Il Corriere della Sera del 07.03.2020
Le società produttrici hanno investito molto nell’accessibilità. Ma il costo è alto per chi è fuori dal mercato del lavoro. E molte app sono ancora poco inclusive.
Se lo smartphone sa essere uno scrigno di informazioni e un potentissimo strumento per comunicare, è anche vero che si presenta come una tavoletta dalla superficie liscia e uniforme. Apparentemente impossibile da usare per chi è affetto da una qualche forma di disabilità. Quando si pensa a un touch-screen come a un pezzo di vetro, ad esempio, come fa un cieco a maneggiarlo? La preoccupazione, nella comunità dei non vedenti, si è alzata sin dai primi modelli. Senza tasti fisici da toccare, risultava quasi impossibile, per loro, partecipare a questa rivoluzione digitale. E le difficoltà si presentavano anche per altre comunità. La fetta di popolazione che soffre di una qualche forma di disabilità è ampia: 1,2 miliardi nel mondo, di cui secondo l’Istat 2,6 milioni solo in Italia. Un «pubblico» che non è rimasto inascoltato. Le società produttrici di smartphone e sistemi operativi mobile negli anni hanno investito molto nell’accessibilità, trasformando questi dispositivi in una finestra sul mondo anche per chi non vede, non sente o non riesce a muoversi.
«Sono stati fatti - racconta l’ingegnere Carlo Montanari, consulente della Onlus Cerpa (Centro europeo di ricerca e promozione dell’accessibilità) - passi da gigante da parte di tutti ed è subentrata una logica di “universal design” in fase di progettazione. Qualsiasi dispositivo, al momento dell’acquisto, deve avere oggi già in sé i requisiti di accessibilità più ampi possibile, che permette a tutti di usarlo a prescindere da possibilità o circostanze. È stato un fondamentale cambiamento culturale». La prima, in ordine di tempo, è stata Apple. Nei suoi iPhone e iPad sono presto comparse funzionalità specifiche per rendere i dispositivi universali. «Per noi è l’accessibilità è un diritto di base: tutti dovrebbero avere l’opportunità di usare la tecnologia», ci ha spiegato Sarah Herrlinger, responsabile mondiale dell’accessibilità di Apple.
Massimizzare l’utilizzo.
«Quando decidiamo quale sarà la prossima funzionalità -aggiunge - cerchiamo sempre di massimizzarne l’utilizzo; osserviamo l’audience, considerando come possiamo fare in modo che il maggior numero possibile di utenti ne tragga beneficio. Questo è il nostro approccio, dall’ideazione alla progettazione, e abbiamo persone con disabilità in tutta l’azienda che contribuiscono, fornendo preziosi input e feedback». Nel giugno del 2009 Apple lancia VoiceOver, il lettore di schermo per ciechi e ipovedenti. A cui poi si aggiungono altre impostazioni, dallo zoom alla lente di ingrandimento fino alle descrizioni audio, che raccontano il contenuto di un video o di un’immagine. Sebbene secondo un sondaggio della non profit americana WebAim ancora nel 2017 oltre il 75 per cento dei non vedenti sceglieva un dispositivo iOS, anche Google negli ultimi anni ha recuperato e sul suo sistema operativo Android ha arricchito sempre di più il pacchetto di applicazioni dedicate. Dalla versione Android 4.4 c’è il lettore di schermo TalkBack. Così come il Voice Access, per interagire con lo schermo attraverso la voce. «Con miliardi di dispositivi attivi alimentati da Android, siamo onorati dall’opportunità di costruire strumenti utili che rendono le informazioni più accessibili nel palmo della mano di tutti. Finché ci saranno barriere per alcune persone, abbiamo ancora del lavoro da fare», aveva spiegato Brian Kemler, responsabile dell’accessibilità di Google, al lancio di Live Transcribe, una funzionalità che vuole far comunicare sordi e udenti. Perché sui due maggiori sistemi operativi per dispositivi mobile ci sono funzionalità dedicate a ogni forma di disabilità. Come la tecnologia Bluetooth creata da Apple per connettere l’iPhone a decine di apparecchi acustici. O come i sottotitoli e la descrizione di contenuti presente su film e serie tv su Apple Tv+. Mentre su Android troviamo anche Live Caption, che sottotitola in automatico ogni video riprodotto sul telefono, e un amplificatore che permette di ascoltare meglio l’audio attraverso le cuffie o dispositivi specifici.
Per i non udenti la vera rivoluzione è stata però la videochiamata, che permette di comunicare attraverso la lingua dei segni. E poi la rivoluzione degli assistenti vocali, utili per chi soffre di ogni forma di disabilità. Per chi ha difficoltà motorie iOs ha integrato un Controllo Interruttori, che permette di utilizzare menù e tastiere attraverso un solo tocco, Android ha una funzionalità con cui è possibile controllare il telefono attraverso un cursore collegato.
Nelle comunità di disabili, uno dei mantra è «Nothing about us without us»: niente su di noi, senza di noi. Se il tema tecnologico è dunque molto sentito, lo è anche la necessità di essere coinvolti nella creazione di questi strumenti. Succede nel caso dei colossi mondiali - Apple, Google e Microsoft collaborano con le organizzazioni e le coinvolgono nella progettazione - ma i problemi emergono quando si parla di sviluppatori minori: «Perdiamo molto tempo a bloccare iniziative che in realtà sono inutili perché non si sono ascoltate le vere esigenze delle persone», spiega il dottor Amir Zuccalà, responsabile dell’Ufficio Studi e Progetti dell’ Ente Nazionale Sordi. Gli fa eco Mario Barbuto, presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi: «L’avvento degli smartphone ci ha aiutato a studiare e lavorare. Ma la situazione cambia quando parliamo di app, che spesso non pongono la giusta attenzione a queste problematiche».
Un’altra questione la solleva Vincenzo Falabella, presidente nazionale della Federazione Associazioni italiane Paratetraplegici: «Oggi gli smartphone sono fondamentali. Se è vero che i costi si sono ridotti, sono comunque molto alti, considerando che le persone disabili spesso non sono incluse nel mondo del lavoro». Un problema che guarda al futuro: «Per alcuni i dispositivi connessi sono un vezzo, ad altri la Internet of Things può cambiare la vita. Dovrebbe essere più accessibile in termini di costi, magari grazie a contributi statali». I dispositivi mobili sono anche stati accuratamente catalogati - a seconda del livello di accessibilità - dal progetto Gari. La sigla sta per Global Accessibility Reporting Initiative ed è un sito creato dall’associazione internazionale Mobile Manufacturers Forum, che raccoglie i produttori di apparecchi per la comunicazione mobile. Il sito, in 19 lingue - compreso l’italiano - raccoglie informazioni su 120 funzionalità di 11mila smartphone. Nonché su tablet, smart tv e dispositivi indossabili. Secondo Michael Milligan, segretario generale del Forum, i miglioramenti sono utili a tutti. Un comando vocale risulta salvifico a chi si rompe un braccio, lo zoom è un aiuto importante quando la vista cala, i pagamenti Nfc hanno velocizzato gli acquisti per chiunque. «Apple ha fatto un grande lavoro, l’importanza di Android è che viene usata da molte più persone. Noi non ci concentriamo sui bisogni generali. Ogni individuo è diverso. Ognuno dunque deve avere la possibilità di personalizzare il dispositivo come preferisce. Disabili e non».
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