giovedì 27 giugno 2019

"I miei occhi per la tua spesa": progetto pilota a supporto delle persone non vedenti e ipovedenti

Torino Oggi del 27.06.2019

TORINO. Carrefour Italia conferma il suo impegno verso i temi della diversità e dell’inclusione con la collaborazione tra l’Ipermercato Carrefour di corso Monte Cucco 108, a Torino e UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) del capoluogo piemontese.

Il protocollo d’intesa, siglato nell’ambito delle attività di Carrefour Italia del Diversity Day 2018, punta a facilitare l'esperienza di spesa, presso il punto vendita, a persone cieche o ipovedenti che fanno parte della associazione UICI, ma non solo.

Infatti, un numero dedicato è disponibile per prenotare l’appuntamento con un assistente alla vendita completamente a disposizione per il sostegno alla spesa. Una volta arrivati presso il punto vendita di Corso Monte Cucco, il cliente viene accompagnato durante tutto il suo percorso d’acquisto da un collaboratore di Carrefour Italia formato appositamente da referenti dell’UICI.

Muoversi nei reparti di un ipermercato, spostarsi tra le corsie ed orientarsi tra gli scaffali, scegliere tra le diverse proposte assortimentali, controllare le offerte, mettersi in fila alle casse: sono azioni quotidiane, che possono, in qualche modo, rappresentare una difficoltà per chi non vede o ha una grave limitazione della vista. Con questa iniziativa, di grande valenza sociale, Carrefour Italia vuole sottolineare l’importanza del tema dell’inclusione, che ha come obiettivo primario quello di far diventare l’Ipermercato un punto di riferimento anche della comunità delle persone non vedenti e ipovedenti, abbattendo qualsiasi barriera della diversità e promuovendo l’integrazione cittadina.

“Carrefour Italia è impegnata da anni sui temi della diversità e dell’inclusione promuovendo la comprensione del significato della diversità - commenta Paola Accornero, Direttrice Risorse Umane Carrefour Italia – “L’obiettivo delle attività come la spesa assistita, è quello di creare un ambiente sempre più inclusivo, grazie anche alla professionalità e alle competenze che associazioni come UICI Torino mettono a disposizione dei nostri collaboratori, sempre pronti a rispondere alle esigenze e alle necessità di tutti i nostri clienti.”

“Da quasi un secolo la nostra associazione lavora per abbattere le barriere e per promuovere il pieno inserimento dei disabili visivi nella società. È una missione che inizia proprio dalle azioni quotidiane – osserva il presidente UICI Torino, Giovanni Laiolo – La possibilità di fare la spesa in autonomia e tranquillità aggiunge un prezioso tassello al progetto di integrazione che stiamo costruendo. Ringraziamo Carrefour per la sensibilità e l’intraprendenza dimostrate. Siamo felici di questa collaborazione, anche perché ci dà l’opportunità di promuovere una cultura sana della disabilità visiva. Se affrontate con strumenti adeguati, la cecità o l’ipovisione non impediscono di vivere una vita normale, piena e soddisfacente”.

Il servizio è disponibile in giorni e orari fissi: il mercoledì dalle 9.00 alle 12.00 e il giovedì dalle 16.00 alle 19.00 (per un massimo di quattro accompagnamenti ogni turno). L’assistenza deve essere prenotata con anticipo, telefonando ai numeri 0117074759 oppure 0117074762, attivi dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 15.00, comunicando giorno e orario dell’arrivo al punto vendita.

Sordocecità e disabilità aggiuntive: un fenomeno da affrontare in modo efficace

Superando.it del 27.06.2019

Favorire la conoscenza sul tema della sordocecità e promuovere il dibattito a livello pubblico e istituzionale, individuando modalità e azioni volte ad affrontare in modo efficace una vera e propria condizione sociale diffusa, che tenendo conto anche delle disabilità aggiuntive (motorie e mentali), coinvolge diverse migliaia di persone nel nostro Paese: è questo l’obiettivo del convegno ancora in corso a Roma, organizzato dalla Lega del Filo d’Oro e dall’UICI, in occasione della Seconda Giornata Nazionale delle Persone Sordocieche.

ROMA. «Questa Giornata rappresenta l’occasione per far conoscere a quante più persone possibili la sordocecità e vuole essere un momento di confronto fondamentale tra Istituzioni e Associazioni del Terzo Settore, per fornire risposte concrete ai bisogni delle persone sordocieche, partendo dal diritto all’inclusione. La piena attuazione della Legge 107/10, che ha riconosciuto la sordocecità come una disabilità unica e specifica, potrebbe agevolare questo processo, rappresentando un punto di partenza per queste persone e le loro famiglie. Mi preme inoltre ricordare che Sabina Santilli, sordocieca dall’età di 7 anni a causa di una meningite, ha voluto con tenacia anche in Italia un’organizzazione per le persone sordocieche, fondando nel 1964 la Lega del Filo d’Oro».

Così Rossano Bartoli, presidente della stessa Lega del Filo d’Oro, ha aperto il convegno intitolato Diffondere informazione e cultura con la forza di una rete, in corso di svolgimento a Roma, presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica (se ne legga anche la nostra presentazione), evento organizzato insieme all’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), in occasione della Seconda Giornata Nazionale delle Persone Sordocieche di oggi, 27 giugno.

«È vitale far comprendere al Governo e alle Istituzioni italiane – ha aggiunto dal canto suo Mario Barbuto, presidente dell’UICI – quanto sia importante irrobustire, ampliare e proseguire il percorso di tutela di questa ampia collettività, offrendo loro l’opportunità di gestire il proprio ambiente domestico e sociale con il maggior grado di autonomia possibile, sviluppando nuove competenze, strumenti di comunicazione e innovazioni sempre più utili ed efficaci per superare le barriere che ostacolano una vita realmente inclusiva».

Come facilmente intuibile, dunque, dalle dichiarazioni dei due Presidenti, il convegno voluto da Lega del Filo d’Oro e UICI ha sostanzialmente l’obiettivo di favorire la conoscenza sul tema della sordocecità e di promuovere il dibattito a livello pubblico e istituzionale, individuando modalità e azioni volte ad affrontare in modo efficace quella che è diventata una vera e propria condizione sociale diffusa, che coinvolge diverse migliaia di persone nel nostro Paese.

In Italia infatti, secondo uno studio condotto qualche tempo fa dall’ISTAT, in collaborazione con la Lega del Filo d’Oro (se ne legga ampiamente anche sulle nostre pagine), le persone affette da problematiche legate sia alla vista che all’udito sono 189.000 e circa 108.000 di esse risultano di fatto confinate in casa, non essendo in grado di provvedere autonomamente a se stesse a causa di altre gravi forme di disabilità, che spesso si aggiungono ai problemi di vista e udito.

Secondo quello stesso studio, inoltre, il 64,8% delle persone sordocieche è donna, mentre l’87,9% ha più di 65 anni. Il 31,2% vive nelle Regioni del Nord, il 30,6% in quelle del Sud, il 21,4% nel Centro e il 16,8% nelle Isole.

«Grazie alla Legge 107/10 – viene scritto in una nota prodotta congiuntamente da Lega del Filo d’Oro e UICI -, realizzata sulla base degli indirizzi contenuti nella Dichiarazione sui Diritti delle Persone Sordocieche del Parlamento Europeo del 12 aprile 2004, la sordocecità è stata riconosciuta come disabilità specifica unica (in precedenza si riferiva alla sommatoria delle due patologie). Eppure, oggi, quella norma appare inadeguata al fine di una tutela giuridica collettiva che includa tutte le persone con disabilità aggiuntive. È dunque necessario e urgente renderla più attuale, adattandola a un contesto sociale in evoluzione in cui i moderni strumenti di comunicazione e di conoscenza devono garantire un processo inclusivo, dando la possibilità a tutte le persone sordocieche di realizzare se stesse e di accedere al mondo del lavoro».

A tal proposito, vale la pena segnalare la laurea recentemente ottenuta proprio da una giovane donna sordocieca, Francesca Donnarumma, cui abbiamo dedicato un nostro approfondimento (a questo link).

«La dimensione di questo fenomeno – si legge ancora nella nota di Lega del Filo d’Oro e UICI – si amplia poi, considerando che più del 55% delle persone con disabilità sensoriali sperimenta importanti restrizioni alla propria autonomia, non potendo uscire di casa, a causa di altre forme di disabilità che si sommano a quelle di vista e udito. Ad esempio, secondo i dati emersi dallo studio condotto nel 2016 dall’ISTAT, la metà circa delle persone sordocieche (il 51,7% del totale) presenta anche una disabilità motoria. E ancora, per 4 disabili su 10 si riscontrano danni permanenti legati a insufficienza mentale, mentre disturbi del comportamento e malattie mentali riguardano quasi un terzo dei sordociechi (il 32,5% dei casi)».

«A tal proposito – conclude la nota – il territorio gioca un ruolo essenziale per garantire in modo capillare servizi che assicurino crescita, cultura e inclusione alle persone sordocieche. Per questo è necessario adoperarsi affinché non solo tutti i Distretti italiani siano presidiati da interventi ad hoc, ma è altresì opportuno mettere a sistema un metodo che dia valore aggiunto a questi servizi, creando una modalità unificata e condivisa, facendo cioè sì che i pluridisabili e le loro famiglie possano utilizzare gli stessi servizi ovunque, senza doversi spostare dal proprio domicilio, subendo importanti disagi logistici». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: a.dinatolo@inc-comunicazione.it (Alessandra Dinatolo); ustampa@uiciechi.it (Vincenzo Massa).

Avviato il percorso verso il Piano Nazionale sulla Non Autosufficienza

Superando.it del 27.06.2019

Un Fondo per la Non Autosufficienza notevolmente ampliato nella sua entità, che sia integrativo e non sostitutivo di servizi non resi a livello regionale e che sappia individuare le persone con le maggiori necessità di sostegno. E, non ultima, l’esigenza che i piani per la vita indipendente diventino un’opportunità continua e certa in tutto il territorio nazionale: sono alcune delle considerazioni espresse dalla Federazione FISH al Tavolo con cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha avviato il confronto per la definizione di un Piano Nazionale sulla Autosufficienza.

«Sarà un percorso impegnativo e di intensa elaborazione per il quale però siamo attrezzati, forti di elaborazioni pluriennali che hanno avuto il merito di porsi in un’ottica di ascolto, confronto e sintesi, ad iniziare dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità all’interno del quale abbiamo già ampiamente condiviso molte riflessioni confluite poi nel secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità [Decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017, N.d.R.]: così Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), commenta l’esito del Tavolo convocato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per iniziare un confronto per la definizione di un Piano Nazionale sulla Non Autosufficienza.

Per l’occasione erano presenti sia le organizzazioni di persone con disabilità – tra cui appunto la FISH – sia referenti sindacali, della Conferenza delle Regioni, dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), dell’INPS e del Forum Nazionale del Terzo Settore. Il Governo era rappresentato dai sottosegretari Claudio Cominardi (Lavoro e Politiche Sociali) e Vincenzo Zoccano (Famiglia e Disabilità).

«Il confronto – si legge in una nota diffusa dalla FISH – è partito correttamente dall’analisi dei dati sulla spesa e sull’impiego del Fondo per la Non Autosufficienza, che negli ultimi anni ha visto un progressivo aumento degli stanziamenti, giungendo per il 2019 a circa 570 milioni di euro. Il Ministero ha prodotto in tal senso un report che ha preso le mosse dal monitoraggio dell’impiego del Fondo da parte delle Regioni, tra le quali non tutte hanno risposto. Va qui ricordato che nel tempo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in occasione dell’approvazione dei relativi Decreti di Riparto, ha introdotto alcuni indicatori selettivi che consentissero di individuare le disabilità gravissime o, per essere più precisi, quelle persone non autosufficienti che necessitano di assistenza vitale. Nel 2016, quindi, erano state individuate con precisione alcune condizioni patologiche che rientrassero in quella indicazione espressa dal Legislatore, fornendo anche gli indicatori (scale) da applicare. Uno sforzo ulteriore è stato praticato per individuare le effettive condizioni di grave carico assistenziale e anche qui sono stati individuati degli indicatori, di facile applicazione, che consentano di delineare vari livelli di bisogno assistenziale e, conseguentemente, di graduare gli interventi, tenendo conto della limitazione delle risorse a disposizione. Al momento questi indicatori non sono ancora stati adottati».

«Da un’analisi del Ministero del Lavoro – prosegue la nota -, il Fondo raggiunge attualmente solo il 5% dei titolari di indennità di accompagnamento. Quindi i destinatari effettivi sono ancora molto limitati: circa 110.000 beneficiari, di cui circa 50.000 gravissimi. La suddivisione delle risorse ipotizzata inizialmente era di almeno del 50% ai gravissimi. In realtà, dai dati prodotti dal Ministero si rileva una notevole differenza dalle percentuali stimate e soprattutto una grande disomogeneità territoriale. In particolare, in alcuni casi si è andati ben oltre il 50% per i gravissimi (ad esempio, il Molise all’85%) e in genere nel Mezzogiorno si tende a offrire maggiori garanzie a quelle situazioni, anche se, su scala nazionale, la spesa per i gravi è superiore a quella per i gravissimi. Si tratta di disparità territoriali verosimilmente legate alle diverse politiche regionali e alla diversa qualità dei servizi. Ma altre disomogeneità si ravvisano anche nelle modalità di accesso al Fondo, ad esempio nel ricorso all’ISEE familiare [Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.], anziché a quello più favorevole socio-sanitario».

«Una tendenza prevalente – viene ancora sottolineato ancora dalla FISH – è invece quella della tipologia di supporto richiesto e concesso: quello dell’assistenza indiretta, cioè dell’assegnazione di contributi di natura economica che assumono denominazione diversa a seconda delle Regioni (ad esempio assegno di cura, contributo per la non autosufficienza ecc.). Questa voce rappresenta circa il 90% della spesa complessiva. Ebbene, è su tutte queste analisi e valutazioni, oltre che sulle elaborazioni successive, che c’è l’intento di costruire un Piano Nazionale per la Non autosufficienza».

Ai lavori del Tavolo convocato dal Ministero, dunque, la FISH, da sempre in prima linea su questi aspetti, ha espresso alcune considerazioni preliminari: «In linea generale il Fondo per la Non Autosufficienza deve essere considerato come fondo integrativo e non sostitutivo di servizi non resi o di politiche regionali assenti o deboli. In tal senso è centrale, nella realizzazione del Piano per la Non Autosufficienza, monitorare la qualità della spesa delle Regioni, per evitare sperequazioni territoriali come oggi avviene. In secondo luogo, tenendo conto che l’ultima Legge di Bilancio prevede uno stanziamento per il Fondo Nazionale per l’Autosufficienza pari a 573 milioni per il 2019, 571 per il 2020 e 569 per il 2021 e che dal 2022 il Bilancio prevede 5,6 miliardi all’anno, la nostra Federazione chiede la conferma di questo intento e, possibilmente, di anticiparne lo stanziamento. Il terzo elemento, infine, riguarda l’individuazione dei destinatari di queste misure: gli strumenti e le modalità, infatti, dovrebbero essere basati su un riconoscimento della condizione di disabilità congruente con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e quindi anche individuando le necessità di maggiore sostegno assistenziale».

«Un ulteriore elemento centrale – conclude la nota della FISH – riguarda i progetti per la vita indipendente: essi devono uscire dallo sperimentalismo in cui sono stati fino ad oggi confinati con un finanziamento residuale, per diventare un’opportunità realmente perseguibile con continuità e certezza su tutto il territorio nazionale. Quindi finanziamento proprio e specifico e diffusione di modelli consolidati». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it.

mercoledì 26 giugno 2019

VIBE - Voyage Inside a Blind Experience - 18/07/2019, Auditorium Regione Lombardia

Evento finale del progetto VIBE 

Si avvia alla conclusione l'entusiasmante avventura del progetto Voyage Inside a Blind Experience, la mostra itinerante dedicata a Josef e Anni Albers completamente accessibile alle persone non vedenti.

In soli 9 mesi, 75 mila persone hanno visitato questa innovativa mostra, che ha toccato tre sedi espositive: Santa Maria della Scala a Siena, The Glucksman – Cork University College (Irlanda) e il Museo di Arte Contemporanea di Zagabria (Croazia). 

L'appuntamento finale, aperto a tutti, sarà l'occasione per presentare i risultati di questa esperienza e per riflettere sui temi dell'arte e della sua accessibilità. 

Quando 
Giovedì 18 luglio 2019 

Registrazione partecipanti: ore 8.45
Inizio dei lavori: ore 10.00
Fine dei lavori: ore 12.45

Dove
Auditorium Giovanni Testori, Piazza Città di Lombardia, Milano

Info
Per accedere all'evento è indispensabile avere il documento di identità.

Ogni partecipante iscritto avrà diritto a ricevere, al termine dei lavori, un voucher esclusivo per l’accesso alla mostra Dialogo nel Buio.

La partecipazione è gratuita fino ad esaurimento posti, tramite registrazione (obbligatoria).

Registrati al seguente link:

lunedì 24 giugno 2019

La partecipazione delle donne con disabilità a tutti i processi decisionali, di Simona Lancioni

Superando.it del 24.06.2019

Nel “Commento Generale n. 7” del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, in tema di partecipazione delle persone con disabilità all’implementazione e al monitoraggio della Convenzione ONU, la questione del genere connesso alla disabilità viene posta costantemente, in relazione a molti aspetti considerati. «Ricordando – scrive Simona Lancioni – la sostanziale assenza in Italia di politiche specificamente rivolte alle donne con disabilità, diventa chiara l’importanza di un documento che sottolinea il valore irrinunciabile della partecipazione delle stesse ai processi decisionali».

Un pregiudizio ancora molto radicato ritiene che la prospettiva di genere si applichi solo quando si tratta di questioni tipicamente femminili. Si parla di maternità o di ginecologia? Difficile non chiedersi cosa ne pensano le donne. Se invece si parla di temi più trasversali, riguardanti sia gli uomini che le donne, come, ad esempio, la partecipazione alla vita della comunità, e, più in generale, ai processi decisionali, «cosa ne pensano le donne?» diventa una domanda poco scontata, per alcuni impertinente, per altri inopportuna o, ancora, inadeguata e pretestuosa.

Accade anche nel mondo della disabilità, dove la questione di genere – ammesso che le stesse donne con disabilità si ricordino di porla – viene evocata solo in relazione al corpo delle donne, a questioni estetiche (come se solo alle donne fosse richiesto di occuparsi del proprio aspetto), alla violenza di genere, alla maternità e ai servizi sanitari specificamente femminili (ginecologia e ostetricia).

In questo contesto, che denota un approccio riduttivo e parziale alle questioni della disabilità al femminile, si distinguono e splendono come il sole i pronunciamenti del Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ovvero l’organismo deputato a vigilare sull’applicazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità negli Stati che l’hanno ratificata, tra i quali, com’è ben noto, figura anche l’Italia (Legge 18/09).

Qualche tempo fa, infatti, è stata resa pubblica la traduzione in italiano del Commento Generale n. 7 sulla partecipazione delle persone con disabilità, inclusi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, nella implementazione e nel monitoraggio della Convenzione, prodotto appunto dal Comitato ONU nel 2018 [se ne legga ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.].

Tale traduzione, sebbene non ancora ufficiale, è stata curata da Luisella Bosisio Fazzi, componente del Comitato di Redazione del FID (Forum Italiano sulla Disabilità) e Sara Carnovali, dottoressa di ricerca in Diritto Costituzionale, e autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in tema di diritti delle persone con disabilità, tra le quali Il corpo delle donne con disabilità. Analisi giuridica intersezionale su violenza, sessualità e diritti riproduttivi” (Aracne, 2018), opera della quale abbiamo già avuto modo di occuparci su queste stesse pagine.

Ebbene, possiamo convenire che il coinvolgimento delle persone con disabilità nell’implementazione e nel monitoraggio della Convenzione ONU non sia un argomento tipicamente femminile, ma ciò nonostante nel Commento Generale n. 7 la questione del genere connesso alla disabilità è posta con costanza e meticolosità in relazione a molti aspetti considerati nel testo. Vediamo meglio come è stata trattata.

Col Commento Generale n. 7 il Comitato ONU ha voluto chiarire gli obblighi degli Stati Parti ai sensi degli articoli 4, paragrafo 3 («Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative») e 33, paragrafo 3 («La società civile, in particolare le persone con disabilità e le loro organizzazioni rappresentative, è associata e pienamente partecipe al processo di monitoraggio»), della Convenzione, nonché rispetto alla loro implementazione.

Dopo avere enumerato, nell’Introduzione, i vari documenti sui diritti umani che concordano nel riconoscere la partecipazione quale principio e diritto umano, il Comitato ONU specifica che «le organizzazioni di donne con disabilità, di minori con disabilità e di persone che vivono con HIV/AIDS sono organizzazioni di persone con disabilità ai sensi della Convenzione» (punto 11) e, in quanto tali, vanno coinvolte nei processi decisionali [grassetti nostri in questa e in tutte le successive citazioni, N.d.R.].

Poco più avanti (punto 12, lettera E), tra i diversi tipi di organizzazioni di persone con disabilità individuati dallo stesso Comitato come soggetti da coinvolgere nei processi decisionali, vengono annoverate anche le «organizzazioni di donne e minori con disabilità, che rappresentino donne e minori con disabilità come un gruppo eterogeneo. La diversità di donne e minori con disabilità deve includere tutti i tipi di menomazioni. Garantire la partecipazione di donne e minori con disabilità è indispensabile nelle consultazioni che affrontano questioni specifiche che riguardano esclusivamente o in modo sproporzionato le donne e le minori con disabilità, nonché le questioni relative alle donne e alle minori in generale, quali le politiche per l’eguaglianza di genere».

Il divieto di discriminazione sulla base del sesso, del genere e anche di orientamento sessuale è espressamente richiamato al punto 16: «Il diritto di partecipare alle consultazioni, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, deve essere riconosciuto su base paritaria per tutte le persone con disabilità, indipendentemente, ad esempio, dal loro orientamento sessuale e dall’identità di genere. Gli Stati Parti devono adottare un quadro globale di contrasto alle discriminazioni per garantire i diritti e le libertà fondamentali di tutte le persone con disabilità, e abrogare le leggi che criminalizzano individui o organizzazioni di persone con disabilità in base a sesso, genere o stato sociale dei loro membri e negano loro i diritti di partecipazione alla vita pubblica e politica».

Un altro richiamo alle organizzazioni di donne si trova al punto 42: «Nelle sue osservazioni conclusive, il Comitato ha ricordato agli Stati Parti il loro dovere di consultare con attenzione e tempestivamente, nonché coinvolgere attivamente, le persone con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, comprese quelle che rappresentano donne e minori con disabilità, nello sviluppo e nell’implementazione di legislazioni e politiche di attuazione della Convenzione e in altri processi decisionali».

Molto chiaro, quindi, risulta l’enunciato, nell’individuare tra gli obblighi degli Stati Parti anche i seguenti: «Gli Stati Parti devono garantire la stretta consultazione ed il coinvolgimento attivo delle organizzazioni di persone con disabilità, che rappresentino tutte le persone con disabilità, includendo ma non essendo limitate a donne, persone anziane, minori, coloro che richiedono alti livelli di sostegno, vittime di mine antiuomo, migranti, rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni, persone senza documenti e apolidi, persone con disabilità psicosociali reali o percepite, persone con disabilità intellettive, persone con funzionamento neuroatipico, inclusi coloro con autismo o demenza, persone con albinismo, danni fisici permanenti, dolore cronico, lebbra, nonché menomazioni visive e persone che sono sorde, sordocieche o con diverse disabilità uditive e/o coloro che vivono con HIV/AIDS. L’obbligo degli Stati Parti di coinvolgere le organizzazioni di persone con disabilità comprende anche le persone con disabilità con uno specifico orientamento sessuale e/o identità di genere, persone con disabilità intersessuali, nonché persone con disabilità appartenenti a popoli indigeni, a minoranze nazionali, etniche, minoranze religiose o linguistiche, e coloro che vivono in zone rurali» (punto 50).

Affinché il coinvolgimento non sia solo formale, il Comitato ONU raccomanda che gli Stati Parti adottino criteri per allocare fondi per la consultazione anche attraverso «lo stanziamento di fondi specifici per le organizzazioni di donne con disabilità e di minori con disabilità per consentire la loro piena ed effettiva partecipazione al processo di elaborazione, sviluppo e implementazione di leggi e politiche e all’attività di monitoraggio» (punto 61, lettera C).
Totalmente dedicati alle donne con disabilità sono poi gli enunciati contenuti nei punti 72 e 73. Vediamoli uno dopo l’altro.

«72. L’articolo 6 della Convenzione richiede misure per garantire il pieno sviluppo, il progresso e l’empowerment di donne e ragazze con disabilità. Gli Stati Parti devono incoraggiare e facilitare la creazione di organizzazioni di donne e ragazze con disabilità, quale ad esempio un meccanismo che consenta la loro partecipazione alla vita pubblica, su base di eguaglianza con gli uomini con disabilità, attraverso le proprie organizzazioni. Gli Stati Parti devono riconoscere il diritto delle donne con disabilità di rappresentare ed organizzare se stesse e facilitare il loro effettivo coinvolgimento mediante approfondite consultazioni ai sensi degli articoli 4, paragrafo 3 e 33, paragrafo 3. Le donne e le ragazze con disabilità devono anche essere incluse su base di eguaglianza in tutte le articolazioni e strutture del quadro di implementazione e monitoraggio indipendente. Tutti gli organismi di consultazione, i meccanismi e le procedure devono essere specifici per la disabilità [disability-specific, N.d.R.], inclusivi e garantire l’eguaglianza di genere».

«73. Le donne con disabilità devono essere parte della leadership delle organizzazioni di persone con disabilità su base di eguaglianza con gli uomini con disabilità e acquisire spazio e potere all’interno delle organizzazioni ombrello di persone con disabilità attraverso rappresentanza paritaria, comitati di donne, programmi di empowerment, etc. Gli Stati Parti devono assicurare la partecipazione delle donne con disabilità, incluse le donne che sono sottoposte a qualsiasi forma di tutela o istituzionalizzate, come prerequisito nella progettazione, nell’implementazione e nel monitoraggio di tutte le misure che hanno un impatto sulle loro vite. Le donne con disabilità devono essere in grado di partecipare ai processi decisionali che affrontano questioni che hanno un impatto esclusivo o sproporzionato su loro stesse, nonché sui diritti delle donne e sulle politiche sulla parità di genere in generale, ad esempio le politiche su salute e diritti sessuali e riproduttivi e su tutte le forme di violenza di genere contro le donne».

Il tema del genere viene riproposto anche in relazione alle situazioni di rischio e alle emergenze umanitarie. Si legge infatti al punto 78: «In situazioni di rischio ed emergenze umanitarie (articolo 11), è importante che gli Stati Parti e gli operatori umanitari garantiscano la partecipazione attiva ed il coordinamento nonché una concertazione significativa con le organizzazioni di persone con disabilità, incluse quelle che a tutti i livelli rappresentano donne, uomini e minori con disabilità di tutte le età».

Né poteva mancare un riferimento alle donne in tema di lavoro: l’adozione di tutte le politiche relative al diritto delle persone con disabilità al lavoro e all’occupazione (articolo 27) deve essere posta in essere con la consultazione e il coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità. Tali politiche devono cercare di garantire, tra le altre cose, anche «pari opportunità ed eguaglianza di genere» (punto 86).

Anche nella realizzazione del diritto ad adeguati standard di vita e di protezione sociale (articolo 28), «gli Stati Parti devono, in particolare, cercare di impegnarsi con le organizzazioni di persone con disabilità e con le persone con disabilità che sono disoccupate, che non hanno un reddito fisso o che non possono lavorare a causa della conseguente perdita di agevolazioni o indennità, che vivono in zone rurali o remote, nonché popolazioni indigene, donne e persone anziane» (punto 87).

Infine, per assicurare la piena attuazione degli articoli 4, paragrafo 3 e 33, paragrafo 3, gli Stati Parti devono, tra l’altro, adottare le seguenti misure: «Garantire e sostenere la partecipazione delle persone con disabilità attraverso organizzazioni di persone con disabilità, che riflettano l’ampia diversità di background, tra cui nascita e stato di salute, età, razza, sesso, lingua, nazionalità, origine etnica, indigena o sociale, orientamento sessuale e identità di genere, variazione intersessuale, appartenenza religiosa e politica, status di migrante, gruppi di minorazioni o altri status; […] Collaborare con le organizzazioni di persone con disabilità che rappresentano donne e ragazze con disabilità e assicurare la loro diretta partecipazione a tutti i processi di decisione pubblica in un ambiente sicuro, con particolare riferimento allo sviluppo di politiche concernenti i diritti delle donne e l’eguaglianza di genere, nonché la violenza di genere contro le donne, tra cui la violenza sessuale e gli abusi; […] Consultare e coinvolgere attivamente le persone con disabilità, inclusi i minori e le donne con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, nella progettazione, nell’esecuzione, nel monitoraggio e nella valutazione dei processi decisionali pubblici a tutti i livelli, soprattutto nelle materie che li riguardano, anche in situazioni di rischio e in emergenze umanitarie, fornendo loro scadenze ragionevoli e realistiche nell’esprimere le loro opinioni nonché finanziamenti adeguati e sostegno» (punto 94, lettere G, H e I).

Il Commento Generale n. 7 non è specificamente rivolto all’Italia, ma se consideriamo la sostanziale assenza, nel nostro Paese, di politiche specificamente volte a garantire il pieno godimento dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne e delle ragazze con disabilità – assenza ben esplicitata nei richiami formulati dallo stesso Comitato ONU, nel 2016, nelle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU – allora diventa subito chiara l’importanza di un documento che mette in luce il valore irrinunciabile della partecipazione delle donne con disabilità ai processi decisionali.

Nel sollevare le questioni poste dall’intersezione delle variabili del genere e della disabilità spesso si fatica a trovare ascolto e a venir presi/e sul serio. Ma un pronunciamento del Comitato ONU, la cui autorevolezza è fuori discussione, dovrebbe indurre anche i/le più refrattari/e a cambiare atteggiamento, comprendendo, finalmente, che le donne con disabilità sono esposte a discriminazione multipla, e che l’unico modo per contrastarla consiste nel predisporre politiche mirate. Politiche mirate tra le quali garantire la partecipazione delle donne con disabilità ai processi decisionali, occupa un posto di indiscutibile rilievo.

* Simona Lancioni,

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente approfondimento è già apparso. Viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.


È italiano il percorso tattile all'Egizio del Cairo

Agenzia ANSA del 24.06.2019

IL CAIRO. L'emozione di toccare un capolavoro dell'arte faraonica, di entrare in contatto fisico con 4.000 anni fa smettendo di doverlo solo immaginare sulla base delle parole di altri e senza violare divieti ma, anzi, con la tranquillità di essere autorizzati a farlo in uno dei più celebri complessi museali al mondo: è quanto da oggi, su iniziativa italiana, offre ai non vedenti il museo egizio del Cairo. È stato infatti inaugurato un percorso che consentirà ai non-vedenti di conoscere attraverso il tatto 12 opere celebri del museo di piazza Tahrir, tutti a livello di libri di storia dell'arte, tra cui una sfinge di Amenemhat III risalente al Medio Regno, XII dinastia (quindi circa 1.800 a.C.). L'esperienza è completata da tabelle bilingue (arabo e inglese) in braille e da una speciale penna-audioguida. A disposizione sono opere fatte di pietra dura, come granito e grovacca che possono essere toccate senza subire danni. L'iniziativa, inedita per il prestigioso museo egizio, è inserita nel programma "Vivere all'italiana" della Farnesina ed è stata promossa dall'Ambasciata d'Italia al Cairo grazie all'azione del Centro archeologico dell'Istituto italiano di cultura in collaborazione con il "Museo Tattile Statale Omero" di Ancona (www.museoomero.it). Fra le altre opere a disposizione di ciechi e ipovedenti, cui viene fornita una selezione di testimonianze dell'intero arco della storia faraonica, ci sono anche un colosso di Ramses II, una tavola per la mummificazione, la ieraticamente commovente coppia formata da Sennefer e sua moglie che si sostengono a vicenda con la braccia dietro le spalle, una statua del faraone Amenhotep II con la dea Meretseger e una della dea-leonessa Sekhmet. All'inaugurazione, connotata da una forte e un po’ caotica presenza di media, hanno partecipato il ministro delle Antichità egiziane, Khaled el-Anany, la ministra al Turismo egiziana Rania Al Mashate e l'ambasciatore d'Italia al Cairo, Giampaolo Cantini. Ma a provare per primo l'emozione del viaggio tattile nel profondo passato, assieme a ciechi egiziani provenienti anche da scuole elementari per non-vendenti, è stato Aldo Grassini, il creatore del Museo Omero. "È qualcosa di indescrivibile", di "straordinario", di "molto emozionante", ha detto Grassini in dichiarazioni all'ANSA. "Noi, per conoscere queste cose, non abbiamo le possibilità che hanno i vedenti" come "le fotografie, i filmati. Noi sentiamo parlare di queste cose ma, se non le tocchiamo, di fatto non ne abbiamo una conoscenza" e "dobbiamo lavorare di immaginazione", ha aggiunto Grassini, quasi ottantenne e cieco da quando era bambino. "Invece, toccare queste opere ci dà la possibilità, finalmente, di creare un rapporto concreto, fisico, con questi grandi capolavori", ha aggiunto. "Non tutto può essere toccato, ma non tutto può essere vietato", ha detto Grassini parlando alla Rai. "Se il divieto" è fondato su "ragioni vere, scientifiche" va bene, "ma molto spesso in un museo la prima cosa che si fa è mettere
il cartello 'vietato toccare’ a prescindere, e questa è una cosa che noi cerchiamo di superare" anche utilizzando ad esempio "guanti di lattice" o mani ben pulite con gel: "ci sono tanti modi di toccare" e il museo di Ancona "è il primo" che, dal 1993, "ha aperto questa strada", ha ricordato il suo fondatore.

di Rodolfo Calò

venerdì 21 giugno 2019

Lavoro: riflessioni dopo il convegno all’Istituto dei Ciechi di Milano di venerdì 30 Novembre 2018

Giornale UICI del 21-06-2019

Sono ormai spente le luci sul convegno “Istruzione, formazione e lavoro, un approccio integrato per vincere la sfida dell’occupazione per le persone con disabilità visiva” che ha avuto luogo all’Istituto dei Ciechi di Milano venerdì 30 novembre 2018.

Guardare da qui a quella giornata è come se il tempo non fosse mai trascorso, tali sono ancor oggi vivide le emozioni provate e lusingati come siamo per gli attestati di merito ricevuti dai partecipanti che a vario titolo hanno varcato la soglia della sala Barozzi.

I ritmi frenetici dei preparativi, il compiacimento per le adesioni agli inviti che i relatori confermavano con sorprendente sollecitudine, la selezione degli argomenti da trattare, la composizione dei workshop pomeridiani, le registrazioni on-line che salivano in barba ad ogni più rosea previsione, sono stati momenti indelebili che ora fanno indissolubilmente parte di noi organizzatori.

Formazione, Istruzione, Accessibilità, Normativa, Autonomia, Inclusione, naturalmente Lavoro, non sono già lontane “voci alte e fioche disperse nell’etere senza tempo tinta”, bensì l’intero di un puzzle costruito con tenacia e pazienza, con dedizione e consapevolezza.

Guardare da qui a quella giornata si ha come la sensazione di ascoltare gli strumenti di una composizione, di soffermarsi sulle sue parti, di analizzarne i contenuti.

La certezza che ogni risultato sia frutto di un’azione corale, di una convergenza di intenti, di un’assunzione di responsabilità individuale e collettiva, rappresenta il tesoro più grande, il valore più alto, il regalo più bello che ciascuno dei presenti potrà declinare e conservare a lungo nel proprio bagaglio esperienziale.

La consapevolezza che non esiste “catena più forte del suo anello più debole” è stata la “mano invisibile” all’origine di ogni intenzione e di ogni azione.

Ecco l’arcano del successo dell’iniziativa di quel venerdì all’Istituto: la professionalità e il senso di appartenenza del suo personale.

Allora, quando diverse competenze operano in convergenza per un obiettivo condiviso, quando la spinta prorompente della collaborazione sinergica della Pubblica Amministrazione, del Mondo Accademico, dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, dell’Istituto dei Ciechi di Milano è sostenuta dalla medesima visione, è possibile parlare dell’occupazione dei disabili senza il timore di cadere nella retorica, nella demagogia e in una finta moralità.

Trecento partecipanti alla manifestazione, 40 relatori intervenuti, 10 workshop monotematici organizzati, 20 aziende coinvolte, 50 colloqui individuali, testimoniano la concretezza e l’efficacia dei servizi dell’Istituto dei Ciechi di Milano e, soprattutto, la gioia di sapere che anche le vette dei monti più alti possono essere scalate e conquistate.

Gli intervenuti hanno affrontato il tema del lavoro da diverse angolazioni, mettendo in luce i requisiti indispensabili e le condizioni necessarie perché i processi di inclusione delle persone con disabilità visiva possano definirsi compiuti e pienamente riusciti.

Ancora una volta, ahinoi, abbiamo “toccato con mano” che alla disabilità non vengono fatti sconti. Abbiamo visto che la persona con disabilità può realizzare il sogno di avere un lavoro rispondente alle proprie competenze e alle proprie attitudini a patto che sia capace di soddisfare le aspettative del mercato. Abbiamo ascoltato che per vincere la sfida dell’occupazione per le persone con disabilità visiva occorre un approccio integrato che sviluppi le credenziali necessarie per presentarsi all’ingresso del mondo del lavoro. Ma tutto ciò non basta!

Non va dimenticato e non va fatto dimenticare, in tutta onestà, che la disabilità porta inesorabilmente con sé, dentro di sé, la grande componente della “fragilità”, dinanzi alla quale non è concesso abbassare la testa in nome dell’uguaglianza, delle pari opportunità, del valore delle differenze. Di qui il perenne conflitto dialettico di questo millennio tra uguaglianza e diversità che si sta peraltro consumando in ogni dove ed in tutti i contesti per rispondere al quesito: uguali o diversi?

Al gruppo Dirigente il compito e la responsabilità di convincere attraverso la forza travolgente del potenziale tradotto in azione, di promuovere l’immagine della disabilità come “differente normalità”, di adoperarci per tessere una rete di relazioni sociali sempre più ampia che condividi gli stessi obiettivi.

Io non so se questa battaglia dovrà essere giocata attorno ad un tavolo, su un campo di battaglia o su entrambi gli scenari. Penso che i non vedenti non debbano correre il rischio di essere lasciati soli per nessun motivo ed in nessun luogo a fronteggiare un futuro disseminato di incognite, di muri, di pregiudizi, di pretese.

È un compito che deve caricare di tensione e di enorme adrenalina il nostro tessuto associativo.

Dobbiamo proteggere, difendere, fortificare i confini che ci aiutano a delineare, circoscrivere e marcare la specificità della disabilità visiva, in campo didattico (nelle metodologie e didattiche tiflologiche), in campo tecnologico (nel disporre di adeguata tecnologia assistiva e nella fruizione di procedure/applicativi accessibili), in campo strettamente personale e psicologico (nelle autonomie, nell’orientamento e mobilità, nell’abbattimento delle barriere architettoniche e nel rispetto della normativa vigente).

Quando ti affacci alla finestra della specificità e ti appresti ad osservare il mondo con gli occhi della mente, è come ritrovarsi sul ciglio di un’autostrada a 8 corsie: vedi gente che va, gente che viene, accelerazioni improvvise e velocità sostenute, sorpassi e rientri. Ti accorgi che ognuno è concentrato sulla propria traiettoria, quasi fosse solo su quel tracciato e quasi non esistesse altro al mondo che quel tracciato; è totalmente ignaro di quel che accade e che si muove oltre la finestra, ormai lontana, sullo sfondo, dietro le spalle.

Dobbiamo sostenere i nostri ragazzi nel farsi largo, passo dopo passo, sulla via dell’integrazione, nell’affilare le “armi” della conoscenza, dell’indipendenza, della competizione.

È necessario il sostegno della conoscenza per affermare la ragione dei diritti e per rivendicarli con la consapevolezza e la coscienza di chi sa di poter affermare la propria esistenza quale uomo tra gli uomini con orgoglio e dignità; è necessario possedere l’arma dell’indipendenza, per mettere in luce la ragione dei doveri, per assumersi la responsabilità del proprio ruolo e degli obiettivi prefissati; è necessario affidarsi alla competizione, per reclamare a gran voce la ragione delle pari opportunità, per invogliare a desiderare il superamento dei propri limiti secondo il dilemma “vivere per migliorare o per diventare se stessi” e a porsi in continuazione nuovi traguardi.

Si tratta di punti di forza particolarmente apprezzati da qualsiasi organizzazione aziendale e non preclusi ad alcuno; ragioni da sventolare a quelle finestre spalancate sull’affollato ed anonimo mondo del lavoro, un non luogo, come sembra essere diventato, da umanizzare con i valori della diversità, della solidarietà, della passione; doni, questi ultimi, che la persona con disabilità condivide con il team dei colleghi e la rendono capace di esaltare la propria autonomia (libertà di pensiero) e unicità di persona; strumenti che aprono le porte alla magia dell’incontro, del dialogo, del confronto, della crescita.

Guardare da qui al giorno del Convegno ci fa rivivere l’atmosfera indimenticabile di quegli istanti legati da aspettative, da parole, da prospettive.

L’attenzione rivolta ai candidati non vedenti da Presidenti, Amministratori Delegati, Responsabili delle Risorse Umane, è il primo risultato non casuale di un cammino contrassegnato da studi, fatiche, progetti, ricerche, contatti, sogni! Opportunità da cogliere, da coltivare, da cui imparare. Opportunità che rivestono di uguaglianza e che chiedono di continuare a resistere per proiettarti in avanti, con rinnovata speranza, verso un domani ancora da venire.

L’attesa di una convocazione e di un finanziamento adeguato, l’individuazione della mansione adatta, i sopralluoghi per la verifica dell’accessibilità delle procedure e per la conoscenza del contesto aziendale, la progettazione e la realizzazione di un percorso di formazione mirata, sono alcuni ulteriori passi che separano dal traguardo, da un futuro lontano, forse vicino, vicino ma tanto lontano!

Il fiato incomincia a farsi corto; sono in agguato pensieri depotenzianti del tipo “io non ce la faccio”, “sono uno sfigato”, “è tutta una messa in scena”, ecc.; vengono avanti la rassegnazione e la voglia di mollare.

La capacità di volgere anche in quest’ultimo tratto di salita stati d’animo limitanti in sentimenti potenzianti di determinazione, autostima, fiducia può fare la differenza e sicuramente aiuta a mantenere un atteggiamento positivo verso le cose, verso chi ci circonda, verso la vita.

L’Istituto dei Ciechi di Milano è impegnato ad aprire varchi, a spianare la via, a fornire tutti gli strumenti necessari per rendere il cammino verso la vetta gradevole, stimolante, arricchente.

L’incoraggiamento ad accrescere l’intimo desiderio dell’Uomo di perseguire ciò che più ama è l’aiuto migliore, il servizio più elevato, l’essenza più autentica del ruolo delle nostre istituzioni.

Forse, la vita ci regala l’apoteosi dell’esistenza, la massima espressione di felicità, il godimento della pura e vera bellezza, quando le persone fanno quello che amano di più…

Lavorare è una delle due attività – l’altra è dormire – che facciamo per più tempo nella nostra vita. È bello e stimolante pensare al lavoro non come fatica, come necessità, come must, ma come risposta ad una libera scelta, ad una inclinazione, ad una vocazione, la chiamata della passione, di quello che ami, di ciò che ti fa battere il cuore…

“Forse, una grande opportunità del nostro tempo – contraddistinto dall’incertezza più assoluta – consiste proprio nella scelta di quello che ami maggiormente, se non altro per apparire il più bello del mondo, sulle note di una vita felice!” – A scuola di PNL Raffaele Tovazzi.

Quando Dostoevskij scrisse «la bellezza salverà il mondo», forse intendeva proprio questo.

L'inclusione scolastica e alcune osservazioni su quel testo correttivo

Superando.it del 21.06.2019

Certificazione di disabilità, scuola e tessuto territoriale, accomodamento ragionevole e riduzione necessaria del numero di alunni per classe: sono i temi affrontati da Salvatore Nocera, in questa sua riflessione, che si inserisce nell’ampio dibattito proposto in queste settimane dal nostro giornale, sul testo correttivo al Decreto Legislativo 66/17, riguardante l’inclusione scolastica, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri.

Leggo in «Superando.it» l’interessante intervento dei componenti del Laboratorio di Ricerca Disability Studies (GRIDS) dell’Università Roma 3, nell’àmbito dell’ampio dibattito promosso dal giornale sul testo correttivo al Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione scolastica.

In proposito mi permetto di sottoporre alla loro attenzione alcune osservazioni che cercano di smussare le critiche al correttivo stesso.

Gli studiosi condividono le critiche – espresse già in «Superando.it» dai formatori Flavio Fogarolo e Giancarlo Onger -, sostenendo che il nuovo testo, anziché realizzare una vera inclusione consistente nel non separare per categorie, ribadisce la separazione degli alunni con disabilità, in quanto sia in esso che nello stesso Decreto 66/17 ci si occupa solo di alunni con disabilità certificata.

Mi permetto di precisare – senza voler essere un difensore d’ufficio dei redattori del testo correttivo – che il Decreto 66/17 e il nuovo schema di Decreto sono stati emanati esclusivamente per integrare e arricchire la Legge 104/92, concernente i soli alunni con disabilità certificata; gli altri casi di alunni con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento) e con ulteriori BES (Bisogni Educativi Speciali) sono pertanto esclusi dall’àmbito normativo del testo correttivo, poiché per essi continuano a valere rispettivamente la Legge 170/10 (Nuove norme in materia di Disturbi Specifici di Apprendimento in ambito scolastico) e la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 (Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica) le quali per il momento non richiedono modifiche.

So bene, poi, che l’inclusione scolastica è un aspetto del progetto globale di vita delle persone con disabilità. Ma per questi aspetti extra-scòlastici servono i Piani di Zona richiamati nell’articolo 9 sui GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale) del Decreto 66/17 e nell’articolo 19 della Legge 328/00 (quest’ultima espressamente citata nello stesso Decreto 66/17).

Il Decreto 66/17, quindi, e il nuovo testo di modifica non vogliono separare la scuola dal proprio tessuto territoriale, ma quando si formulano delle norme correttive, ci si preoccupa solo di correggere quelle che si ritengono carenti, lasciando inalterate le altre che si ritengono accettabili, almeno per il momento.

E ancora, nelle osservazioni proposte dai componenti del GRIDS, si lamenta che venga richiamato nel testo correttivo il principio dell’“accomodamento ragionevole” di cui all’articolo 2 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, senza però darne un’ulteriore precisazione contenutistica e operativa.

Qui non va dimenticato che la Convenzione ONU riguarda tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Uniti, molti dei quali hanno una normativa inclusiva assai meno sviluppata di quella maturata in Italia da oltre cinquant’anni ad oggi. Il fatto, quindi, che in Italia non si scenda più in dettaglio su tale definizione deriva dalla considerazione che la nostra normativa è molto più dettagliata in tantissimi aspetti. Pertanto l’accomodamento ragionevole è una “clausola di chiusura” applicabile dai Giudici, qualora in un caso concreto si incontrino difficoltà per la soluzione di problemi che ostacolano di fatto la realizzazione dei diritti degli alunni con disabilità. In Italia questi casi dovrebbero essere estremamente eccezionali, dal momento che la nostra normativa inclusiva continua a garantire – spesso con il contributo della Corte Costituzionale e delle Magistrature di legittimità e di merito – il diritto allo studio degli alunni con disabilità.

In conclusione, pur apprezzando il richiamo ai valori dell’inclusione, sollecitato dagli esperti del GRIS, la nostra normativa non può, attualmente, prescindere dalle certificazioni diversamente graduate, dati i problemi delle scarse risorse di bilancio che debbono essere comunque garantite a chi è in maggiori difficoltà, fermo restando il diritto di tutti e di ciascuno di contare su un’inclusione che non comporti maggiori oneri finanziari.

Non per nulla la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) si è sempre battuta e si batte per la riduzione del numero di alunni per classe, specie in presenza di alunni con disabilità; e ciò non solo a vantaggio degli alunni con disabilità, ma anche dei compagni i quali pure devono vedere realizzato il proprio diritto allo studio tramite l’inclusione personalizzata.

* Salvatore Nocera,
Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della quale è stato vicepresidente nazionale. Responsabile per l’Area Normativo-Giuridica dell’Osservatorio sull’Integrazione Scolastica dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).

giovedì 20 giugno 2019

Stella dell'Arte Ucai all'artista non vedente Felice Tagliaferri

Gonews.it del 20.06.2019

"Felice Tagliaferri, non è solo un grande scultore internazionale, ma anche una bella persona. - spiega Fabrizio Mandorlini, presidente Ucai San Miniato.

"A lui non vedente dall'età di 14 anni, non permettevano di toccare il «Cristo velato», l’opera di Giuseppe Sanmartino che si trova nella Cappella di Sansevero, perchè per Tagliaferri vedere è toccare. Gli dissero che il marmo si sarebbe rovinato. Da qui l'idea di realizzare un suo Cristo, che fosse per tutti perchè l’arte non deve essere preclusa a nessuno, anche chi ha una disabilità deve poterne godere. Quel Cristo per lui doveva essere per tutti, doveva «rivelarsi». E si mise al lavoro.

La sua opera da alcuni anni sta girando l'Italia, esempio tangibile che l'arte può essere per tutti e deve essere per tutti. Con la sua scultura fa vedere l'arte al mondo, perché anche chi ha una disabilità deve poterne godere". Felice Tagliaferri ha intrapreso da oltre vent’anni un percorso artistico molto personale e particolare da lui stesso riassunto nello slogan “Dare forma ai sogni”. Le sue creazioni sono infatti sculture non viste, che prima nascono nella sua mente e poi prendono forma attraverso l’uso sapiente delle mani, guidate da incredibili capacità tattili. Si destreggia abilmente fra i più diversi materiali: per la sua arte utilizza creta, marmo, legno o pietra. Ogni materiale viene trattato e plasmato con tecniche diverse, dalla forza impressa per scolpire il marmo alla gentilezza della plasticità espressa nel modellare la creta. La sua arte è stata definita da diversi esperti del settore “arte sociale” per l'impegno che caratterizza le sue mostre. Ha unito l’esposizione delle sue opere in molte città italiane con la collaborazione con prestigiosi musei come il Museo Tattile Statale Omero, il Museo di Arte Contemporanea di Roma, i Musei Vaticani, l’Accademia di Brera, l’Accademia di Roma, la Collezione Guggenheim di Venezia, Ca’ la Ghironda Modern Art Museum.

Il suo “Cristo rivelato”, una scultura tattile, è stato “toccato” da migliaia di persone. Di recente ha incontrato Papa Francesco. Con la Stella dell'Arte a Felice Tagliaferri si conclude il percorso di Ucai San Miniato che ha visto nel 2019 la consegna del riconoscimento nelle scorse settimane a Lino Guanciale (per il teatro), al card. Lorenzo Baldisseri (per la musica), ad Antonio Interguglielmi (per la letteratura), a If Design Franco Tagliabue (per l'architettura).

Insegnante di sostegno, sì alla anzianità pre-ruolo anche in assenza di specializzazione

Il Sole 24 Ore del 20.06.2019

Agli effetti della ricostruzione della carriera, il riconoscimento del servizio non di ruolo prestato dai docenti con il possesso del titolo di studio prescritto è applicabile all'insegnamento su posto di sostegno, anche se svolto in assenza del titolo di specializzazione. A tale conclusione è giunta la Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 16174, depositata ieri, che ha fornito una lettura coordinata dell'articolo 485 comma 6 del Dlgs 297/1994 (Testo unico in materia di istruzione) e dell'articolo 7 comma 2 della legge 124/1999 (Disposizioni in materia di personale scolastico), dirimendo un contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto.

La vicenda.

All'origine della questione c'è la ricostruzione dell'anzianità di servizio di una docente, alla quale in un primo momento erano stati riconosciuti nove anni di pre-ruolo e in seguito soltanto cinque, con relativa domanda di restituzione di indebito da parte del Miur. Al centro della disputa vi era l'esatta portata applicativa delle norme relative alla riconoscibilità del servizio non di ruolo prestato su posti di sostegno da insegnante privo del titolo di specializzazione in anni scolastici antecedenti all'entrata in vigore della legge 124/1999. Sul punto vi era un orientamento della giurisprudenza amministrativa che consentiva la valutazione del servizio pre-ruolo sui posti di sostegno soltanto se il docente era in possesso del titolo di specializzazione, visto il carattere innovativo della norma di cui all'articolo 7 comma 2 della legge 124/1999

La decisione.

Ebbene, dopo un lungo excursus sull'evoluzione della disciplina dell'insegnamento di sostegno e sulla normativa in tema di disabilità, la Cassazione fuga ogni dubbio sule diverse letture fornite dalla giurisprudenza ed estende il tenore letterale della norma anche ai periodi antecedenti, in quanto le novelle legislative del 1994 hanno "reso esplicito e chiarito un principio già desumibile dal precedente quadro normativo".

Per i giudici di legittimità, in sostanza, l'unica condizione imprescindibile per il riconoscimento è il possesso del titolo di studio e non anche il titolo di specializzazione, trovando tale previsione giustificazione nella "particolarità della funzione docente affidata all'insegnante di sostegno". D'altra parte, precisa il Collegio, una diversa lettura finirebbe "per introdurre una disparità di trattamento fra situazioni che non presentano alcun profilo di diversità quanto all'aspetto che le qualifica, ossia l'essere l'attività resa in difetto di titolo specializzante".

di Andrea Alberto Moramarco

Lucilla, designer cieca che insegna a "toccare" l'arte

Popolis.it del 20.06.2019

ROMA. C’era anche Lucilla D’Antilio, artista, designer e insegnante cieca, allo IED Factory 2019, 14 laboratori multidisciplinari e performance dal vivo, in cui i giovani creativi dell’Istituto, coinvolti in un innovativo progetto di open education, in partnership con il MACRO Asilo, lavorano al fianco di professionisti del settore e artisti di fama internazionale.

Tra questi, c’era appunto Lucilla D’Antilio, alla quale era stato affidato il laboratorio “Design e percezione atipica: vedere con le mani”. Alla base del laboratorio, un principio che è anche e sopratutto l’esperienza vissuta da Lucilla: la comunicazione non è solo visiva, il colore si sente anche con le mani.

Lucilla D’Antilio non vuole dirci la sua età, ma aveva circa 35 anni quando la sua vista iniziò ad annebbiarsi, fino a spegnersi del tutto. Un dramma per lei, appassionata di arte, diplomata in disegno grafico e da una decina d’anni insegnante presso un istituto d’arte.

“È stata una banale congiuntivite virale, non riconosciuta dal medico, a portarmi rapidamente alla cecità. Lo sconforto è stato grande: per un periodo abbastanza lungo, sono stata convinta di non poter fare più nulla, io che ero abituata a lavorare con la vista. Poi ho conosciuto delle associazioni che si occupavano di visite accessibili in musei di arte antica, moderna e contemporanea, tramite sussidi tattili che permettono di leggere opere e sculture a chi non vede. Mi si è aperto un altro mondo: ho iniziato a capire che almeno avrei potuto ancora fruire dell’arte, che tanto amavo e di cui sentivo forte la mancanza”.

Lucilla ha iniziato così a “recuperare un nuovo rapporto con l’arte, che si è rinforzato grazie al percorso riabilitativo che ho svolto presso il Sant’Alessio di Roma. Ho iniziato a toccare e a modellare la creta e ho scoperto che ero in grado di riprodurre forme anche complesse usando le mani e senza usare gli occhi. Per me, che avevo sempre disegnato, è stato come ritrovare la matita attraverso il mezzo plastico tridimensionale”.

L’esperienza e soprattutto la passione di Lucilla ha presto incontrato quella di altri artisti come lei: “Abbiamo fatto gruppo. Oggi siamo cinque artisti ciechi che fanno arte con le mani, per questo ci chiamiamo ‘Mano sapiens’. Abbiamo fatto già diverse esposizioni”.

Grazie a questa esperienza e alle nuove scoperte fatte attraverso il tatto, Lucilla ha ritrovato anche la sua vocazione didattica. “Ho iniziato a pensare che fosse utile portare questa nostra esperienza ai giovani. Spesso nelle scuole i ragazzi con disabilità visiva sono esonerati dall’attività artistica. Questa è un’ esclusione gravissima, perché l’arte è una forma di conoscenza ed è per tutti.

Ho conosciuto ragazzi ciechi di 18 anni intelligenti e sensibili, incapaci di usare le mani, perché nessuno li aveva messi nelle condizioni di usarle in modo artistico. Così, spontaneamente, dopo una mostra, una persona dell’Istituto statale Romagnoli di Roma, che forma gli insegnanti, mi ha proposto di tenere corsi di aggiornamento per insegnanti di sostegno e di materie artistiche.

Ora sono due anni che tengo questi corsi, in cui decodifico concetti da verbali a tattili. In pratica, progetto e preparo slide tattili, che servono a far capire, soprattutto ai ragazzi ciechi congeniti nozioni come il colore, o la prospettiva, che non hanno mai sperimentato.

L’esperienza tattile li mette allo stesso livello degli altri compagni. Questo è possibile proponendo ai ragazzi esperienze artistiche che siano uguali per tutti, non differenziate, come spesso accade quando in classe c’è uno studente cieco. Propongo soprattutto esperienze tattili, che anche i compagni vedenti fanno senza poter vedere: non li bendo, percHé non amo far vivere questa esperienza e questo ai giovani, ma li faccio lavorare, per esempio, con le mani in una scatola, in modo che siano costretti a utilizzare solo il tatto”.

Attraverso il tatto, l’arte diventa per tutti strumento di conoscenza: “Chi non vede, ha così la possibilità di acquisire concetti altrimenti inaccessibili: capire cos’è una collina, per esempio, toccandone una riproduzione. Anche per chi non vede, però, l’esperienza tattile completa quella visiva, perché il tatto analizza elementi che la vista non sa notare”.