Superando del 24/08/2021
«Tutti conoscono il bastone bianco come ausilio e mezzo di riconoscimento dei non vedenti – scrive Alberto Zina -, ma quanti ne conoscono la storia o sanno chi ne ha introdotto l’uso? Ebbene, l’invenzione del bastone bianco per non vedenti risale agli anni 1930-31, avvenne in Francia e si deve a una nobildonna francese di nome Guilly d’Herbemont».
Tutti conoscono il bastone bianco come ausilio e mezzo di riconoscimento dei non vedenti, ma quanti ne conoscono la storia o sanno chi ne ha introdotto l’uso? Come collezionista di bastoni, tra i numerosi esemplari della mia raccolta figura un bastoncino bianco da donna, di una sobria eleganza, donatomi da una mia paziente con la seguente precisazione: «Apparteneva a mia nonna, non vedente. Glielo aveva donato l’Unione Nazionale dei Ciechi verso la fine gli Anni Trenta».
Constatando la mia ed altrui ignoranza in proposito, il dono ha mosso la mia curiosità di esperto e, con sorpresa, ho scoperto che l’invenzione del bastone bianco per non vedenti risale agli anni 1930-31 e si deve ad una nobildonna francese di nome Guilly d’Herbemont, nata nel 1885.
Come per tutte le invenzioni, però, era necessario un terreno adatto su cui possa svilupparsi il seme di una nuova idea. Eccoci dunque a Parigi: in quegli anni tutti avevano un bastone, oggetto che all’epoca non identificava, come oggi, un portatore di handicap o un vecchio insicuro, ma un complemento di moda senza il quale nessuno sarebbe uscito di casa. Come conseguenza della prima guerra mondiale, in città vi erano molti reduci non vedenti per i quali il crescente traffico automobilistico costituiva una minaccia mortale ad ogni attraversamento degli ampi boulevard. Turbata dalla vista dei loro tentennamenti , la nostra contessa sentì l’esigenza di fare qualcosa per rendere sicuri i loro spostamenti. L’idea del bastone bianco le venne osservando i vigili urbani che dirigevano il traffico con un manganello bianco. Contro il parere della famiglia, scrisse quindi una lettera aperta al giornale «L’Echo de Paris», che la pubblicò il 20 novembre 1930.
Nel giro di pochi giorni, ricevette l’invito a partecipare ad una riunione in cui erano presenti ministri, autorità delle istituzioni cittadine e rappresentanti delle organizzazioni dei non vedenti, tutti riuniti per valutare il suo progetto.
Nell’occasione, non mancarono le voci contrarie: qualcuno propose una fascia da braccio gialla simile a quella in uso all’epoca in Svizzera, mentre un avvocato cieco consigliò sì un bastone, ma di color rosso. Sorse poi il problema del costo e, generosamente, la contessa offrì di fornire lei stessa cinquemila bastoni. La notizia venne rilanciata dalla stampa e ottenne un successo considerevole, suscitando l’entusiasmo di tutti i non vedenti parigini.
Il 7 febbraio 1931 vi fu la cerimonia ufficiale di presentazione con gran concorso di autorità e stampa. L’ iniziativa ebbe un tale successo, che da tutta la Francia gli altri non vedenti, sentendosi esclusi, reclamarono anche loro il diritto di usufruire di un tale simbolo. Nel giro di pochi anni, l’iniziativa si diffuse rapidamente e la canna bianca fu introdotta ufficialmente da molte nazioni. Tra le prime Belgio, Svizzera, Romania e, a seguire, gli Stati Uniti e molte altre.
Altri filantropi seguirono l’esempio di Guilly d’Herbemont, donando bastoni bianchi. Come tutte le iniziative di successo, anche questa non mancò di suscitare invidie e rivalità. Pochi mesi dopo la sua introduzione, infatti, un noto medico parigino, nonostante usasse il bastone bianco, fu investito e ucciso. Con l’occasione, il propugnatore del bastone rosso, su un articolo giornalistico, accusò Guilly d’ Herbemont di essere indirettamente responsabile dell’accaduto. Tuttavia, un coro unanime si levò a favore dell’uso del bastone bianco, confortato dalle statistiche che mostravano una netta riduzione degli incidenti in cui erano coinvolti i non vedenti.
Gli Inglesi ancora oggi rivendicano questa invenzione, attribuendola a tale James Biggs, che nel 1921 dipinse il suo bastone di bianco per allertare della sua cecità. Peccato che il suo sia rimasto un esemplare unico, costituendo l’isolata iniziativa di un individuo eccentrico.
Negli Stati Uniti, invece, l’invenzione viene attribuita a G.A. Bohnam, presidente del Lions Club, proprio negli anni 1930-31. Tuttavia, in considerazione del fatto che la stampa americana aveva prontamente rilanciato la notizia dell’iniziativa della nostra contessa, è probabile che, venutone a conoscenza, Bohnam se ne sia fatto propugnatore in patria.
Va per altro riconosciuto all’associazione dei Lions di essersi negli anni attivamente impegnata nel diffondere e sostenere l’uso del bastone bianco. Nato come strumento di allerta, esso risulta anche utile per saggiare il cammino davanti al non vedente. Con tale funzione, il bastone era già in uso da tempo immemore, come dimostra il bel quadro di Bruegel il Vecchio La parabola dei ciechi.
Col tempo, il bastone bianco si è progressivamente allungato e assottigliato, diventando pieghevole e costituendo un valido strumento per saggiare la strada davanti al non vedente rendendone più sicura la marcia. Anche in questo caso, la guerra è stata il primum movens e, nel 1944, una persona invalida, R.E. Hoover, fu l’inventore e propugnatore della sua tecnica d’uso.
A dimostrazione di come il bastone bianco sia in grado di suscitare in chi lo vede i migliori sentimenti umani di solidarietà, collaborazione e altruismo, concludo con questo episodio personale. Mi trovavo al Santuario di Oropa e stavo scendendo una ripida scalinata. Come mia abitudine, avevo con me un bastone. Nell’occasione un bastone da baleniere, pertanto realizzato con un unico pezzo d’osso di balena. Tre vecchiette, che stavano salendo, incrociando il mio cammino mi rassicurano: «Venga tranquillo, non si preoccupi, se ha bisogno di aiuto siamo qui». Rimango interdetto, poi di colpo comprendo: avendo visto il mio bastone di osso bianco, mi hanno scambiato per un non vedente. Dopo un attimo di esitazione, timoroso di deluderle, confesso che per l’occasione mi sono finto non vedente!
Medico specialista. Ringraziamo l’APRI di Torino (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti) per la concessione del presente testo.
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