martedì 5 luglio 2022

Le sfide di Frida Bollani Magoni «La bella musica? Basta studiare»

Corriere Fiorentino del 05/07/2022

La musicista figlia di Stefano Bollani è una degli ospiti più attesi della serie di concerti del Musart.

La musica è la sua vita. La sua vita è musica. Sarebbe davvero troppo semplicistico spiegare questo doppio binomio con la familiarità. Non è solo questione di genetica. Tra i tanti doni speciali di Frida Bollani Magoni ci sono una volontà di ferro e un’innata capacità di trarre positività dalle avversità. Dai suoi occhi che guardano altrove, senza vedere, finanche al Covid, che le è “servito” per studiare sodo e preparare i suoi primi concerti, da cui è nato anche un album, Primo tour, registrato live, che presenterà da nord a sud Italia, fino a settembre. Con una sola pausa certa, il 18 settembre, quando compirà 18 anni. «L’anno scorso ho brindato in aereo, mentre andavo in Sardegna per partecipare a “Musica Nuda”: applaudirono hostess e passeggeri. I 18 anni, simbolo di indipendenza, sono da festeggiare», dice. È convinta che sua madre, la cantante e attrice pisana Petra Magoni, continuerà a seguirla ovunque. Fenomeno esploso sui social poco più di un anno fa dopo l’esibizione nella trasmissione di Stefano Bollani (suo padre), «Via dei Matti n° o», Frida Bollani Magoni è tra gli ospiti più attesi della serie di concerti del Musart nel Cortile degli Uomini, chiostro dell’Istituto degli Innocenti progettato da Brunelleschi, dove arriveranno Tommasi Novi (martedì 12) e poi Nada, Peppe Voltarelli e Dado Moroni.

Cosa significa per lei suonare a Firenze?

«La Toscana è la mia patria: suonare a Firenze è un po’ un ritorno. Dopotutto sono toscana (di Pisa), anche se ho origini in tutto il nord Italia».

Come è essere la figlia di Stefano Bollani?

«È il mi’ babbo. Dal mio punto di vista, non è Stefano Bollani, il musicista; è il mio papà. Porto i cognomi di entrambi i miei genitori perché vengo da loro due: anche se non mi hanno obbligata a intraprendere questa strada, se sono musicista lo devo anche a loro».

A quanti anni ha posato per la prima volta le mani sul pianoforte?

«A 2 anni strimpellavo, dando la mia personale interpretazione jazz, con note a caso. A 5 o 6 anni ho iniziato a suonare a orecchio; a 7 anni a studiare gli spartiti in braille con il maestro Paolo Razzuoli. Non sono stati mamma e papà i miei insegnanti (ed è stato meglio così), però loro mi hanno insegnato tanto: dal sound check alla preparazione della scaletta fino all’interazione con il pubblico, per la quale non esiste una scuola».

A soli 17 anni ha suonato e cantato al Quirinale per la Festa della Repubblica...

«Lì sì che mi sono agitata: avevo davanti il presidente Mattarella, e anche tanti giovani, verso i quali sentivo la responsabilità di essere di esempio, trasmettendo un messaggio di positività: la bella musica esiste, si può fare, basta continuare a studiare».

La determinazione è il suo motore. Ha avuto momenti di sconforto?

«Per la musica, mai. E io parlo solo di musica».

Di ostacoli ne ha superati tanti…

«Ipovedente dalla nascita, ho dovuto iniziare a imparare il braille a 5 anni per poter frequentare la prima elementare a 6 anni. Da piccola sono stata seguita dagli insegnanti specializzati: non avrei potuto imparare a leggere e scrivere da chi non conosceva il braille. Ora che frequento il liceo musicale, per fortuna, ho a disposizione il digitale; altrimenti avrei continuato a riempire casa di giganteschi volumi in braille e a disturbare i compagni con la rumorosissima macchinetta con cui scrivevo. È giusto usare gli strumenti che la nostra epoca ci mette a disposizione. Dal mio punto di vista, nonostante i suoi problemi, la scuola italiana sta migliorando. Io sono stata seguita bene. Anche se c’è sempre qualcosa da migliorare».

Ha chiesto di stampare la cover del suo disco in braille: una scelta inclusiva?

«Ci sono altri dischi con la cover in braille, ma resta comunque una scelta originale, che lo rende più accessibile: il mio nome e il titolo sono leggibili anche dagli ipovedenti. D’altronde, io ho imparato la musica in braille».

Che è successo in “Via dei Matti n° 0”?

«I miei account social sono esplosi. Era stato un momento così semplice che non mi aspettavo tutto quel clamore. La trasmissione aveva un’ambientazione molto casalinga; con mio padre, ma anche con le persone che lavoravano dietro le quinte, mi ero sentita in famiglia. Non avrei immaginato che un attimo dopo quell’esibizione mi sarei trovata a riaggiornare continuamente le pagine social, con 200 reazioni al secondo».

Cosa le ha detto suo padre dopo l’esibizione?

«Più delle parole, hanno tutti notato come mi guardava. Sono intervenuta in una delle ultime puntate di un programma molto seguito e apprezzato: questo sicuramente ha favorito l’esplosione di consensi».

Il disco come è nato?

«Dall’idea di dare al mio pubblico qualcosa da ascoltare dopo i miei concerti. Ho infatti raccolto i brani inseriti in scaletta: da Ariana Grande a Britney Spears. Il pezzo più moderno è una versione ballad (piano e voce) di Toxic di Britney Spears, che mi ha fatto conoscere Frankie hi-nrg».

Con chi vorrebbe duettare?

«Con Jacob Collier, genietto della musica».

Ha detto che potrebbe innamorarsi solo di un musicista…

«I musicisti, tra loro, si capiscono meglio. Di solito è così, anche se io ne ho la prova contraria, visto che i miei genitori si sono separati».

Al di là dell’amore, ha trovato feeling con qualche collega?

«Sì, certo. Ad esempio con il bravissimo cantautore veneto Albert Eno (che non è il figlio segreto di Brian Eno). Abbiamo fatto concerti assieme già l’anno scorso, e più volte ci hanno detto “Sembra che suonate assieme da anni”. C’è un buon feeling musicale tra noi».

Della sua generazione si è detto tutto e il contrario di tutto: lei che idea ha dei suoi coetanei?

«Noi giovani siamo il futuro, e dobbiamo combattere per preservare il nostro futuro. Non seguo tanto le vicende di Greta e i dibattiti sulla questione ambientale, però ritengo molto importante che i giovani facciano sentire la loro voce».

Lei come ha superato i lockdown?

«Facendo almeno una diretta social a settimana. Devo confessare che il primo lockdown mi ha fatto molto bene: mi ha dato la possibilità di dedicarmi alla formazione e prepararmi per il mio primo concerto, che era previsto per il 7 marzo 2020, ma poi è stato rinviato a luglio. Nel frattempo, ho avuto l’opportunità di studiare e crearmi, attraverso i social, il pubblico che è poi venuto a sentirmi dal vivo».

Questo conferma la sua capacità di trasformare le difficoltà in possibilità. In una precedente intervista al “Corriere”, d’altronde, ha ringraziato i suoi geni “sbagliati”, spiegando che nascere ipovedente è stato per lei un dono…

«Confermo. Se avessi visto normalmente non mi sarei magari concentrata così tanto sull’udito. Sarei potuta diventare comunque una musicista, ma non avrei imparato le note fin da piccina. Mi avrebbero insegnato prima i colori. E probabilmente non avrei avuto l’orecchio assoluto, che invece ho, per fortuna e purtroppo».

Per fortuna e purtroppo?

«Sì. È bello riconoscere le note. Però diventa una limitazione: non riesco a suonare se uno strumento è leggermente scordato. E sono molto pignola sul canto. Sì, lo confesso: sono una perfezionista».

Rimpianti?

«A volte penso che mi piacerebbe conoscere i colori. Ma a 17 anni, anzi quasi 18, ci fai l’abitudine».

di Caterina Ruggi d’Aragona

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