Redattore Sociale del 15.07.2019
MILANO. Il regolamento prevedeva che il Comune di Vigevano dovesse contribuire alle spese per l'accoglienza delle persone disabili in strutture residenziali, solo se la famiglia aveva meno di 5 mila euro in banca e nel caso fosse in possesso di immobili si doveva procedere con la vendita. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (Tar) ha dichiarato illegittimo questo regolamento così draconiano che costringeva le persone con disabilità e le loro famiglie a essere povere o a far da sole.
Non è l'unico comune lombardo ad aver adottato un regolamento del genere. Ma ancora una volta un tribunale ha sancito questo principio: "È illegittimo chiedere alle persone con disabilità e ai loro familiari di dare fondo ai propri risparmi o vendere i propri beni immobili", commenta la Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha), che aveva presentato il ricorso contro il Comune di Vigevano.
"Il Tar ha dichiarato illegittimo il regolamento comunale nella parte in cui prescrive le condizioni affinché il Comune stesso possa intervenire nell'integrazione delle rette dovute alle strutture residenziali che ospitano le persone con disabilità - spiega la Ledha -. Il testo del regolamento, infatti, prevedeva l'intervento del Comune a integrazione della retta "solo se il patrimonio mobiliare dell'assistito risulta inferiore ad euro 5.000". In caso di presenza di un patrimonio immobiliare, invece, il regolamento prevedeva l'obbligo di alienazione o la locazione per destinare i proventi al rimborso dell'integrazione anticipata dal Comune, con la precisazione che, in mancanza di accordo tra il Comune e l'assistito (o i suoi rappresentanti), l'ente locale avrebbe potuto rivalersi sulla futura eredità".
I giudici hanno evidenziato che il regolamento comunale è in contrasto con la normativa nazionale di compartecipazione alla spesa (Dpcm 159/2013), sottolineando come "in nessuna norma è previsto che, se superiore a determinati limiti, il patrimonio immobiliare debba essere interamente destinato alla copertura della retta; né è previsto che i Comuni possano imporre agli assistiti la messa a reddito del loro patrimonio immobiliare al fine di destinare i proventi al pagamento della retta stessa, o addirittura la rivalsa sull'eredità".
Ancora più importante, sottolinea l'avvocato Fancesco Trebeschi che ha patrocinato in giudizio il ricorso di Ledha, è il richiamo nel dispositivo della sentenza, della possibilità dei Comuni di "prevedere, accanto all'ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari" (così l'art. 2 co. 1 del Dpcm n. 159/2013). Ma questi "criteri ulteriori" non possono essere di "natura economica" bensì solo "sociale" perché, diversamente, significa che ogni Comune potrebbe individuare criteri di accesso e compartecipazione che violano il decreto Isee, mentre questo indicatore, nello stesso articolo, è individuato quale "livello essenziale" per l'accesso e la determinazione della compartecipazione.
"In nessuna parte del decreto ISEE, infatti, è previsto un meccanismo simile a quello che molti Comuni pretendono di adottare: vale a dire 'consumare’ tutte le proprie sostanze fino al valore di 5mila euro, soglia al di sotto della quale si giustifica e si prevede la possibilità dell'intervento comunale a sostegno del pagamento della retta -commenta l'avvocato Laura Abet del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi -. L'invito a leggere attentamente i regolamenti comunali è quindi d'obbligo".
I criteri stabiliti dalla legge statale, insomma, devono trovare uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale. "Siamo molto soddisfatti di questa sentenza, che rappresenta un ulteriore riconoscimento di un principio importante che LEDHA, attraverso l'attività svolta in questi anni dai legali del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, ribadisce da anni - commenta Alessandro Manfredi, presidente di LEDHA -. I regolamenti comunali, che pur formalmente recepiscono la normativa nazionale, ma non ne danno corretta applicazione, sono illegittimi". (dp)
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