Il Messaggero del 09/12/2021
Le prime difficoltà sono iniziate quando metteva davanti agli occhi il copione di Nuovo Cinema Paradiso, a fine anni Ottanta. A otto anni già non riusciva a leggere bene e ogni sei mesi c’era per lui un nuovo paio di occhiali perché la vista continuava a calare. Totò Cascio, il bimbo che con il film Premio Oscar di Giuseppe Tornatore aveva commosso il mondo, ha scoperto solo a 12 anni di essere affetto da una grave malattia genetica: la retinite pigmentosa. Per dare un nome alla sua patologia ha dovuto fare un vero viaggio della speranza: prima a Palermo e poi a Roma, Losanna e Londra. Quando arrivò la diagnosi «fu una batosta», dice. Oggi ha 42 anni e ha perso la vista: riesce solo a notare se in casa c’è una luce accesa. Dopo anni passati covando la rabbia per la malattia che sembrava avesse messo la parola fine ai suoi sogni, ha ritrovato la speranza, la voglia di vivere. E sogna di tornare sul palcoscenico.
IL RACCONTO.
«Mi ero fermato a causa della retinite: a tutti quelli che mi chiedevano che fine avessi fatto dicevo bugie perché non volevo farmi vedere così», spiega. Totò fa avanti e indietro tra la casa di famiglia a Chiusa Sclafani, in provincia di Palermo, e Bologna, presso l’Istituto dei ciechi Cavazza, città dove vorrebbe presto stabilirsi a vivere. È seguito dall’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, in provincia di Napoli, dove si disegna un futuro trattamento per i malati di retinite. Il volto sognatore del Totò bambino del film di Tornatore è ancora vivo. Lui dice di essere «rinato», grazie a una maggiore consapevolezza che ha della malattia. «Spero nella terapia genica, ma non mi illudo. So che sono stati fatti passi da gigante, aspetto – dice – Intanto, non fingo più: vado al bar, mi presento, racconto la mia storia. Mi vorrei trasferire definitivamente a Bologna perché lì le barriere architettoniche sono al minimo, ci sono semafori acustici e autobus con la sintesi vocale». Questa sua forza d’animo l’ha portato ad aprire un nuovo capitolo della sua vita. «Da luglio mi frequento con Anna – racconta – Le avevo dato il mio numero di telefono perché voleva venire in Sicilia per conoscermi. E quando alla terza telefonata le dissi che avevo una disabilità visiva lei mi rispose “Totò, so tutto”. Le altre le facevo scappare perché non ero pronto, soffrivo di paranoie. Ora mi muovo liberamente in treno per andarla a trovare». Oggi usa l’informatica per superare gli ostacoli che gli si piazzano davanti quotidianamente, e che dice superati. «Con il computer e il telefonino faccio tutto, ho la sintesi vocale. Oggi ci sono i “libri parlati” e non dico “no” a un bel film. Amo quelli di Checco Zalone e Leonardo Pieraccioni», commenta. Si definisce un fan «sfegatato» della Roma. Qui, dice che qualcosa gli è mancato, specie da quando, intorno ai 32 anni, è diventato pressoché cieco. «Ammetto che non aver visto gli ultimi gol di Totti, mi è mancato davvero tanto», confessa l’attore. Oggi la storia di Totò Cascio è raccontata nel cortometraggio “A Occhi Aperti”, per la regia di Mauro Mancini e realizzato da Movimento Film con Rai Cinema per Fondazione Telethon, in onda su Rai1 il 12 dicembre e disponibile su Raiplay. Le scene sono state girate negli stessi luoghi in cui trentatré anni fa erano avvenute le riprese di “Nuovo Cinema Paradiso”. Quanto accaduto al Salvatore del film di Tornatore «rende ancora più evidente il motivo che dà sostanza alla nostra missione: dare una risposta concreta in termini di cure e terapie a chi vive con una malattia genetica rara e alle loro famiglie», sottolinea Francesca Pasinelli, direttore generale di Fondazione Telethon.
LA PATOLOGIA.
La retinite pigmentosa è una malattia ereditaria che comporta una perdita progressiva della vista fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla cecità totale. Nella forma più classica, i primi sintomi consistono nella diminuzione della capacità di vedere in condizioni di penombra e nel restringimento del campo visivo. E in genere si manifestano prima dei 20 anni. Tra i gruppi di ricerca Telethon storicamente più impegnati nello studio delle malattie ereditarie della retina c’è quello di Alberto Auricchio, dell’Istituto Telethon Tigem di Pozzuoli. Insieme al gruppo guidato da Alessandra Recchia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, i ricercatori stanno analizzando e valutando l’utilizzo dell’editing genetico, una tecnica che prevede l’aggiunta di una copia corretta del gene all’interno delle cellule della retina o, nelle forme più gravi, la disattivazione della copia “difettosa” del gene. «In questo modo – spiega Auricchio – si esegue un taglio mirato a livello della copia del gene che produce la proteina tossica, disattivandola e lasciando solo la copia sana del gene che funziona normalmente». Mentre gli studiosi continuano a cercare soluzioni, dal 12 al 19 dicembre tornerà la maratona tv della Fondazione Telethon sulle reti Rai: una settimana all’insegna della solidarietà per sostenere la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare.
di Giampiero Valenza
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