OrizzonteScuola.it del 06.03.2020
Lavoratori e professionisti con forme contrattuali a tempo determinato, pagati per le ore realmente svolte, messi in ginocchio dalla chiusura delle scuole a seguito del decreto che ha avviato una serie di misure per contrastare il diffondersi del contagio da Coronavirus.
Le associazioni professionali di categoria di cui alla Legge 14 gennaio 2013 n° 4 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate, pubblicata nella Gazz. Uff. 26 gennaio 2013, n. 22) App (Associazione professioni pedagogiche), Conped (Coordinamento nazionale Pedagogisti ed Educatori), Uniped (Unione Italiana Pedagogisti) e la Associazione senza scopo di lucro M.i.l.l.e.- Professioni Educative, in una missiva inoltrata al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali on. Nunzia Catalfo sottopongono all’attenzione del capo del dicastero «l’incresciosa situazione in cui versano da anni gli educatori professionali impegnati nel ruolo di assistente ad personam (art. 13 della Legge n. 104/1992) dedicato in ambito scolastico agli allievi affetti da disabilità o con problemi di marginalità sociale».
Il comma 3, infatti, del citato articolo 13 prevede che «Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l’obbligo per gli enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati». Ad introdurre la figura, si ricorda, è stato l’art. 42 del DPR 616/1977 recante disposizioni sull’assistenza scolastica, il quale recita «Le funzioni amministrative relative alla materia «assistenza scolastica» concernono tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private, anche se adulti, l’assolvimento dell’obbligo scolastico nonché, per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, la prosecuzione degli studi. Le funzioni suddette concernono fra l’altro: gli interventi di assistenza medico-psichica; l’assistenza ai minorati psico-fisici; l’erogazione gratuita dei libri di testo agli alunni delle scuole elementari».
Continuano i presidenti nazionali delle tre associazioni (dott.ssa Anna Brigandi per l’Associazione Professioni Pedagogiche, dott. Fabio Olivieri per il Coordinamento Nazionale Pedagogisti ed Educatori, prof. Alessandro Bozzato per l’Unione Italiana Pedagogisti e dott. Andrea Rossi per l’Associazione M.I.L.LE. Professioni Educative) sottolineando come questi «professionisti per lo più lavorano con funzioni finanziate da regioni o province (città metropolitane) e appaltate a cooperative sociali. Questi professionisti hanno forme contrattuali diverse, ma anche se assunti dalle cooperative con contratti a tempo determinato vengono pagati solo per le ore che realmente fanno a favore degli studenti in carico. Pertanto, non vengono pagati nei periodi di vacanza o quando un alunno non va a scuola per malattia o per qualsiasi altro motivo».
Una situazione che di fatto umilia i lavoratori e sminuisce il valore giuridico della richiamata fonte normativa che al comma 1 dell’articolo 13 della Legge n. 104/1992 recita «L’integrazione scolastica della persona handicappata nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado e nelle università si realizza, fermo restando quanto previsto dalle leggi 11 maggio 1976, n. 360, e 4 agosto 1977, n. 517, e successive modificazioni, anche attraverso: a) la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o privati. A tale scopo gli enti locali, gli organi scolastici e le unità sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze, stipulano gli accordi di programma di cui all’articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, d’intesa con i Ministri per gli affari sociali e della sanità, sono fissati agli indirizzi per la stipula degli accordi di programma. Tali accordi di programma sono finalizzati alla predisposizione, attuazione e verifica congiunta di progetti educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché a forme di integrazione tra attività scolastiche e attività integrative extrascolastiche. Negli accordi sono altresì previsti i requisiti che devono essere posseduti dagli enti pubblici e privati ai fini della partecipazione alle attività di collaborazione coordinate». Che se ben consideriamo rappresenta una assoluta novità del panorama giuridico, non solo italiano, ma europeo e mondiale, se non fosse che, sovente, le norme si scontrano con la quotidianità della loro perniciosa attuazione che, nel caso specifico, da un lato si identifica come norma in grado di fronteggiare e risolvere delle disparità sociali, anche nell’accesso alla formazione degli alunni con disabilità, e dall’altro, non prevedendo forme chiare di retribuzione dei lavoratori, creare una condizione sociale dei lavoratori fortemente disancorata dal principio di uguaglianza, in questo caso, di trattamento economico.
Scrivono, infatti, nella missiva al titolare del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali on. Nunzia Catalfo, che, in queste condizioni, la retribuzione dei lavoratori è «evidentemente degradante e precariante, in questo periodo in cui, prima molte regioni, adesso in tutto il Paese, gli istituti scolastici sono stati chiusi per ridurre la diffusione del virus covid 19 rischia di risultare ulteriormente dannosa».
Per tutte queste ragioni e in attesa di una attenta regolamentazione delle professioni, considerato che i «fondi per pagare questi professionisti sono già stati stanziati dagli enti locali», le associazioni di categoria chiedono con fermezza «di provvedere affinché le ore non svolte per l’emergenza sanitaria vengano comunque retribuite».
Di fatto, questa insana modalità di retribuzione, negli anni ha mortificato, e di molto, la professionalità di professionisti indispensabili nelle scuole che andrebbero assunti nell’organico dello stato sottraendoli a queste modalità degradante e ingiusta di prestazione professionale. Più che altro non professionalizzante considerato che, molti di essi, sono costretti ad elemosinare un monte ore adeguato a garantire, a fine mese, uno stipendio accettabile, anche se quasi mai puntuale.
Se volessimo meglio, descrivendo il fenomeno, anche risolvere i problemi complessivi (oltre il momento particolare), è inconcepibile, ingiusto e mortificante che, giornalmente, un professionista esca da casa, raggiunga la sede (talvolta anche da lontano), attenda l’alunno, che poi non verrà, ed è costretto a rientrare a casa, non solo senza retribuzione, ma peggio non avendo più la possibilità di riorganizzare la giornata (a livello lavorativo). L’assistente all’autonomia e alla comunicazione dei disabili è, lo vogliamo sottolineare per tracciarne la sua fondamentale presenza in una istituzione scolastica, è un operatore socio-educativo che è in grado di intervenire all’interno di contesti socio-educativi, scolastici e formativi con la funzione di mediare e favorire la comunicazione, l’apprendimento, l’inclusione e l’integrazione e la relazione tra la persona con disabilità sensoriale e la famiglia, la scuola, la classe e i servizi territoriali specialistici, attraverso il corretto uso delle risorse disponibili e nel rispetto delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza vigenti. Una vera preziosità che va stabilizzata, gratificata, valorizzata.
Sottolinea il professore Filippo Nobile, pedagogista clinico e docente di Scienze umane all’IISS “Bassa Friulana” di Cervignano del Friuli «quanto sia completa la formazione di questa figura, avendo conoscenze di elementi di legislazione socio-sanitaria, sul ruolo dell’assistente per l’autonomia e comunicazione, di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, di deontologia ed etica professionale, talvolta (non sempre) di conoscenze della Lingua Italiana dei Segni, sulla natura e le caratteristiche dei deficit intellettivo-motorio-sensoriale, talvolta di conoscenze di base del metodo Braille, delle cause della disabilità visiva e uditiva, di psicologia della disabilità, talvolta sullo studio dei disturbi dello spettro autistico, sulle metodologie di riabilitazione, di psicologia della famiglia, sulle tecniche educative e di animazione per disabili. Professionalità, dunque, che va valorizzata in quanto arricchisce la scuola e la sua offerta di professionale, educativa e formativa».
Nella stessa missiva le quattro associazioni professionali nazionali Associazione professioni pedagogiche, Coordinamento nazionale Pedagogisti ed Educatori, Unione Italiana Pedagogisti e la Associazione senza scopo di lucro M.i.l.l.e.- Professioni Educative, richiedono, come è giusto che sia, «per gli Educatori ed i Pedagogisti che operano in regime di libera professione presso i centri e le scuole interessate dalle misure di contenimento del DL n. 6/2020, di aumentare l’indennità prevista a euro 750,00 priva di oneri fiscali e contributivi».
di Antonio Fundaro
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