Il Giornale del 17/02/2022
Stanislao Rizzo, oculista di fama internazionale, è considerato una eccellenza italiana per i suoi studi e interventi innovativi nel campo medico-scientifico.
Le nuove forme di cecità, la miopia, la cura della retina, il Covid19 e la sanità post-pandemia. Intervista a Stanislao Rizzo, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica del Policlinico Gemelli e docente presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel 2013 ha ricevuto a Los Angeles il premio come chirurgo innovativo dell’anno dalla Alfred Mann Foundation Award for Scientific Achievement.
Professor Rizzo quali sono ad oggi le principali cause di cecità?
“Per quanto riguarda il mondo occidentale abbiamo risolto il problema della cataratta, l’opacizzazione del cristallino, che invece caratterizza molto i paesi meno avanzati. Intervenire sul cristallino opaco, estraendolo e sostituendolo con una protesi trasparente, diciamo è la chirurgia più frequente che noi eseguiamo in oculistica. È un’evenienza molto frequente che dopo i 60/70 anni il cristallino vada ad opacizzarsi. E quindi, considerando l’invecchiamento generale della popolazione è sicuramente l’intervento più diffuso. Diciamo che nel mondo occidentale, quello più sviluppato, se vogliamo chiamarlo così tra le cause più frequenti di cecità al primo posto c’è la degenerazione maculare senile, ovvero maculopatia senile. La macula è la parte centrale della retina (il tessuto più nobile che abbiamo nel nostro organismo) deputata alla visione distinta. Noi vediamo il viso dei nostri cari, leggiamo il giornale, vediamo il distinto attraverso questo millimetro e mezzo che costituisce il centro della retina dove le immagini vengono viste perfettamente a fuoco. Anche in questo caso in età più avanzata la macula subisce delle alterazioni che portano a cecità centrale. Quindi una malattia molto invalidante perché il paziente non riesce più a vedere l’ambiente che lo circonda in maniera distinta, ma con notevole distorsione o con una macchia centrale”.
L’utilizzo sempre più frequente di strumenti tecnologici come pc, ipad, cellulari, ebook posso portare ad un danneggiamento della vista?
“Quello che noi osserviamo e soprattutto lo abbiamo visto in questi due anni di didattica a distanza, conferenze via computer, è un aumento della miopia. L’applicazione da vicino fa sì che i nostri ragazzi stiano diventando miopi. Ormai la miopia interessa più del 50% degli italiani. Anzi, ci sono delle popolazioni, come quella ebraica o giapponese in cui la miopia è molto molto diffusa e questo è un carattere genetico. Mentre ci sono delle popolazioni come gli australiani dove la miopia è meno diffusa. Forse anche perché gli australiani vivono più all’aria aperta, hanno più luce, sole… Quindi la miopia sicuramente è una causa che può essere peggiorata o indotta da un’applicazione continua da vicino”.
Lei è specializzato nella cura della retina, a che punto sono gli studi sull’utilizzo delle cellule staminali?
“Siamo ancora lontani dal rigenerare un tessuto così sofisticato, nobile (la retina è fatta da nove strati, con numerosi tipi di cellule ognuna con una funzione diversa dall’altra). Noi possiamo per esempio far ricrescere la cute, il muscolo cardiaco con le cellule staminali, ma far ricrescere un tessuto come la retina è molto difficile. È un traguardo ancora molto lontano”.
Lo scorso anno al Gemelli è stato protagonista di un intervento fondamentale per combattere la cecità, l’impianto su un paziente di 70 anni di una retina artificiale.
“Quello che abbiamo utilizzato è un impianto tecnologicamente avanzatissimo, frutto di una collaborazione fra un’azienda israeliana e una grande azienda tedesca, quindi a dimostrazione anche di come la scienza non ha confini. Ma per non dare false illusioni ai pazienti, questo sistema è deputato a una particolare forma di cecità molto rara che si chiama retinite pigmentosa. Una malattia ereditaria, trasmessa attraverso il nostro patrimonio genetico e che colpisce persone anche in età giovanile. Ma è solo e soltanto in questo tipo di malattia che noi applichiamo questo microcomputer sulla superficie della retina”.
Per il resto dei casi di cecità?
“Per tutto il resto delle cause di cecità ancora questo tipo di applicazione non è possibile, ma abbiamo aperto una grande porta per una patologia molto di confine”.
Lei pensa che in futuro, fra quaranta/cinquant’anni, ci possa essere la possibilità di ridare completamente la vista?
“Io penso prima di cinquant’anni. Ci sono tre grandi branche di ricerca almeno nel campo della rigenerazione: le cellule staminali, la retina artificiale, la terapia genica. Quest’ultima è un altro grandissimo capitolo, ossia modificare mediante un virus buono che porti un’informazione corretta quello che purtroppo è stato geneticamente trasmesso al paziente in maniera errata”.
Dal punto di vista professionale come si è sentito dopo il successo dell’intervento?
“Ridare la vista è il sogno di qualunque oculista. Il fatto che il paziente dopo solo qualche giorno abbia rivisto la luce, la figura della moglie è stata un’enorme soddisfazione”.
Il Covid19 attacca anche l’occhio, in che modo può essere contratto?
“Come tutti i virus può penetrare nell’occhio attraverso la congiuntiva. La congiuntiva è una membrana che ricopre l’occhio altamente vascolarizzata e l’eventuale congiuntivite si manifesta come tutte le forme virali, con occhio rosso, lacrimazione, sensazione di corpo estraneo… ma non lascia conseguenze”.
Quest’anno a Roma si è tenuta Floretina, la biennale dell’oculistica mondiale che Lei organizza.
“Floretina è un congresso internazionale in cui numerosissimi ricercatori provenienti da tutte le parti del mondo scambiano le proprie esperienze. Il bello di questa edizione è che finalmente siamo tornati diciamo in presenza, (1600 partecipanti), dopo due anni di isolamento. I temi su cui abbiamo discusso si sono concentrati su cellule staminali, visione artificiale, terapia genica”.
Come pensa che uscirà la sanità italiana dopo il Covid19?
“Spero più preparata. Quello che ha evidenziato questo evento è l’assoluta mancanza del territorio. Tutti i grandi ospedali sono andati in sofferenza nel momento acuto perché tutti i pazienti arrivavano all’ospedale centrale e molte volte non venivano curati a casa come in molti casi avrebbe potuto essere. Sicuramente è stata una grande lezione, speriamo di poter trarne vantaggio ed esperienza”.
di Federico Bini
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