Superando del 26/01/2021
Quando si parla dell’Olocausto, non ci sembra ancora di registrare sufficiente visibilità per il fatto che quella cosiddetta “soluzione finale” con cui il regime nazista portò alla morte milioni e milioni di persone, ebbe una prima “prova di laboratorio” proprio sulle persone con disabilità. Nel nostro giornale lo facciamo ormai da molti anni, e torniamo a farlo anche alla vigilia del Giorno della Memoria di domani, 27 gennaio, ricorrenza dedicata appunto a tutte le vittime dell’Olocausto, a 76 anni esatti dall’entrata dei soldati russi nel campo di sterminio di Auschwitz.
«C’è chi parla di 11 milioni di morti, alcuni si spingono fino a 17 milioni – aveva scritto ad esempio su queste pagine Stefania Delendati, in quella che riteniamo senz’altro una delle migliori ricognizione storiche su questo tema e della quale suggeriamo caldamente ai Lettori la consultazione (Quel primo Olocausto) -. Tanti furono gli ebrei, i dissidenti politici, i rom, gli omosessuali che perirono per la folle teoria della “razza pura”. Prima della “soluzione finale”, però, che portò alla morte milioni di persone, il regime nazista si “esercitò” sui disabili, ritenuti indegni di vivere, un peso economico per la società e un pericolo per la salvaguardia della popolazione “sana”. La cosiddetta Aktion T4, nome mutuato dall’indirizzo (Tiengarten Strasse, 4) della casa che ne fu la base, fu un accanimento organizzato, iniziato nel 1939, chiuso ufficialmente due anni dopo, ma in realtà proseguito fino al termine del conflitto, segretamente e – se possibile – in modo ancora più crudele. Vennero uccise tra le 200.000 e le 300.000 persone affette da malattie ereditarie, tra loro moltissimi bambini. Un Olocausto parallelo tenuto seminascosto per quasi mezzo secolo, che soltanto negli ultimi anni è venuto alla luce, grazie soprattutto alle iniziative promosse in occasione del Giorno della Memoria».
Il Giorno della Memoria, dunque, è una data di particolare importanza anche per tutte le persone con disabilità, e non soltanto per non dimenticare “ciò che è stato”, ma per far sì che “non si ripeta mai più”. A questo proposito, ci sembra significativo riprendere le parole scritte da Domenico Massano in un’altra ottima analisi storico-filosofica, da noi pubblicata qualche anno fa (Olocausto e disabilità: ciò che non dovrà più essere): «L’avere identificato e classificato le persone esclusivamente in base al loro patrimonio genetico e alle loro caratteristiche fisiche, l’avere trasformato i bisogni in colpe, il non avere voluto riconoscere i diversi percorsi di vita, portarono a una progressiva espropriazione della vita stessa alle persone con disabilità. Espropriazione che incominciò dal negare loro la possibilità di parlare e, quand’anche lo avessero fatto, nel non ascoltarle e prenderle in considerazione […]. Questa spirale di violenza e di screditamento, che si autoalimentava e trovava le proprie giustificazioni in se stessa, era condotta in nome del bene non solo della società, ma anche delle sue vittime. Questa caratteristica perversa rende unico e, per certi aspetti, più facilmente ripetibile lo sterminio delle persone con disabilità. Ancora oggi, infatti, si tende a ridurle a quanto nei nostri limiti riusciamo a cogliere di esse, dimenticandoci che ogni uomo nella sua unicità e con la sua storia, è sempre in divenire, è sempre “eccedente” rispetto a dati fisici, biologici e a conoscenze scientifiche. Il “loro bene” diventa, quindi, un inganno frutto di ignoranza, dietro cui si cela il grimaldello morale per scardinarne, sempre “nel loro interesse”, i diritti e per privarle della dignità».
Giorno della Memoria, dunque, memoria certamente del passato, ma anche “viva memoria per il futuro”. (S.B.)
Ricordiamo ancora i testi citati in questa nostra nota: Stefania Delendati, Quel primo Olocausto, (con l’elenco a fianco dei numerosi contributi da noi pubblicati sul medesimo tema). Di Delendati segnaliamo anche il più recente L’Olocausto delle donne “non conformi” o “inutili”. Domenico Massano, Olocausto e disabilità: ciò che non dovrà più essere.
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