martedì 31 agosto 2021

LA PREVENZIONE NON VA IN VACANZA: 4 E 5 SETTEMBRE AL TRAM AUTODROMO DI MONZA

L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS-APS Sezione provinciale di Monza e Brianza, in collaborazione con A.S. Amici dell’Autodromo e del Parco, ha aderito all’iniziativa promossa dall’Agenzia Internazionale per la prevenzione della cecità (IAPB).

Ci troverete al TRAM dell’Autodromo di Monza gestito dagli Amici dell’Autodromo e del Parco.

Sabato 4 settembre 2021 dalle ore 10 alle ore 17 - domenica 5 settembre 2021 dalle ore 14 alle 18 dove verrà distribuito il materiale informativo appositamente ideato da IAPB Italia ONLUS.

L’iniziativa è rivolta a tutta la cittadinanza e, oltre alla divulgazione diretta della documentazione informativa, vedrà presente un medico oculista per sottolineare l’importanza rivestita dalle patologie oculari in termini di sensibilizzazione, informazione ed educazione: più prevenzione significa più salute! 

La prevenzione delle malattie e dei danni oculari consente spesso di evitare due forme di grave disabilità visiva: l’ipovisione e la cecità. 

IMPARIAMO AD AMARE I NOSTRI OCCHI!

La manifestazione continuerà anche nella serata di sabato 4 settembre dalle ore 19:30 presso il ristorante Eurotaverna Music di Desio in via Lavoratori Autobianchi 1: il tema della serata sarà interamente dedicato alle malattie della vista e alla “prevenzione non va in vacanza” in presenza di un medico oculista e di diversi artisti.

Per prenotazioni rivolgersi alla segreteria sezionale UICI MB via mail: uicmon@uici.it o telefonando allo 039.2326644

UICI MANTOVA - INVITO EVENTO CONCLUSIVO “LA PREVENZIONE NON VA IN VACANZA”

SABATO 4 SETTEMBRE ORE 19.30 OPEN SPICE

INVITO ALL'EVENTO CONCLUSIVO DELLA CAMPAGNA LA PREVENZIONE NON VA IN VACANZA PROMOSSA E FINANZIATA DA IAPB ITALIA ONLUS IN COLLABORAZIONE CON UICI SEZIONE TERRITORIALE DI MANTOVA

MUSICA LIVE "ACOUSTIC SOUND'S LEVEL"

SABATO 4 SETTEMBRE 2021 presso OPEN SPICE Str. Circonvallazione Sud, 78a, 46100 Mantova

DALLE 19.30 ALLE 22.00

ALLE ORE 21.00 INTERVENTO DELL’OCULISTA DOTT. FRANCESCO LAUDANDO CHE CI PARLERÀ DEI DANNI CHE L’ESTATE E GLI AGENTI CONNESSI POSSONO ARRECARE AI NOSTRI OCCHI, COME POTERLI PREVENIRE E/O CURARE

NELL’OCCASIONE VERRà DISTRIBUITO MATERIALE INFORMATIVO E GADGETS

INGRESSO GRATUITO

CONSUMAZIONI ESCLUSE

VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

PER RISERVARE IL POSTO SULLA TERRAZZA è GRADITA LA PRENOTAZIONE CONTATTANDO LA SEZIONE UICI DI MANTOVA - tel. 0376 32 33 17.

lunedì 30 agosto 2021

Un progetto per far conoscere l’arte attraverso le mani

Superando del 30/08/2021

FIRENZE. Si chiama Tactum il progetto che prenderà il via dal prossimo autunno al Museo di Geologia e Paleontologia di Firenze, con l’obiettivo di far conoscere l’arte attraverso le mani. Gli ideatori del’iniziativa, che coinvolgerà anche la rete Musei Welcome Firenze, sono Agnese Lanza e Giuseppe Comuniello. Lanza è una danzatrice contemporanea che si è diplomata al Trinity Laban Conservatoire di Londra e ha lavorato con diversi coreografi tra Regno Unito, Italia, Slovenia e Giappone; dal 2017 è impegnata come assistente di Virgilio Sieni per i progetti dell’Accademia sull’Arte del Gesto, come danzatrice a progetto per Company Blu e come insegnante di danza per bambini e adulti in diversi contesti. Comuniello, invece, ha scoperto la danza dopo avere perso la vista, ha studiato diverse tecniche di danza tra cui la Contact Improvisation, la danza classica e la danza contemporanea, e ha iniziato una propria ricerca personale per trasmettere la danza alle persone con disabilità visiva. La sua collaborazione con Sieni, iniziata nel 2009, gli ha offerto l’occasione di incontrare Lanza.

L’idea di Tactum si deve a Lanza che, diversi anni fa, in occasione di una visita al British Museum di Londra insieme al padre, pensò che sarebbe stato bello poter apprezzare le opere d’arte toccandole.

Il progetto si compone di due fasi: una performativa, consistente in una danza eseguita da Lanza e Comuniello con il coinvolgimento di Pietro (un esemplare di mammut conservato nel Museo ospitante), cui segue un laboratorio tattile aperto al pubblico. Nella performance i corpi dei danzatori si lasciano trasportare dai contorni di ciò che toccano e ne diventano parte. I performer, ripercorrendo ciò che hanno percepito attraverso il corpo, creano una danza nella quale cercano di riproporre le forme, le linee, le curve e di trasmetterne le sensazioni al pubblico presente.

Ai laboratori potranno prendere parte persone con o senza disabilità visive e i/le partecipanti verranno guidati/e a toccare le opere insieme ai danzatori, per sperimentare una diversa forma di tattilità e discutere sulle differenze fra l’osservazione dell’opera per intero e l’esperienza tattile, che porta alla comprensione dell’opera attraverso l’interiorizzazione di piccoli dettagli. Le esperienze tattili e performative nei musei coinvolti possono infatti mutare di volta in volta in base ai diversi luoghi e alle diverse opere, ma esse hanno tutte come valore fondante l’inclusività, intendendo appunto coinvolgere tutti e tutte attraverso l’esperienza tattile.

L’obiettivo finale è quello di inserire Tactum nelle visite museali delle scuole e un breve filmato curato da Jacopo Jenna esemplifica meglio di qualsiasi parola le suggestioni suscitate dalla danza “tattile”.

Lanza e Comuniello avevano già lavorato assieme nel 2018, in occasione del progetto Vietato toccare, altro esempio di danza “tattile” eseguito alla Galleria degli Uffizi di Firenze, e dalla Galleria stessa selezionato per celebrare la Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità di quell’anno.

In quel caso la performance si è sviluppata intorno all’Arianna dormiente, un’imponente scultura romana in marmo del secondo secolo dopo Cristo, collocata nella sala accanto all’Auditorium. Dopo averne appreso le forme, le dimensioni e le caratteristiche del materiale attraverso le mani, i due performer ne hanno proposto una rielaborazione attraverso il movimento dei propri corpi, creando una coreografia ispirata all’esperienza tattile appena vissuta.

Anche in quell’occasione alla performance erano seguiti dei laboratori tattili aperti a tutti i/le partecipanti, offrendo loro la possibilità toccare alcune riproduzioni di dipinti messe a disposizione dagli Uffizi per l’occasione. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcune modifiche dovute al diverso contenitore, per gentile concessione.

Paralimpiadi, Matilde Lauria: «Io, judoka sordocieca. Non conosco volto di mio figlio, ma sento la sua forza»

Corriere del Mezzogiorno del 30/08/2021

NAPOLI. Arrendersi mai, a nessuna dura lezione che vuole darti la vita. E Matilde Lauria, 54 anni, judoka che partecipa alle Paralimpiadi di Tokyo, nella sua vita ha combattuto ogni avversario per arrivare al suo sogno a cinque cerchi. Mamma di tre figli, judoka e sempre in attività. Nonostante una doppia disabilità: è infatti sordocieca ed è l’unica della sua categoria ai Giochi paralimpici. La vera vittoria di Matilde non sarà la medaglia, ma aver dimostrato che nonostante la disabilità si può ottenere tutto: «Ci sono tanti ragazzi e ragazze ciechi, sordi o con altre disabilità, a cui nessuno ha mai detto che possono essere bravi in uno sport: il mio messaggio è sempre lo stesso: con la tenacia e la voglia di lottare si può ottenere il massimo».

La malattia

Matilde, napoletana doc del quartiere Montesanto, è ipovedente dalla nascita. A 26 anni le hanno diagnosticato una degenerazione genetica dei nervi ottici. A 31 anni ha perso l’uso dell’occhio destro, qualche anno dopo il sinistro e in seguito anche l’udito. La svolta alla sua vita 15 anni fa. Accompagnando Marco, uno dei suoi figli a fare judo alla palestra Partenope. conosce il maestro Gennaro Muscariello, 65 anni, un’istituzione del judo a Napoli: «Faceva altri sport – ha spiegato il maestro e le dissi di provare sul tatami, l’avrei aiutata. É una guerriera e ha capito tutto. Si è impegnata alla grande, ora è una cintura nera terzo Dan, ha vinto diversi campionati italiani, ha partecipato ad europei e mondiali. É una vera forza della natura. In gara non può usare la protesi che le serve per sentire, e in pochi secondi deve capire le mosse dell’avversario. Non è facile, ma lei è molto abile: ha fatto anche scherma e ha battuto tutti».

Gli allenamenti

Il maestro è entrato alla Partenope a 13 anni: ha fatto tutta la gavetta da cintura bianca e ha forgiato campioni, ma è orgoglioso di Matilde: «Le abbiamo fatto girare tutte le palestre di Napoli per prepararla alle Paralimpiadi e acquisire più autostima. Siamo già felici della qualificazione: era il nostro obiettivo». Matilde non conosce il volto dell’ultimo dei suoi figli, Gianluca, 9 anni, anche lui judoka alle prime armi, il figlio più protettivo: «A darmi una grande forza sono stati proprio i miei ragazzi, gli amici e la mia famiglia - ha spiegato la judoka partenopea - che mi hanno accompagnato a fare gli allenamenti e hanno sostenuto tutti i miei sforzi. Nonché mio padre, un vero maestro di vita. Non era facile, anche per le difficoltà burocratiche: chi volete che voglia una sordocieca? Ma io non mi sono arresa, grazie anche al maestro Muscariello: con il judo mi sono sentita a mio agio, mi sento super».

L’impegno sociale

Matilde è ora tesserata per l’Asd Noived di Napoli e iscritta alla Fispic (Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi) frequenta la Lega del Filo d’oro, oltre ad essere impegnata in tante discipline sportive, ad aiutare i ragazzi con disabilità. Il judo, però, le ha ridato la vita, l’ha fatta risollevare anche nei momenti bui, quando faceva fatica ad accettare la sua condizione. Durante il lockdown è stato tutto più difficile: «Con la chiusura delle palestre – ha spiegato – mi allenavo per strada – facevo qualsiasi cosa. Con l’equitazione ho mantenuto la forma fisica, ma con una disabilità sensoriale come la mia è stata dura». Le Olimpiadi il grande sogno che si è avverato: «É un messaggio a tutti coloro che hanno disabilità: io ce l’ho fatta e nulla è precluso. L’importante è non perdere il sorriso e continuare a combattere contro le difficoltà della vita».

di Donato Martucci

sabato 28 agosto 2021

L’abilismo si combatte solo considerando ogni persona nella sua interezza

Superando del 28/08/2021

«L’abilismo è l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità»: è questa la definizione di abilismo riportata nella sezione Neologismi del sito dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani. Ma l’abilismo può essere definito anche come un sistema oppressivo che colpisce le persone con disabilità. Definirlo come tale offre il vantaggio di poter attingere, pur con i dovuti adattamenti, alle competenze e agli strumenti maturati e predisposti in relazione ad altri sistemi oppressivi.

Sotto questo profilo si rivela particolarmente prezioso lo sterminato lavoro prodotto nell’àmbito dei femminismi e uno degli strumenti che possiamo prendere in prestito da essi è certamente il concetto di intersezionalità. Vediamo di cosa si tratta e perché può tornare utile alle persone con disabilità.

Nel 1976 Emma DeGraffenreid, una madre lavoratrice afroamericana, e altre quattro donne di colore fecero causa alla General Motors Corporation perché la società non assumeva donne nere da un decennio. Infatti la General Motors assumeva donne (bianche) e anche persone afro-americane (uomini), ma non donne di colore. Questa circostanza permise ai giudici di escludere che si trattasse di un episodio discriminatorio, dal momento che il semplice fatto di essere donne nere non poteva essere considerato una ragione sufficiente per richiede un trattamento speciale.

Il “Caso DeGraffenreid” ebbe il merito di mostrare la particolare situazione in cui può venirsi a trovare chi, per le proprie caratteristiche o la propria esperienza di vita, sperimenta simultaneamente più di una condizione di svantaggio sociale particolare, uno svantaggio non riducibile alla semplice somma delle discriminazioni di cui si compone.

Fu proprio riflettendo su questo e su altri casi giudiziari riguardanti episodi discriminatori nei confronti delle donne di colore che, in un celebre articolo del 1989 (1), Kimberlé Williams Crenshaw, attivista e giurista statunitense nata nel 1959, propose di utilizzare il termine intersezionalità per descrivere l’intreccio di oppressioni che deriva dalla sovrapposizione o intersezione di diverse identità sociali nella stessa persona.

Crenshaw sosteneva in sostanza che l’esperienza delle donne di colore potesse essere adeguatamente descritta e affrontata solo considerando insieme la discriminazione di genere e quella razziale. Ma ancor prima che lei avanzasse la sua proposta, una riflessione implicita sull’intersezionalità era già presente nel femminismo nero e nel movimento antischiavista del diciannovesimo secolo, e probabilmente si possono trovare tracce ancora precedenti (2).

Una visione anticipatrice di quello che prenderà il nome di femminismo intersezionale si può trovare, ad esempio, anche in Audre Lorde (1934-1992), la poetessa di Harlem (New York), che amava autodefinirsi «nera, lesbica, madre, guerriera, poeta» (3), una lista di identità alla quale, se i tempi culturali fossero stati maturi, avrebbe potuto aggiungere anche quella di disabile, giacché aveva manifestato un deficit visivo sin dalla tenera età. Con quell’elenco di caratteristiche Lorde intendeva significare che nessun termine era sufficiente a definirla compiutamente, giacché lei è sempre stata tante cose insieme.

Per spiegare che l’oppressione e la discriminazione subita dalle donne nere non può essere compresa considerando in modo separato le variabili del genere e della razza, Crenshaw utilizza la metafora dell’incrocio stradale, individuando nell’intreccio delle diverse identità «[…] un’analogia con il traffico di un incrocio [di strade], che viene e va in tutte e quattro le direzioni. Così, la discriminazione può scorrere nell’una e nell’altra direzione. E se un incidente accade in corrispondenza di un incrocio, può essere stato causato dalle macchine che viaggiavano in una qualsiasi delle direzioni e, qualche volta, da tutte. Allo stesso modo, se una donna nera si fa male a un incrocio, il suo infortunio potrebbe derivare dalla discriminazione sessuale o dalla discriminazione razziale […]. Ma non è sempre facile ricostruire un incidente: a volte i segni della frenata e le lesioni semplicemente stanno a indicare che questi due eventi sono avvenuti simultaneamente; dicendo poco su quale conducente abbia causato il danno» (4).

Ovviamente il campo di applicazione dell’intersezionalità non riguarda le sole due variabili del genere e della razza/etnia, e nel contrasto all’oppressione è necessario considerare insieme tutte le categorie che stanno alla base delle diseguaglianze sociali, dunque, oltre al genere e alla razza/etnia, anche l’età, la nazionalità, l’orientamento sessuale, la disabilità, la classe sociale, la religione, la casta, la cultura, l’educazione e altre caratteristiche che possono essere simultaneamente presenti e che interagiscono a molteplici livelli. Detto in termini ancora più chiari, ogni forma di oppressione (e dunque anche l’abilismo) può essere combattuta in modo efficace solo considerando la persona nella sua interezza.

La necessità di essere considerati nella propria interezza è stata espressa in modo molto efficace da Dianne Pothier (1954–2017), docente di diritto e attivista canadese con una disabilità visiva dovuta all’albinismo, quando ha scritto:

«Non posso mai subire discriminazioni di genere se non come persona con disabilità; non posso mai subire discriminazioni per la disabilità se non come donna. Non posso disaggregarmi né può farlo chiunque possa discriminarmi. Non mi inserisco in scatole separate di motivi di discriminazione. Anche quando sembra essere rilevante un solo motivo di discriminazione, i suoi effetti riguardano la mia persona nella sua interezza» (5).

Pothier ha messo in evidenza una delle maggiori difficoltà con cui ancora oggi si scontrano le persone soggette a discriminazioni multiple, quella di venire “smembrate” e incasellate in «scatole separate di motivi di discriminazione». Infatti l’associazionismo delle persone con disabilità ha iniziato ad occuparsi anche di questioni di genere solo in tempi relativamente recenti, e anche quello delle donne solo ultimamente sta iniziando a prendere in considerazione la situazione di discriminazione multipla cui sono esposte le donne con disabilità. E analoghe osservazioni si possono fare anche per altre discriminazioni multiple sperimentate, ad esempio, dalle persone con disabilità immigrate, o appartenenti alla comunità LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Intersessuali e Asessuali).

Il concetto di intersezionalità ha avuto una discreta fortuna influenzando in modo significativo l’approccio alle disuguaglianze. Nel nostro Paese, ad esempio, si deve ad un’intuizione di tipo intersezionale se nel 2018, all’interno del Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), hanno trovato spazio anche le esigenze delle donne con disabilità vittime di violenza (se ne legga su queste stesse pagine); esigenze che poi sono state recepite nel primo Rapporto di valutazione sulla situazione italiana pubblicato nel gennaio 2020 dal GREVIO (il Gruppo di esperti/e indipendenti responsabile del monitoraggio dell’attuazione Convenzione di Istanbul) (se ne legga su queste stesse pagine).

Sotto questo profilo è molto interessante anche il cosiddetto “Disegno di Legge Zan” (Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità), che ancora non ha concluso il suo iter parlamentare. Il fatto che in esso, sebbene in un momento successivo, sia stato inserito anche il contrasto alla discriminazione e alla violenza nei confronti delle persone con disabilità si presta a due tipi di letture: da un lato esso esplicita la volontà di contrastare i deferenti motivi di discriminazione, e dall’altro suggerisce che la lotta alle differenti forme di discriminazione vada condotta in modo trasversale. Comunque lo si voglia intendere, le persone con disabilità hanno solo da guadagnarci.

di Simona Lancioni,

responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito questo approfondimento è già apparso. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Note:

(1) Kimberle Crenshaw, Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics, in «The University of Chicago Legal Forum», volime 140, 1º gennaio 1989, pp. 139–167.

(2) A tal proposito si veda: Jeff Hearn, Di cosa parliamo quando parliamo di intersezionalità, in «inGenere», 20 ottobre 2017 ((visitato il 21 agosto 2021).

(3) Lo riferisce Loredana Magazzeni nel testo Quando la poesia salva il mondo e lo fa cambiare, testo introduttivo di Audre Lorde, D’amore e di lotta, poesie scelte, con testo a fronte, a cura di WIT (Women In Translation), introduzione di Loredana Magazzeni, postfazione di Rita Monticelli, Firenze, Le Lettere, 2018, p. 9.

(4) Kimberle Crenshaw, ibidem.

(5) Dianne Pothier, Connecting Grounds of Discrimination to Real People’s Real Experiences, in «Canadian Journal of Women and the Law», volume 13(1), 2001, pp. 37-73.

Suggeriamo anche la consultazione della sezione Il contrasto all’abilismo e all’omolesbobitransfobia, nel sito del Centro Informare un’H.

Ad occhi chiusi nel museo? Da oggi a Lecco è possibile col progetto “Please touch me”

Lecco Notizie del 28/08/2021

Inaugurato a Palazzo Belgiojoso un innovativo percorso multisensoriale per non vedenti. “Progetto grandioso per una cultura sempre più accessibile a tutti dove nessuno si sente sminuito”.

LECCO. Taglio del nastro oggi pomeriggio, venerdì, per il progetto “Please touch me – Ad occhi chiusi al museo”, un innovativo percorso multisensoriale, tra i pochissimi in Italia, nel polo museale di palazzo Belgiojoso a Lecco.

Il progetto, promosso dalla Cooperativa Eliante Onlus (capofila) con la collaborazione e il contributo del Comune di Lecco e il cofinanziamento di Fondazione Cariplo, dopo tre anni di studi, progettazioni e collaudi di prototipi con le associazioni degli utenti a cui sono destinati, si è concluso con la realizzazione di percorsi museali permanenti, per ipovedenti e non vedenti, nei tre musei: archeologico, storico e storia naturale.

Le istallazioni sono composte da postazioni multisensoriali e multimediali: didascalie vocali, schede tattili, fedeli riproduzioni di reperti da poter toccare con mano e apparati digitali. Elementi che, in realtà, offrono nuovi strumenti espositivi utili per tutti, offrendo la possibilità di avvicinarsi al patrimonio culturale, archeologico, storico e naturalistico dei nostri musei con modalità nuove, in grado di coinvolgere tutti i fruitori anche sul piano emozionale.

“Un’esperienza tra le poche, anzi pochissime in Italia – ha detto il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni -. Spesso dimentichiamo che dove passa una carrozzina passa anche un passeggino, realizzare una città a misura di diversamente abile significa consegnare una città più fruibile per tutti. Questo museo segue esattamente la stessa logica regalando un’esperienza più divertente e attrattiva non solo per le persone diversamente abili”.

“Un progetto innovativo, uno dei pochi esempi in Italia, simbolo di una cultura inclusiva e aperta a tutti – ha detto il vice sindaco Simona Piazza -. Avviamo un percorso che speriamo in futuro possa coinvolgere anche Palazzo delle Paure e Villa Manzoni, questo è ciò che vogliamo per la nostra città e vogliamo sperimentarlo tutti insieme. Si tratta di una tappa, non di un traguardo: il museo deve diventare una porta aperta dove esce cultura e entrano i cittadini”.

Presenti per la soprintendenza Alice Sbriglio, mentre per la Fondazione Cariplo Carlo Maria Mozzanica che ha sottolineato come in questo caso la cultura si coniuga con la vicinanza al più debole non in maniera assistenzialistica ma in maniera promozionale.

“Un momento molto bello per noi e per la nostra associazione che è sempre in cerca di risposte all’accessibilità – ha detto Nicola Stilla, consigliere nazionale dell’Unione Italiana Ciechi -. L’iniziativa è utile anche alle persone normodotate che possono capire le esigenze delle persone con disabilità. Siamo insieme agli altri e con gli altri”.

A presentare il progetto Antonio Bossi e Michela Ruffa di Eliante Onlus: “L’esperienza sensoriale per noi è il pane quotidiano. Proprio dai musei dove noi facciamo didattica è scattata la molla che ci ha fatto immaginare un futuro di questi musei che potesse allargare la percezione di fruizione. Con questo progetto ci siamo messi in gioco provando e riprovando fino ad arrivare a questo risultato”.

45 segnalatori acustici per audiodescrizioni in italiano e inglese, 20 postazioni tattili (con riproduzioni fedeli di alcune opere presenti nei musei o opere vere e proprie per quanto riguarda quelle meno delicate), 2 postazioni sonore con canti di uccelli e una per toccare le impronte dei diversi animali, moltissime schede tattili e un tablet con testi scritti fruibili dai non udenti.

“Non è stato semplice, abbiamo dovuto superare diversi ostacoli e difficoltà – hanno detto i responsabili di Eliante – ma questo percorso ora consente di approcciarsi alla cultura in modo completamente diverso dimenticando didascalie noiose, senza dimenticare l’arricchimento umano che un progetto del genere può fornire”.

Fondamentale la guida di Silvano Stefanoni, sindaco di Lierna ma entrato in questo progetto in veste di presidente provinciale FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità): “In questo museo tutti possono guardare e toccare in modo da poter vedere – ha detto -. Ho avuto l’onore di partecipare alla genesi di questo progetto e il risultato è grandioso. Lancio la sfida al sindaco Gattinoni perché questo museo diventi accessibile anche alle carrozzine, mentre alla soprintendenza chiedo di essere più coraggiosa. Questo è un percorso accessibile a tutti dove nessuno si sente sminuito”.

A tirare le fila Mauro Rossetto, direttore scientifico del Polo museale di Palazzo Belgiojoso: “Ciò che si vede non dà l’idea delle numerose problematiche affrontate e delle difficoltà che siamo riusciti a risolvere per realizzare questo importantissimo percorso multisensoriale”.

Con il taglio del nastro da parte del sindaco Mauro Gattinoni, da oggi, Lecco fa un grande salto in avanti nell’accessibilità della cultura. Il merito è di un lavoro di squadra partito da lontano e che non si è lasciato intimorire dalle barriere trovate lungo il cammino…

di Marco Milani

venerdì 27 agosto 2021

Storytelling Paralimpiadi: pioggia di medaglie, ma in primo piano ci sono sempre le menomazioni

Vita del 27/08/2021

Mai come a Tokyo i media stanno dimostrando attenzione nei confronti degli atleti con disabilità. Ma le performance sportive (ottime per l'Italia sino ad ora) vengono ancora troppo spesso oscurate dall'insistenza con cui alcuni giornalisti (non tutti) insistono sulle vicende personali degli atleti. Pencoliamo pigramente tra due polarizzazioni: il pietismo e il supereroismo. In questa chiave, per le persone con disabilità non è concepibile una condizione di normalità, di vita ordinaria così come è invece innegabile per tutti gli altri.

Un fatto incontrovertibile: mai come in questa edizione i media hanno restituito così ampia visibilità alle Paralimpiadi, in passato confinate nelle ultime pagine e di certo non fra le notizie di testa dei TG. Ma è un traguardo che rende ancora più fastidiosi e pericolosi alcuni dei messaggi veicolati. Nel seguire i Giochi di Tokyo ripetutamente ci si sente ancora inghiottiti nel gorgo del pietistico e sensazionalistico. Colpisce. Colpisce che alcuni media ancora oggi pongano in risalto la condizione di menomazione della persona, e non l’atto sportivo, quello primario, quello bello e avvincente che riguarda qualunque atleta.

Si mette davanti la storia personale al primato atletico. C’è un incedere quasi naturale nell’intervistare un atleta con disabilità iniziando, e spesso terminando, dalla narrazione di quale evento ha causato la menomazione e come sia straordinario l’aver conquistato un podio da una condizione così ‘spiacevole’. Quasi solo una rivincita e non la ricerca di una normalità e di una umanissima passione. A Tokyo lo abbiamo visto fin dalla prima giornata delle Paralimpiadi. Alcuni media hanno praticato una forma nuova di vecchi vizi che ci si augurava superati. Paolo Rosi, commentatore delle Olimpiadi di Seul 1988, preferiva evitare la cronaca le gare degli atleti con disabilità, e quando ne era costretto arrivava a chiedere di “fermare questi poveretti”. Seul 88 fu la prima ed unica Olimpiade integrata. Si alternavano gare gli atleti con e senza disabilita. Questo picco di rifiuto verso gli atleti con disabilità, era solo l’apice di un approccio assai diffuso all’epoca.

Oggi la questione si fa più perniciosa e subdola. Nessuno oserebbe più usare quei termini o quei silenzi. Si racconta però dell’incidente, dell’evento lesivo, della condizione biologica, o della condizione fisica o psichica di una persona, con un malcelato voyeurismo che poco ha a che spartire con lo sport. Il risultato sportivo diventa un “di cui”, un marginalissimo accidente che mette in risalto non il gesto atletico, ma il risultato umano di chi ha passato vicende particolarmente tortuose e sfidanti. Il protagonista è un supereroe. Pencoliamo pigramente tra due polarizzazioni: il pietismo e il supereroismo. In questa chiave, per le persone con disabilità non è concepibile una condizione di normalità, di vita ordinaria così come è invece innegabile per tutti gli altri. A ben vedere questa è una forma di pregiudizio e quindi la discriminazione, forse proprio la primordiale.

L’incubo della forza negativa delle parole trova in Carlo Levi un esegeta critico, forse tra i primi. Anche partendo dalla consapevolezza del peso delle parole che di recente si è giunti a delineare, e finalmente a stigmatizzare, il concetto di abilismo. E in questo ha contribuito anche il dibattito attorno al DdL Zan che questi aspetti li recepisce. E in aggiunta a retro-pensieri abilistici, raccogliamo un florilegio di locuzioni e termini francamente fastidiose, distorte, omissive, umilianti...

È umiliante poi essere etichettati come “angeli”: non c’è nulla di angelico nel vivere la disabilità che invece nella quotidianità è pura discriminazione di cui le persone non vogliono essere certo testimoni. Altrettanto per il presunto “coraggio” che è brandito più come un’arma soffocante. Per finire con chi fa un gesto atletico, e sente che quel risultato avviene “nonostante la disabilità”. Ebbene, queste parole le abbiamo ascoltate in alcuni seguitissimi telegiornali (Tg1, Tg3 e Tg5).

Al contrario il Tg de La 7 e la diretta su Radio 1 di Sandro Fioravanti sono riusciti a presentare l’evento sportivo senza gli orpelli dell’abilismo e senza lemmi oramai vecchi e stridenti, oltre che lesivi. Sì, ci sono modelli positivi di comunicazione della disabilità a cui fare riferimento. Questa la vera differenza (positiva) tra il 1988 e oggi. Probabilmente, decenni di lavoro attorno comunicazione sulla disabilita nel tentativo di renderla corretta e ripulita da pregiudizi qualche segno l’ha lasciato. Ma non basta e allora tentiamo di marcare almeno qualche punto fisso da cui ripartire

- Il primo: gli atleti con disabilità gareggiano a parità di condizione, quindi i loro competitor hanno un’analoga disabilità; tutti i partecipanti hanno una qualche disabilità, non solo chi vince.

- Tutti gli atleti sono esseri umani che hanno dei limiti ovvero sia anche Marcel Jacobs ha un tempo sui 100 mt oltre il quale non riesce a scendere. Quello non si chiama “limite”, ma “record personale”.

- E da ultimo: lo sport è una sfida con se stessi, con la propria capacità di superare i propri limiti, qualunque sia la condizione fisica e mentale. E questo per tutti.

di Pietro Barbieri

mercoledì 25 agosto 2021

L’avventura di Matilde Lauria a Tokyo 2020 di Vincenzo Massa

Giornale UICI del 25/08/2021

La judoka napoletana è sordocieca ed è l’unica della sua categoria ai Giochi paralimpici a gareggiare con le due disabilità.

Una donna coraggiosa, sempre pronta a mettersi in gioco e farsi esempio per i tanti giovani con disabilità che non credono nelle loro capacità e potenzialità o che non hanno possibilità di fare attività sportiva.

Matilde, napoletana, 56 anni, è ipovedente dalla nascita. A 26 anni le hanno diagnosticato una degenerazione genetica dei nervi ottici. A 31 anni ha perso l’uso dell’occhio destro, qualche anno dopo il sinistro percepisce solo luce. Mamma di tre figli è entrata da soli 6 anni a far parte del circuito internazionale del judo aderendo alla Fispic (Federazione italiana sport paralimpici per ciechi e ipovedenti), arriva a questo appuntamento 19esima del ranking, la seconda nella categoria B1, cioè «un’atleta che non percepisce la luce in nessuno dei due occhi o che la percepisce ma non è in grado di riconoscere la forma di una mano», secondo l’International Sport Blind Association.

Unica atleta con doppia disabilità a gareggiare a Tokyo per lei questa partecipazione va ben oltre il risultato e speriamo che il suo monito svegli le coscienze di tanti e la voglia delle persone con disabilità di rivendicare il diritto alla pratica dello sport. Le parole dell’atleta stessa ci sembrano molto più pregnanti di qualsiasi commento «Ci sono tanti ragazzi e ragazze ciechi, sordi o con altre disabilità, a cui nessuno ha mai detto che possono essere bravi in uno sport: sono alle paralimpiadi per dimostrare che anche con delle disabilità si possono fare grandi cose».

La delegazione azzurra di judo è molto ristretta, le atlete sono solo due: con Matilde Lauria c’è solo Carolina Costa, e saranno accompagnate a Tokyo da un gruppetto della federazione. Non è possibile, per motivi sanitari, portare familiari o altre persone, proprio come alle Olimpiadi.

Complimenti Matilde perché il tuo cuore, la tua passione, il tuo altruismo sono doni preziosi che al tuo rientro dovremo festeggiare per questo grande sogno che stai regalando a tutti noi.

Vincenzo Massa

martedì 24 agosto 2021

Quando nacque l’uso del bastone bianco per le persone non vedenti? di Alberto Zina

Superando del 24/08/2021

«Tutti conoscono il bastone bianco come ausilio e mezzo di riconoscimento dei non vedenti – scrive Alberto Zina -, ma quanti ne conoscono la storia o sanno chi ne ha introdotto l’uso? Ebbene, l’invenzione del bastone bianco per non vedenti risale agli anni 1930-31, avvenne in Francia e si deve a una nobildonna francese di nome Guilly d’Herbemont».

Tutti conoscono il bastone bianco come ausilio e mezzo di riconoscimento dei non vedenti, ma quanti ne conoscono la storia o sanno chi ne ha introdotto l’uso? Come collezionista di bastoni, tra i numerosi esemplari della mia raccolta figura un bastoncino bianco da donna, di una sobria eleganza, donatomi da una mia paziente con la seguente precisazione: «Apparteneva a mia nonna, non vedente. Glielo aveva donato l’Unione Nazionale dei Ciechi verso la fine gli Anni Trenta».

Constatando la mia ed altrui ignoranza in proposito, il dono ha mosso la mia curiosità di esperto e, con sorpresa, ho scoperto che l’invenzione del bastone bianco per non vedenti risale agli anni 1930-31 e si deve ad una nobildonna francese di nome Guilly d’Herbemont, nata nel 1885.

Come per tutte le invenzioni, però, era necessario un terreno adatto su cui possa svilupparsi il seme di una nuova idea. Eccoci dunque a Parigi: in quegli anni tutti avevano un bastone, oggetto che all’epoca non identificava, come oggi, un portatore di handicap o un vecchio insicuro, ma un complemento di moda senza il quale nessuno sarebbe uscito di casa. Come conseguenza della prima guerra mondiale, in città vi erano molti reduci non vedenti per i quali il crescente traffico automobilistico costituiva una minaccia mortale ad ogni attraversamento degli ampi boulevard. Turbata dalla vista dei loro tentennamenti , la nostra contessa sentì l’esigenza di fare qualcosa per rendere sicuri i loro spostamenti. L’idea del bastone bianco le venne osservando i vigili urbani che dirigevano il traffico con un manganello bianco. Contro il parere della famiglia, scrisse quindi una lettera aperta al giornale «L’Echo de Paris», che la pubblicò il 20 novembre 1930.

Nel giro di pochi giorni, ricevette l’invito a partecipare ad una riunione in cui erano presenti ministri, autorità delle istituzioni cittadine e rappresentanti delle organizzazioni dei non vedenti, tutti riuniti per valutare il suo progetto.

Nell’occasione, non mancarono le voci contrarie: qualcuno propose una fascia da braccio gialla simile a quella in uso all’epoca in Svizzera, mentre un avvocato cieco consigliò sì un bastone, ma di color rosso. Sorse poi il problema del costo e, generosamente, la contessa offrì di fornire lei stessa cinquemila bastoni. La notizia venne rilanciata dalla stampa e ottenne un successo considerevole, suscitando l’entusiasmo di tutti i non vedenti parigini.

Il 7 febbraio 1931 vi fu la cerimonia ufficiale di presentazione con gran concorso di autorità e stampa. L’ iniziativa ebbe un tale successo, che da tutta la Francia gli altri non vedenti, sentendosi esclusi, reclamarono anche loro il diritto di usufruire di un tale simbolo. Nel giro di pochi anni, l’iniziativa si diffuse rapidamente e la canna bianca fu introdotta ufficialmente da molte nazioni. Tra le prime Belgio, Svizzera, Romania e, a seguire, gli Stati Uniti e molte altre.

Altri filantropi seguirono l’esempio di Guilly d’Herbemont, donando bastoni bianchi. Come tutte le iniziative di successo, anche questa non mancò di suscitare invidie e rivalità. Pochi mesi dopo la sua introduzione, infatti, un noto medico parigino, nonostante usasse il bastone bianco, fu investito e ucciso. Con l’occasione, il propugnatore del bastone rosso, su un articolo giornalistico, accusò Guilly d’ Herbemont di essere indirettamente responsabile dell’accaduto. Tuttavia, un coro unanime si levò a favore dell’uso del bastone bianco, confortato dalle statistiche che mostravano una netta riduzione degli incidenti in cui erano coinvolti i non vedenti.

Gli Inglesi ancora oggi rivendicano questa invenzione, attribuendola a tale James Biggs, che nel 1921 dipinse il suo bastone di bianco per allertare della sua cecità. Peccato che il suo sia rimasto un esemplare unico, costituendo l’isolata iniziativa di un individuo eccentrico.

Negli Stati Uniti, invece, l’invenzione viene attribuita a G.A. Bohnam, presidente del Lions Club, proprio negli anni 1930-31. Tuttavia, in considerazione del fatto che la stampa americana aveva prontamente rilanciato la notizia dell’iniziativa della nostra contessa, è probabile che, venutone a conoscenza, Bohnam se ne sia fatto propugnatore in patria.

Va per altro riconosciuto all’associazione dei Lions di essersi negli anni attivamente impegnata nel diffondere e sostenere l’uso del bastone bianco. Nato come strumento di allerta, esso risulta anche utile per saggiare il cammino davanti al non vedente. Con tale funzione, il bastone era già in uso da tempo immemore, come dimostra il bel quadro di Bruegel il Vecchio La parabola dei ciechi.

Col tempo, il bastone bianco si è progressivamente allungato e assottigliato, diventando pieghevole e costituendo un valido strumento per saggiare la strada davanti al non vedente rendendone più sicura la marcia. Anche in questo caso, la guerra è stata il primum movens e, nel 1944, una persona invalida, R.E. Hoover, fu l’inventore e propugnatore della sua tecnica d’uso.

A dimostrazione di come il bastone bianco sia in grado di suscitare in chi lo vede i migliori sentimenti umani di solidarietà, collaborazione e altruismo, concludo con questo episodio personale. Mi trovavo al Santuario di Oropa e stavo scendendo una ripida scalinata. Come mia abitudine, avevo con me un bastone. Nell’occasione un bastone da baleniere, pertanto realizzato con un unico pezzo d’osso di balena. Tre vecchiette, che stavano salendo, incrociando il mio cammino mi rassicurano: «Venga tranquillo, non si preoccupi, se ha bisogno di aiuto siamo qui». Rimango interdetto, poi di colpo comprendo: avendo visto il mio bastone di osso bianco, mi hanno scambiato per un non vedente. Dopo un attimo di esitazione, timoroso di deluderle, confesso che per l’occasione mi sono finto non vedente!

Medico specialista. Ringraziamo l’APRI di Torino (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti) per la concessione del presente testo.

lunedì 23 agosto 2021

L’evoluzione del libro e l’emancipazione delle persone cieche di Giuseppe Di Grande

Superando del 23/08/2021

Quando iniziano le persone cieche a fruire autonomamente della “parola stampata”? Partendo da un rapido excursus di storia del libro, Giuseppe Di Grande individua il Braille come “spartiacque tra un prima e un dopo”, percorrendo poi i decenni fino ad arrivare ai tempi nostri, che vedono i ciechi poter scegliere se leggere un libro in Braille su carta, in Braille su display, a voce tramite una sintesi vocale o ancora a voce tramite gli audiolibri letti da professionisti.

Dall’utilizzo in Occidente nel 1455 della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, Google ha stimato che al 2010 siano stati stampati approssimativamente 130 milioni di libri diversi. Per più di quattro secoli l’unico vero medium di massa è stata la “parola stampata”.

I sistemi di scrittura nella storia del genere umano, almeno delle civiltà che conosciamo, sono tanti. Lasciare una memoria scritta è stata da sempre sentita come un’esigenza per tramandare la conoscenza ai posteri. Dal sistema cuneiforme dei Sumeri del 4000 avanti Cristo. al papiro degli Egizi del 2400 a.C., alla pergamena ricavata dalla pelle degli animali risalente al 200 a.C., ai codici romani, dove i cristiani trascrivevano preghiere e testi sacri.

Sebbene l’invenzione della carta risalga al 105 dopo Cristo in Cina, il primo vero libro stampato è dell’800 d.C. (sempre in Cina), dove viene inventato il primo processo di stampa con blocchi di legno. L’arte cinese, intanto, si evolve in un sempre più raffinato procedimento di stampa.

Chi perfeziona e porta questo sistema in Europa è, come detto, l’orafo tedesco Johannes Gutenberg. Il primo libro stampato con la nuova macchina è la Bibbia di Gutenberg, che vede la luce il 23 febbraio 1455 con una tiratura di 180 copie.

Dopo questo rapido excursus nella storia del libro, la domanda che nasce in riferimento alle persone cieche è: quando esse quando iniziano a fruire autonomamente della “parola stampata”?

Il Braille è stato sicuramente lo spartiacque tra il prima e il dopo: l’emancipazione delle persone cieche è iniziata da lì. Prima del Braille, i ciechi, quelli dei ceti alti, aristocratici o benestanti, non potevano fare altro che avvalersi della parola letta o detta da terzi. La tradizione orale era alla base della cultura dei pochissimi ciechi che potevano permettersela. Gli altri “orbi” erano destinati a una vita grama, di sacrifici e di elemosina.

Il più famoso mendicante cieco della storia della letteratura è Omero. Nell’antica Grecia la cecità era considerata una condizione necessaria per ricevere doni sovrannaturali dagli Dei. Dopo la Riforma Protestante del 1517, la concezione greca del cieco viene rovesciata, tanto che nella letteratura dell’epoca gli uomini senza vista sono vittime di scherzi oppure addirittura bruciati al rogo.

Dobbiamo dunque arrivare all’Ottocento per assistere a una vera e propria “rivoluzione culturale dei ciechi”. Infatti, non vi è dubbio che il Braille abbia causato una rivoluzione sociale e morale tra i ciechi di tutto il mondo. Prima di Louis Braille, per i ciechi i libri erano un orizzonte irraggiungibile, se non con la mediazione degli occhi e della voce di terzi o con la buona volontà di qualche benefattore che escogitava soluzioni bizzarre per pochi.

La diffusione del Braille è un processo che interessa quasi tutto l’Ottocento e il primo Novecento. Il primo libro in Braille viene realizzato nel 1827, ma il sistema comincia lentamente a diffondersi nella seconda metà dell’Ottocento, dopo la morte di Louis Braille avvenuta nel 1852. I libri in Braille vengono per lo più ricopiati a mano e utilizzati all’interno degli istituti dove sono ospitati giovani allievi ciechi. La cultura per le persone cieche resta pertanto confinata e selezionata all’interno di questi istituti.

In quegli stessi anni, per gli aristocratici o per i ceti più abbienti, chi perde la vista si avvale ancora delle letture ad alta voce da parte di persone remunerate allo scopo. È solo dal Novecento che iniziano a nascere le prime istituzioni per ciechi, che forniscono in prestito i libri Braille delle loro biblioteche. Queste biblioteche speciali sono di utilità per tutti i ciechi abili a leggere il Braille, pochi, però, rispetto a tutti gli altri che, nonostante i tempi, vivono ancora di elemosina e di umiltà. Tuttavia, per la diffusione della cultura, le difficoltà sono evidenti, dato che questi enti non sono diffusi capillarmente su tutto il territorio come le biblioteche comuni. Altresì i libri Braille restano oggetti preziosi da prestare e restituire.

Il primo magnetofono viene brevettato nel 1934. Utilizza nastri magnetici per registrare e riprodurre suoni. Inizialmente viene utilizzato per registrare concerti ed eventi politici. La registrazione a nastro si diffonde tra i ciechi a partire dagli Anni Sessanta, quando nel 1963 la Philips introduce la musicassetta e il primo registratore portatile.

In Italia, qualche anno prima si cominciavano a introdurre i Libri parlati, prima prodotti a bobina e poi in musicassetta, fino al breve passaggio da quelli in CD intorno al 2000, per arrivare all’MP3 di questi anni. È quasi un ritorno alle letture pre-Braille, con la differenza che libri in Braille e i libri parlati coesistono ora nella scelta libraria delle persone cieche.

I registratori a musicassette consentono ai ciechi del secondo dopoguerra più possibilità nello studio. Gli studenti ciechi, prima negli istituti e poi nelle scuole, ne fanno largo uso per registrare lezioni e libri di testo.

Anche se la prima sintesi vocale viene realizzata nel 1968, dobbiamo aspettare la fine degli Anni Ottanta e l’inizio degli Anni Novanta per sentire le prime voci artificiali parlare dalle scrivanie dei ciechi. A partire dagli Anni Novanta, infatti, tra i ciechi comincia a diffondersi l’uso del computer e della sintesi vocale, voce artificiale che legge tutto quanto viene mostrato a schermo. Da lì il collegamento tra lettura dello schermo e lettura di libri viene realizzato quasi immediatamente, anche grazie a un’altra tecnologia che si diffonde negli stessi anni, cioè il riconoscimento ottico dei caratteri, che consente attraverso uno scanner di acquisire il testo cartaceo dei libri a stampa comune e trasferirlo in digitale.

È in questi anni che nascono i primi servizi per ciechi di distribuzione di libri digitali, precursori degli attuali e-book. Sono anche le stesse persone cieche che condividono tra loro – a volte tramite floppy disk, altre attraverso trasferimenti via modem – file digitali di libri da loro stessi acquisiti. In un certo senso, i ciechi sono i precursori ancora una volta – prima con gli audiolibri, poi con gli e-book – dell’evoluzione del libro cartaceo al libro digitale o al libro audio, forme alternative di libro che oggi coesistono alla pari nella scena editoriale mondiale.

Il libro digitale e in generale l’informatica consentono al Braille di far sollevare i suoi puntini su un nuovo strumento elettronico: il display Braille. Anche se i display Braille sono nati quasi contemporaneamente ai primi home computer, a causa del loro costo elevato, questi dispositivi in Italia si diffondono a partire dal 1992, quando vengono inclusi nel Nomenclatore Tariffario del Servizio Sanitario Nazionale.

Da un lato chi è abituato a leggere i grandi volumi Braille perde la spazialità che trova col libro cartaceo, dall’altro guadagna la possibilità di avere un Braille riproducibile in tempo reale e all’infinito. Non solo, cominciano ad apparire anche i display Braille portatili che, oltre a rendere il Braille consultabile ovunque, consentono di prendere appunti, donando ai ciechi la libertà, al di là di una tavoletta Braille, di leggere e scrivere in autonomia anche fuori casa.

Il digitale ha contribuito anche ad ampliare la disponibilità di libri Braille cartacei. Grazie a periferiche di stampa Braille per uso domestico e professionale, il Braille su carta è diventato infatti riproducibile molto facilmente e in più copie. Anche se le prime stampanti Braille hanno visto la luce, in via sperimentale, alla fine degli Anni Sessanta, quelle che entrano nella disponibilità degli utenti privati vengono immesse nel mercato a partire dagli Anni Novanta.

Le stampanti Braille per uso industriale accelerano la loro velocità e migliorano la loro qualità, mentre il mondo informatico sviluppa software per poterne sfruttare al meglio le caratteristiche. In tal modo i libri in formato digitale diventano riproducibili in Braille all’infinito e la limitata disponibilità dei libri Braille in prestito viene abbattuta.

Oggi i ciechi possono scegliere se leggere un libro in Braille su carta, in Braille su display, a voce tramite una sintesi vocale o ancora a voce tramite gli audiolibri letti da professionisti.

Tutte le modalità di lettura, a partire dal Braille di duecento anni fa, sono nella disponibilità di tutti i ciechi, per i quali il tenore e la qualità di vita sono notevolmente migliorati. In futuro sicuramente ci saranno altre rivoluzioni di questo tipo: forse i ciechi potranno leggere e vedere le parole proiettate direttamente nella loro mente, forse la scienza farà in modo che essi possano tornare a vedere o forse sarà il sapere ad essere innestato direttamente nella memoria degli esseri umani. L’unica costante che però difficilmente cambierà scopo sarà la “parola” che, tramandata a voce, scritta a caratteri cuneiformi, in geroglifici, su pergamena, su carta in caratteri cinesi, in digitale attraverso uno schermo, in Braille mediante un display… sarà sempre l’unica portatrice per tutti gli esseri umani di umanità e sapere.

Autore e sviluppatore del software gratuito Biblos, utilizzato per stampare in Braille e in grafica tattile e diffuso in Italia e in altri Paesi. Analista programmatore non vedente ed esperto in accessibilità e usabilità, cura giornalmente un blog dedicato alla disabilità visiva all’interno del proprio sito.

Dalla Sezione UICI di Bergamo: Alla scoperta di Napoli e la costiera Amalfitana – 09/12 ottobre 2021

Un proverbio italiano dice: – Vedi Napoli e poi muori! ma io dico: – Vedi Napoli e vivi – perché c'è molto qui degno di essere vissuto».

Napoli è una delle più grandi ed incantevoli città d’arte del Mediterraneo. Capoluogo della regione Campania è, per grandezza, il terzo comune italiano dopo Roma e Milano. La città domina l’omonimo golfo, che si estende dalla penisola sorrentina all’area vulcanica dei Campi Flegrei ed offre una vista molto suggestiva, con l’imponente vulcano Vesuvio e, in lontananza, tre magnifiche isole – Capri, Ischia e Procida - che sembrano piccoli gioielli sorti dal mare.

Oltre ai suoi splendidi paesaggi, Napoli e la Campania devono la loro meritata fama anche alla costiera Amalfitana, zona di grande bellezza naturale, caratterizzata da terrazzamenti per la coltivazione di vigneti e frutteti e da cittadine di grande valore architettonico e artistico, tra le quali Amalfi e Ravello.

L’area del sito Unesco comprende dodici comuni e molteplici testimonianze storico-artistiche che ne rappresentano l’identità delle origini: dalle ville romane di Minori e Positano del I secolo d.C. all’architettura pubblica e privata medievale, dai preziosi manufatti di oreficeria e artigianato custoditi dentro chiese e musei, alle meraviglie naturalistiche della Valle dei Mulini e alle cupole maiolicate di Vietri, insegna di un artigianato ceramico famoso nel mondo.

PROGRAMMA:

SABATO 09 OTTOBRE:

- Alle ore 04.15 partenza dal piazzale della Malpensata di Bergamo (per i partecipanti residenti nell’isola il ritrovo sarà alle ore 04,45 presso il piazzale del Carrefour a Calusco d’Adda) e trasferimento con pullman verso l’aeroporto di Linate (MI) per imbarco aereo con destinazione Napoli (partenza volo ore 06.55);

- Alle ore 08.10 arrivo previsto all’aeroporto Capodichino di Napoli;

- Incontro con la guida e partenza in bus per Caserta per visita guidata alla maestosa Reggia Vanvitelliana e le bellezze del suo immenso parco;

- Pranzo presso un ristorante tipico;

- Visita della città vecchia di Caserta, piccolo borgo di stampo medievale;

- In serata trasferimento in bus sulla costa Sorrentina per sistemazione nell’hotel 4 stelle con cena e pernottamento.

DOMENICA 10 OTTOBRE:

- Prima colazione in hotel;

- Partenza per escursione in Aliscafo a Capri e Anacapri con guida turistica;

- Pranzo presso ristorante tipico a base di pesce;

- Visita di luoghi caratteristici e tempo libero per shopping o altro;

- Ritrovo all’imbarcadero per rientro in serata in Hotel per la cena e il pernottamento.

LUNEDÌ 11 OTTOBRE:

- Prima colazione in hotel;

- Partenza in bus per visita guidata di Positano e Amalfi;

- Pranzo presso ristorante ad Amalfi a base di pesce;

- Visita guidata delle bellezze di Maiori e Vietri;

- Rientro in serata in Hotel per la cena e il pernottamento.

MARTEDI 12 OTTOBRE:

- Prima colazione in hotel;

- Partenza per Napoli e giro panoramico della città;

- Pranzo presso “Pizza party” con degustazioni tipiche di pizze napoletane;

- Nel pomeriggio visita guidata ai monumenti principali di Napoli;

- Partenza per aeroporto di Capodichino per l’imbarco con il volo per Bergamo delle ore 19.00;

- Arrivo previsto all’aeroporto di Linate (MI) alle ore 20.15 dove troveremo il pullman che ci riporterà a Bergamo.

QUOTA DI PARTECIPAZIONE:

- Per un massimo di 30 partecipanti la quota di partecipazione sarà di € 650,00.

La quota comprende:

- 3 cene, 3 pernottamenti e 3 prime colazioni nell’Hotel 4 stelle sulla costiera Sorrentina (bevande e tasse di soggiorno incluse);

- sistemazione in camere doppie, o per scelta all’atto dell’iscrizione, in camera singola con relativo supplemento (20 € a notte);

- quattro pranzi in ristoranti tipici (comprese bevande);

- guida specializzata per tutte le escursioni;

- audioguide individuali a disposizione per tutta la durata della gita;

- transfert con pullman e volo A/R, autobus con relativi parcheggi e biglietti aliscafo;

- ticket ingresso Reggia di Caserta

- assicurazione individuale contro infortuni.

La quota non comprende:

- spuntini nell’arco della giornata;

- supplemento camera singola (60 € per 3 notti);

- eventuali ingressi in musei od altro non pianificati;

Raccomandazioni:

- la quota da versare all’iscrizione (caparra) è di € 200,00;

- la prenotazione è valida solo dopo il versamento della quota della caparra;

- Ogni partecipante non vedente deve essere tassativamente accompagnato da un proprio accompagnatore vedente;

- le iscrizioni dovranno essere effettuate entro e non oltre il 15 settembre telefonando a Marianna Mazzola al cell. (recapito da richiedere in Sezione)

- la caparra può essere versata direttamente alla segreteria della sezione o tramite bonifico bancario al seguente codice IBAN: IT64B0538711109000042554250 del c/c intestato all’U.I.C.I. presso la Banca BPER di Bergamo con la causale GITA NAPOLI;

- chi utilizza il bonifico bancario è pregato di inviare la ricevuta del bonifico tramite email uicbg@uici.it;

- il saldo della quota di partecipazione dovrà essere effettuato entro il 25 settembre versandolo direttamente alla segreteria o come per la caparra, tramite bonifico bancario;

- essendo il viaggio offerto a costo convenzionato, in caso di rinuncia la caparra viene resa solo se è possibile la sostituzione con altri partecipanti;

- il programma potrebbe subire variazioni se necessario

- l'adesione esonera l’U.I.C.I da responsabilità per furti e danni;

- ricordiamo di apporre il nome ai bagagli che non dovranno superare gli 8 kg. Per il bagaglio a mano e 23 kg. Per il bagaglio destinato in stiva;

- in caso di annullamento della gita, per cause di forza maggiore, la quota di iscrizione sarà parzialmente restituita;

- tutti i partecipanti dovranno essere muniti di documento di identità e del Green-Pass attestante l’avvenuta vaccinazione contro il virus Covid, da esibire nel caso di richiesta;

- Il non vedente/ipovedente, oltre ai documenti sopracitati, dovrà essere munito di regolare tessera dell'U.I.C.I., della fotocopia del verbale di cecità e del verbale legge 104 da poter esibire nel caso di esenzioni di tickets.

Fiduciosi in una Vostra partecipazione all’iniziativa, restiamo in attesa della Vostra pronta adesione.


Cordiali saluti

(Il gruppo organizzatore della gita)

venerdì 20 agosto 2021

Luino, caso dipendenti disabili in Comune

Luinonotizie.it del 20/08/2021

“Adempiere in modo celere per evitare discriminazioni”. Sul caso, denunciato dal consigliere Artoni, al quale ha risposto la vicesindaca Sonnessa, interviene la sezione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

La scorsa settimana il consigliere comunale Furio Artoni aveva denunciato il caso riguardante una “Mancata tutela di dipendenti con disabilità da parte dell’amministrazione comunale”, al quale aveva risposto direttamente la vicesindaca Antonella Sonnessa, con delega al Personale, che aveva rimandato al mittente le critiche, rispondendo che “La tutela dei più deboli è impegno quotidiano” della giunta guidata da Enrico Bianchi.

A sua volta, però, l’avvocato Artoni e capogruppo di minoranza di “Azione Civica per Luino e frazioni” aveva controreplicato ulteriormente, chiedendo all’amministrazione un “intervento in modo chiaro, pubblico e trasparente”. Oggi, però, a prendere parola è il presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti onlus, Sezione Territoriale di Varese, il professor Pier Carlo Cremona.

“Lo Stato Italiano ha affidato ad U.I.C.I. la rappresentanza e la tutela degli interessi di coloro che hanno perso la vista o hanno patologie visive invalidanti – ha esordito il professor Cremona -. Avendo appreso dagli articoli pubblicati su questo giornale negli scorsi giorni che la disabilità visiva e la relativa integrazione lavorativa sono divenute oggetto di dibattito politico e amministrativo, ho ritenuto moralmente doveroso chiarire ai cittadini di Luino la suddetta questione dal nostro punto di vista. Nel merito ci limiteremo a rilevare i soli fatti e non le parole o le promesse perché i fatti sono quelli che dimostrano l’adempimento o meno da parte degli Enti e delle Autorità preposte al rispetto delle leggi”.

“Un fatto che tutti possono appurare è la presenza di un problema non risolto all’interno del Comune di Luino, altrimenti non sarebbe argomento di discussione politica in cui non vogliamo entrare – continua il presidente -. Il nostro atteggiamento è quello del buon padre di famiglia e, dunque, abbiamo messo gratuitamente le nostre capacità e competenze a completa disposizione della passata amministrazione comunale di Luino, circa 3 anni fa“.

“Abbiamo cercato un dialogo anche con la nuova amministrazione – prosegue ancora Cremona -, in vista della possibilità di attivare e condividere percorsi mirati ad implementare e riconsolidare le competenze del nostro assistito, che nel frattempo si è mosso autonomamente con grande solerzia ed efficienza. Negli ultimi contatti telefonici intercorsi con i dirigenti politici ed amministrativi del Comune di Luino, è stata rilevata una certa difficoltà nella comunicazione interna che, purtroppo non ha aiutato la situazione“.

“In ogni caso è possibile affermare che se si avesse l’ardire di mettere alla prova il nostro assistito per un tempo determinato in un altro ruolo, vista la grande esperienza lavorativa maturata proprio all’interno di tale Comune, si potrebbe rimanere positivamente impressionati nel constatare che anche noi sappiamo ‘fare’ come i normodotati, ovviamente in modo differente e con tempi diversi, ma con risultati ottimi. Dateci la possibilità di dimostrarvi ciò che sappiamo fare e permetteteci di aiutarvi”, continua ancora il presidente U.I.C.I..

“La nostra attività comporta una costante azione di supporto e segnalazione delle soluzioni possibili nel solco della vigente normativa che offre anche un sostegno economico all’implementazione hardware software che rendono le postazioni di lavoro accessibili. Collaboriamo periodicamente con aziende ed enti pubblici al fine di fornire assistenza ai loro dipendenti con problemi di vista”, afferma ulteriormente.

“Alla luce delle considerazioni esposte, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS – Sezione di Varese invita a garantire la piena accessibilità delle postazioni di lavoro in modo da permettere a coloro che sono portatori di disabilità visiva di lavorare in modo integrato nel proprio posto di lavoro per poter dare l’apporto di cui sono capaci. Tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso l’adozione di ausili idonei e regolarmente funzionanti che devono essere predisposti dal datore di lavoro per consentire una postazione idonea alle caratteristiche fisiche dei lavoratori con una disabilità visiva. Pertanto invitiamo coloro che devono provvedere in tal senso ad adempiere in modo celere e adeguato, evitando discriminazioni o inerzia”, conclude il professor Pier Carlo Cremona, presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti onlus, Sezione Territoriale di Varese.

Alla scoperta di Hans Goldmann, che fece progredire l’oftalmologia di Marco Bongi

Superando del 20/08/2021

In questo 2021 ricorre il trentesimo anniversario dalla scomparsa del grande oftalmologo ceco-elvetico Hans Goldmann il cui nome ricorre assai spesso, ancor oggi, negli ambulatori e negli studi oculistici. Portano infatti l’appellativo “di Goldmann” parecchi strumenti da lui inventati o perfezionati: la lampada a fissura, il tonometro, il perimetro (campimetro) manuale, la lente a tre specchi e altri. I pazienti, dunque, si trovano spesso ad orecchiare il nome di questo scienziato, ma ben pochi sanno qualcosa sulla sua vita e attività. Scopriamone qualcosa di più

In questo 2021 ricorre il trentesimo anniversario dalla scomparsa del grande oftalmologo ceco-elvetico Hans Goldmann il cui nome ricorre assai spesso, ancor oggi, negli ambulatori e negli studi oculistici. Portano infatti l’appellativo “di Goldmann” parecchi strumenti da lui inventati o perfezionati: la lampada a fissura, il tonometro di Goldmann, il perimetro manuale di Goldmann, la lente a tre specchi ecc. I pazienti, dunque, si trovano spesso ad orecchiare il nome del grande oftalmologo, ma ben pochi sanno qualcosa sulla sua vita e attività.

Goldmann nacque a Chomutov, nell’attuale Repubblica Ceca, il 25 novembre 1899. Studiò presso il locale Liceo dei Gesuiti e poi all’Università Carolina di Praga. Era dotato, fin da piccolo, di una prodigiosa memoria, tanto da poter ripetere, dopo averlo letto una sola volta, tutto il primo canto dell’Iliade. Si racconta che fosse, soprattutto, appassionato di astrofisica, ma che si convinse a specializzarsi in oftalmologia perché tale scienza, a parere dei familiari, presentava una maggiore utilità pratica per la vita quotidiana.

Dopo avere lavorato a Praga per cinque anni, si trasferì a Berna, nel 1924, svolgendo l’attività di assistente del famoso oculista svizzero August Siegrist. Dopo qualche anno succedette al maestro, diventando così Direttore della Clinica Oculistica Universitaria di Berna, ciò che diede inizio a una lunga e luminosa carriera accademica conclusasi solo nel 1968.

Fra le numerose ricerche che portò avanti, vi furono importanti studi sulla patogenesi della cataratta. In tale àmbito si ricorda, soprattutto, una celebre disputa circa l’origine della cataratta da energia radiante, anche detta “dei soffiatori di vetro”. Nello specifico, il professor Alfred Vogt, direttore della Clinica Universitaria di Zurigo, sosteneva che l’opacizzazione del cristallino fosse causata principalmente dall’assorbimento diretto dei raggi infrarossi, mentre Goldmann era convinto che l’energia radiante giungesse alla lente tramite l’iride. Intorno agli Anni Ottanta, infine, dopo numerose verifiche sperimentali, si stabilì che, in un certo senso, avevano ragione entrambi.

Goldmann si interessò molto anche di uveite e glaucoma, ottenendo risultati molto significativi su entrambi i fronti. Grazie inoltre alla collaborazione con la Società Haag-Streit Holding ag, riuscì a progettare numerosi strumenti tecnologici innovativi, ad esempio migliorando notevolmente la lampada a fessura, inventata nel 1911 da Allvar Gullstrand. Nel 1954, poi, presentò per la prima volta il tonometro che ancor oggi porta il suo nome e che portò indubbiamente a un passo avanti fondamentale per la misurazione della pressione oculare e per il monitoraggio del glaucoma.

Risale invece al 1959 l’invenzione della lente a contatto con tre specchi che consentiva una misurazione precisa e non invasiva dell’angolo irido-corneale.

Molte persone con retinopatia ricorderanno infine di essere stati più volte sottoposti, fino a qualche decennio fa, all’esame del campo visivo con il perimetro (campimetro) manuale di Goldmann. Questo dispositivo fu sviluppato negli Anni Quaranta e consentiva di valutare meglio, rispetto ai sistemi precedenti, le alterazioni del campo visivo periferico tipiche della retinite pigmentosa. Oggi, con l’avvento dei computer, questo metodo appare ormai superato, ma non è difficile trovare, ancora ai giorni nostri, alcuni esemplari del campimetro manuale in studi oculistici privati e pubblici.

Presidente dell’APRI di Torino (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti).

mercoledì 18 agosto 2021

Persone con disabilità in aereo vicine all’accompagnatore (e senza costi in più)

Superando del 18/08/2021

Un provvedimento emanato in luglio dall’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) ed entrato in vigore dal 15 agosto, impone a tutte le compagnie aeree operanti in Italia, sin dalla fase di prenotazione e acquisto del biglietto aereo, di garantire alle persone con disabilità o con ridotta mobilità assistite da un accompagnatore l’assegnazione di posti vicini all’accompagnatore, senza alcun costo aggiuntivo e nella medesima classe. Laddove non sia possibile, i passeggeri devono essere seduti nella stessa fila di sedili o a non più di una fila di sedili di distanza dall’accompagnatore.

Tramite una Disposizione del proprio Direttore Generale, l’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) è intervenuta nel luglio scorso sulla questione dei viaggi in aereo per minori e persone con disabilità e mobilità ridotta quando essi sono accompagnati e richiedono l’assegnazione di posti vicini.

In sostanza il provvedimento impone a tutte le compagnie aeree operanti in Italia, sin dalla fase di prenotazione e acquisto del biglietto aereo, di garantire ai bambini e alle bambine di età compresa tra i 2 e i 12 anni che viaggiano con i genitori o con almeno un adulto accompagnatore, nonché alle persone con disabilità o con ridotta mobilità assistite da un accompagnatore, l’assegnazione di posti vicini ai genitori o all’accompagnatore, senza alcun costo aggiuntivo e nella medesima classe. Laddove ciò non sia possibile, i passeggeri devono essere seduti nella stessa fila di sedili o a non più di una fila di sedili di distanza dall’accompagnatore.

L’ENAC, inoltre, ha stabilito anche la ripetizione delle somme versate a titolo di sovrapprezzo, per i viaggi effettuati dalla data di entrata in vigore del provvedimento, così come le somme versate per viaggi già acquistati e non ancora effettuati sempre alla data di entrata in vigore della Disposizione.

In caso di accertata violazione, l’Ente, come si legge all’articolo 4 della Disposizione, «procederà alla irrogazione di provvedimenti sanzionatori nei confronti delle compagnie aeree, ai sensi di quanto disciplinato dall’art. 7 del Decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 69 sulla precedenza ed assistenza da riservare alle persone con mobilità ridotta ed ai bambini non accompagnati».

Quell’articolo 7 del Decreto Legislativo citato prevede, va ricordato «una sanzione amministrativa da euro diecimila a euro cinquantamila».

Tale Disposizione dell’ENAC avrebbe dovuto originariamente entrare in vigore sin dal 27 luglio, ma un’istanza cautelare avanzata dalla compagnia Ryanair, accolta dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, ne ha fatto slittare l’avvio al 15 agosto scorso. (S.B.)

Ringraziamo per la segnalazione l’Ufficio Stampa dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).

martedì 17 agosto 2021

Contributi in linea con la Convenzione ONU e la Strategia Europea

Superando del 17/08/2021

In linea con quanto sottolineato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, secondo cui gli Stati dovrebbero garantire alle organizzazioni rappresentative di persone con disabilità «stabile accesso a fondi nazionali, per sostenerne le attività, per non limitarne la capacità di stabilire strutture organizzative sostenibili» e anche basandosi sulla Strategia Europea per i Diritti delle Persone con Disabilità, la Giunta della Regione Lombardia ha approvato uno stanziamento straordinario di 200.000 euro a favore delle Federazioni LEDHA e FAND Lombardia.

Tramite una Delibera prodotta nel luglio scorso, la Giunta della Regione Lombardia ha approvato uno stanziamento di 200.000 euro a favore della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e della FAND Regionale (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità), quale «contributo straordinario per il lavoro svolto […] in qualità di Federazioni sia per le Associazioni aderenti, con l’impegno a essere interlocutori con particolare riguardo a tutte le persone con disabilità prive di altri riferimenti associativi».

«La Delibera – come si legge in una nota diffusa dalla LEDHA – richiama la Strategia Europea per i Diritti delle Persone con Disabilità e la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e fa riferimento al “ruolo fondamentale” riconosciuto alle Associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie, sostenendone la capacità rappresentativa, l’empowerment e garantendo il coinvolgimento e la partecipazione attiva delle stesse ai diversi processi decisionali».

Nello specifico, il contributo rientra all’interno di quanto previsto dal Commento Generale n. 7 del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, riguardante gli articoli 4.3 e 33.3 della citata Convenzione ONU, in cui si afferma che gli Stati dovrebbero garantire alle organizzazioni rappresentative di persone con disabilità «stabile accesso a fondi nazionali, per sostenerne le attività ed evitare situazioni in cui debbano fare affidamento solo su fonti esterne, ciò che ne limiterebbe la capacità di stabilire strutture organizzative sostenibili».

«Questo – ha commentato Walter Ferrari, neoletto presidente della FAND Lombardia – anche in considerazione del fatto che le due Federazioni sono nate per promuovere e difendere i diritti delle persone con disabilità e che, oggi più che mai, operano per rimuovere qualsiasi ostacolo che ne impedisca la piena inclusione sociale, oltre a partecipare al coordinamento delle politiche e delle iniziative nei settori della previdenza, dell’assistenza, dell’istruzione, della sanità, della sicurezza, dell’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali, della comunicazione, dello sport e, non ultimo del collocamento al lavoro».

«Ci auguriamo che questo riconoscimento – dichiara dal canto suo Alessandro Manfredi, presidente della LEDHA – porti a riconsiderare la nostra presenza fra le Associazioni più rappresentative previste dalla Legge Regionale 1/08 [“Testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso”, N.d.R.]». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it (Ilaria Sesana).

lunedì 16 agosto 2021

L’indennità di accompagnamento non fa reddito

Superando del 16/08/2021

«Abbiamo ottenuto la rassicurazione che in nessun modo l’indennità di accompagnamento sarà rivista modulandola sul reddito»: lo ha dichiarato Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), a conclusione di un incontro avuto con il presidente dell’INPS Pasquale Tridico, durante il quale altre rassicurazioni sono arrivate anche sul tema della Disability Card e sui diritti delle parti di unione civile, manifestando la volontà dell’Istituto di facilitare l’accesso alle prestazioni assistenziali in maniera più lineare e non frammentata.

«Abbiamo ottenuto la rassicurazione che in nessun modo l’indennità di accompagnamento sarà rivista modulandola sul reddito, proprio perché, secondo quanto di recente stabilito anche dal Consiglio di Stato [Sentenza n. 07850-2020, N.d.R.] la stessa indennità di accompagnamento esula dalla nozione di reddito ai fini del calcolo ISEE»: lo ha dichiarato Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), a conclusione di un incontro avuto con il presidente dell’INPS Pasquale Tridico.

Proprio recentemente, ricordiamo, lo stesso Falabella aveva espresso grande preoccupazione, come riferito sulle nostre pagine, per le parole pronunciate nel luglio scorso dal Presidente dell’INPS, in sede di presentazione alla Camera della Relazione Annuale dell’Istituto, dalle quali sembrava appunto di intendere la volontà di rivedere l’assegno di accompagnamento, modulandolo sul reddito». «È questa un’ipotesi – aveva commentato il Presidente della FISH – che non intendiamo nemmeno prendere in considerazione, in quanto l’indennità di accompagnamento non costituisce incremento di ricchezza, ma un importo riconosciuto a titolo meramente compensativo o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità».

Ora, dunque, sono arrivate a tal proposito le rassicurazioni di Tridico, che non sono per altro state le sole, durante il recente incontro con la FISH.

«Si è parlato infatti – informa Falabella- anche dell’entrata in vigore nel nostro Paese, entro breve tempo, della Disability Card, cioè della misura prevista dall’Unione Europea, che introduce una tessera unica per permettere l’accesso alle persone con disabilità a vari servizi, consentendone la piena inclusione nella vita sociale della comunità. E anche l’impegno all’adozione di un provvedimento, da parte dell’INPS, che garantisca il diritto delle parti di unione civile ad avere gli stessi benefìci, cioè i congedi e i permessi previsti dalla Legge 104/92 e dal Decreto Legislativo 151/01, per l’assistenza a una persona con disabilità, alle stesse condizioni immaginate per i coniugi, e cioè anche per l’assistenza ai parenti dell’altra parte dell’unione».

«Raccogliendo dunque con favore l’impegno del Presidente dell’INPS – prosegue Falabella – a migliorare i servizi per la richiesta dei benefìci da parte della persona con disabilità, oltreché a voler potenziare il processo di gestione delle prestazioni erogate tramite il collegamento di tutti gli attori coinvolti, intendiamo tuttavia puntualizzare che la riorganizzazione nel processo di accertamento dell’invalidità dovrà in realtà trasformarsi necessariamente nella valutazione della condizione di disabilità, in linea con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».

«E in ogni caso – conclude il Presidente della FISH – si è trattato di un incontro intenso e proficuo da cui è emersa l’intenzione dell’INPS di voler facilitare l’accesso alle prestazioni assistenziali in maniera più lineare e non frammentata, come invece è avvenuto fino ad oggi». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it (Gaetano De Monte).