Superando.it del 06.04.2020
«Come si fa a pensare – scrive Giovanni Maffullo – che un’intera categoria di lavoratori sia obbligata a “fare scuola” a distanza, senza che l’Amministrazione abbia effettuato un adeguato investimento in termini di formazione? E tuttavia, nonostante una serie di notevoli criticità, i docenti, nel complesso, stanno dimostrando di saper sostenere la formazione degli studenti anche in situazione emergenziale. Ma credo anche che fino a quando la realizzazione dell’inclusione scolastica e sociale si identificherà con la seppur meritoria buona volontà delle persone, essa rimarrà ancora un miraggio»
Con le attività didattiche sospese e tutto il personale della scuola – non solo i docenti – a casa da diverse settimane, l’insegnamento – inteso come componente strettamente disciplinare – non può che avvenire con la didattica a distanza, facendo ricorso alle nuove tecnologie. Mi chiedo però: come è stata richiesta al corpo docenti la didattica a distanza? Con il solito approccio top-down [“dall’alto verso il basso”, N.d.R.], facendo leva sia sull’orgoglio nazionale, oltre che sulla buona volontà del personale docente.
Nell’àmbito dell’universo scuola, infatti, sono scattate innumerevoli iniziative caratterizzate da solidarietà trasversale sull’onda del leitmotiv “la scuola aiuta la scuola”. Nobili attività che presuppongono però il continuare a far leva sull’intraprendenza e sull’arte dell’arrangiarsi, che pesca anche nella nostra capacità creativa, tipica di questo Paese.
Ovviamente tale caratteristica, in tempo di “crisi”, è di vitale importanza. Noi italiani siamo ricchi di iniziative personali e di gruppo volte a sostenere la società mediante mutuo-aiuto: basti pensare ai servizi garantiti dal volontariato che spesso, anche nell’area della fragilità (ad esempio per gli anziani) e della disabilità, vicariano l’assenza di servizi integrati e/o di semplici servizi alla persona.
A me sembra, con le dovute cautele connesse ad una comparazione forzata, così come è successo alla Sanità – per parecchie settimane agli operatori sanitari non sono stati messi a disposizione adeguati dispositivi di protezione individuale e ora stanno pagando questa inefficienza con la vita, ciò che è assurdo -, che si sia deciso di mandare allo sbaraglio i docenti, noncuranti dell’equipaggiamento idoneo che ognuno avrebbe dovuto avere per affrontare al meglio la situazione.
“Strumenti e atteggiamento tattico” sono indispensabili se si vuole affrontare un cambiamento, se si desidera far fronte ad una neo-situazione. In altri termini, agli insegnanti si sarebbero dovuti fornire, in tempo di “pace” e non di guerra come si dice oggi, dispositivi e idonea formazione, qualora si avesse avuto il coraggio di investire nel “capitale umano” (in quest’epoca di neo-liberismo, tale espressione è sostenuta in funzione della necessaria – sigh! – competitività, utile per sostenere lo sviluppo socio-economico).
Cosa è successo però subito dopo Carnevale? Il Ministero di fatto ha imposto ai Dirigenti Scolastici di attivare la didattica a distanza e subito dopo i Dirigenti Scolastici stessi, hanno deciso, in autotutela, di far funzionare la scuola a colpi di Circolari; quindi, anche i docenti, a cascata, attualmente operano come funzionari di un apparato e scrivono sul registro annotando rigorosamente ciò che fanno solo in termini didattico-disciplinari.
Ecco cosa, soprattutto in troppe scuole superiori, sta succedendo quotidianamente: ci si mette a posto dal punto di vista burocratico-amministrativo e come “soldati ben addestrati” – ma noi docenti da tempo ci siamo e ci stiamo formando a nostre spese, dedicando a questo tempo e denaro -, alcuni insegnanti curricolari fanno la loro bella lezione trasmissiva in videoconferenza. Al contempo tali docenti “disciplinaristi” appaiono noncuranti delle ulteriori difficoltà che incontra chi già fatica, di suo, a seguire una lezione in presenza.
Come è possibile però, anche se siamo in emergenza, che il Ministero e i Dirigenti Scolastici non si premurino di sincerarsi con le loro indicazioni se i singoli docenti, e a cascata i singoli studenti, siano in grado di utilizzare le nuove tecnologie e se siano in possesso di idonei strumenti atti a supportare la didattica a distanza?
Mai come oggi il cosiddetto Digital Divide (“divario digitale”) divide e ostacola l’inclusione.
Alla comunità educante (non si è voluto però in questo momento coinvolgere il personale ATA, Ausiliario Tecnico Amministrativo, e non capisco perché queste persone non possano ad esempio partecipare ad un dibattito con chat, videochat e videoconferenze) ho sottolineato con forza che innanzitutto noi docenti dobbiamo garantire la continuità della relazione educativa e il supporto emotivo-relazionale agli studenti, con disabilità in primis, grazie alla nostra “vicinanza” quotidiana.
Quando penso infatti ai nostri studenti con disabilità, che fanno estrema fatica nei processi di apprendimento, immancabilmente credo che noi insegnanti di sostegno dobbiamo dedicare loro non solo più tempo, ma anche renderlo “ricco” in termini emotivo-relazionali. Anche se ciò ha un “costo”, con un’immancabile notevole profusione di sforzi non conosciuti né riconosciuti, se non dalle famiglie, ciò che per altro rappresenta il magnifico ritorno in termini di umanità vissuta insieme, non possiamo esimerci dal farlo con piacere. Infatti, se come insegnanti specializzati scopriamo – leggendo e registrando i vissuti – che la persona con disabilità ha perso un certo equilibrio intrinseco, dobbiamo immancabilmente rispondere al bisogno, optando per una presa in carico che abbia come finalità il ben-essere. E per fare ciò è essenziale agire lavorando sulla flessibilità, ad esempio dell’articolazione dell’orario di servizio.
Abbiamo dovuto aspettare il Covid-19 per sostenere che la funzione dell’insegnante specializzato deve essere espletata con flessibilità e non solo durante l’orario scolastico?
Un altro aspetto “positivo” emerso “grazie” (sic!) alla presenza del coronavirus è che tutti gli studenti si sono dovuti immergere con tempestività nelle novità connesse con l’uso della didattica a distanza e ciò ha fatto sì che anche gli alunni con disabilità acquisissero, pur se a fatica, neoabilità e competenze.
Ma quali accortezze sono state prese per sostenere l’inclusione a livello di organizzazione e pianificazione anche se fatta in situazione di urgenza? Poche, troppo poche.
Gli insegnanti sono intervenuti da subito pur di sostenere la dimensione socio-relazionale e psicologica indotta dal “distanziamento sociale”; non hanno di certo aspettato le indicazioni, alias direttive dei tecnici, del Ministero. Poi, purtroppo, dal dovere sociale, morale, civile, al piacere di aiutare, si è di fatto transitato al messaggio dell’obbligatorietà. Come si fa infatti a pensare che un’intera categoria di lavoratori, i docenti, sia obbligata a “fare scuola” senza che l’Amministrazione abbia effettuato un adeguato investimento in termini di formazione? (ovviamente, per quanto mi riguarda, penso che la questione non sia se espletare la propria funzione docente, ma come esercitare al meglio l’insegnamento e non rinunciare a educare).
Ed ora l’obbligo sta transitando ai giovani studenti “normodotati” che, eccezion fatta per coloro che avranno gli Esami di Stato, cioè la Maturità, in molti casi stanno facendo resistenza (la videocamera e il microfono non funzionano, il device si “impalla”…).
Uno degli effetti dell’essere obbligati, senza che vi sia interazione faccia a faccia nello stesso luogo fisico – conditio sine qua non per educare – è quello di vivere l’obbligo di fare scuola come un’imposizione che viene dall’alto e ciò trasforma chi si trova in basso in meri esecutori. Può in queste condizioni emergere un vissuto positivo? Domanda retorica che cela il mio ardire nel sottolineare con forza che l’essenziale è cercare e desiderare di coinvolgere, di sollecitare la partecipazione attiva la quale, immancabilmente, necessita di un grosso investimento in termini di tempo, che alcuni docenti non vogliono dedicare poiché hanno appunto percepito l’obbligatorietà del loro agire. Ecco perché, a mio avviso, anche per questo motivo ancora oggi si assiste, anziché in presenza a distanza, a lezioni frontali ricche di contenuti, ma povere di confronto dialettico con gli studenti. Per buona pace della Nota Ministeriale Protocollo n. 388, sulla didattica a distanza, attivata e realizzata.
Eppure la situazione specifica, connessa con una palese limitazione delle libertà personali e sociali, vorrebbe che in termini di cittadinanza globale si aprissero e si sostenessero dibattiti e confronti con i nostri giovani della scuola secondaria, specie con quelli della secondaria di secondo grado (le scuole superiori). Il fine sarebbe quello di aumentare la coscienza civile e sostenere la capacità di avere un pensiero critico o meglio… un pensiero non uniformato a quello imperante.
Questo semplice esempio rivela che per cambiare metodologia (il modo di sostenere efficacemente il processo di insegnamento-apprendimento), non è sufficiente affidarsi all’uso della tecnologia, ma è necessario sapere come farsi aiutare dalla tecnologia, affinché la lezione, l’insegnamento, diventi più accattivante e “catturi” non solo l’attenzione degli studenti, ma stimoli il loro desiderio di protagonismo, di partecipazione dialettica.
Qui voglio unirmi in modo accorato alla moltitudine di colleghi che con spirito di servizio e responsabilità si impegnano ogni giorno per essere vicini ai propri alunni, per tenere viva la relazione, evitando che perdano non già solo ore di lezione – scopo della didattica a distanza – ma soprattutto quel legame vitale interpersonale che caratterizza ogni comunità scolastica e che sta alla base del processo educativo.
In conclusione non posso non affermare, nonostante le notevoli criticità – talune anche suindicate -, che i docenti, nel complesso, stanno dimostrando di saper cambiare e sostenere la formazione degli studenti anche in situazione emergenziale.
Al Ministero di Via Trastevere avranno imparato la lezione? I docenti, nel complesso, sono pronti al cambiamento e loro? La compagine governativa e il Parlamento avranno il coraggio di investire su sanità e scuola e su quest’ultima, soprattutto, con un’idonea formazione?
Penso, anzi credo, proprio di no. Nell’agenda politica, infatti, la formazione delle persone non sta a cuore e, ahimè, neppure è presente nella mente di chi dovrebbe avere un progetto a lungo termine per il nostro Paese. Quindi, sin tanto che la realizzazione dell’inclusione scolastica e sociale si identificherà con la mera e seppur meritoria buona volontà delle persone, essa permarrà ancora un miraggio.
Insegnante specializzato e consigliere di orientamento.
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