Figlia di Stefano Bollani e Petra Magoni, ha 17 anni e una passione divorante per la musica. «Non vedere mi ha permesso di esplorare il mondo in modo diverso. Il mio futuro? In viaggio e pieno di concerti».
Busso e ricevo il permesso per entrare da una voce timida. Apro la porta del suo camerino e me la trovo davanti. Una massa vulcanica di capelli biondi, le lunghe dita affusolate e bianche infilate dentro un pacchetto di patatine, e gli occhi verdi che non mi guardano. Ascolta i miei passi avvicinarsi, estrae le dita dal pacchetto con un movimento incerto, come a chiedere: posso mangiare? Sistemo una sedia di fronte a lei, la invito a continuare. Sorride sollevata: come scoprirò a breve, le patatine sono la sua terza passione dopo i gelati e, naturalmente, al primo posto, incontrastato, il pianoforte. Frida Bollani Magoni ha diciassette anni. L’abbiamo conosciuta tutti all’improvviso non molti mesi fa, quando si è esibita in tv ospite di suo padre, Stefano Bollani, alla trasmissione Via dei Matti n. 0 , e poi al Quirinale per la Festa della Repubblica. Intorno al suo talento si è levato un clamore intenso, ma lei non ne sembra turbata.
«HO DUE VITE, VADO A SCUOLA E SUONO. INNAMORARMI? SOLO DI UN MUSICISTA, ANCHE SE I MIEI SONO LA PROVA CHE È COMPLICATO»
Il suo incarnato è diafano, il suo sguardo altrove: al primo impatto assomiglia a un fiore d’acqua fragilissimo. Le chiedo se le piace leggere, ascoltare audiolibri, per rompere il ghiaccio (lo chiedo a tutti gli adolescenti), e la creatura timida sfodera subito una risolutezza di marmo. «No» mi risponde «a me piace solo la musica». Che l’apparenza ingannasse anche nel suo caso, l’avevo già capito. In particolare il 2 giugno, ascoltandola interpretare una delle mie canzoni preferite, La cura di Franco Battiato, in un modo che mi aveva fatto venire i brividi. Durante quell’esibizione, la ragazzina delicata, esile dietro il pianoforte, era presto scomparsa per lasciare spazio alla voce sicura, al dominio dello strumento. Ero rimasta impietrita da come toccava i tasti, con una padronanza sfacciata e una grazia feroce. Come dichiarando: adesso suono. E – citando Vasco – tutto il mondo fuori.
Con due genitori come Petra Magoni e Stefano Bollani, è come se tu fossi cresciuta in un acquario sonoro.
«Esistono video di me che ballicchiavo a tempo di musica già nella culla mentre papà suonava. A due anni, mia mamma mi ha insegnato le scale al pianoforte. Prima dell’alfabeto, ho imparato le note; prima il pianoforte, poi il canto. Ancora oggi, quando tocco un tasto, è come se quella nota mi dicesse: “Do”, “Mi”, “Fa”. Come se mi parlasse».
È stata tua madre a iniziarti alla musica?
«Fu lei ad accorgersi che riconoscevo le note. I primi concerti a cui ho assistito, quando forse avevo solo dieci giorni, sono stati i suoi. Crescendo l’ho seguita con Musica Nuda, ci siamo esibite insieme. C’è stato un periodo, avrò avuto 8 o 9 anni, in cui abbiamo fatto cinque date in cinque giorni: ho imparato subito quanto potesse essere stancante questo lavoro, ma anche come gestirlo. Adesso che ho iniziato a suonare da sola, è lei che accompagna me. C’è sempre».
Ricordo bene quanto alla tua età facessi disperare mia madre. Voi due davvero riuscite a viaggiare sempre insieme andando d’accordo?
«Ho 17 anni, deve viaggiare con me per forza. Ma non mi pesa, anzi, ne sono felice: è un ottimo aiuto durante il tour. Tutto ciò che sta intorno a un concerto mi stressa parecchio: il sound check, la cena… O, ragazzi, io voglio sonà! – un marcato accento toscano irrompe come una sferzata e mi sorprende –. Allora ci vuole lei che mi dice: “Frida, sta’ calma, è tutto normale, il tour è così, però è anche il suo bello”. Ci troviamo sulla stessa lunghezza d’onda, entrambe musiciste: si va sul sicuro! Ma sono certa che se avessi scelto un altro lavoro, per lei non sarebbe stato un problema. Come non lo è stato per mio fratello maggiore, che a un certo punto ha detto: “Io in questa famiglia di musicisti mi devo differenziare”. È rimasto nel campo dell’arte, ma ha preso un’altra direzione: character designer per videogiochi».
Anche con lui vai d’accordo?
«Eh – ride con una smorfia –. Come possono andare d’accordo fratello e sorella… ».
E il rapporto con tuo padre?
«Il discorso è uguale a quello di mia mamma, con la differenza che, vivendo in case diverse, purtroppo ci vediamo meno. Quando ero bambina, i miei genitori stavano insieme e io li ascoltavo suonare insieme. Lui non è stato il mio insegnante di pianoforte come mia madre non è stata la mia insegnante di canto, però entrambi mi hanno insegnato ad ascoltare e ad amare questo lavoro».
Nei video che si trovano in Rete si ha la prova che Frida non mente. La si vede duettare con la madre, con il padre, e si percepisce a pelle il loro affiatamento. Non sembra esserci traccia dei conflitti che inaspriscono le famiglie quando i figli hanno la sua età.
Di cosa è fatta la tua normalità di adolescente?
«Ho due vite: vado a scuola e suono. Sono mondi separati che si uniscono solo in parte, perché frequento un liceo musicale (il Carducci di Pisa), ma, al di là di questo, c’è una netta differenza. Di sabato mi esibisco, vivo il mondo dei concerti. Sono circondata da adulti, con cui però mi trovo a mio agio perché sono tutti musicisti. Durante la settimana invece torno a essere la ragazza normale che va a scuola e frequenta i coetanei. Anche loro sono importanti: a prescindere dalla famiglia, se non hai il sostegno di un’amica e/o un amico, non vai da nessuna parte».
È la passione il fondamento?
«A questa età ce l’abbiamo tutti. Ma se vuoi trasformarla in mestiere non è sufficiente. Penso sia una questione di volontà. Molti studiano al liceo musicale e poi non fanno della musica una professione perché si fanno l’idea che c’è troppo lavoro, troppo da studiare, non c’ho voglia. Ma non basta nemmeno passare 7, 8 ore al giorno al pianoforte, perché la gavetta, l’esperienza sul palco, sono importanti. Quello che davvero conta, secondo me, è la determinazione: sapere qual è la tua strada. Io so che è questa e non cambierà mai».
Vorrei incidere sulla carta il timbro della sua risolutezza. Ma lei scoppia a ridere di colpo.
«Solo per un periodo ho pensato di fare la gelataia. Nessun vocal coach mi ha mai dato ragione, ma io garantisco che a me i gelati fanno bene. Prima di cantare, mi danno nuova vitalità alle corde vocali. Come le patatine mi danno energia – accartoccia il pacchetto che ha finito, glielo prendo per buttarlo, le nostre mani si sfiorano e avverto l’energia che vi si nasconde –. Per fortuna quel periodo è passato in fretta».
Da amante della provincia e, in particolare, dei talenti che vi sbocciano, non posso non chiedertelo: quanto sei legata a Pisa, la tua città?
«Pisa è bella, c’è una splendida scena musicale. Però se rimani lì, rimani lì. Per me è importante conoscere gli artisti di Pisa, fare eventi in città, ma è fondamentale anche uscire dai confini. Amo viaggiare. Non si può passare tutta la vita nello stesso posto, secondo me. In giro per l’Italia e all’estero, dove spero di tornare sempre più spesso, scopro sonorità nuove. Alcuni luoghi in particolare mi sono rimasti nel cuore: la Sardegna, la Puglia, Parigi, Londra».
«IO NON HO UNA MALATTIA, NON HO VISSUTO IL TRAUMA DI AVER PERSO LA VISTA: SONO NATA COSÌ. E NON SO SE ACCETTEREI DI OPERARMI»
Più parliamo, più la timidezza iniziale si scioglie in spensieratezza. Prima il toscano era appena percettibile, adesso ha rotto gli argini. La guardo negli occhi, tra una pagina e l’altra dei miei appunti, anche se so che lei di me percepisce solo un’ombra. Intuisco che, attraverso la mia voce, abbia già messo a fuoco come sono fatta.
In una precedente intervista al Corriere della Sera, le dico, hai pronunciato una frase molto forte: che per te non vedere è un dono. E io ti credo. A dispetto di un mondo che ci impone un’astratta perfezione, penso siano le imperfezioni, le crepe, le differenze a generare creatività, ambizione. Le tue parole mi sono suonate non solo autentiche, ma anche liberatorie per tutti.
«Io non ho una malattia, non ho vissuto il trauma di aver perso la vista. Sono nata così. Qualcosina ci vedo e la situazione rimarrà questa, a meno che non mi propongano, in futuro, un intervento per migliorare la vista. Ma, sinceramente, non so se accetterei di operarmi. Non vedere mi ha permesso di esplorare il mondo in modo diverso, ho esercitato meglio altri sensi, come l’udito. Sono certa che, se avessi potuto usare gli occhi, sarei stata meno attenta ad ascoltare, e ascoltare è importantissimo per me e per il mio mestiere. Quindi sono contenta di come sono nata. Di questi due geni sballati che mi hanno causato problemi non tanto agli occhi, che come vedi non sono bruttissimi e non devo portare gli occhiali, ma alla retina. Tra l’altro, l’essenziale è invisibile agli occhi, no?».
Assolutamente d’accordo. E i suoi occhi verdi, inquieti, rivolti altrove rispetto ai nostri, sono molto belli. Quindi li ringrazi, i due geni sballati?
«Sì, insieme ai geni del talento che ho ereditato dai miei».
Il tuo suona come un destino preciso al millimetro. Dai geni giusti alla casa giusta per dedicarti tutta alla musica.
«Sono stata fortunata. In un’altra famiglia forse avrei fatto più fatica, la mia gavetta sarebbe partita da zero, però, alla fine it is what it is. E io sono musica musica musica».
La tua preferita?
«Quella di Oren Lavie, un cantautore israeliano che ho conosciuto da bambina tramite mio papà e da subito ho cominciato a cantare i suoi pezzi. Adesso Oren scherza, dice che se continuo così lo farò diventare famoso in Italia. Siamo arrivati al punto che gli dispiace non far uscire abbastanza musica da permettermi di eseguire sempre nuove cover. Lui ha fatto due dischi in dieci anni, io vado molto più veloce».
Altri artisti che ammiri?
«Per la genialità musicale, Jacob Collier. I Beatles sono la band più grande. Di italiani, grazie ai miei nonni, mi sono appassionata a Shapiro e Vandelli. Ma ascolto anche la musica di adesso: la tecnica vocale di Ariana Grande è un mistero che voglio risolvere».
«MENTRE CANTAVO AL QUIRINALE, A UN CERTO PUNTO, NON MI RICORDAVO PIÙ LE PAROLE. È STATO IL PANICO: E ADESSO CHE FACCIO?»
La notorietà è arrivata come un vento inaspettato tramite due esibizioni a un mese e mezzo di distanza l’una dall’altra che ci hanno preso un po’ tutti alla sprovvista e lasciato una profonda meraviglia. Quando Frida ha suonato Hallelujah di Leonard Cohen e A quarter past wonderful del suo amato Oren Lavie a Via Dei Matti n°0, papà e Valentina Cenni sembravano molto più emozionati di lei, che invece pareva assolutamente a suo agio.
Anche al Quirinale, interpretando l’Inno di Mameli, La cura e Caruso, irradiava sicurezza. Era solo una mia impressione? Provavi ansia per la visibilità improvvisa?
«Da mio papà l’atmosfera era così familiare che mi sentivo a casa. Non immaginavo la visibilità che mi avrebbe portato, quindi non mi ha creato problemi. È avvenuto tutto dopo, in pochi minuti. Ho finito la diretta e subito i miei social sono esplosi, hanno iniziato a chiedermi un sacco di interviste! – Frida sorride come se ne fosse ancora stupita –. Invece al Quirinale ero agitata. Era la prima volta che suonavo davanti a un pubblico dall’ottobre 2020. Pensavo: oddio, suono davanti al presidente della Repubblica! C’erano anche degli studenti e sentivo la responsabilità di mandare loro un messaggio positivo...».
Quale?
«… Di non mollare, non arrendersi. Soprattutto in questo periodo, dopo il lockdown e tutto quello che abbiamo passato. E insomma c’era il Presidente, c’erano tutti questi ragazzi… Durante La cura, a un certo punto, non mi ricordavo più il testo. È stato il panico. C’era una pausa, per fortuna. Ho pensato: e adesso come vado avanti? Strappo tutto. Non posso mica ricominciare. O chiedere: chiudete il sipario, per piacere. Tempo due secondi la memoria è tornata. E adesso quella pausa dilatata mi piace talmente tanto che la faccio sempre durante i miei concerti».
Dopo questa confessione andrò a riguardarmi il video sul web. Troverò un’unica pausa brevissima che suonerà del tutto congeniale all’esecuzione, e Frida ispirata: imperturbabile.
«Ero convinta di aver fatto una faccia tremenda…».
Non vedere, ma sentire: il pubblico, gli altri. Non avere pregiudizi per come ci si veste e ci si atteggia. Accedere direttamente alla voce delle persone senza passare per l’esteriorità. Provo a immaginare come sia, e forse è come leggere: non vedi i corpi, ma subito i pensieri, i sentimenti delle persone.
«MI SENTO UNO SPIRITO LIBERO, QUANDO SUONO PARTO PER IL MIO MONDO. POTREI AVERE SUCCESSO O NO, NON CAMBIEREBBE NULLA»
«Non mi è mai importato dell’esteriorità. Non sono una fan del trucco e parrucco, delle foto: non capisco nemmeno se siano utili. Vorrei suonare e basta, concentrarmi sull’essenziale. E qui il discorso potrebbe farsi molto ampio e riguardare anche… – Frida lo grida in falsetto e scoppia a ridere –. I ragazzi! No, non c’è niente da dire. Solo che la sottoscritta si innamora del carattere. Di più, credo di potermi innamorare solo di un musicista. Anche se dicono che due musicisti insieme non funzionano, e io ne ho la prova perché i miei si sono separati. Però voglio smentire questo pregiudizio ».
A proposito di smentire pregiudizi, come si vive in una famiglia allargata?
«Bene. Sono stata particolarmente fortunata perché mio padre si è risposato con Valentina Cenni, una delle mie migliori amiche adulte. L’unico problema è che non è facile trovarsi perché siamo tutti sempre in giro a destra e a sinistra. Ma tradizione vuole che il Natale lo festeggiamo a casa Magoni e Santo Stefano, dato che è l’onomastico di papà, a casa Bollani».
I tuoi due cognomi te li tieni stretti?
«Non posso essere solo Bollani o solo Magoni. Il mio nome è quello di tutti e due. Come io sono figlia di entrambi nella vita e nella musica».
Ogni tanto qualcuno si affaccia in camerino, compresa Petra Magoni che sorride e non vuole disturbare, solo sapere se c’è bisogno di qualcosa. Frida le chiede un altro pacchetto di patatine. Percepisco le voci aumentare fuori dalla porta. So che lei deve provare e io devo darmi una mossa, anche se avrei molte altre domande per questa ragazza tutta protesa in avanti.
Come immagini il tuo futuro?
«Pieno di concerti. Mi sento uno spirito libero, voglio essere sempre in viaggio e incontrare persone nuove. Quando suono, parto per il mio mondo. Sono libera e me stessa. Potrei avere successo o non averlo, non cambierebbe nulla. La musica è la vita, punto».
La porta si apre con decisione, la chiamano e Frida si alza. È arrivato il momento che le parole lascino spazio alle note. La mamma, gli adulti che la seguono in ogni concerto, la accompagnano giù, in una grande sala che vede al centro un imponente pianoforte a coda. M’infilo tra loro, voglio sentirla suonare dal vivo per la prima volta. Frida prende posto. La sua impazienza si respira nell’aria, è tangibile: la stessa di ogni adolescente innamorato di qualcosa. Inizia, poi si accorge di avere ancora i capelli sciolti allora si interrompe e chiede alla madre di legarglieli. Petra accorre, glieli raccoglie stretti in cima alla testa. Riesco a captare i modi e la tenerezza di quella presenza di cui sua figlia mi ha tanto parlato: una madre complice, non ingombrante. Un angelo custode che si prende cura del talento lasciandolo libero di esprimersi. Frida ricomincia. Esplode nella sala con Halleluiah.
Ascolto l’irruenza dei suoi diciassette anni, la forza con cui vuole prendersi il futuro. Senza perdere tempo a chiedersi il perché e il per come. «Sono nata così», «la mia strada è questa»: Frida è assoluta. E io mi rendo conto che la vita è anche un atto di fede. Chi siamo, un desiderio. Lo sentiamo pulsare, lo scegliamo, lo pretendiamo. Ci incamminiamo risoluti lungo il percorso, con la certezza che di questo si tratta: non vincere, non fallire. Solo amare spudoratamente, tenacemente, quello che ci fa sentire vivi.
di Silvia Avallone
Nessun commento:
Posta un commento