L’Arena del 01/07/2022
Si tratta di un modello artificiale di seconda generazione in grado di sostituire i recettori danneggiati a causa della retinite pigmentosa.
Un team di ricerca tutto made in Italy di cui fa parte la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell'Oculistica dell'IRCCS di Negrar. L'ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, l'Istituto italiano di Tecnologia di Milano e l'ospedale Policlinico San Martino di Genova hanno testato con successo il prototipo di retina liquida negli stadi avanzati di retinite pigmentosa in cui attualmente è consentito l'intervento chirurgico di protesi retinica.
Il buon esito della sperimentazione, pubblicato su Nature Communications, rappresenta un ulteriore avvicinamento alla fattibilità di futuri studi clinici sull'uomo. Il gruppo formato da ricercatori e ricercatrici del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova diretto dal professor Fabio Benfenati presso l'IRCCS ospedale policlinico San Martino di Genova e del Center for Nano Science and Technology dell'IIT di Milano, diretto dal professor. Guglielmo Lanzani, in collaborazione con la Clinica Oculistica del Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile, ha dimostrato l'efficacia del modello di retina artificiale liquida presentato dallo stesso team nel 2020 (Nature Nanotechnology 2020, anche negli stadi più avanzati e irreversibili della degenerazione retinica dovuta alla retinite pigmentosa, patologia genetica che può portare alla cecità.
Poiché è proprio nella fase avanzata che i pazienti affetti da questa malattia - oltre 5 milioni nel mondo - vengono sottoposti ad interventi di chirurgia protesica, questo risultato getta solide basi per i passaggi successivi mirati a condurre i primi test sugli esseri umani, stimati intorno al 2025-2026.La retina liquida è un modello di retina artificiale di «seconda generazione», biocompatibile, ad alta risoluzione ed è costituita da una componente acquosa in cui sono sospese nanoparticelle polimeriche fotoattive realizzate ad hoc nei laboratori IIT, delle dimensioni di circa 1/100 del diametro di un capello, che prendono il posto dei fotorecettori danneggiati. Rispetto ad altri approcci già esistenti, la nuova natura liquida della protesi assicura interventi più brevi e meno traumatici che consistono in micro-iniezioni delle nanoparticelle direttamente sotto la retina, dove queste restano intrappolate prendendo il posto dei fotorecettori degenerati, oltre a una maggior efficacia.
Lo studio, soprannominato Nanosparks, letteralmente «nanoscintille», ha potuto contare sul supporto della Fondazione 13 Marzo, Fondazione Cariplo e di finanziamenti europei. I test di tipo preclinico sono stati condotti su modelli sperimentali riportanti pari condizioni dell'essere umano nelle fasi più avanzate della retinite pigmentosa, condizioni più critiche rispetto agli stadi in cui erano stati effettuati dallo stesso team gli studi negli anni passati. In questi casi, la retina oltre ad essere completamente priva di fotorecettori presenta anche significative alterazioni dei neuroni che convogliano il segnale al nervo ottico.
Nei modelli preclinici sperimentali la parte del cervello addetta alla visione (corteccia visiva) è completamente silente, mentre in seguito all'iniezione delle nanoparticelle polimeriche fotoattive «made in Italy» si registrano nuovi segnali fisiologici, la corteccia visiva si riattiva e tornano a formarsi memorie visive. Risultati che dimostrano come l'approccio basato sulla retina artificiale biocompatibile e ad alta risoluzione sia vincente.
Lo sviluppo del concetto di retina artificiale liquida è affidato a Novavido srl, la startup nata nel 2021, che si occupa di implementare e standardizzare la produzione delle nanoparticelle per avvicinarsi ai primi test su pazienti di retinite pigmentosa «Avere dimostrato», afferma la dottoressa Pertile, «che le nanoparticelle fotovoltaiche rimangono efficaci in stadi di avanzata degenerazione della retina non solo completamente priva di fotorecettori, ma anche "destrutturata" a causa delle profonde modificazioni dei circuiti retinici residui, apre la porta all'applicazione di questa strategia alle patologie umane».
«Il nostro recente studio», aggiunge Simona Francia, ricercatrice IIT nel gruppo del professor Benfenati e prima autrice del lavoro, «è un'ulteriore importante tappa verso la terapia di patologie come la Retinite pigmentosa e la degenerazione maculare legata all'età. Non solo queste nanoparticelle si distribuiscono ad ampie aree retiniche permettendo di guadagnare un ampio campo visivo, ma in virtù delle loro piccole dimensioni sono in grado di assicurare un recupero dell'acuità visiva».
«Le nanoparticelle polimeriche», conclude Guglielmo Lanzani, direttore del centro IIT di Milano, «250 volte più piccole dello spessore di un capello agiscono come microcelle fotovoltaiche, convertendo la luce in un segnale elettrico e non determinano nessuna reazione negativa nel tessuto essendo costituite da polimeri del carbonio, come le nostre proteine e i nostri acidi nucleici. L'avere ridotto la protesi retinica a una sospensione di nanoparticelle, riduce l'intervento di impianto della protesi a una semplice iniezione molto meno invasiva».
Nessun commento:
Posta un commento