lunedì 30 ottobre 2023

Michele Mele, matematico e universitario con la passione di scrivere libri

Le Cronache di Salerno del 30/10/2023

Sin dagli anni novanta del ventesimo secolo si è introdotto, a giusta causa, il concetto di inclusività. Inizialmente diffuso in ambito educativo e formativo, il concetto si è poi esteso tanto che, oggi, l’enciclopedia Treccani lo definisce come: “termine con cui si designano, in senso generale, orientamenti e strategie finalizzati a promuovere la coesistenza e la valorizzazione delle differenze attraverso una revisione critica delle categorie convenzionali che regolano l’accesso a diritti e opportunità, contrastando le discriminazioni e l’intolleranza prodotte da giudizi, pregiudizi, razzismi e stereotipi”.

Di tale concetto, e delle difficoltà derivanti dalle disabilità, vogliamo parlare con chi può essere assunto quale esempio e sprone e che, con la sua vita, e con le testimonianze riportate nei suoi libri, può aprire la mente a tutti noi sulla disabilità visiva, sia essa cecità o ipovedenza; fornendo, nel contesto, la prova che la disabilità è ulteriore difficoltà ma non impossibilità, e monito alle famiglie ed alla società che, sinergicamente, possono aiutare significativamente il disabile ad essere diversamente abile ma non inabile.

Possiamo spiegare chi è Michele Mele?

Io sono nato a Salerno, sono un matematico, ho trentadue anni, sono ricercatore all’Università del Sannio; mi occupo di Ottimizzazione Combinatoria, la scienza degli algoritmi, in special modo dei problemi di Scheduling: problemi di ottimizzazione della distribuzione del tempo, servizi e procedure complesse come quelle ferroviarie o aeroportuali. Sono nato con una grave patologia della vista, la eredodegenerazione retinico-maculare cui, nel duemilaquattordici, si è aggiunta una seconda grave patologia.

Mi sono laureato in matematica all’Università degli Studi di Salerno ed ho conseguito un dottorato di ricerca in scienze matematiche ed informatiche all’Università di Napoli ‘Federico II’; pur essendo un matematico lavoro presso il Dipartimento di Ingegneria.Sono fondatore, membro del Direttivo ed “education officer” della campagna “Science in Braille” delle Nazioni Unite e fondatore e coordinatore della campagna “Accessibilità all’Arte” del Touring Club Italiano, scrivo per diverse testate internazionali come la rivista specialistica musicale Bright Young Folk ed il periodico di attualità Yorkshire Bylines.

Ha avuto difficoltà ad individuare una casa editrice che pubblicasse i suoi libri?

No, la Edizioni Efesto ha pubblicato tutti e due i miei libri: “L’Universo tra le Dita” ed ora “Il Richiamo della Strada”. Se nel primo raccontavo la storia di dieci scienziati ipovedenti o non vedenti, del passato o del presente, nel secondo ho deciso di raccontare, con tanta più dovizia di particolari, una di queste dieci figure tra quelli del presente, che ha avuto una vita più lunga ed avventurosa.

I suoi libri mettono in risalto la possibilità di raggiungere mete elevate pur se portatori di disabilità; come si sente quando scrive i suoi testi, quali emozioni prova, si sente personalmente coinvolto?

Certamente c’è un coinvolgimento personale, in quanto parlo di persone con patologie della vista, quindi appartenenti alla stessa minoranza di cui faccio parte io, però c’è anche tanta curiosità perché questi personaggi hanno avuto vite straordinariamente avventurose, John Metcalf, il protagonista del mio secondo libro, su tutti, ed è bello poter scoprire non solo lo scienziato ma anche l’uomo dietro le imprese scientifiche e non: le loro passioni, il loro carattere, i loro momenti di debolezza e la loro capacità di reagire per ottenere i propri obiettivi.

Crede che la società in cui viviamo sia realmente inclusiva per un portatore di disabilità importante come quella visiva?

Credo che tutto sta a creare il giusto contesto….. contesti inclusivi o contesti che non lo sono! Attraverso i miei viaggi ho potuto verificare che ci sono dei luoghi, per esempio in Inghilterra, dove le persone con patologia della vista possono avere una vita perfettamente normale, ammesso che si possa usare la parola “normale”. In Inghilterra sono più avanti, più attenti, mentre in Italia siamo ancora indietro …… non posso fare, quindi, un discorso “in generale” sulla società, dipende in che luogo si nasce e dove ci si trova ad operare. È indubbio che vi sia molta più attenzione che in passato, ci sono tanti strumenti in più; ora è però arrivato il momento di creare una coscienza collettiva e di far capire alle persone che ” è il contesto che determina la disabilità, non un pugno di cellule in meno”!

Nel suo ultimo libro “Il Richiamo della Strada”, che tratta della vera storia di John Metcalf, un non vedente che sarà, da autodidatta, il primo ingegnere stradale inglese, il contesto familiare è stato fondamentale perché potesse diventare quello che effettivamente è diventato. Secondo la sua esperienza, quanto effettivamente conta per un disabile, nello sviluppo psichico e nella realizzazione dei propri sogni, il contesto familiare in cui nasce e quello sociale in cui vive?

Tali contesti sono assolutamente importanti, come importantissimo è anche il contesto scolastico: la famiglia è il primo “ambiente” che deve eliminare ogni forma di autocommiserazione, di pietismo; deve essere “coraggiosa”, non deve chiudere il non vedente o l’ipovedente sotto una “campana di vetro” al fine di proteggerlo, in quanto lo danneggerebbe. Famiglia e scuola devono lavorare sinergicamente per far capire al disabile che potrà comunque realizzarsi; prove concrete possiamo trovarle nei miei libri.

Cosa potremmo comunicare ad un legislatore ed ai lettori, al fine di portare un miglioramento nella vita di chi è portatore di una qualsiasi disabilità?

Dobbiamo comunicare che è fondamentale creare una cultura sociale, deve essere preteso il rispetto delle regole: se si sono scritte delle regole a riguardo alle strisce gialle dove non si deve parcheggiare o sancita la pericolosità di ingombrare o parzializzare i marciapiedi ci sarà un motivo; allo stesso modo va superato il concetto del “si è sempre fatto così”. Va inculcato, a chi interagisce con i disabili, che non devono instillare l’idea del “non puoi farlo”, frustrando sul nascere ogni talento ed ogni ambizione; come pure non dovrebbero essere utilizzati termini come handicappato o minorato che, di per sé, contengono un messaggio frustrante, sminuente, negativo.

di Tommaso D'Angelo

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