Superando del 28/10/2022
Il metodo Braille, che consente alle persone non vedenti di leggere e scrivere, è un’invenzione resiliente come poche altre. Nato nell’Ottocento, ha attraversato quasi duecento anni, modificandosi per seguire le mutate esigenze delle persone che ne usufruiscono. Di seguito parleremo di alcuni dei suoi volti, cominciando con una breve parentesi storica e tecnica, per meglio “inquadrare” come funziona il metodo e come si è arrivati ad idearlo.
L’inventore dell’alfabeto tattile, Louis Braille, era un ragazzo non vedente che visse buona parte della sua breve vita in solitudine, impegnando il vivace intelletto di cui era dotato per aprire le porte dell’istruzione e della cultura, e quindi dell’inclusione sociale, alle persone prive della vista come lui. Nel 1824 pose le basi di quello che diventò l’attuale metodo che porta il suo nome, codificato ufficialmente cinque anni dopo.
Braille semplificò il sistema pensato dal militare Charles Barbier de La Serre, per trasmettere informazioni in trincea, nel buio della notte. Dodici punti in rilievo rappresentavano differenti suoni; Braille li ridusse a sei, in modo che con il polpastrello si potesse leggere l’intera cella contenente i punti senza bisogno di spostare il dito, ottenendo così un’immediata comprensione del segno. Differenti combinazioni di punti gli permisero quindi di riprodurre le lettere dell’alfabeto, le vocali accentate, le cifre, i segni di interpunzione, perfino la notazione musicale.
Nel 1949 l’Unesco uniformò gli alfabeti Braille e spianò la strada alla diffusione in ogni continente. Attualmente sono ottocento le lingue e i dialetti che hanno una trasposizione Braille, inclusi l’arabo, gli idiomi orientali e quelli africani.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, ma il metodo inventato dal timido ragazzo non vedente non ha mai trovato validi sostituti. Hanno provato ad aumentare il numero dei punti, a diminuire la dimensione dei caratteri, ma invano: l’originale alfabeto tattile del XIX secolo è rimasto il più pratico da utilizzare e si è dimostrato molto duttile. Man mano infatti che la tecnologia ha progredito, è stato impresso sulla carta con macchine da scrivere speciali, è uscito dalle stampanti, si è integrato in tastiere virtuali come mezzo di scrittura touch screen, è l’anima dei moderni screen-reader che leggono lo schermo del PC in tempo reale, filtrando i contenuti e restituendo all’utente le informazioni secondo una certa logica.
Louis Braille, al pari dei geni della storia, ebbe intuizioni precorritrici che a posteriori sono state confermate dalla scienza. Nel 1853, un anno dopo la sua morte, vennero scoperti i corpuscoli di Meissner, recettori epidermici dal campo ristretto che cessano di lavorare quando la stimolazione tattile si prolunga. Ecco spiegata, dunque, la difficoltà nel comprendere i caratteri normali in rilievo (per intenderci, una comune lettera dell’alfabeto in rilievo): i polpastrelli devono toccare troppo a lungo il foglio. In seguito arrivò il concetto di “soglia percettiva”, formalizzato dalla Legge di Weber e Fechner, secondo cui la distanza tra i punti che costituiscono una lettera non può essere inferiore a due millimetri e mezzo. Braille non poteva saperlo, ma il suo metodo rispetta anche questa regola. Aveva sperimentato infatti che il tatto coglie meglio il punto piuttosto che la linea, riuscendo a ideare il suo sistema basandolo su tre semplici princìpi: successione, discontinuità e breve estensione. In altre parole, trasformò l’esperienza personale in fattore di conoscenza, pur senza avere a disposizione basi scientifiche. La lucidità intellettuale e la costanza fecero il resto, consentendogli di sostituire gli occhi con le mani. Un’operazione, questa, che continua ai giorni nostri, se è vero che la ricerca di nuovi strumenti di lettura e scrittura tattile che sfruttano il metodo Braille non si ferma.
Vediamo dunque le novità più promettenti e, infine, facciamo un salto a Napoli, per scoprire l’installazione di un artista, un’esperienza sensoriale aperta a tutti che, ne siamo certi, sarebbe piaciuta molto a Louis Braille.
A braccetto con la tecnologia
In Corea del Sud esiste un’azienda, la Pct, che ha fatto della tecnologia coniugata al Braille la propria cifra distintiva. Da anni ricerca e sviluppa prodotti informatici che consentono alle persone con problemi alla vista di accedere alle informazioni in rete; l’ultimo in ordine di tempo è un tablet che funziona con il sistema operativo Android e si interfaccia tramite Bluetooth, traducendo in descrizioni vocali oppure in Braille le notizie contenute nelle pagine online, quelle che si consultano ogni giorno per lavoro o divertimento.
Il Tactile Pro Braille, questo il nome del dispositivo, è dotato di un display e di una tastiera con perni mobili che traduce le parole sullo schermo nell’alfabeto tattile. Toccando cioè la tastiera con i punti in rilievo si legge quanto è scritto sullo schermo; il tempo di caricamento di una pagina web equivale ad un terzo di secondo.
Il tablet ha ricevuto nel 2020 un riconoscimento all’Innovation Award di Las Vegas e si distingue per la molteplicità di attività che è in grado di supportare. Gestibile in diverse lingue, non consente soltanto di navigare in internet, ma con esso è possibile divertirsi con i videogiochi, comunicare con la messaggistica istantanea e modificare documenti. Chi lo utilizza può anche digitare un testo in Braille che viene automaticamente trasposto nella lingua scelta. La memoria di esso, inoltre, è in grado di contenere migliaia di libri; pertanto si può usare come “biblioteca e-reader”.
Quello dei testi disponibili in alfabeto tattile è un problema annoso, dal momento che soltanto circa il 3% dei contenuti sparsi nel mondo è accessibile alle persone non vedenti.
Sempre da un’azienda della Corea del Sud specializzata in dispositivi di assistenza, arriva Dot Pad, un display tattile che utilizzando 2.400 perni mobili, traduce .pdf, file di testo, mappe stradali e pagine web. Il punto di forza è la capacità di trattare anche le immagini, trasformandole in informazioni di profondità tramite la modellazione 3D. In altre parole, si possono toccare sul display le immagini che si vedono sullo schermo del PC.
Si tratta di una tecnologia complessa, attualmente compatibile con dispositivi iOS, ma che si sta lavorando per estendere ad altri sistemi operativi e che ha richiesto un lungo lavoro di ritocco degli algoritmi che ne governano il “motore”. Il prodotto finale è un concentrato di tecnologia dalle enormi potenzialità: si pensi ad esempio se venisse esteso nelle scuole e negli uffici pubblici, oppure nel mondo del lavoro, consentendo alle persone non vedenti di interagire in modo indipendente con il mondo che li circonda.
Fin qui abbiamo parlato di prodotti supertecnologici e di certo non alla portata di tutte le tasche. I convertitori di testo normalmente costano intorno ai 2.500 euro e hanno il “limite” di dover essere collegati a un computer. Stanno cercando di ovviare a questi inconvenienti sei studentesse di ingegneria del MIT (Massachusetts Institute of Technology), una delle più importanti università di ricerca del mondo con sede a Cambridge, negli Stati Uniti. Dal 2016 lavorano al progetto Tactile, un dispositivo portatile grande quanto un portaocchiali, che si fa scivolare sopra una qualsiasi pagina scritta su carta. La fotocamera incorporata all’apparecchio inquadra il testo e in tempo reale lo traduce in punti in rilievo, che si attivano sotto forma di piccoli “pistoni” su una tavoletta sotto le dita della persona. Una scansione, insomma, che potrebbe risolvere piccole incombenze pratiche, come leggere menù, manuali di istruzione, volantini ed etichette al supermercato. Una volta in commercio potrebbe rendere accessibile qualsiasi libro alle persone non vedenti e il tutto ad un costo che le giovani ricercatrici prevedono di contenere al di sotto dei 200 dollari (poco meno di 200 euro).
Tactile, nato durante una competizione per informatici, è ora posto sotto brevetto ed è in fase di miglioramento. Si punta infatti a potenziarne la visuale d’insieme, in modo che possa inquadrare l’intero foglio e non solo le righe su cui viene puntato; in tal modo diventerebbe uno scanner portatile vero e proprio e non sarebbe più necessario ricordare a che punto del testo si è arrivati.
Dimensioni e prezzo contenuti sono anche l’obiettivo del progetto europeo BlindPAD, coordinato dal Politecnico Federale di Losanna (Svizzera) e dall’IIT di Genova (Istituto Italiano di Tecnologia), che per la parte sperimentale ha visto una collaborazione tra l’Istituto Chiossone del capoluogo ligure e l’Istituto Firr di Cracovia (Polonia).
Qui ci troviamo di fronte a un prototipo di tavoletta tattile di 15×12 centimetri, una griglia 3D di circa duecento taxel (gli equivalenti tattili dei pixel), dotata di un meccanismo magnetico che forma in rilievo un’immagine comprensibile toccandola con le dita. Non una tradizionale tavoletta Braille, quindi, ma un sistema che sempre utilizzando punti in rilievo, anziché trasmettere parole, traduce ciò che si vede dal visuale al tattile.
Le duecentocinquanta prove cui è stato sottoposto BlindPAD hanno evidenziato un miglioramento delle capacità spaziali delle persone coinvolte, in quanto la trasmissione di disegni, mappe e forme geometriche facilita l’apprendimento delle informazioni visive. La messa in commercio è vincolata alla speranza di futuri finanziamenti, perché questa tavoletta si è capito che potrebbe svolgere un ruolo importante nella riabilitazione e in àmbito scolastico, ad un costo inferiore rispetto alle attuali tecnologie.
Una stretta collaborazione tra gli istituti che insegnano il metodo Braille nel mondo ha portato pochi anni fa alla realizzazione di Dot, il primo smartwatch Braille, un dispositivo dalle molteplici funzioni, tra cui le più importanti sono quelle legate alla comunicazione. Connettendosi infatti via Bluetooth allo smartphone, esso permette l’invio e la ricezione di messaggi attraverso le principali app.
Il vantaggio di esso, rispetto ad altri prodotti simili, consiste nell’avere eliminato la necessità di tenere le cuffie per sentire i messaggi o per ricevere informazioni anche semplici come l’orario, cosa che obbliga ad estraniarsi per alcuni momenti dal contesto circostante.
Dot è composto da quattro celle Braille dinamiche che trasmettono nell’alfabeto tattile le informazioni necessarie all’utente il quale può impostare la velocità con cui i caratteri appariranno sul quadrante. L’orologio è in grado inoltre di comprendere dal movimento delle dita quando la persona ha finito la lettura; in questo modo passa alla schermata successiva, cambiando la disposizione dei perni che riproducono i punti in rilievo.
La commercializzazione di Dot è stata accompagnata da una campagna pubblicitaria di grandi proporzioni, con nomi illustri a fare da testimonial in veste di utilizzatori dello smartwatch; personaggi del calibro di Andrea Bocelli, Stevie Wonder e dell’atleta paralimpico Henry Wanyoike hanno fatto schizzare il preordine a 60.000 dispositivi.
Ogni apparecchio analizzato, dunque, apre scenari di inclusione futuristici, l’unica pecca, però, rimane al momento la scarsa diffusione, anche per i costi, e la ricerca che ha continuamente bisogno di fondi per realizzare prototipi alla portata di tutti, che possano davvero entrare nella vita quotidiana dei 285 milioni di persone non vedenti del mondo, e non restino invece un beneficio per pochi.
Il panorama di Napoli si ammira con l’alfabeto tattile
Si chiudono gli occhi, si fanno scorrere le dita sopra al corrimano. I punti in rilievo solleticano i polpastrelli di quelli che aprendo gli occhi possono vedere cosa hanno di fronte, mentre per chi non vede quei punti sono la “fotografia” tattile del panorama.
Ci troviamo sulla terrazza di Castel Sant’Elmo, uno dei simboli di Napoli, che offre una veduta mozzafiato sul Golfo della città. È qui, sull’unica fortificazione al mondo che si distingue per la caratteristica forma a sei punte, che l’artista partenopeo Paolo Puddu ha collocato un corrimano metallico che rappresenta molto più di un semplice punto d’appoggio per chi passeggia.
Si tratta di un’installazione dal titolo Follow the Shape (“Segui la forma” in italiano), che permette alle persone non vedenti di godere della bellezza che si trovano davanti, leggendola attraverso la descrizione in alfabeto Braille impressa sull’acciaio. La possono leggere anche i viaggiatori stranieri, visto che i simboli sono quasi universalmente riconosciuti e usati in molte lingue diverse.
Le parole scelte da Paolo Puddu sono tratte da La terra e l’uomo di Giuseppe De Lorenzo, uno dei più noti intellettuali napoletani dello scorso secolo, geologo e geografo innamorato del Meridione d’Italia al quale dedicò gran parte delle sue ricerche.
Ciò che può sembrare soltanto una bellissima idea per fare turismo accessibile, nasconde in realtà significati più profondi, a partire dalla scelta del luogo che dal XIV secolo ad oggi ha vissuto da protagonista i cambiamenti e gli eventi storici più importanti di Napoli, comprese guerre e rivolte popolari.
Quella del corrimano in Braille è una “rivoluzione” buona che coinvolge tutti. Chi ha il dono della vista impara ad apprezzarlo, a non dare per scontato ciò che gli occhi raccontano, percorre il panorama con le mani e poi lo svela con lo sguardo, imparando quanto è importante a volte soffermarsi e gustare i dettagli.
L’avevamo detto all’inizio: questa idea sarebbe piaciuta molto a Louis Braille, perché il suo alfabeto, inventato per le persone non vedenti, amplifica per chiunque passi da Castel Sant’Elmo la meraviglia di trovarsi davanti a un panorama spettacolare.
di Stefania Delendati