare e vedere.

Veleggiare nel silenzio tra le onde porta con sé lo scopo di sensibilizzare le persone verso l’accessibilità del mare e delle opere d’arte, coinvolgere quante più persone possibili per dimostrare che la navigazione è libera dagli ostacoli, per invitarle a vivere nuove esperienze cercando di vincere quelle che, spesso, si rivelano essere barriere che noi stessi abbiamo nella mente.

Le persone con disabilità possono vivere magnifiche esperienze con il mare e l’arte suscitando felicità, sperimentando nuove dimensioni di benessere.

Questo progetto si apre a tutti, vuole essere un’esperienza davvero speciale, coinvolgendo Enti e Associazioni, per accogliere nei porti Sante e Felice tutti insieme, creando momenti di festa, condivisione e conoscenza del mare compagno di viaggio misterioso e affascinante e dell’arte immediata ed emozionante con alcune opere di Tagliaferri.

Momenti di testimonianza diretta, per dimostrare che esistono sempre percorsi alternativi, soluzioni impensate che arricchiscono la vita. Gli esempi viventi sono lì, a bordo: Sante, che ha fondato Marinando nel 2009 con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone che vivono condizioni disagiate o che colpite da una disabilità rischiano l’emarginazione. A tal proposito, ogni anno circa settanta ragazzi svolgono attività nautiche accessibili con un approccio didattico e divertente. E poi Felice, che non si ferma mai, e ha l’inossidabile volontà di rendere l’arte accessibile a tutti, lui che travolgente e vulcanico mi dice spesso: «Devi essere felice per quello che hai, non triste per quello che ti manca». Un semplice ribaltamento della prospettiva che ogni persona dovrebbe fare per vivere appieno l’esistenza.

Ormai manca poco alla partenza e, mentre Sante e Felice si concentrano tra le onde con il vento tra i capelli, uniamo gli intenti per rendere questa traversata una festa dell’accessibilità e della condivisione. Ogni idea e partecipazione è preziosa (per maggiori informazioni e coordinamento, contattare Silvia D’Altri, silvia.daltri@gmail.com).

di Marzia Santella,
Giornalista pubblicista, promotrice del blog ARTEsenzaCONFINI.

lunedì 26 agosto 2019

Dalla Fondazione Villa Mirabello: Borse di Studio in memoria di mons. Edoardo Gilardi - Edizione 2019

Candidature entro il 30 ottobre.

La Fondazione VILLA MIRABELLO ONLUS, per onorare la memoria di Monsignor Edoardo Gilardi, geniale direttore della “Casa di Lavoro e Patronato per i Ciechi di Guerra di Lombardia” dal 1920 al 1962, annualmente assegna delle borse di studio a giovani non vedenti o ipovedenti in possesso di laurea magistrale e/o in possesso di laurea breve.

Per avere informazioni più dettagliate si rinvia al relativo bando di concorso, consultabile alla pagina web:

Il museo da accarezzare

Il Giornale dell'arte del 26.08.2019

Al Museo Tattile Omero dove il visitatore è invitato a toccare con mano sculture e modelli architettonici si aprirà una sezione sul design italiano.

ANCONA. Vale la pena visitare di persona il Museo Tattile Statale Omero, all’interno della Mole Vanvitelliana. Il visitatore è invitato a toccare con mano sculture e modelli architettonici quali il Partenone, il duomo anconetano di San Ciriaco, la cupola del Brunelleschi di Firenze, San Pietro, la Pietà vaticana e la Rondanini di Michelangelo.

Al piano superiore si fa esperienza tattile di sculture di artisti moderni e contemporanei: Giorgio de Chirico, Arturo Martini, Marino Marini, Arnaldo Pomodoro e molti altri.

Aldo Grassini, presidente del museo, afferma: «Nel 1749 Montesquieu sosteneva che i ciechi attraverso il tatto potessero arrivare alla conoscenza, ma dubitava della loro valutazione estetica. Una diatriba superata: i ciechi possono arrivare a una valutazione estetica. Non tutti? Fondamentale è ricevere un’educazione artistica. D’altronde neanche tutti i vedenti capiscono l’arte».

Nel 2018 il museo ha avuto 35mila visitatori: «Il “vietato toccare” in altri Paesi non è un dogma. Al Museo Thorvaldsen di Copenaghen a me e ad altri quattro non vedenti dettero dei guanti per toccare le statue di marmo. Tuttavia preferisco il verbo “accarezzare”: presuppone amore», prosegue il professore.

Al piano superiore l’accogliente raccolta invita a posare le mani su sculture originali. «Molte opere nei musei non subirebbero danni se toccate, perlomeno dai ciechi, che sono pochi. Il tabù sta cedendo. Agli Uffizi ora lasciano toccare sculture romane. Noi portiamo un nuovo approccio alla fruizione dei beni culturali fornendo consulenze e materiali in tutta Italia. Facciamo di tutto, dai laboratori alle visite guidate, alle mostre, chiunque può scoprire una strada di accesso all’arte non solo visiva».

Il museo, che aprirà una sezione sul design italiano, lavora anche con chi ha disabilità cognitive e si sta attrezzando per guide nella Lis-Lingua dei Segni Italiana. «Siamo un museo senza barriere», conclude Aldo Grassini.

di Stefano Miliani

domenica 25 agosto 2019

Tokyo, un anno alle Paralimpiadi - Il Giappone si scopre più sensibile

Avvenire del 25.08.2019

TOKYO. Quando vinse il 7 settembre 2013 la sede dei Giochi olimpici 2010, il Giappone accettò in pieno una sfida: quella di accogliere la disabilità come parte della sua realtà quotidiana, oltre che sportiva. Non una questione di poco conto per le sue caratteristiche culturali che tendono a relegare nell'ombra, se non ai margini, la "diversità" nelle sue varie declinazioni. Nel 1964, la seconda paralimpiade dopo quella di Roma '60 riscosse assai poca attenzione in Giappone. Si trattava di una iniziativa nuova, con ampi margini di incertezza riguardo il futuro. Di conseguenza, il poco entusiasmo raccolto non venne notato o particolarmente sottolineato, tuttavia arrivati alla sedicesima edizione, sarebbe impossibile non vedere come in un Paese che sembra non avere atleti paralimpici, per quanto sono poco presentati e coinvolti, l'evento non sia particolarmente pubblicizzato. Certamente, le gare che si terranno dal 25 agosto al 5 settembre 2020 avranno un'organizzazione impeccabile, impianti di prim'ordine e risultati di tutto rispetto con probabili nuovi record all'orizzonte, ma finora l'evento non ha scaldato l'animo dei giapponesi, pur in una diversa sensibilità verso la disabilità che va crescendo e affermandosi.

Sono 4.400 gli atleti che si contenderanno i risultati d'eccellenza in 22 discipline sportive di cui due, badminton e taekwondo, presentate per la prima volta. Sedi saranno gli impianti dell'area di Tokyo, il cui Comitato organizzatore sta lavorando in stretto collegamento con l'amministrazione municipale per assicurare che agli atleti e ai visitatori con disabilità sia garantito il pieno godimento degli eventi sportivi e il pieno accesso a strutture e servizi. In realtà, non è pura retorica chiedersi se l'immensa macchina organizzativa e pubblicitaria messa in moto sotto l'etichetta «Cool Japan» (Giappone attraente) avrebbe potuto o potrà ancora garantire maggiore visibilità agli eventi paralimpici. Molto ad esempio è stato fatto per integrare nuovamente nell'immagine del Giappone, sia quella percepita all'estero sia soprattutto quella interna, le aree devastate dal terremoto e dallo tsunami dell'11 marzo 2011 e in particolare le popolazioni vittima delle radiazioni atomiche per l'avaria dei reattori della centrale di Fukushima, contribuendo così a evitare che le difficoltà e il senso di colpo diffusi in quelle aree si trasformassero in emarginazione per centinaia di migliaia di individui e in una prospettiva di dipendenza e magari emigrazione permanente. Fatte le debite differenze, non si è visto un simile impegno verso il recupero della disabiiltà come integrazione effettiva che deve partire da un riconoscimento prima ancora che da iniziative che potrebbero anche essere concrete e bene indirizzate ma alla fine negare ancora la piena considerazione sociale. Nelle sue Linee guida per l'accessibilità di Tokyo 2020, Il Comitato organizzatore ha proposto un'ampia gamma di soluzioni alle problematiche dell'accessibilità nel contesto di un impegno per rendere la società rispettosa verso individui fisicamente in difficoltà. I risultati non mancano e non mancheranno nei mesi a venire. Trovare sistemazioni alberghiere adeguate a Tokyo diventerà più facile dopo che una legge impone che dal 1° settembre ogni nuovo hotel con più di 50 camere disponga di strutture accessibili e pienamente utilizzabili da individui su sedia a rotelle. I servizi di trasporto hanno già modificato i propri mezzi per renderne facile l'utilizzo e anche gli impianti sportivi si sono adeguati, con la possibilità che i diversamente abili possano accedere senza impedimenti agli spalti e godere di una vista dall'alto delle gare. Nessun ostacolo renderà arduo il loro passaggio abili in un raggio di venti chilometri dagli impianti sportivi e le scritte in Braille saranno ampiamente utilizzate ove necessario o possibile.

Anche a volere fare uno sforzo di immaginazione, è pressoché impossibili individuare qualche falla in una preparazione che ha saputo sollevare un grande interesse proprio facendo perno sulle storie, sulle esperienze umane di atleti, organizzatori, appassionati, cittadini qualunque. L'intensa campagna pubblicitaria per presentare il Paese e incentivare gli arrivi di visitatori stranieri ha coinvolto ogni mezzo di comunicazione, mobilitando testimonial d'eccezione dentro e fuori lo sport.

Tuttavia, nonostante l'impegno, la percezione diffusa è che si potesse e dovesse fare di più a livello di sensibilizzazione. Vero, il primo ministro Shinzo Abe ha voluto nella commissione incaricata di individuare carenze e possibilità nell'accesso all'impiego dei diversamente abili la sciatrice paralompica Kuniko Obinata e questo ha provocato tempo fa un rinnovato interesse verso le problematiche di cui è ambasciatrice, ma la sensazione è che i mass media restino ben distanti dall'inserire a pieno titolo l'esperienza delle "altre" Olimpiadi tra le loro priorità.

di Stefano Vecchia

mercoledì 7 agosto 2019

Percorso tattile al Museo Guadagnucci

La Nazione del 07.08.2019

MASSA. Grazie all'iniziativa dell'Associazione Amici del Museo Gigi Guadagnucci, il museo, che alla Villa della Rinchiostra espone le opere donate alla città di Massa dal maestro della scultura in marmo, disporrà di un nuovo servizio dedicato all'accessibilità per persone non vedenti ed ipovedenti. Con il progetto denominato "Percorso tattile", infatti, l'associazione, con il consenso e l'approvazione del Comune di Massa, ha sostenuto una meritoria proposta della dottoressa Laura Ghilarducci in collaborazione con l'Associazione Eleope. Importante è stato il sostegno dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti sezione di Massa, che ha realizzato le didascalie in Braille. In questa prospettiva, sono state rese accessibili ad una fruizione tattile otto opere rappresentative del percorso storico-artistico di Gigi Guadagnucci. I visitatori, mediante delle visite guidate da personale appositamente preparato, potranno, con l'aiuto di schede in Braille e di testi per ipovedenti, accedere alle opere attraverso la diretta esperienza tattile e avere così una conoscenza sensoriale efficace e viva della scultura. L'INIZIATIVA verrà presentata a Villa della Rinchiostra sabato, alle ore 17.30, alla presenza del sindaco di Massa Francesco Persiani e dell'assessore alla cultura Veronica Ravagli. L'associazione Amici del Museo Gigi Guadagnucci intende ringraziare Laura Ghilarducci, curatrice del percorso, l'Unione Italiana Ciechi di Massa, il personale incaricato alle visite guidate al Museo (Associazione Eleope), gli sponsor che hanno contribuito a sostenere il progetto (società Campolonghi, Prometec, Ronchieri), i tecnici e quanti hanno collaborato alla sua realizzazione.

Fausto, non vedente è in cima allo Spluga in bici con la guida

LA PROVINCIA DI COMO DEL 07-08-2019

Fausto Clerici ha portato a termine un'altra impresa. L'atleta non vedente di Oltrona, che compirà 60 anni il prossimo 25 dicembre, è arrivato in tandem, con l'amico e guida Alessandro Arlati, al passo dello Spluga, dopo aver percorso 299,570 chilometri. Una bella fatica, che ha messo a dura prova il Pirata (questo è il soprannome del comasco), che non è nuovo alle grandi imprese. Nella corsa a piedi (qualche mese fa ha portato a termine, per la terza volta, la 100 chilometri del Passatore) e in bicicletta (l'anno scorso, ha percorso seicento chilometri, con un dislivello positivo di 13.000 metri, in sei giorni, con 38 ore in sella, scalando le più importanti salite che hanno fatto la storia del Tour de France). A prima vista la salita allo Spluga (a quota 2.177) potrebbe sembrare una cosa da poco, ma Clerici, per renderla più tosta ha pensato di pedalare per 300 chilometri, nello stesso giorno. Non proprio una passeggiata. Il Pirata quando nel 2003 ha perso l'uso della vista a causa di una malattia, si è dedicato allo sport, in particolare alla maratona (ha partecipato a quelle di Milano, Firenze, Torino, Piacenza e ultimamente a Roma dove ha spinto una carrozzina con una disabile) e altre distanze. Poi ha scoperto il tandem ed ha capito che, grazie all'aiuto degli amici, avrebbe potuto divertirsi anche sulle due ruote. E così ecco le imprese. Si perchè con il tandem è più complicato affrontare le salite. Senza dimenticare che per pedalare serve una perfetta armonia con la guida.«Per quella non ci sono problemi. Chi mi accompagna è un grande amico che riesce anche a raccontarmi quello che c'è attorno. Grazie a lui, posso vedere il panorama».

martedì 6 agosto 2019

La Lombardia aumenta fruibilità offerta museale anche per non vedenti

La Prima Pagina del 06.08.2019

Sono stati presentati a Palazzo Lombardia, alla presenza dell’assessore regionale all’Autonomia e Cultura Stefano Bruno Galli, i risultati del progetto ‘Voyage Inside a Blind Experience (VIBE)’. Si tratta di una mostra itinerante di arte astratta, realizzata sulla base dei lavori di Josef e Anni Albers, completamente accessibile alle persone non vedenti, grazie a riproduzioni tattili dell’Istituto dei Ciechi di Milano e a suggestioni multisensoriali.

“Si tratta di un progetto importante e ambizioso – ha detto l’assessore Galli – relativo alle esperienze tattili nelle esposizioni museali, realizzato dall’Istituto Ciechi, istituzione che ha segnato in profondità la cultura e la storia del capoluogo lombardo. Una strada verso il futuro, una nuova frontiera delle metodologie espositive museali, caratterizzata da una forte inclusione sociale”.

“In Lombardia – ha aggiunto l’assessore – abbiamo alcuni musei che ospitano degli oggetti riprodotti per renderli fruibili attraverso esperienze tattili. Mi piacerebbe lavorare in questa direzione per ampliare l’offerta museale in modo ampiamente inclusivo. Queste strutture coniugano vari aspetti della cultura civica e della mentalità della Lombardia, mobilitano quella intelligenza produttiva tipica della cultura lombarda e innescano quei meccanismi di inclusione sociale che fanno della nostra regione un punto di riferimento assai importante in Italia e in Europa”.

“In Lombardia – ha sottolineato Galli – ci sono 450 musei, di cui 190 sono riconosciuti dalla Regione. Ho già in cantiere una serie di attività che ci consentiranno di ampliare la fruibilità dell’offerta museale anche per i non vedenti”.

L’appuntamento, finanziato con il programma ‘Europa Creativa 2014-2020’ dell’Unione europea, è stato sviluppato grazie a una collaborazione internazionale fra musei, la Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano e Atlante Servizi Culturali. Tre le sedi espositive: il Museo Santa Maria della Scala di Siena (Italia), The Glucksman – Cork University College (Irlanda) e il Museo di Arte Contemporanea di Zagabria (Croazia), attirando oltre 75 mila visitatori in soli 9 mesi fra il 2018 e il 2019.

lunedì 5 agosto 2019

Tre studenti spagnoli inventano gli occhiali che cambiano la vita ai non vedenti

GreenMe.it del 05.08.2019

ALMERIA. Sappiamo quanto sia difficile per un non vedente muoversi in autonomia ma forse una soluzione finalmente è stata trovata. Merito di 3 studenti dell’Università di Almería (UAL), che hanno creato degli occhiali intelligenti in grado di rilevare ostacoli dell’ambiente urbano tramite speciali sensori, per permettere a chi non vede bene, o è completamente cieco, di muoversi in sicurezza per le strade.

Si chiamano Liberty Delta e si tratta di 3 dispositivi che si uniscono tra loro, a partire da un paio di occhiali dotati di sensori che individuano gli ostacoli, trasmettendo le informazioni in fasce posizionate sui piedi, in modo tale che il non vedente possa conoscere la propria posizione a seconda della vibrazione del piede destro o sinistro.

Le informazioni dei sensori a ultrasuoni sono tradotte da un’applicazione che collega gli occhiali con i piedi, emettendo un codice di vibrazioni. Quando il non vedente si avvicina a un ostacolo, il ritmo degli impulsi aumenta e l’impulso diventa continuo quando l’ostacolo è vicinissimo.

I sensori sono pensati per collegarsi tramite bluetooth sebbene il prototipo funzioni ancora con i cavi.

Ma com’è nata l’idea? Tutto è iniziato quando il 28 marzo a Siviglia si è svolta l’iniziativa “Vertice della fabbrica delle idee (vertice IF)”, a cui hanno partecipato 18 progetti di imprenditoria universitaria, di cui 3 provenienti dall’UAL.
In quell’occasione i 3 studenti hanno proposto la loro idea riscuotendo favori, e partecipando poi alla UAL Ideas Fair hanno vinto due premi, uno per il miglior progetto imprenditoriale e uno per Verdiblanca.

A dimostrazione che si tratta di un progetto davvero innovativo, che potrebbe permettere ai non vedenti di muoversi in sicurezza lungo le strade, ma che al tempo stesso potrebbe essere utilizzato anche in ambito domestico. Per il futuro gli studenti vorrebbero non solo migliorarlo, togliendo per esempio i cavi, ma anche connetterlo con la rete del traffico.

Crea, niente cani nel santuario, anche se accompagnano un ipovedente

La Repubblica del 05.08.2019

CREA. “Il cane non può stare in chiesa”. È quello che si è sentita dire due domeniche fa Renata Sorba, coordinatrice della sezione di Asti di Apri Onlus, l’associazione ipovedenti e retinopatici, che era andata in visita con il suo cane guida York e alcuni amici al Santuario di Crea, nell’Astigiano. “Sono stata assidua frequentatrice del santuario per anni - racconta la donna che ha denunciato l’accaduto su Facebook - Quella domenica abbiamo deciso di fermarci alla messa delle 11. York si è sdraiato accanto a me come fa di solito quando mi accompagna in queste occasioni, un addetto alla raccolta delle elemosina, mentre stavo prendendo i soldi per fare la mia offerta, mi ha invitata a portare fuori il cane. Ha detto che se non lo avessi fatto avrebbe chiamato i carabinieri”.

Gli amici e molti dei presenti nel santuari si sono ribellati alle richieste dell’addetto difendendo la donna e il suo cane che, infatti, non ha lasciato la funzione. “Sono andata con York anche a prendere la comunione e il parroco non ha protestato. Il signore che mi aveva chiesto di andarmene non l’ho più visto - spiega Sorba - All’uscita della Chiesa, tanti che avevano assistito alla spiacevole scena, si sono avvicinati a me e a York per mostrarci la loro solidarietà.

Credo, comunque, che sia un episodio da raccontare e far conoscere a tutti: invitare una disabile con cane guida ad uscire durante una cerimonia così importante e di preghiera è stato come procurare un terremoto improvviso in un villaggio di notte. Ormai sono abituata a questi episodi ma ogni volta rimango sempre più incredula e non riesco mai a darmi una spiegazione”.

Fuori dal santuario c’è un cartello che recita “Vietato l’ingresso agli animali”, ma naturalmente l’invito non vale per i cani guida come York. “Un grazie a tutte quelle persone che hanno con molta eleganza e sinergia reagito e preso le parti di me e del mio meraviglioso amico a quattro zampe”, scrive ancora Sorba che in questi giorni ha ricevuto anche le scuse pubbliche del sindaco di Serralunga di Crea, Giancarlo Berto che ha voluto affidare a Facebook il suo messaggio.

“Carissima Renata - scrive il primo cittadino - leggo ora quanto da lei pubblicato e mi scuso personalmente per l'increscioso fatto accaduto a lei e a York, domenica, nel Santuario di Crea. Combatto nel mio Comune e nella vita in genere, ogni giorno contro l’ignoranza, predico ogni giorno l’accoglienza, Amo immensamente le persone e gli animali. Mi auguro che il volontario le porga immediatamente le sue scuse. Nell'abbracciarla le esprimo tutta la mia solidarietà, voglia dare una carezza al suo adorabile York”, conclude il sindaco invitando Sorba a visitare ancora il santuario, un invito che la donna ha già accettato.

di Carlotta Rocci

venerdì 2 agosto 2019

Il bastone che "parla" al bus. A Trieste un esempio all'avanguardia di Smart City

Avvenire del 02.08.2019

Il dispositivo bianco per non vedenti dialoga con i mezzi di trasporto.

TRIESTE. Innovazione, inclusione, autonomia, etica e memoria di una persona cara. Tutto in un bastone. È la (felice) storia di 'LETIsmart', un progetto di Marino Attini, presidente dell'Unione Italiana Ciechi (Uic) di Trieste. «L'idea è nata circa quattro anni fa. Due anni prima avevo perso mia moglie e desideravo fare qualcosa per onorare la sua memoria e allo stesso tempo poter aiutare le persone» ci spiega Attini, ingegnere, «così mi sono messo a progettare due kit per i bastoni elettronici per ciechi e li ho chiamati 'LETIsmart Luce’, che rende il bastone luminoso, e 'LETIsmart Voce’, che permette al bastone di 'parlare». In due kit prende vita, così, l'idea dell'inclusione totale, principio caro alle Smart City di cui tanto si parla, ma che spesso non riesce concretizzarsi e del quale ora Trieste è pioniera in Europa. Qualche giro di presentazione all'azienda di trasporto pubblico locale, una chiacchierata con il responsabile di un'azienda del territorio specializzata in microelettronica, la collaborazione di enti locali e fondazioni ed in pochi anni ecco che 'LETIsmart' diventa realtà. «Quando Attini venne in azienda a proporci la sua idea» ci spiega Michele Scozzai di Trieste Trasporti «non riuscivamo a capire la portata di questo progetto. Stavamo già sperimentando un sistema ad infrarosso, ma non era efficiente. Grazie all'orientamento all'innovazione del nostro presidente, Pier Giorgio Luccarini, con un piccolo investimento ed una fase di sperimentazione, abbiamo toccato con mano la validità del dispositivo. Abbiamo quindi finanziato l'acquisto dei radiofari e dopo l'estate LETIsmart sarà attivo su tutti i mezzi cittadini». I radiofari comunicano - in tecnologia LORA, sistema radio - con il dispositivo inserito nel manico del bastone, avvertono la persona dell'arrivo dell'autobus e la guidano, con un segnale acustico direzionale, alla porta. Ciò sarà applicato anche ai cantieri, ai negozi e agli uffici di pubblica utilità in modo che la persona non vedente possa girare la città in totale autonomia e sicurezza. «Il nostro investimento etico in LETIsmart è stata la realizzazione di una promessa che come soci ci eravamo fatti all'atto di fondazione della nostra azienda e cioè, oltre a poter creare posti di lavoro sul territorio, poter aiutare qualche persona» racconta Diego Bertocchi, presidente di SCEN srl, società triestina leader nel settore della microelettronica «la nostra scelta aziendale di dare solo un servizio di prototipazione ai clienti ci ha permesso di sposare in tutto e per tutto LETIsmart. Abbiamo visto che lavorando in collaborazione con altre aziende, possiamo inserire la microelettronica in dispositivi già esistenti, garantendo inclusione e innovazione a lungo termine ». Con un bel risparmio sui costi di installazione. Che non guasta mai.

di Luisa Pozzar

giovedì 1 agosto 2019

Soggiorno marino Anziani “Sole di Settembre” 2019, presso Olympic Beach “Le Torri” di Tirrenia – 1 - 15 Settembre 2019

Dal 1 settembre al 15 settembre 2019, presso il Centro “Le Torri Giuseppe Fucà Olympic Beach” di Tirrenia, organizzeremo il soggiorno “Sole di Settembre”, dedicato alle persone anziane, ma aperto a tutti i soci senza distinzione di età, anche per favorire il processo di inclusione e di integrazione tra generazioni.

L’offerta del soggiorno, a persona, valida sia per gli ospiti con disabilità visiva sia per gli accompagnatori, si articola nei seguenti importi:

- camera singola (torre piccola) euro 812,00

- camera doppia (torre piccola) euro 728,00

- camera doppia (torre grande) euro 910,00

- camera tripla (torre grande) euro 798,00

La quota individuale comprende:

- Servizio di Pensione Completa con acqua e vino ai pasti

- Cocktail di benvenuto

- Cena Tipica con degustazione dei piatti Toscani e Trentini

- sala riunioni a Vostra completa disposizione per iniziative e serate ludiche

- animazione e intrattenimento

- una serata con piano bar con cantante

- servizio spiaggia (ombrellone e sdraio)

Alla quota va aggiunta la tassa di soggiorno di Euro 7,50, dovuta al comune di Pisa.

Servizi a richiesta a pagamento:

- Escursioni.

- Parrucchiera.

- Estetista.

- Infermiera.

Attività organizzate da I.Ri.Fo.R.:

– Corso di Alfabetizzazione informatica.

– Corso di ballo.

– Attività ludico ricreative.

I corsi di Alfabetizzazione informatica, di approccio al Mac e a IPhone e IPad, saranno tenuti, con la consueta competenza, dal nostro Nunziante Esposito con la collaborazione di Maria Stabile e dovranno essere richiesti all’atto della prenotazione del soggiorno.

Il corso di ballo, per chi desideri imparare a ballare, sarà tenuto dal ballerino Roberto Girolami.

Con la collaborazione dello staff e degli animatori dell’hotel, saranno organizzati giochi di squadra, tra i quali tornei amichevoli di show down, scopone scientifico, bocce, bowling e scacchi per il divertimento di tutti.

Non mancheranno infine, serate culturali ed eventi musicali, tra cui probabilmente anche una serata di teatro organizzata da Maria D’Esposito con gli altri amici della sala Virtuale per la Terza Età.

Prenotazioni e informazioni

Per prenotazioni, informazioni, chiarimenti circa i transfert da e per le stazioni ferroviarie di Pisa e Livorno rivolgersi a Olympic Beach Le Torri tel. 050 32.270 email info@centroletorri.it.