Redattore Sociale del 26/04/2021
Si intitola "Un giorno, la notte" il nuovo documentario di Michele Aiello e Michele Cattani che racconta la storia di un 23enne gambiano colpito da retinite pigmentosa che, dopo aver raggiunto l'Italia e aver scoperto che non esiste una cura, è deciso a imparare più cose possibili per prepararsi alla cecità. Così entra in una squadra di baseball e decide di filmare la sua storia in prima persona.
BOLOGNA. Un lento viaggio verso l'oscurità, per spiegare cosa significa diventare ciechi, raccontandolo con una telecamera in mano. Si intitola "Un giorno, la notte" il nuovo documentario di Michele Aiello e Michele Cattani, prodotto da ZaLab Film, che racconta la storia di Sainey Fatty, che a causa di una malattia sta gradualmente perdendo la vista e rischia di diventare completamente cieco. Dopo aver raggiunto l'Italia e aver scoperto che non esiste una cura, è deciso a imparare più cose possibili per prepararsi alla cecità: decide così di filmare la sua storia in prima persona, e di mostrare al mondo che bisogna reagire anche contro le difficoltà più grandi.
Sainey ha 23 anni e viene dal Gambia. Ricorda perfettamente quando, a tre anni, sua mamma ha scoperto che anche lui aveva la stessa malattia del fratello, di un anno più grande, e che lentamente avrebbe perso la vista. Così Sainey è partito: ha attraversato confini, il deserto, la Libia e poi il Mediterraneo, e finalmente è arrivato in Italia, a Bologna, dove sperava di trovare una cura: "Quando mi ha visitato il dottore, mi ha detto che avevo la retinite pigmentosa, che è una malattia degenerativa e incurabile - racconta Sainey -. Ora sto prendendo delle medicine perché non peggiori, e nel frattempo ho iniziato a frequentare l'istituto dei ciechi Cavazza, dove ho seguito un corso per diventare centralinista e operatore dell'informazione: mi hanno insegnato a leggere il Braille, a usare alcuni strumenti informatici per ciechi e a muovermi da solo con il bastone".
Il suo obiettivo, insomma, è imparare più cose possibili per prepararsi a quello che verrà. In questo suo viaggio verso l'oscurità, Sainey scopre la passione per un nuovo sport, il baseball. "Ho iniziato a giocare sempre tramite il Cavazza, nel 2017: ogni mercoledì vengono organizzate attività sportive per ciechi, e io ho scelto il baseball - racconta -. Prima lo seguivo solo in tv, ma non avevo mai visto una partita completa. Già dalla prima battuta, l'allenatore ha notato che ero portato: correvo veloce, battevo bene. Mi sono sentito accolto nella squadra: oggi gioco come interbase, che è uno dei ruoli più importanti in difesa. La palla è sonora: attraverso il suono riesco a capire dove si trova.
L'anno scorso ho vinto anche il premio per miglior difensore del campionato". In particolare, nella sua squadra Sainey ha stretto amicizia con il capitano, Pasquale, un sessantenne cieco che si prende di cura di lui come un padre. Gli mostra come muoversi nello spazio ascoltando i suoni intorno a lui, gli parla d'amore e delle paure più grandi, e vive assieme a lui gioie e dolori sul campo, e non solo.
Nel 2018, poi, Sainey partecipa a un laboratorio di video partecipativo e realizza un cortometraggio proprio sul baseball per ciechi e ipovedenti. "Usare una telecamera mi è venuto automatico, fin dall'inizio - spiega -. Davanti all'obiettivo non sono in imbarazzo, sto tranquillo e parlo serenamente, anche se in realtà sono molto timido: i miei amici si sono stupiti, dicono che sembro una persona diversa", ride.
Da lì nasce l'idea del film: "Quando me l'hanno proposto ho subito detto sì: era sempre stato il mio sogno di condividere la mia storia, la mia vita - continua -. È una grande opportunità per me". All'interno del documentario ci sono due punti di vista: uno soggettivo, con scene girate dal protagonista, e uno osservativo, da parte dei due registi. "Il rapporto tra autobiografia e biografia è uno dei temi principali del film e ha un ruolo centrale per la storia - scrivono Aiello e Cattani nelle note di regia -. L'auto-narrazione di Sainey è il risultato di un lavoro di ricerca sul campo che va avanti da alcuni anni e che fa uso del video partecipativo, una tecnica che offre a tutte le persone, anche principianti, l'opportunità di esprimere il proprio punto di vista attraverso la produzione audiovisiva. Al termine di quel laboratorio abbiamo proposto a Sainey di realizzare un film sulla sua vita".
A partire da questo binomio auto- rappresentazione /rappresentazione, il tema del doppio è stato sviluppato su diversi livelli: interno/esterno; disabilità/normalità; impossibilità /possibilità; sogno/realtà.
A livello fotografico, il formato del film è 4:3, più stretto rispetto al più comune 16:9. "Questo formato si richiama alle condizioni visive di Sainey e ha avuto un impatto in primo luogo su noi stessi, poiché abbiamo rinunciato a una porzione di inquadratura - spiegano i registi -. In seconda battuta, vuole essere una limitazione per il pubblico, obbligato a sperimentare una visione più limitata rispetto a quella a cui si è abituato negli ultimi anni coi formati larghi".
Oggi Sainey vive a Bologna, ospitato da una famiglia di Refugees Welcome, progetto di accoglienza per rifugiati. Si è iscritto alla graduatoria del centro per l'impiego, e nel frattempo frequenta il quarto anno dell'istituto tecnico di elettronica. In futuro gli piacerebbe iscriversi all'università e studiare informatica o lingue. "Mi piace molto anche il cinema - conclude -. Se potessi avere la possibilità di girare un secondo film, tutto mio, sarebbe il massimo".
di Alice Facchini
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