La Repubblica del 11/03/2022
Dieci storie appassionanti di uomini e donne di scienza che dal 600 a oggi, pur senza contare sulla vista, hanno contribuito al progresso dell'umanità. Un libro per sradicare una volta per tutte i pregiudizi che ancora oggi allontanano i non vedenti da materie come la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e la matematica. Questa che segue è un'Intervista al giovane matematico Michele Mele, autore del saggio divulgativo "L'Universo tra le dita", edizione "Efeso" 2021.
Segni particolari: non vedente.
Nato a Salerno nel 1991, dottorato in matematica a Napoli, ricercatore in ottimizzazione combinatoria al dipartimento di ingegneria dell'Università del Sannio, scrive modelli e algoritmi per risolvere problemi legati all'impiego di risorse meccaniche, umane e di tempo, che in contesti reali richiedono decisioni tra un numero potenzialmente infinito di soluzioni. Segni particolari: non vedente dalla nascita. Due gravi patologie gli consentono solo di percepire leggermente la luce e alcune forme e colori.
A caccia di soluzioni innovative per disabili.
Si chiama Michele Mele, ha all'attivo diverse pubblicazioni scientifiche internazionali, e sfrutta il suo talento matematico per trovare soluzioni innovative anche a problemi legati all'accessibilità dei disabili ai servizi; già con la sua tesi ha creato una simulazione con un algoritmo che in meno di 1 secondo riesce a organizzare una giornata con 2.000 accompagnamenti a passeggeri con bisogni speciali nei grandi aeroporti internazionali, dimostrando che si può offrire un servizio migliore di quello attuale, anzi il migliore, a costi inferiori, rispettando i diritti sia dei consumatori che dei lavoratori.
L'inciampo continuo nei pregiudizi.
Eppure, il suo successo inciampa continuamente nei pregiudizi: "Oltre agli ostacoli dettati dall'accessibilità, devo spesso scontrarmi con i pregiudizi verso i non vedenti, che ancora oggi sin da piccoli sono scoraggiati dall'intraprendere lo studio di discipline scientifiche - racconta Mele - Ricordo bene un professore al liceo scientifico che mi disse che non potevo capire la matematica perché non vedevo, eppure quindici anni dopo mi occupo di matematica applicata e faccio parte di un progetto ONU su iniziativa del Royal Accademy of Science International Trust di Londra, che riunisce chimici, matematici, astrofisici, ingegneri ipovedenti e non vedenti che si stanno impegnando in una campagna per l'alfabetizzazione scientifica dei non vedenti di tutto il mondo"
La mancata inclusione.
L'errata convinzione che chi non può usare la vista non può esercitare professioni scientifiche è più che mai viva, ancora troppo spesso alimentata da genitori, insegnanti, e "addirittura da associazioni che si dovrebbero occupare di inclusione delle persone con questa disabilità, che invece in maniera pur strisciante confermano che chi non vede si deve accontentare, perché non può fare l'ingegnere o il medico", rivela lo scienziato, donde l'esigenza-urgenza "di dimostrare che non solo è possibile, ma che è già accaduto e anche decine di volte, da oltre 350 anni. Oggi abbiamo persino tre piloti di aerei non vedenti, tra cui una donna". È nato così "L'universo tra le dita", un saggio divulgativo basato su dieci appassionanti storie di scienziati e scienziate totalmente o parzialmente ciechi, sei del passato (a partire dal matematico inglese Nicholas Saunderson del '600) e quattro del presente, viventi e in attività, che Mele ha contattato e intervistato, come Mona Minkara, professoressa di chimica a Boston.
I supporti ricevuti.
Una rigorosa ricerca iniziata durante il lockdown, negli archivi online o con istituzioni come il British Museum, la Cambridge University e la Biblioteca del Congresso USA, che si sono prodigate per fornirgli i documenti e gli hanno permesso di trovare "un mondo molto più vasto di quel che si possa immaginare, fatto di decine di uomini e donne che osservando il mondo dalla penombra hanno contribuito al nostro benessere, hanno salvato vite, ci hanno aiutato a creare una società più inclusiva e città meglio collegate - spiega l'autore- e tra loro ho selezionato storie di matematici, chimici, ingegneri, più un medico e un entomologo, che hanno scritto pagine di scienza straordinarie, che a molti risulteranno sorprendenti e di grande ispirazione."
Mele scrive di musica folk e commenta il calcio inglese.
Inclusione non solo nella scienza, ma grazie alla scienza. Appassionato di storia dell'arte e di viaggi, innamorato della Gran Bretagna "per la mentalità e le politiche totalmente inclusive che fanno sentire a casa persone come me", Michele Mele scrive anche di musica folk e commenta il calcio inglese, altra sua grande passione, su riviste britanniche specializzate. È inoltre coordinatore del progetto pilota del Touring Club italiano "Accessibilità all'arte", che ha lo scopo di rendere accessibili alle persone affette da cecità opere d'arte bidimensionali come i quadri, grazie ad un algoritmo di back-tracking creato da lui, e alla collaborazione del centro SInAPSi (Servizi per l'inclusione attiva e partecipata degli studenti) dell'Università Federico II e di un'azienda inglese che fornisce fogli costituiti da polimeri che reagiscono con l'inchiostro della stampante, portando a rilievo i contorni dell'immagine.
La formula con le parole-chiave.
Per i giovanissimi che hanno il suo stesso problema, ma anche per la società civile e i decisori politici, Mele disegna una formula universale basata su tre parole chiave: fiducia, contesto, inclusione. "Bisogna innanzitutto credere nei giovani con disabilità, infondere loro speranza. Se gli scienziati di cui parlo non avessero avuto la fiducia degli altri, noi non avremmo mai sentito parlare di loro, né avremmo goduto delle loro scoperte, e la scienza e il mondo sarebbero progrediti più lentamente - commenta - Bisogna evitare assolutamente la commiserazione, autocommiserazione e pietismo".
Un ambiente vincente si crea con il coinvolgimento.
Al contrario oggi molti enti e associazioni in Italia tendono a ghettizzare, un fenomeno non molto diverso dal razzismo verso le minoranze e il genere, fa notare, "i non vedenti, donne o uomini che siano, non sono per forza centralinisti, fin dal momento in cui nascono; hanno diritto di seguire la strada che il proprio talento suggerisce, e se vogliono essere un matematici, ballerini o pittori, hanno diritto almeno di essere messi nelle condizioni di tentare quella strada che non viene preclusa ad altre persone. E come la storia dell'entomologo Francois Huber dimostra, "i processi di inclusione, grazie alle soluzioni sviluppate, portano grandi benefici non solo a coloro per cui vengono pensati, ma a tutta la collettività".
di Valeria Carbone Basile
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