mercoledì 29 aprile 2020

Gli assistenti all'autonomia e alla comunicazione e la didattica a distanza di Donatella Morra*

Superando.it del 29.04.2020

«L’avvio della didattica a distanza – scrive Donatella Morra -, con i bisogni insoddisfatti soprattutto degli studenti con disabilità più gravi, ha messo ancor più in evidenza l’importanza del ruolo ricoperto dagli assistenti all’autonomia e alla comunicazione e la necessità del riconoscimento dei loro diritti oltre che dell’elencazione dei loro doveri».

I Decreti del Presidente del Consiglio del 4 marzo e dell’8 marzo hanno disposto che per tutta la durata della sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado i dirigenti scolastici attivassero attività formative e modalità di didattica a distanza, «avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità».

Sulla carta l’impresa poteva sembrare semplice; la realtà, invece, ha assunto aspetti ben più complessi.

Il Decreto Legge 14/20 ha previsto, durante la sospensione del servizio scolastico e per tutta la sua durata, la possibilità per gli Enti Locali di fornire assistenza agli alunni con disabilità mediante «erogazione di prestazioni individuali domiciliari», finalizzate al «sostegno nella fruizione di attività didattiche a distanza», tenuto conto del «personale disponibile anche impiegato presso terzi titolari di concessioni, convenzioni o che abbiano sottoscritto contratti di servizio con i medesimi enti locali».

Il successivo Decreto Legge 18/20, cosiddetto “Cura Italia”, ha confermato poi all’articolo 48 quanto stabilito dal precedente Decreto, prevedendo che durante la sospensione dei servizi educativi e scolastici «le pubbliche amministrazioni forniscano, avvalendosi del personale disponibile, già impiegato in tali servizi, dipendente da soggetti privati che operano in convenzione, concessione o appalto prestazioni in forme individuali, domiciliari o a distanza o rese nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi ove si svolgono normalmente i servizi senza ricreare aggregazione».

I due Decreti, dunque, prefiguravano per l’alunno/studente con disabilità la possibilità di essere supportato non solo a distanza dall’insegnante di sostegno e dagli insegnanti curricolari, ma anche a domicilio, dall’assistente all’autonomia e alla comunicazione, previo impegno della famiglia a garantire durante lo svolgimento di tale servizio l’adozione delle precauzioni e il rispetto delle misure di sicurezza volte a contrastare la diffusione del contagio da coronavirus, prescritti dalle Istituzioni per tutelare la salute di operatori e utenti e dei loro familiari.

In realtà, per gli alunni e gli studenti con disabilità, l’anno scolastico, bruscamente interrotto dai primi di marzo dalla pandemia, è ripreso solo grazie alla volontà dell’insegnante di sostegno o dell’insegnante curricolare, che si sono impegnati ad attivare forme di didattica a distanza compatibili con il loro Piano Educativo Individualizzato. I più fortunati tra loro sono stati affiancati da padri e madri “tecnologici”, rimasti a casa dal lavoro grazie al ricorso alle ferie, ai tre giorni di permesso retribuito della Legge 104 (con l’estensione di sei giorni prevista dalla normativa d’urgenza) o al permesso straordinario di quindici giorni previsto dal Decreto Legge 18/20. Ad altri genitori il datore di lavoro ha concesso, compatibilmente con le caratteristiche della mansione svolta, di lavorare da casa in modalità “agile” (smart working).

Nessuna agevolazione e nessun aiuto, invece, per i genitori di alunni con disabilità che sono lavoratori irregolari o disoccupati, se non quello proveniente dalla solidarietà e dal volontariato che, dopo una fase iniziale di vuoto sociale, si sono messi faticosamente in moto.

Se poi si è anche stranieri o semplicemente poveri, costretti a vivere in pochi metri quadri, magari con l’etichetta di essere “untori” per avere nel proprio gruppo familiare qualche contagiato, la situazione diventa quasi drammatica.

Sembrava impensabile, in tale quadro, che l’assistente educativo, spesso considerato come un “corpo estraneo” allo stesso Consiglio di Classe, una figura esterna alla Pubblica Amministrazione, un lavoratore dipendente da cooperative che operano in convenzione con Enti Locali (Comuni, Città Metropolitane, Regioni), con un profilo professionale non (ancora) normato, e una “lauta” busta paga di circa 7 euro all’ora, accettasse – pur di non perdere il lavoro o semplicemente per spirito di servizio e senso di solidarietà – di andare al domicilio dei suoi alunni, anche laddove il proprio “contratto” non prevedeva tale prestazione, per insegnare loro il modo per collegarsi con i loro insegnanti e la loro classe con il PC o lo smartphone, sempre che qualcuno della famiglia li possedesse, e permettere loro di considerarsi ancora parte di un gruppo di studenti, di una classe, di una scuola.

Sembrava impensabile, e invece è successo. Dalle Associazioni di persone con disabilità, infatti, assieme all’elenco (infinito) di cose che non vanno come dovrebbero andare, arrivano anche buone notizie. Dal Veneto, ma anche dalla Campania e dall’Emilia Romagna, arrivano dalle famiglie di studenti con disabilità grave, di tipo intellettivo-relazionale (quelli, per intenderci, che riescono a fatica a concentrarsi anche solo per dieci minuti), buone notizie che parlano di educatori mandati dalle cooperative al loro domicilio, a ristabilire con i loro figli relazioni interrotte o a riattivare piccole autonomie faticosamente conquistate nel tempo.

In mancanza, poi, di assistenti educatori disposti ad andare a domicilio o di famiglie disposte ad accoglierli per paura del contagio, sono state inventate o riscoperte anche altre soluzioni, tipo sessioni educative “all’aperto” o in ambienti neutri.
Allo Stato e agli Enti Locali una domanda: ha ancora senso che figure come l’assistente all’autonomia e alla comunicazione, variamente denominato “assistente specialistico”, “AC”, “AEC”, “ASACOM”, “COEPA” ecc., non siano ancora considerate a pieno titolo come parte del mondo della scuola?

Nel “Decreto Inclusione” (il Decreto Legislativo 66/17, integrato e corretto dal Decreto Legislativo 96/19), queste figure fanno ufficialmente parte del Gruppo di Lavoro Operativo (GLO, articolo 9, comma 10), che è preposto alla stesura del Piano Educativo Individualizzato di ogni alunno/studente con disabilità (articolo 7, comma 2, lettera a), ma nella realtà spesso non è loro concesso neppure di accedere alla documentazione relativa all’alunno o al registro elettronico e la loro figura professionale attende ancora di essere normata. Si “devono” occupare di attività per favorire l’autonomia, la comunicazione e la socializzazione, ma “possono” anche aiutare i ragazzi a svolgere i compiti, sempre però su indicazione dei docenti.

Con gli alunni con disabilità sensoriale gli educatori specializzati fungono da tramite con la famiglia e con l’intero Consiglio di Classe e sono fondamentali per la realizzazione del piano educativo dell’alunno, grazie alla loro competenza nell’utilizzo della LIS [Lingua dei Segni Italiani, N.d.R.], del Braille e degli strumenti e dei metodi per rendere accessibili gli ambienti, oltreché degli strumenti di apprendimento anche per ipovedenti e ipoacusici; inoltre, con gli alunni con disturbi del neuro-sviluppo, sono spesso gli unici a saper impiegare modalità di comunicazione alternativa per agevolare le loro relazioni.

L’avvio della didattica a distanza, con i bisogni insoddisfatti soprattutto degli studenti con disabilità più gravi, ha messo ancor più in evidenza l’importanza del loro ruolo e la necessità del riconoscimento dei loro diritti oltre che dell’elencazione dei loro doveri.

* Donatella Morra,
Vicepresidente dell’ANS (Associazione Nazionale Subvedenti), membro del Gruppo Ledhascuola (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità).

Le risposte della Commissione Europea sulla disabilità

Superando.it del 29.04.2020

«Siamo determinati a tener conto delle esigenze specifiche delle persone con disabilità e delle persone vulnerabili, con l’impegno di rispettare e attuare la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità»: lo ha scritto Helena Dalli, commissaria europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere, rispondendo a una lettera aperta inviata dal Forum Europeo sulla Disabilità e allegando anche un ampio documento contenente le “Misure specifiche nell’ambito della risposta inclusiva della disabilità al Covid-19”.

Coronavirus e disabilità: come sta rispondendo la Commissione Europea?: così avevamo titolato ieri un nostro testo in cui segnalavamo che a rispondere sarebbe stata direttamente domani, 30 aprile, la Commissaria Europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere, Helena Dalli, durante il meeting online denominato The impact of Covid-19 outbreak to persons with disabilities (“L’impatto del coronavirus sulle persone con disabilità”), promosso dall’Intergruppo del Parlamento Europeo sulla Disabilità, insieme all’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità.

Anticipando quell’appuntamento, siamo oggi in grado di riprendere i contenuti della risposta inviata dalla stessa Commissaria Dalli a una lunga lettera aperta inviata nel mese scorso alle Istituzioni continentali da Yannis Vardakastanis, presidente dell’EDF, contenente una serie di raccomandazioni sulla situazione delle persone con disabilità (a questo link è il testo integrale della lettera aperta).

«Alla luce dell’attuale pandemia – aveva scritto tra l’altro Vardakastanis – e del suo impatto decisamente “sproporzionato” sulle persone con disabilità, abbiamo sviluppato una serie di raccomandazioni per i responsabili politici europei, che mirano ad affrontare l’intera gamma dei rischi riguardanti le persone con disabilità, aggravati da vari problemi, rispetto al resto della popolazione. Basti solo pensare, infatti, all’interruzione dei servizi e dei sostegni, e, in alcuni casi, a condizioni di salute preesistenti, con il maggior pericolo di sviluppare malattie gravi o di morire, in un quadro di esclusione dalle informazioni sulla salute e dalla fornitura dei tradizionali servizi sanitari. Il tutto in un mondo complessivamente inaccessibile in cui gli ostacoli sono ovunque, senza parlare di coloro che sono costretti a vivere in contesti istituzionali».

Ebbene, la risposta di Dalli all’EDF, al di là delle dichiarazioni di principio, è forse ancor più importante per il documento ad essa allegato (Misure specifiche nell’ambito della risposta inclusiva della disabilità al Covid-19), che elenca quanto è stato concretamente fatto sinora dalla Commissione Europea, fornendo un’ampia panoramica in relazione a vari aspetti.

Riprendiamo qui i titoli dei vari paragrafi, che sono i seguenti:

- Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo per gli Aiuti Europei ai Più Poveri (FEAD).

- Semestre Europeo.

- Accessibilità delle informazioni: Web Accessibility.

- Sistemi informativi sanitari.

- Obbligo dei vettori e degli organi di gestione dei terminali di prestare particolare attenzione alle esigenze delle persone con disabilità e mobilità ridotta in caso di interruzioni dei trasporti.

- Obbligo dei vettori e degli organi di gestione dei terminali di assistere i passeggeri con disabilità e mobilità ridotta per consentire loro di viaggiare in aereo, su rotaia, via mare e trasporto di autobus e pullman.

- Meccanismo di protezione civile dell’Unione Europea.

- I richiedenti asilo e i migranti con disabilità.

- Accesso al sostegno dell’Unione Europea.

- Aiuti di Stato.

Tornando alla lettera di risposta all’EDF, Dalli esordisce parlando di «una situazione senza precedenti sia in Europa che a livello globale, che ci impone in particolare di sostenere i più vulnerabili della nostra società, comprese le persone con disabilità. Questa pandemia, infatti, è particolarmente dannosa per coloro che sono più vulnerabili dal punto di vista sanitario».

«Come ho sottolineato in una lettera recentemente rivolta ai Commissari Kyriakides e Schmit*, oltreché ai Ministri degli Stati Membri – prosegue Dalli – nessuno che richiede attenzione sanitaria a causa del Covid-19 dovrebbe essere discriminato in base alla sua disabilità o all’età. Le persone con disabilità dipendono da assistenti e assistenti personali, alcuni a casa, alcuni in ambienti residenziali. Garantire la continuità con un maggiore approccio protettivo sanitario di tali servizi dovrebbe essere una priorità. E in tempi di crisi, i bisogni di tutti devono essere considerati».

«La Commissione Europea – sottolinea quindi la Commissaria Europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere – si riunisce due volte alla settimana con i Ministri della Sanità dell’Unione Europea per condividere informazioni e trovare soluzioni comuni per ridurre lo stress sui sistemi sanitari e sociali. Includere le persone con disabilità nella pianificazione delle decisioni è fondamentale ed è un obbligo sia per l’Unione Europea che per i suoi Stati Membri, in base alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. E tuttavia, spetta agli Stati Membri organizzarsi al fine di garantire e rispettare tale obbligo. Chiedo dunque costantemente ai colleghi Commissari incaricati, di ricordare agli Stati stessi questo obbligo e sto anche esplorando con loro la possibilità di organizzare uno scambio con organizzazioni di persone con disabilità».

Rispetto infine alla panoramica degli interventi, contenuta nel documento allegato di cui si è detto, Dalli si augura che essa «dimostri quanto siamo determinati a tener conto delle esigenze specifiche delle persone con disabilità e delle persone vulnerabili, con l’impegno di rispettare e attuare la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità». (S.B.)

* Stella Kyriakides è la Commissaria Europea alla Salute, Nicolas Schmit è il Commissario Europeo al Lavoro.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: André Felix (andre.felix@edf-feph.org).

martedì 28 aprile 2020

Il sostegno va garantito anche al tempo del coronavirus

Superando.it del 28.04.2020

È un pronunciamento attualissimo, quell’Ordinanza prodotta dal Tribunale Civile di Roma, secondo la quale anche in periodo di didattica a distanza il docente per il sostegno e i docenti curricolari debbono continuare a seguire gli alunni con disabilità per tutte le ore di insegnamento previste normalmente. Si tratta infatti della fissazione di un principio certamente utile alle famiglie, per far valere il diritto allo studio dei propri figli anche in questo periodo di grave emergenza.

Con un’Ordinanza pronunciata il 9 aprile scorso, una delle prime in tema di inclusione scolastica durante l’emergenza coronavirus, il Tribunale Civile di Roma ha accolto il ricorso con richiesta di sospensiva promosso dalla famiglia di un alunno con disabilità grave, frequentante la prima media, e sostenuta dall’Associazione Autismo Pisa, con il quale la famiglia stessa aveva denunciato l’illegittima assegnazione di un numero di ore di sostegno inferiore al massimo consentito per raggiungere gli obiettivi del PEI (Piano Educativo Individualizzato). L’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, infatti, aveva assegnato risorse alla scuola che garantivano sole 16 ore settimanali di sostegno, mentre la famiglia aveva richiesto il massimo consentito delle ore, che nelle scuole secondarie è di 18.

Accogliendo dunque le argomentazioni della famiglia, il Tribunale ha sostenuto che «l’istituto, a seguito dell’emergenza sanitaria in corso, ha organizzato – similmente alla maggior parte degli istituti scolastici italiani – una modalità di “didattica a distanza”, che consente agli alunni di seguire le lezioni e svolgere compiti attraverso una piattaforma on line alla quale accedere da casa. Si tratta di una modalità di fruizione del servizio-scuola che presenta una certa complessità e rispetto alla quale la presenza di un insegnante di sostegno che supporti gli alunni con maggiori difficoltà aiutandoli a seguire quanto accade, se possibile si prospetta ancor più significativa e rilevante, per consentire loro di accedere nella massima misura possibile all’istruzione cui hanno diritto.

Il Tribunale stesso ha condannato pertanto l’Amministrazione, ordinando di nominare un docente per il sostegno «con rapporto 1/1 e per il massimo delle ore consentite, comunque in modo da coprire l’intero orario della didattica a distanza» e ha condannato l’Amministrazione alla rifusione delle spese legali.

«Si tratta di un’Ordinanza assai interessante – commenta Salvatore Nocera dell’Osservatorio Scolastico AIPD (Associazione Italiana Persone Down) – sia perché è attualissima, sia perché ha affermato il principio che anche in periodo di didattica a distanza il docente per il sostegno e i docenti curricolari debbono continuare a seguire gli alunni con disabilità per tutte le ore di insegnamento previste normalmente».

«Confrontando tuttavia questa decisione con quanto sta avvenendo in realtà nelle scuole italiane – aggiunge Nocera -, ci viene tanto da riflettere sulla legittimità dell’attuale situazione del diritto allo studio degli alunni con disabilità, gravemente violato, stando alla decisione in esame. Infatti, nessuno dei docenti per il sostegno sta svolgendo tutte le ore assegnate agli alunni con disabilità, seguendo la logica di riduzione e quasi sempre di dimezzamento dell’orario settimanale di insegnamento e talora anche una riduzione superiore; per tacere di quelle scuole che, vuoi per la mancanza di collegamento internet o per l’ignavia di taluni Dirigenti Scolastici e di taluni Collegi dei Docenti o di qualche insegnante curricolare o per il sostegno, non hanno avviato totalmente la didattica a distanza o, laddove l’abbiano avviata, non si sono preoccupate dell’enorme difficoltà e talora dell’impossibilità degli alunni con disabilità intellettive o con disturbi neurosensoriali a seguire le lezioni a distanza per le loro comprovate difficoltà psicologiche ed esistenziali. Forse, se qualcuna delle famiglie coinvolte in tali problematiche facessero ricorso per violazione di legge o per discriminazione contro queste esclusioni dal diritto allo studio, sapremmo cosa poter pretendere dall’Amministrazione Scolastica».

«Invero – prosegue Nocera – in alcune scuole i docenti per il sostegno, nell’àmbito delle ore assegnate all’alunno, oltre che svolgere insieme ai docenti curricolari la didattica a distanza, poi effettuano delle videochiamate individuali con l’alunno per meglio chiarire la lezione generale. A tal proposito sembra opportuno ricordare che, essendo obbligatoria l’attività degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione a distanza (Decreto Legge 14/20, articolo 9), sarebbe opportuno che anch’essi, d’intesa con il docente per il sostegno, effettuassero proprie videochiamate agli alunni che seguivano a scuola, per aiutarli, ad esempio, nello svolgimento dei compiti».

«Infine – conclude Nocera – spiace notare che nella motivazione gli alunni vengano definiti “portatori disabili”, formulazione ormai superata definitivamente dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità che invece, innovando alla luce dell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], li chiama ufficialmente “alunni con disabilità”. Ma speriamo che negli atti delle Pubbliche Amministrazioni ormai definitivamente compaia solo l’espressione sancita dalla Convenzione, che è ormai diritto italiano vigente, dopo la ratifica operata dall’Italia con la Legge 18/09, e che è attribuita ormai definitivamente dalla Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale. Dal canto loro le famiglie farebbero bene ad utilizzare il principio di questa decisione, per far valere il diritto allo studio dei propri figli anche in questa delicata fase di didattica a distanza». (S.B.)

Di necessità, virtù. Il nostro servizio di Intervento Precoce si reinventa in tempi di emergenza sanitaria

di Nicola Stilla

Ormai da quasi quindici anni, l’I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) della Lombardia offre alle famiglie dei piccoli con disabilità visiva un servizio riabilitativo e formativo di Intervento Precoce, attivo presso le sedi di Brescia e Milano: un equipe di operatori formata da neuro-psicomotricisti, psicomotricisti, logopedisti, musicoterapisti, osteopati, fisioterapisti, esperti della stimolazione visiva e basale e istruttori di orientamento, mobilità e autonomia personale accompagna i piccoli e i loro genitori in un percorso riabilitativo su misura, secondo un calendario di incontri a cadenza mediamente settimanale. Eccezion fatta per la pausa estiva, in tutti questi anni, il servizio non ha mai visto interruzioni, ma nelle scorse settimane l’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 ha reso impossibile attuare gli incontri nelle loro consuete modalità: con rammarico, ci siamo trovati costretti a sospendere il servizio fino a data da definirsi.

Per sua natura, l’intervento precoce non è solo un servizio a sportello al quale le famiglie accedono: è anche un momento di dialogo e confronto, una presenza che conforta i genitori, una certezza che conferisce fiducia e spinta motivazionale. Ha un risvolto umano ed emotivo che è imponderabile: la sua assenza, la distanza che si creerà - ci siamo detti - determineranno nel tempo ricadute psicologiche negative per le quasi ottanta famiglie che si trovano nel bel mezzo di un percorso. Abbiamo quindi deciso che, in un modo o nell’altro, avremmo dovuto porre rimedio alla situazione.

“La tecnologia ci è venuta incontro – dice Simona Roca, la coordinatrice dell’equipe del servizio di Brescia – così le consulenze fisioterapiche, logopediche, psicomotorie, neuropsicomotorie, della stimolazione basale e visiva, nonché l’attività di orientamento, mobilità e autonomia personale sono arrivate a domicilio, nelle case delle famiglie, con la simpatia, la fiducia e la professionalità che ci lega da tanti anni. Ognuno dei professionisti si è messo a disposizione come poteva, con strategie, obiettivi e mezzi che più si addicono alla propria disciplina: commenti condivisi ai video realizzati dai genitori, giochi guidati a distanza in videochiamata, registrazioni audio, etc. etc.…”.

La necessità è stata quella di reinventare il servizio a distanza, puntando su quegli strumenti che tutti utilizziamo in maniera informale e che sono entrati a far parte della nostra quotidianità senza che ci accorgessimo pienamente della loro potenzialità e versatilità: Whatsapp, Facebook, Facetime le infinite app per le conference call e le video chiamate etc…

In tutto questo abbiamo trovato collaboratori d’eccezione: le famiglie. “Grazie alla loro voglia di riprendere l’attività – continua Simona Roca – i genitori si sono rivelati ascoltatori attenti e riflessivi anche sui consigli a distanza; è prezioso il tempo trascorso con loro, anche solo per fare quattro chiacchiere e risentirci vicini; grazie al loro pronto rimboccarsi le maniche, sono “prolungamenti” delle nostre mani e, tutto ciò che hanno appreso ed osservato durante gli anni di viva presenza nelle varie attività, ora lo mettono in pratica”.

È vero: fin dall’inizio abbiamo puntato molto sul coinvolgimento delle famiglie nelle attività riabilitative, ed oggi – purtroppo in un frangente triste e inatteso - ne raccogliamo i frutti. “Ovviamente non è affatto facile, sicuramente non è la stessa cosa degli incontri in presenza, ma è la nostra risposta al nulla… e sta funzionando” conclude Simona.

Anche sul versante milanese la formula ha trovato proficua applicazione. La terapista Gloria Dal Zovo ci conferma che le famiglie hanno accolto l’iniziativa con spirito costruttivo: “È essenziale, soprattutto nel caso dei bambini più piccoli e con maggiore compromissione, che la famiglia collabori – dice Gloria - e nella stragrande maggioranza è stato così”. “In taluni casi, preliminarmente all’incontro virtuale, invio indicazioni e materiale via e-mail, che i genitori possono stampare, ad esempio; nel caso dei bambini più grandi possiamo utilizzare la condivisione dello schermo del computer tramite Skype; insomma, gli obiettivi restano gli stessi, semplicemente vengono utilizzati strumenti e materiali diversi”. “Il nostro è un lavoro che si basa sulla relazione: anche solo il fatto di non interrompere il contatto vocale con il bambino, soprattutto con i più piccoli, è importante”.

Insomma, non solo abbiamo tenuto vicine le famiglie, ma siamo riusciti a proseguire i percorsi terapeutici in maniera efficace. I riscontri pienamente positivi, sia da parte dell’equipe che dei genitori, ci suggeriscono una vera e propria progettualità in questa direzione, per dare una veste nuova ad un servizio che vuole, anzi deve stare al passo con i tempi: i tempi eccezionali che stiamo vivendo mentre scrivo queste righe, ma anche i tempi che abbiamo vissuto fino a pochi mesi fa, nell’auspicio che tornino presto.

lunedì 27 aprile 2020

Coronavirus, nasce numero di aiuto psicologico del Ministero della Salute

Giornale della Protezione Civile del 27.04.2020

Gli incontri telefonici o online, tutti gratuiti, con gli specialisti possono essere di primo o secondo livello, a seconda delle necessità di sostegno degli utenti.

L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova la tenuta psicologica delle persone alle prese con una situazione inedita nella sua drammaticità. Il timore del contagio, le misure di isolamento, tanto indispensabili sul piano sanitario, quanto difficili su quello umano, la solitudine, i lutti, le incertezze economiche: tutti elementi che possono far nascere attacchi di ansia, stress, paure, disagio.

Da oggi, 27 aprile, apre il numero verde di supporto psicologico del Ministero della Salute e della Protezione civile. Al numero verde 800.833.833, dalle 8 alle 24 risponderanno tutti i giorni oltre 2mila professionisti specializzati. Il servizio gratuito, realizzato con il sostegno tecnologico offerto gratuitamente da Tim, ha scelto un numero che rende omaggio alla Legge 23 dicembre 1978, numero 833, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Il numero sarà raggiungibile anche dall’estero al 02.20228733 e saranno previste modalità di accesso anche per i non udenti.

“È una risposta strutturata ed importante messa in atto accanto a tutti gli sforzi della sanità italiana per fronteggiare al meglio la sfida del Coronavirus – spiega il ministro della Salute, Roberto Speranza –. In questo momento è fondamentale essere vicini alle persone che hanno bisogno di un sostegno emotivo, dare ascolto alle loro fragilità, affrontare insieme le paure.

Professionisti specializzati, psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti, risponderanno al telefono alle richieste di aiuto. L’iniziativa punta ad affiancare, in questa fase di isolamento sociale, tutti i servizi di assistenza psicologica garantiti dal SSN e organizzato su due livelli di intervento. Il primo livello è di ascolto telefonico e si propone di rispondere al disagio derivante dal Covid-19. L'obiettivo è fornire rassicurazioni e suggerimenti, aiutare ad attenuare l’ansia davanti ad una quotidianità travolta dall’arrivo dell’epidemia e si risolve in un unico colloquio.

Per rispondere all’esigenza di fornire un ascolto più approfondito e prolungato nel tempo, le chiamate saranno indirizzate verso il secondo livello di cui fanno parte, oltre ai servizi sanitari e sociosanitari del SSN, molte società scientifiche in ambito psicologico. Le richieste di aiuto saranno inoltrate dal primo livello anche in base alle loro specificità: ad esempio, psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza, dipendenze, psico-oncologia. I professionisti del secondo livello offriranno colloqui di sostegno, ripetuti fino a 4 volte, via telefono oppure on line. L’obiettivo è fornire consultazioni esperte attraverso un ascolto empatico del dolore e dell’angoscia connessa all’emergenza, favorendo così l’attivazione di un processo di elaborazione dell’evento traumatico. Tutto ciò consente a chi chiede aiuto l’acquisizione di competenze emotive e cognitive utili per affrontare anche il post-emergenza.

Il servizio coordinato dal Ministero della Salute, dalla dottoressa Mariella Mainolfi, con il supporto tecnico della dottoressa Maria Assunta Giannini, vede la partecipazione di diverse associazioni e società scientifiche di area psicologica. Del primo livello fanno parte più di 500 psicologi dell’emergenza afferenti alle Associazioni del Volontariato della Protezione Civile: Federazione Psicologi per i Popoli, la Società Italiana di Psicologia dell'Emergenza, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, il Centro Alfredo Rampi.

Al secondo livello partecipano oltre 1500 psicoterapeuti volontari delle seguenti società scientifiche iscritte nell’elenco del Ministero (D.M. 2 agosto 2017) e facenti parte della Consulta CNOP: l’Associazione Italiana di Psicologia (AIP), l’Associazione Italiana Psicologia Psicoanalitica (AIPA), la Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP), Soci Italiani European Federation for Psychoanalytic Psychotherapy (SIEFPP), Società Italiana di Psico-oncologia (SIPO), la Società Italiana di Psicologia Pediatrica (S.I.P.Ped), la Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC), la Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) e la Società Psicoanalitica Italiana (SPI).

“Il volontariato di protezione civile è uno dei pilastri su cui da sempre si fonda il nostro Servizio Nazionale. Nel corso degli anni il Dipartimento ha puntato molto sulla formazione e siamo orgogliosi di poter contare sul lavoro di oltre 800mila uomini e donne preparate a fronteggiare sfide diverse e sempre impegnative. A partire da oggi, oltre alle tante attività che hanno visto al lavoro i nostri volontari nella lotta al Covid-19, saremo impegnati con le associazioni specializzate in psicologia dell’emergenza nel supporto al servizio d’ascolto psicologico. Ancora una volta i volontari di protezione civile hanno messo a servizio del Paese la loro grande passione e professionalità” spiega Angelo Borrelli, Capo Dipartimento Protezione Civile. (Red/cb).

(Fonte: Ministero della Salute)

domenica 26 aprile 2020

Coronavirus nelle lacrime, cosa c'è da sapere su lenti a contatto e "congiuntivite da Covid"

Today.it del 26.04.2020

Coronavirus isolato nelle lacrime di una paziente: cosa dimostra lo studio dello Spallanzani.

Anche le secrezioni oculari possono essere causa di contagio. Uno studio sul Covid-19 all'Istituto Spallanzani di Roma lo ha evidenziato. Il Policlinico Gemelli, nelle sue pillole Anti-Covid, brevi informazioni sul Coronavirus, torna sull'argomento approfondendolo.

Il Coronavirus si trasmette con le lacrime?

Come riportato sul sito del Gemelli, molti pazienti con COVID-19 presentano una congiuntivite (l’infiammazione della membrana che riveste la parte esterna dell’occhio). Il virus è stato isolato nelle lacrime dei pazienti con COVID-19. Una scoperta che porta subito a formulare una domanda: ma il SARS CoV-2 si può trasmettere anche con le lacrime? La risposta è ‘ni’. E la prudenza, ancora una volta è d’obbligo.

Il primo medico a lanciare l’allarme COVID-19 è stato il dottor Li Wenliang, un oculista cinese 34enne, finito poi in carcere con l’accusa di procurato allarme. ‘Riabilitato’ dopo qualche tempo, il giovane medico è deceduto il 6 febbraio scorso per COVID-19. Insomma la storia del COVID-19 è fin dall’inizio strettamente connessa alla salute degli occhi.

La congiuntivite da Covid-19.

Sono diversi ormai gli articoli pubblicati in letteratura scientifica che descrivono la ‘congiuntivite da COVID-19’ (occhi rossi, prurito, secrezioni oculari, a volte aumentata sensibilità alla luce). Questa può rappresentare anche un segno precoce di infezione, che si andrà magari a manifestare con i segni e i sintomi tipici solo molti giorni dopo.

Il virus potrebbe attaccare la congiuntiva trasmettendosi via aerosol (cioè con l’aria) o, più facilmente, per contatto attraverso le mani contaminate. L’interessamento oculare da parte del SARS CoV-2 ha dunque fatto nascere il sospetto che il virus possa trasmettersi anche attraverso le lacrime o le secrezioni oculari. Si sospetta anche che l’esposizione ad un paziente con COVID-19, senza un’adeguata protezione degli occhi, possa aver determinato molte delle infezioni che si sono verificate presso la Wuhan Fever Clinic lo scorso gennaio.

“Il SARS CoV-2 può dar luogo anche ad una congiuntivite virale – spiega il professor Stanislao Rizzo, Ordinario di Oftalmologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC Oculistica, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - perché questo virus sembra avere un certo tropismo per la congiuntiva, come succede anche con altri virus, come gli adenovirus, che danno delle forme epidemiche di congiuntivite. Sicuramente la modalità di trasmissione del COVID-19 attraverso gli occhi o le secrezioni oculari è molto meno pericolosa di quella classica via ‘droplets’ (le goccioline di saliva che si formano con gli starnuti o i colpi di tosse); più realisticamente la congiuntivite da COVID-19 si verifica toccandosi o stropicciandosi gli occhi con le mani contaminate dal virus; ma il virus potrebbe arrivare alla congiuntiva per diffusione attraverso il sangue, visto che questa zona è riccamente vascolarizzata. Teoricamente infine, il virus potrebbe anche annidarsi nelle ghiandole lacrimali, ma di questo non abbiamo ancora alcuna prova. Motivo in più per ribadire l’importanza di lavarsi spesso le mani e di evitare di toccarsi naso e bocca e di stropicciarsi gli occhi con le mani non lavate accuratamente (come quando ci si trova fuori casa). L’idea che la congiuntiva fosse una ‘sentinella’ dell’infezione – prosegue il professor Rizzo - l’abbiamo avuta da subito, dall’inizio della pandemia. E al Gemelli abbiamo condotto uno studio su 50 pazienti con COVID-19, secondo un protocollo di ricerca, messo a punto due mesi fa. Per questo studio, abbiamo arruolato 50 pazienti con COVID-19 accertato, che abbiamo sottoposto a tampone congiuntivale. A breve pubblicheremo i risultati”.

Visite oculistiche e Covid.

L’American Academy of Ophtalmologists (AAO) sul suo sito web scrive che sono ormai diversi i report di pazienti con COVID-19 con congiuntivite follicolare lieve, del tutto indistinguibile da quella provocata da altri virus.

Per quanto riguarda i medici e in particolare gli oculisti (che per esaminare i pazienti devono avvicinarsi molto al loro viso) è fondamentale l’uso di appropriati dispositivi di protezione. Il SARS CoV-2 per fortuna viene facilmente ucciso dai disinfettanti a base di alcol e di ipoclorito di sodio comunemente utilizzati dagli oculisti per disinfettare gli strumenti oftalmici. Queste pratiche di disinfezione vengono dunque raccomandate prima e subito dopo aver visitato un paziente. l’AAO raccomanda inoltre ai medici di proteggere bocca, naso e occhi durante la visita dei pazienti con PPI per uso oftalmico.

“Noi oculisti da sempre – afferma il professor Rizzo - ma maggior ragione in questo periodo, siamo abituati a prendere tutte le precauzioni possibili per la visita; gli strumenti che utilizziamo vengono sanificati con attenzione tra una visita e l’altra e abbiamo di recente abbiamo aggiunto un grande schermo in plexiglas sulla lampada a fessura, per proteggere sia l’oculista che il paziente. Le visite vengono effettuate indossando dei guanti che vengono ovviamente cambiati ad ogni visita. Il COVID dà una congiuntivite virale, in genere autolimitantesi e la congiuntivite è una patologia molto comune in primavera, anche su base allergica. Noi siamo più che allertati e abbiamo messo in campo tutte le precauzioni per proteggere sia i nostri pazienti che noi stessi. In questo periodo abbiamo garantito sempre gli interventi urgenti, quali quelli sulla retina o per glaucoma. Contiamo di riaprire al più presto anche per gli interventi differibili, tipo la cataratta, anche per evitare che si allunghino troppo le liste d’attesa. Ma ovviamente con tutte le precauzioni del caso: distanziamento sociale e nel tempo per evitare gli affollamenti nelle sale d’attesa; massima sterilità possibile in tutti gli ambienti”.

Uno studio cinese di recente pubblicato su JAMA Ophtalmology descrive che in un gruppo di 38 pazienti della provincia di Hubei (Cina), con COVID-19 confermato clinicamente, il 73,7% dei pazienti era positivo al tampone; ma, sebbene un terzo di loro presentasse una congiuntivite, solo nel 5% è stata riscontrata la presenza del virus anche a livello della congiuntiva. Gli autori hanno evidenziato inoltre che la presenza di congiuntivite si associava ad un maggior livello di globuli bianchi nel sangue e ad un aumento più marcato dei marcatori di infiammazione (procalcitonina, proteina C reattiva) e di LDH, rispetto ai pazienti con COVID-19 senza manifestazioni oculari.

Negli ultimi giorni Annals of Internal Medicine ha pubblicato il case report di un gruppo italiano (Francesca Colavita e colleghi dell’INMNI ‘Lazzaro Spallanzani’) relativo alla paziente cinese ricoverata presso questa struttura a fine gennaio. La donna all’ingresso presentava tosse, mal di gola, raffreddore e congiuntivite bilaterale. La febbre è comparsa solo dopo diversi giorni dal ricovero, insieme a nausea e vomito. Il tampone delle secrezioni congiuntivali ha rivelato la presenza di RNA virale; i tamponi congiuntivali sono stati quindi ripetuti a cadenza pressoché quotidiana, risultando sempre positivi fino al 21° giorno, nonostante la congiuntivite risultasse nettamente migliorata dopo due settimane e apparentemente risolta dopo 20 giorni. Ma al 27° giorno, il tampone congiuntivale ha rivelato di nuovo la presenza del virus, molti giorni dopo la negativizzazione dei tamponi nasali, come se ci fosse una replicazione sostenuta del virus a livello congiuntivale.

Un motivo di preoccupazione in più – fanno osservare gli autori – è che il SARS CoV-2 può dare coinvolgimento oculare in fase precoce di malattia ed è bene dunque mettere in campo tutte le misure per prevenire un’eventuale trasmissione dell’infezione attraverso questa via. Non è ancora chiaro perché il virus abbia questa ‘preferenza’ per gli occhi.

Covid e lenti a contatto.

“Per quanto riguarda le lenti a contatto – suggerisce il professor Rizzo - se non strettamente necessario, noi consigliamo ai nostri pazienti di non portarle in questo periodo e usare piuttosto gli occhiali. Se proprio non se ne può fare a meno, meglio quelle giornaliere, usa e getta. E naturalmente con la solita precauzione di lavarsi bene le mani”.

Ai portatori di lenti a contatto, gli esperti raccomandano dunque in questo periodo di attenersi ancor più scrupolosamente alle misure igieniche, che dovrebbero essere praticate anche in circostanze normali: prima di applicare o rimuovere le lenti a contatto, lavare molto bene le mani con acqua e sapone e asciugarle con un tovagliolo di carta. Pulirle giornalmente con gli appositi liquidi o sostituirle, almeno per questo periodo, con quelle giornaliere usa e getta. Evitare di toccarsi il viso, compresi gli occhi, il naso e la bocca con mani non lavate ed evitare l’applicazione delle lenti in caso di problemi di salute, in particolare in presenza di sintomi da raffreddamento o simil-influenzali.

giovedì 23 aprile 2020

La lettera di York: "Sono un cane guida e non un geometra ..."

ATnews del 23.04.2020

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di York, il cane guida di Renata Sorba.

Da 50 giorni sono in quarantena con Renata, non vedente.

In questi giorni ho dovuto cambiare ritmi e abitudini. Il mio adorato parco è stato recintato per garantire un giustificato contenimento ed eventuali contatti per combattere il Covid-19.

Esco regolarmente per espletare i miei bisogni ma sono sempre uscite rapide e limitate anche nelle poche aree verdi disponibili nei dintorni di casa. Regole che Renata sta rispettando e nello stesso tempo anche io devo assolutamente condividere.

In questi giorni non sono più uscito per una passeggiata in città, salito sui mezzi pubblici, frequentato locali e ambienti abituali che da anni conosco e vivo con lei.

Quando usciamo di casa c’è un silenzio e incontriamo pochissime persone, anche i miei amici a quattro zampe non ci sono più! Probabilmente anche loro hanno limitato, come me, le uscite e le passeggiate.

Tutto mi pare strano, mi riposo molto e mi annoio anche molto. Ogni tanto mi fermo e guardo Renata.. Lei mi dice delle cose che io non comprendo.. Forse mi vuole spiegare il perché di tutto ciò.. Ma un biscotto e una carezza concludono sempre la sua conversazione.

Presto ci sarà la fase 2, si dovrà riprendere lentamente le vecchie abitudini e la vita quotidiana. Si dovrà mantenere una distanza di due metri, fare le file davanti ai negozi e rispettare la cosiddetta distanza sociale. Ci vorranno molta prudenza e responsabilità da parte di tutti.

Io dovrò svolgere il mio lavoro come sempre ma Renata dovrà sempre essere rassicurata e muoversi in sicurezza. Io non potrò mantenere le distanze prefissate e lei non può controllare quello che avverrà intorno a noi.

Il mio compito è di guidarla e di segnalare ingombri, barriere architettoniche ma non potrò prevenire eventuali trasgressioni di regole.

Confido pertanto nel buonsenso e nell’aiuto delle persone che incontreremo, saranno anche loro a darci una mano, ovvero ad agevolarci a mantenere la giusta distanza sociale.

Non posso privare Renata di questo grande bisogno di mantenere la sua autonomia e indipendenza ma il mio ruolo ha dei limiti.

Un senso civico e un senso di generosità umana potranno colmare questo grande problema che si sta prospettando per la vita di tanti disabili visivi.

Rispettiamoci a vicenda, collaboriamo e solo con questi buoni presupposti potremo tutti insieme riprendere, piano piano, la tanto rimpianta vita precedente e possiamo aprirne ad una nuova che sarà caratterizzata da nuovi comportamenti e rapporti relazionali.

Mi impegnerò pertanto a fare il mio lavoro con grande responsabilità e soprattutto serietà.

A voi la zampa,

York

mercoledì 22 aprile 2020

Coronavirus, le priorità per i disabili nella fase 2

Il Fatto Quotidiano del 22.04.2020

Dall’assistenza a casa all’aumento della pensione di invalidità: le richieste delle associazioni.

L'appello delle associazioni perché vengano tenute in considerazione le urgenze di una delle fasce più fragili della popolazione: servono più fondi, ma anche una progettazione concreta per intervenire in supporto per chi rischia di restare isolato. Nella task force voluta dal governo a occuparsi di disabilità è Giampiero Griffo.

Nel pensare la fase 2, si dovrà tenere in conto anche i diritti delle persone con disabilità. Secondo le associazioni sono diverse le priorità da tenere in considerazione. Intanto, “bisogna fornire l’assistenza domiciliare a tutti quei soggetti che ne hanno bisogno per vivere dignitosamente”, “permettere una effettiva inclusione e continuità scolastica anche grazie al potenziamento reale della didattica a distanza”, oltre a forti “misure di sostegno per le Politiche sociali e socio-sanitarie”, investendo ad esempio maggiori risorse “per aumentare il Fondo Non Autosufficienza (FNA), ancora ampiamente insufficiente” per rispondere alle esigenze di oltre 4 milioni di disabili che vivono in Italia (Fonte: Istat). Poi, aggiungono le organizzazioni, “va incrementato l’importo delle pensioni di invalidità ferme da troppo tempo alla misera cifra di circa 285 euro” e dare “risposte chiare con i protocolli da seguire per quando verranno riaperti i Centri diurni per disabili (Cdd)”, chiusi con il decreto Cura Italia del 16 marzo.

Queste sono alcune tra le principali questioni segnalate dalle associazioni e che dovranno essere affrontate dalle istituzioni nel periodo post lockdown. La situazione è in evoluzione. Intanto per la prima volta dall’inizio della pandemia di Covid-19 un esponente del mondo della disabilità è presente nella “sala dei bottoni”. E lo fa partecipando alla task force anti-coronavirus per il secondo tempo dell’emergenza, facendo parte integrante del gruppo di esperti a vario titolo nominati dalla presidenza del Consiglio per lavorare a supporto del governo per la programmazione e organizzazione della ripartenza. Tra i 16 tecnici competenti scelti dal premier attraverso il Dpcm del 10 aprile, oltre a Vittorio Colao posto alla loro guida, c’è anche Giampiero Griffo, già coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. “Apprezziamo la sua figura che è stata scelta per le sue significative competenze in materia”, dicono a Ilfattoquotidiano.it le due Federazioni nazionali dei disabili, Fand e Fish. Ma allo stesso modo il presidente della Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità, Nazaro Pagano, evidenzia “l’assenza di confronto con le associazioni sui temi da affrontare nei prossimi mesi da parte del Governo, il cui premier Conte ha voluto mantenere a Palazzo Chigi le deleghe sulla disabilità dopo la soppressione del ministero della Disabilità e Famiglia”. Contattato da ilfattoquotidiano.it Griffo ha specificato di non essere autorizzato per il momento a rilasciare dichiarazioni e si è limitato a dire che il suo lavoro sarà “limitato a circa quattro mesi”. Sono diversi i problemi irrisolti dalle istituzioni che riguardano le persone disabili, criticità che nel corso del contagio di covid-19 si sono aggravate ancora di più, lasciando spesso questi soggetti in isolamento senza istruzioni da seguire.

“Includere i bisogni dei disabili nei protocolli per affrontare la ripartenza senza abbandonare nessuno. Potenziare subito il Fondo Non Autosufficienza” – Le due Federazioni sostengono che sia arrivato il momento di investire molto di più in particolare sulle Politiche sociali e sulla Sanità pubblica. “Ad esempio chiediamo al governo di potenziare presto il Fondo Non Autosufficienza. Inoltre – aggiungono – non possiamo lasciare senza una precisa strategia omogenea a livello nazionale in vista della prossima ripartenza soprattutto i disabili e tutto il personale medico, gli infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali, educatori, volontari e psicologi che li supportano”. Secondo il presidente della FAND “non sono ancora ben chiare le funzioni attribuite al Comitato guidato da Colao. Le persone disabili rappresentano circa il 7% della popolazione italiana ed i temi che li riguardano e che investono anche le loro famiglie sono tanti, diversi e complessi. La politica, attraverso i suoi massimi livelli istituzionali, deve farsene carico in modo pieno e deciso e non scaricare ruoli e responsabilità ad altri organismi”.

“Rispettare i diritti essenziali come previsto dalla Convenzione Onu. Potenziare l’accesso all’informazione e comunicazione per le disabilità sensoriali e intellettive” – La crisi generata dall’emergenza sanitaria ha ancor più evidenziato la fragilità del sistema socio-assistenziale-previdenziale italiano e le persone non autosufficienti hanno patito ancor di più per lo stato emergenziale imposto al Paese. Le associazioni storiche aderenti alla Fand (Amic, Anmic, Ens, Uici, Unms, Anglat, Arpa) evidenziano alcune criticità da risolvere. “Bisogna stabilire delle priorità che riguardano in particolare le persone disabili – afferma Pagano – come l’assistenza domiciliare, l’inclusione sociale, l’abbattimento delle barriere architettoniche, oltre che l’accesso ai sistemi di didattica, all’informazione e comunicazione anche per le disabilità sensoriali ed intellettive”. Per la FAND durante quest’anno difficile non è possibile dimenticare anche il tema del Dopo di noi e i progetti di Vita indipendente devono essere potenziati su tutto il territorio nazionale. Il presidente FAND conclude dicendo che “non lesineremo alcun contributo di idee, contenuti e azioni al Presidente del Consiglio, per costruire insieme una società pienamente inclusiva anche in ossequio al dettato della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che, è sempre bene ricordarlo, è legge dello Stato italiano dal 2009”.

“L’emergenza coronavirus dimostra che è urgente una vera svolta per garantire l’inclusione lavorativa e il sostegno scolastico” – Il numero uno della Federazione italiana per il superamento dell’handicap Vincenzo Falabella sottolinea che per entrare dignitosamente nella ripartenza è necessario innanzitutto sistemare subito alcune misure a sostegno dei disabili per ora solo abbozzate. “Pensiamo soprattutto a quegli strumenti come i permessi e i congedi lavorativi che soffrono di significative deficienze applicative e da maggio non saranno più disponibili, stando le cose oggi”. Per Falabella è necessario dare risposte concrete anche al tema fondamentale dell’assistenza personale. “Le scuole sono attive solo online e con diffusi problemi nella didattica accessibile a distanza e i Cdd restano chiusi, ma le famiglie lasciate molto spesso sole ad affrontare tutto questo fanno davvero i salti mortali per garantire la continuità dell’assistenza. Bisognerà – aggiunge il presidente della FISH – coniugare i tempi del lavoro con quelli della famiglia con una persona disabile a carico e risulta una sfida da affrontare subito”.

“Occorre il prima possibile rivedere le regole di reddito e pensione di cittadinanza perché discriminano le famiglie con disabili a carico” – Entrando nella fase 2 si dovrà anche fare la conta dei danni e comprenderne l’entità. “Molte persone sono rimaste isolate a lungo, magari hanno trascorso settimane in quarantena solo con il proprio caregiver. Cosa succede casa per casa ancora non lo sappiamo” sottolinea Falabella. Sul discorso delle RSA “quello che sta accadendo – continua – assume ogni giorno che passa contorni drammatici ma anche annunciati. Siamo contro ogni segregazione e dobbiamo sostenere nuovi modelli di abitare, progetti innovativi avendo un forte legame con le comunità di riferimento. Vanno inoltre ripensate le regole di accreditamento perché questo dramma non sia accaduto invano”, conclude.

Chi è Giampiero Griffo – Con l’obiettivo di mettere in campo competenze specifiche sul tema disabilità e offrire maggiore efficacia nella pianificazione della fase due, la Presidenza del Consiglio ha chiamato un rappresentante proprio di quel mondo. Griffo dal 1972 lavora per difendere i diritti delle persone con disabilità, lo è anche lui tra l’altro, presentando un curriculum molto vasto e di livello internazionale. Laurea in Filosofia e formazione nel campo del Diritto. Tra le varie cose è co-direttore del Center for governmentality and disability studies Robert Castel dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e membro italiano dell’European Accademic network on disability. Griffo fa parte del consiglio mondiale del Disabled People’s International (DPI), del board del Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) ed è presidente della Rete Italiana Disabilità e Sviluppo (RIDS). Oltre ad essere un esperto del Comitato di bioetica di S. Marino, ha collaborato come specialista in vari progetti di cooperazione internazionale pubblicando articoli e ricerche in quattro lingue. Probabilmente però una delle cose a cui tiene di più è l’aver fatto parte, come advisor, della delegazione italiana che ha partecipato alla firma della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità presso il Palazzo di Vetro a New York.

di Renato La Cara

Un Comitato di Esperti per la scuola post-coronavirus: ma la disabilità?

Superando.it del 22.04.2020

«Lascia perplessi e contrariati l’atto appena approvato dal Ministro dell’Istruzione che istituisce un Comitato di Esperti che dovrebbe mettere rapidamente a punto un Piano generale per la scuola post-emergenza coronavirus. I nomi degli esperti e l’elencazione degli obiettivi del Comitato, infatti, tradiscono purtroppo una considerazione del tutto marginale della disabilità»: lo denunciano congiuntamente le Federazioni FISH e FAND, invitando a questo punto la ministra Azzolina «a trovare le forme e i modi adatti per trasformare una delusione in una rinnovata produttiva disponibilità».

«Il diritto allo studio, la formazione di migliaia di studenti, la necessità di innovare le tecniche, le strutture, i procedimenti e le logiche stesse della formazione sono sfide delicate e nevralgiche che comportano capacità, competenza e visione politica. Il tema della disabilità è trasversale a tutte queste sfide, certamente non è una questione a parte o secondaria o da trattare in separata sede. Per questo motivo lascia perplessi e contrariati l’atto appena approvato dal Ministro dell’Istruzione che istituisce un Comitato di Esperti che dovrebbe mettere rapidamente a punto un Piano generale per la scuola post-emergenza Covid. I nomi degli esperti e l’elencazione degli obiettivi del Comitato, infatti, tradiscono purtroppo una considerazione del tutto marginale della disabilità. Non se ne trova traccia esplicita, non si rileva alcun nome che possa vantare esperienze o approfondimenti in materia di disabilità».

Lo si legge in una nota diffusa congiuntamente da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), a firma dei rispettivi presidenti Vincenzo Falabella e Nazaro Pagano.
«Eppure – prosegue la nota – la cosiddetta “fase 1”, quella della piena emergenza, ha riservato molte lacune verso gli alunni con disabilità. Le nostre Federazioni lo hanno ripetutamente segnalato, denunciato, documentato anche in sede ministeriale: il sistema scolastico italiano non è stato in grado di supportare la didattica a distanza per gli alunni con disabilità, il sostegno, l’uso di ausili alla comunicazione e la personalizzazione di software didattico. Più volte abbiamo chiesto aiuti e supporti per gli studenti esclusi e per le famiglie lasciate sole, ma poco si è ottenuto e – per il futuro immediato – queste mancanze richiedono impegno, coprogettazione, determinazione e conoscenza profonda dei dettagli, delle buone prassi e delle possibili soluzioni».

«È un errore grave – commentano a una voce Falabella e Pagano – non avere considerato espressamente la variabile della disabilità negli obiettivi del nuovo Comitato. Dopo il nostro recentissimo incontro con la ministra Lucia Azzolina ci attendevano ben altro. E in ogni caso, a questo Comitato, pur carente di esperti sui temi che più ci interessano, auguriamo comunque buon lavoro. Alla ministra Azzolina, invece, consigliamo di compensare questa lacuna nell’interesse di tutti, in particolare dei diretti interessati, trovando le forme e i modi adatti per trasformare una delusione in una rinnovata produttiva disponibilità, anziché in un motivo di sterile conflittualità, senza dimenticare che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità prevede il diretto coinvolgimento delle organizzazioni che le rappresentano, condizione al momento non rispettata». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it.

lunedì 20 aprile 2020

Covid-19: Le lezioni (non) apprese della Fase 0 di F. Capobianco, M.C. Perrelli, L. Scarola

Vita.it del 20.04.2020

Se da un lato la situazione di emergenza ha confermato la qualità del nostro sistema sanitario, incardinato su universalità e qualità della cura, dall’altro ha messo a nudo la fragilità di un sistema basato ancora sull’ospedale, dimostrandone la centralità rispetto al “sistema sanitario territoriale”. Ecco cosa cambiare. Il paper Nomisma.

Il dilagare dell’epidemia da Covid-19 sta mettendo in luce, con una forza senza precedenti, non soltanto il grado di preparazione del nostro Sistema Sanitario, ma anche le contraddizioni che lo stesso aveva ben prima del proliferare dei contagi. In più di un passaggio, i vertici della Protezione Civile hanno sottolineato la straordinarietà dell’emergenza che ha coinvolto il complesso della macchina pubblica e che non ha pietre di paragone con altri shock esogeni. Tuttavia, come verificatosi in tempi recenti con le emergenze post sismiche, fenomeni così dirompenti hanno evidenziato le carenze preesistenti nella nostra capacità di fronteggiarli.

Allo stato attuale delle cose, non è possibile effettuare un bilancio compiuto delle differenziate capacità di reazione dei sistemi pubblici al Coronavirus, non foss’altro perché anche la stessa comunità medico-scientifica è alla ricerca di driver attendibili dell’epidemia. Ricostruire il puzzle di cosa questo collettivo stress test ha messo in luce, invece, appare doveroso per immaginare nuove traiettorie organizzative dei diversi livelli sanitari e assistenziali messi in campo.

Se da un lato la situazione di emergenza ha confermato la qualità del nostro sistema sanitario, incardinato su universalità e qualità della cura, dall’altro ha messo a nudo la fragilità di un sistema basato ancora sull’ospedale, dimostrandone la centralità rispetto al “sistema sanitario territoriale”. Ciò è avvenuto sicuramente perché l’assistenza territoriale ha procedure meno sedimentate rispetto a quella ospedaliera e, quindi, in emergenza ci si è affidati alla macchina più “rodata”, ma anche perché il territorio, in molti casi, non si è mostrato sufficientemente “attrezzato” per la gestione dei pazienti meno gravi o non ancora in fase acuta.

LA FASE 0.

Eppure, in Italia, già dalla seconda metà del Novecento la visione ospedale-centrica è stata messa in discussione a favore di un avvicinamento del sistema di cura al territorio; anche se bisognerà aspettare i decreti di riordino del 1992 (Amato, De Lorenzo - DLGS n. 502) e del 1999 (Bindi – DLGS n. 229) perché questa tendenza trovi un esplicito riscontro. Tali riforme, infatti, hanno dato impulso ad uno spostamento dell’asse della governance tramite la trasformazione delle USL in vere e proprie Aziende, anche sulla base delle spinte alla ripresa di centralità degli aspetti organizzativi e tecnico-scientifici nella sanità. Tuttavia, l’ospedale tradizionale orientato alle acuzie e il sistema territoriale particolarmente frammentato continuavano a rivelare una inappropriatezza gestionale, con riflessi evidenti sull’offerta di cura che appariva dicotomica e scarsamente integrata in termini di livelli di assistenza. Solo nel 2012 è intervenuta la legge Balduzzi (n.189) che, insieme al Patto della Salute 2014-2016, ha riordinato il sistema delle cure primarie e, promuovendo l'integrazione con il sociale e i servizi ospedalieri, ha affidato alle Regioni il compito di riorganizzare i servizi territoriali secondo nuove forme organizzative e modalità operative (nascita delle aggregazioni funzionali territoriali -AFT- e delle unità complesse di cure primarie -UCCP-, che mirano all’erogazione “a rete” delle prestazioni assistenziali). Parallelamente, i distretti, “fronte” dell’integrazione e garanti dell’equilibrio tra le filiere di cura, si sono evoluti a seconda degli indirizzi nazionali e degli orientamenti strategici regionali; le Regioni hanno dedicato investimenti all’organizzazione di cure e strutture intermedie per i pazienti deospedalizzati che necessitano di supporto sanitario in ambiti protetti; si è assistito alla nascita di molteplici nuove strutture polifunzionali (ad esempio, Case della Salute) per la continuità assistenziale e il soddisfacimento dei bisogni socio-sanitari. Dal 2012 ad oggi i processi di cambiamento e di sperimentazione non si sono mai arrestati e diversi Servizi Sanitari regionali (fra cui quelli di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) hanno emanato riforme e piani sociali e sanitari ambiziosi, che hanno portato a modelli di assistenza territoriale diversificati.

Descriverli dettagliatamente nelle loro procedure di funzionamento e di erogazione delle cure, nonché fornire una valutazione quantitativa e omogenea del reale grado di integrazione fra ospedale e territorio all’interno dei singoli contesti, rimane un’operazione complessa.

Quello che è immediato desumere dalla lettura dei dati disponibili è che, nell’Italia pre-Covid, l’accessibilità e la funzionalità dei servizi sanitari territoriali erano estremamente differenziati fra regioni.

Il “Rapporto sull’attività di ricovero ospedaliero SDO 2018” del Ministero della Salute evidenzia risultati molto diversi relativamente al ricorso alle strutture ospedaliere per selezionate patologie trattabili a livello territoriale, così come l’ultimo Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale sottolinea un’alta variabilità regionale in relazione a tutti i pilastri dell’assistenza distrettuale (numerosità di medici di medicina generale, pediatri e guardie mediche per 100.000 abitanti, casi trattati in assistenza domicilare integrata per 100.000 abitanti, dotazione di ambulatori e laboratori, ecc.). Questa eterogeneità è confermata dall’analisi degli indicatori relativi all’assistenza distrettuale considerati nell’ultima Griglia LEA (verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza).

LE LEZIONI (NON) APPRESE.

Nel 2017, Nomisma concludeva così un articolo sul grado di equilibrio ospedale-territorio: “Il livello di guardia sul ri-orientamento strategico verso la sanità territoriale deve rimanere alto. I dati dimostrano che la ridefinizione dei modelli di assistenza sta portando i propri frutti; allo stesso tempo i passi da compiere restano tanti. È vero che il rapporto ospedale-territorio non può essere valutato come mero trasferimento di prestazioni dall’uno all’altro, né misurato unicamente in termini di risparmio ottenuto. Tuttavia, è altrettanto vero che, in un contesto incerto e mutevole quale quello attuale, risulta cruciale prevedere strumenti di valutazione e controllo in grado di rilevare successi e criticità e suggerire correttivi”.

Avremmo tutti sperato che l’occasione per far questo non si presentasse a seguito dello scoppio di un’epidemia di questa gravità; tuttavia, la prova a cui il nostro Servizio Sanitario Nazionale è tuttora sottoposto, rende evidente l’improrogabilità di compiere concreti passi avanti in tal senso, ponendosi domande che alla luce dell’emergenza, appaiono quasi retoriche: l’assistenza ospedaliera sarebbe dovuta essere maggiormente coadiuvata da quella territoriale nella gestione dell’emergenza? Se i presidi territoriali e le strutture intermedie fossero stati più “attrezzati” (anche in termini di digitalizzazione dei servizi), le regioni avrebbero potuto gestire meglio i pazienti positivi non ospedalizzati? Si sarebbero potuti effettuare dei monitoraggi più efficaci?

Velocizzare la presa di coscienza di quello che lo shock Coronavirus ha messo prepotentemente in luce diventa quindi prioritario, così come sciogliere i nodi del processo di integrazione ospedale-territorio. Fra questi, vale la pena accennarne brevemente due.

SUPERARE IL CONFINE TRA SANITÀ E WELFARE.

Quando si propone un ri-orientamento strategico verso la sanità territoriale, si deve mettere in conto una ridefinizione fondamentale dell’intero modello di prestazioni sanitarie che si incrociano con le prestazioni assistenziali. In una società profondamente mutata, dove le relazioni familiari e sociali sono dilatate, dove l’invecchiamento e la solitudine caratterizzano le aree interne e quelle urbane e il sistema sanitario deve supplire ad un arretramento dello stato sociale (oggetto di tagli decennali nei trasferimenti agli Enti Locali), è necessario che si acceleri il processo di integrazione tra sanità e welfare.

La salute è l’esito delle “relazioni” tra sistemi in cui è inserita la persona (famiglia, ambiente, formazione e scuola, lavoro, giustizia, ...); fra questi la “sanità” ed il “sociale” sono quelli per cui l’integrazione è essenziale per le forti interconnessioni e non può avere un modello unico di riferimento: sono necessari gradi di commistione diversi, ma serve raccordo e coordinamento, partecipato e condiviso, cioè una “governance” sia a livello regionale che locale.

La prospettiva di un nuovo, necessario, “paradigma sociosanitario” passa per la costruzione, congiunta, tra operatori della sanità (ASL e AO) e operatori del sociale (Comuni singoli e associati) di Percorsi Assistenziali Integrati Sanitari e Sociali in grado di: dare risposte sempre più appropriate e integrate ai bisogni di salute dei cittadini; determinare lo spostamento del baricentro dall’ospedale al territorio; sviluppare logiche di gestione integrata dell’offerta dei servizi sanitari extraospedalieri, sociosanitari e sociali; garantire la continuità assistenziale nei percorsi di cura intesa quale percorso integrato tra le reti dei servizi sanitari (ospedalieri e territoriali) e dei servizi sociali. Questi processi porteranno al superamento della contrapposizione o giustapposizione tra “sistemi sanitari” e “sistemi sociali”, per la realizzazione dei “sistemi di salute” (Cit. Nomisma, Sistemi Sanitari e Sociali in Europa e in Italia: Problemi, Opportunità e Tendenze, Bologna 2016).

Tra l’altro la presenza sul territorio nazionale di Fondazioni, associazioni con scopi assistenziali, ricreativi, sportivi e culturali rappresenta un apporto di risorse diverse nella presa in cura della persona, così come le risorse informali quali le reti vicinali, i condomini solidali e le altre forme di intervento solidaristico.

Si tratta di un enorme patrimonio nazionale che nell’ottica di un sistema integrato sanitario e sociale costituirebbe un asset strategico unico nel panorama mondiale.

INTERVENIRE SULL' "HARDWARE" E SUL "SOFTWARE".

Sempre esulando da valutazioni sugli applicativi tecnici maggiormente utili durante la fase epidemica, il consolidamento dell’”hardware” dei servizi territoriali deve necessariamente passare da un parallelo rafforzamento del “software” in ambito e ospedaliero e domiciliare.

È necessario, infatti, che la tecnologia faccia da ponte tra i due livelli di assistenza e che i flussi informativi siano fruibili a prescindere dal contesto in cui il paziente riceve le cure. L’enorme patrimonio informativo clinico, diagnostico e terapeutico viene, a tutt’oggi, in larga parte dilapidato: uno degli esempi più lampanti riguarda le cartelle cliniche ospedaliere le quali, “viaggiando” ancora su supporti cartacei, fanno sì che, nella stragrande maggioranza dei casi, le informazioni raccolte nella fase di monitoring del paziente vengano dissolte contemporaneamente alla dimissione dello stesso.

La strada da percorrere è ancora più lunga quando parliamo di nuove tecnologie a supporto della domiciliarità. Indubbiamente il Coronavirus sta accelerando l’utilizzo di app, mutuate da sperimentazioni nella cura delle cronicità, che consentono di monitorare i parametri dei pazienti a distanza, creando una preziosa esperienza che tornerà sicuramente utile anche quanto l’epidemia sarà scomparsa. Tuttavia, se in passato si fossero attuate maggiormente le linee guida relative all’utilizzo della telemedicina, probabilmente avremmo potuto ridurre per taluni casi l’impatto del virus e sicuramente si sarebbe potuta avere una maggiore continuità nel rapporto tra medico e paziente, con evidenti vantaggi anche sotto il profilo sociale e psicologico. L’impiego della telemedicina, invece, appare ancora marginale sia per ritrosie culturali dei potenziali pazienti sia a causa del digital divide tra generazioni e tra territori. Alfabetizzazione informatica per le fasce di popolazione meno avvezze ai “nuovi” strumenti e infrastrutturazione immateriale appaiono, quindi, il necessario presupposto ad accrescere la fiducia e l’accettazione verso questi tipi di strumenti.

F. Capobianco, M.C. Perrelli, L. Scarola*,
*Ricercatori Nomisma