La Repubblica del 14/06/2021
Come succede tra persone anziane che soffrono di una qualche patologia comune, la conversazione si concentra appassionata e competente su medici e terapie: «Posso farti visitare dal più grande oculista che opera a Roma». E lei: «Ma la mia è bravissima e per i miei occhi sembra la migliore».
Io, affetto da glaucoma e ormai cieco e lei, Edith Bruck, che combatte contro la maculopatia e che, ormai da oltre un anno, non è più in grado di leggere una riga di un libro o di un giornale. E sa che il suo male è irreversibile. Ma intanto è qui, davanti a me, e io intuisco la sua figura e me la immagino, seduta sul divano bianco, i capelli raccolti sulla nuca, nella luce della tarda mattinata di un giorno finalmente chiaro della primavera romana.
E le dico: ti ho lasciata che eri ancora "una ragazza acqua e sapone", moglie riservata - e "intelligentissima", come dicevano amici comuni - del poeta Nelo Risi, cognata del regista Dino Risi, autrice di libri di narrativa e poesia, di opere teatrali e film, di testimonianze e memoriali, notevole successo di critica, ma poco nota al grande pubblico e sempre rigorosamente estranea ai circuiti mondani. E ti ritrovo oggi, splendida novantenne, appena nominata Cavaliere di Gran Croce, Ordine al Merito della Repubblica Italiana, visitata di recente a casa tua da Papa Francesco e finalista dello Strega, e decine di migliaia di copie vendute del Pane perduto , pubblicato dalla Nave di Teseo.
Ma che cosa è successo?
Edith Bruck esita e sorride: «Di tutto.
Non so che dire; un turbine. Mi è cambiata la vita, stravolta. Sono capitate, tutte insieme, cose molto belle. L'inizio è stato, forse, quella mia "Lettera a Dio", pubblicata dal Messaggero. Il Papa l'ha letta e ha voluto conoscermi. Ma chi mai poteva pensare che sarebbe stato lui a venire qui da me! Eravamo come ammattiti quel pomeriggio del 20 febbraio: cosa ti metti? cosa mi metto? Poi il Pontefice è venuto, è rimasto qui oltre un'ora, mentre una vera folla si radunava davanti al portone e gridava: "Papa, Papa"».
Che cosa c'era scritto nella lettera a Dio?
«Che, al di là di tutte le pene, le tentazioni e i dubbi che hanno accompagnato la mia vita, io mi sento libera dall'odio».
Edith Bruck mi mostra lo strettissimo ascensore che ha portato Francesco a casa sua: «Poteva entrarci solo di profilo».
Scusa Edith, l'Osservatore Romano ha recensito in termini molto lusinghieri il mio ultimo libro, a casa mia c'è un ascensore molto ampio, eppure il Papa mica si è fatto vivo con me.
«Ma tu non sei ebreo! Non sei un perseguitato della storia».
In questa fase di vitalità e serenità, tuttavia c'è un'ombra, una brutta ombra.
«Da un po’ di tempo perdo progressivamente la vista».
Ma tu eri miope?
«No, ero solo astigmatica, non avevo mai avuto problemi gravi. Poi, improvvisamente, un giorno, ho chiuso gli occhi, li ho riaperti e sul soffitto ho visto una macchia nera. Finché riuscivo a leggere andava bene. A un certo punto ho notato che le lettere cominciavano a "saltare" nel mezzo di una frase e dovevo indovinare la parola. L'oculista ha diagnosticato la maculopatia e ha fatto la prima iniezione, poi dopo due mesi la seconda, la terza e così via. E dire che con la cecità ho avuto a che fare già molto tempo fa. Uno dei miei lavori televisivi è stato un documentario, realizzato per la Rai, intitolato Dietro il buio , e dedicato alla vita dei non vedenti. Mentre giravo, il capostruttura mi raccomandava di tenere a mente la lezione di Luis Buñuel: ricorda di far cadere il cieco».
Cioè ti chiedeva di creare artificialmente situazioni tragicomiche?
«Qualcosa del genere. Voleva che inserissi circostanze di pericolo che inducessero al riso o alla pietà. Ma io: mai nella vita. Per dire quanto fossi interessata e affascinata dalla diversità e dalla sofferenza umana, ricordo che un altro mio lavoro riguardava le persone affette da nanismo. I nani, insomma. Non quelli del circo, ma quelli che tutti quanti ignorano. Anche perché tendono a nascondersi, a fare una vita ritirata e riservata, a muoversi in una sorta di mondo parallelo. E, per la verità, non ho mai ricevuto tanto amore, mentre facevo un lavoro, come in quella circostanza. Come ti dicevo, sin da bambina, ero attratta da chi non appariva "normale": pazzi, ciechi, sordi, nani, emarginati per tutte le condizioni e per tutte le ragioni.
Immagino che c'entri Auschwitz e la mia esperienza nei lager».
Edith Bruck, ebrea ungherese, nel 1944, a 13 anni, viene deportata - insieme alla famiglia - ad Auschwitz. Da lì passerà attraverso altri cinque campi di concentramento (Kaufering, Landsberg, Dachau, Christianstadt e, infine, Bergen-Belsen) per poi essere liberata, insieme alla sorella (unica altra sopravvissuta della famiglia), nell'aprile del 1945. Dopo il ritorno in Ungheria e soggiorni in Cecoslovacchia e Israele, si trasferisce in Italia dove risiede dal 1954.
«Senti, dopo tutto ciò che ho visto e patito, non sarà certo lo Strega a sconvolgermi la vita. E nemmeno questo problema agli occhi, almeno per ora. Leggo i titoli dei giornali con la lente di ingrandimento, scrivo ogni giorno. E finché vedo tutti gli oggetti di casa, la Tv un po’ confusamente, i fiori, il gigantesco olmo oltre la finestra, va tutto bene. Diventassi completamente cieca, non so come reagirei. Ricordo di aver visto Carlo Levi continuare a scrivere anche quando era praticamente cieco. Su una piccola lavagna aveva stretto sei elastici. Scriveva nello spazio tra l'uno e l'altro, utilizzando l'elastico come riga. Erano gli anni '70. Lui viveva vicino a Piazza del Popolo e io lo andavo a trovare a casa e, più tardi, in ospedale, perché gli volevo un bene enorme. Era come un grasso papà da abbracciare».
E come farai, in futuro, per la lettura?
«Dovrò rinunciarci, però finché avrò accanto a me Olga, la mia assistente, sarà lei a leggere le cose più importanti. Ma certo, da due anni a questa parte, tanti libri mi sono mancati, per esempio avrei voluto leggere l'ultimo Grossman».
Ti consiglio vivamente di inoltrarti nel magico mondo degli audiolibri, io ci vivo felicemente da anni e me ne nutro. Tutti dovrebbero ascoltare gli audiolibri, perfettamenti vedenti, piccoli e grandi miopi, ipovedenti, non vedenti e ciechi totali. La lettura ti offre un solo piacere, quello generato dalla scrittura. Il libro recitato ti offre tre piaceri insieme: quello della scrittura, della lettura ad alta voce e quello dell'interpretazione attoriale. Fabrizio Gifuni che legge I Sommersi e i Salvati, Anna Bonaiuto L'amica Geniale, Lino Guanciale La Tregua, Valentina Carnelutti L'isola sotto il mare danno pienezza e ricchezza al testo, fanno scoprire mille pieghe e mille segreti, rendono un libro ancora più vivo e palpitante. E la casa editrice Emons, la più importante del settore, offre un catalogo che va Maurizio De Giovanni, all'Eneide, fino a Proust. Insomma, anche da ciechi, è possibile attrezzarsi. Organizzarsi la vita, prepararsi al peggio.
«Io non voglio dirlo. Non voglio vivere cieca».
Perché non vuoi vivere cieca?
«Ora non posso rispondere. Non so cosa significa non vedere più nulla».
Ma oltre che nella lettura, in che cosa ti senti limitata?
«L'equilibrio nel camminare. Sono instabile. In più ho anche un problema al ginocchio che mi impedisce di muovermi bene, è l'artrosi. Dal giornalaio vado ancora da sola, qui sotto casa. A piazza del Popolo, anche. Olga non vorrebbe, ma lo faccio lo stesso. Mi accorgo che ieri era peggio di una settimana fa. Non mi va più di uscire, mi sento sicura solo a casa».
Ti è già capitato di non riconoscere i colori? Per me è stato un vero trauma. Pensa che, fino a un anno fa, grazie a un lettore, riuscivo a vedere i film in dvd. Scorgevo confusamente le immagini, coglievo i movimenti e, dunque, grazie ai dialoghi, potevo in qualche modo seguire la trama. Ora non più. Ma fino a un paio di anni fa ho visto e rivisto centinaia di film. Solo che avevano un colore strano. E così mi ero convinto che tutti fossero girati con una tonalità tipo seppia, quella delle antiche fotografie di fine '800. Ho pensato, insomma, che per una qualche ragione tecnica o per una scelta stilistica l'intera produzione cinematografica mondiale avesse assunto questa colorazione giallo - nera. Come se tutti gli altri colori, il rosso, il verde, il viola fossero stati cancellati. A tal punto me ne ero convinto che ne avevo accettato l'ineluttabilità, senza più interrogarmi sul motivo.
«Io per ora li vedo, li vedo tutti. Quando sarò cieca, i colori saranno dentro di me».
Nel corso della conversazione, abbiamo parlato molto di suo marito.
Le chiedo: Come vi siete innamorati tu e Nelo?
«Non avevo dubbi che fosse lui la persona giusta. Mi dicevano: "è il migliore di tutti noi, ma è complicato, lascia perdere". È durata sessant'anni».
Verso la fine del nostro incontro, Edith ricorda il silenzio delle strade lì intorno durante la pandemia.
«Quel vuoto che c'era fuori casa mi inquietava. Scendevo e poi velocemente tornavo su, cercando di trattenere e poi scrivere tutto quello che provavo».
Da quelle e da altre esperienze e sensazioni, dice, è nato una sorta di manuale etico che raccoglie 49 poesie. Il titolo è "Tempi" e verrà pubblicato il 17 giugno dalla Nave di Teseo. Quella parola "Tempi" mi fa venire in mente una delle raccolte più belle di Risi "Né il giorno né l'ora", pubblicata nel 2008. Vi si trovano questi versi: "[...] fischiettare Mozart staccando la spina per cogliere l'istante di vero che talvolta mi dà luce".
Ha collaborato Marica Fantauzzi
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