lunedì 22 novembre 2021

La Legge Delega sulla Disabilità è un’occasione da non perdere

Superando del 22/11/2021

«Approvato nelle scorse settimane dal Consiglio dei Ministri, il Disegno di Legge Delega al Governo in materia di disabilità – scrive Gianmpiero Griffo, coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità – è un risultato importante, un’occasione da non perdere, ma per comprenderne meglio la valenza innovativa e di riforma, è certamente utile approfondirne una serie di passaggi».

ROMA. Durante la pandemia da più parti sono emerse critiche all’attuale sistema di welfare sia a livello internazionale che nazionale. Infatti sono emerse forti lacune e indicazioni di intervenire su un sistema che pretendeva di proteggere le persone con disabilità e che invece non le ha protette.

Dalle discriminazioni proposte dalla SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) sull’esclusione delle persone con disabilità grave dai sistemi di triage per la cura dei colpiti dal coronavirus, condannate da tutte le istituzioni internazionali come violazione dei diritti umani; dalla mancanza di misure specifiche nei piani antipandemici italiani (addirittura non aggiornati dal 2006); dall’assenza di attenzioni durante il lockdown dei servizi, oltre alla rigidità degli stessi, incapaci di riconvertirsi in interventi domiciliari; dalla moria nelle residenze per anziani e persone con disabilità segnalata dall’Istituto Superiore di Sanità nella prima fase della pandemia (più del 40% di deceduti a causa della pandemia per le persone assistite in quei luoghi, che ha prodotto denunce penali); fino alla dichiarazione della commissaria europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere Helena Dalli che ha affermato come le persone con disabilità e le loro famiglie abbiano subìto un carico sproporzionato di problemi in confronto ad altri cittadini e cittadine: in sostanza abbiamo verificato che le persone con disabilità erano invisibili alle politiche e alle azioni di emergenza, proprio perché relegate in aree “speciali”.

Da più parti, in particolare nella Commissione Colao [promossa nel 2020 per elaborare il cosiddetto “Piano Colao” per la ripartenza dell’Italia: Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022”, N.d.R.], si è sollevata l’esigenza di passare ad un welfare di inclusione e di prossimità territoriale. Il modello attuale di welfare, infatti, nasce in tre periodi di crisi – la prima guerra mondiale, il new deal americano del 1929 e il dossier del ministro inglese lord Beveridge durante la seconda guerra mondiale – pensando di proteggere i gruppi vulnerabili. In realtà le persone con disabilità sono state rese vulnerabili da trattamenti spesso inappropriati e poveri rispetto ai loro diritti di cittadini, “fragilizzate” da soluzioni segreganti, da esclusioni pregiudiziali, da uno stigma negativo fortissimo che le riteneva incapaci di vivere nella società, il che ha prodotto discriminazioni di vario tipo, relegandole a trattamenti prevalentemente sanitari e assistenziali, spesso lontani dalla società.

In questo contesto la ministra per le Disabilità Erika Stefani, nel giugno scorso, ha definito un gruppo di lavoro informale cui chi scrive è stato chiamato a collaborare come coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, formato da tutti i Ministeri competenti, dalle Regioni, dai Comuni, dall’INPS, dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), dalla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità) e da alcuni esperti.

Il gruppo di lavoro in varie sedute ha elaborato numerose proposte sulla base delle quali è scaturito il Disegno di Legge Delega al Governo in materia di disabilità, approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 ottobre scorso e depositato alla camera come Atto C. 3347. Nei successivi sessanta giorni il Parlamento potrà proporre degli emendamenti che il Governo valuterà per approvare la Legge Delega entro la fine di quest’anno, secondo gli impegni assunti dall’Italia nell’àmbito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con la dizione di “Legge Quadro sulla Disabilità”; il Disegno di Legge C. 3347, infatti, è una delle riforme previste dallo stesso PNRR nella Missione 5, Componente 2 (Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore).

Questo traguardo è importante perché si tratta di una riforma costituita dalla realizzazione di una “Legge quadro della disabilità”, che si propone di realizzare pienamente i princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, ratificata dall’Italia fin dal 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], secondo un approccio del tutto coerente con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con la recente Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 presentata nel mese di marzo di quest’anno dalla Commissione Europea. Inoltre, si inserisce nell’àmbito degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030 (2015) in cui le persone con disabilità sono incluse tra i beneficiari, essendo parte integrante della società.

Il risultato atteso è la semplificazione e l’omogenizzazione dell’accesso ai welfare regionali, la riformulazione dei sistemi di assessment (valutazione) legati ai progetti personalizzati attraverso il riconoscimento della condizione di disabilità e il potenziamento degli strumenti dei venti welfare regionali italiani finalizzati alla definizione del progetto centrato sulla persona.

In tal senso si tratta di un Disegno di Legge da considerare come epocale, in quanto per la prima volta porterà a una concreta applicazione dei princìpi e delle prescrizioni della Convenzione ONU. In particolare è la prima volta che in un Paese europeo si introduce il riconoscimento della condizione di disabilità basandosi sulla definizione della Convenzione stessa (articolo 1 comma 2).

Inoltre, il Disegno di Legge Delega avvia ad applicazione alcuni punti del secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità (DPR del 12 ottobre 2017), e in particolare le seguenti linee di intervento: la n. 1 (“Riconoscimento della condizione di disabilità, valutazione multidimensionale finalizzata a sostenere il sistema di accesso a servizi e benefici e progettazione personalizzata”); la n. 2 (“Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società”); la n. 3 e la n. 5 (“Per gli accomodamenti ragionevoli”); la n. 6 (“Promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità e interventi per qualificare la pubblica amministrazione”); la n. 8 (“Per lo sviluppo del sistema statistico e del monitoraggio dell’attuazione delle politiche attraverso l’informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione”).

Credo sia utile approfondire alcuni punti del Disegno di Legge, per comprenderne meglio la valenza innovativa e di riforma.

In Italia vi sono tre livelli di assessment (valutazione). Il primo è legato all’accertamento dell’invalidità, definito su parametri percentuali di tipo esclusivamente sanitario che assegnano le soglie oltre le quali si accede a diversi benefìci.

Questo accertamento si concentra solo sulle limitazioni funzionali della persona, non descrivendo la persona stessa nella sua completezza ed è svolto da Commissioni composte solo da medici. Al punto che una persona può avere lo stesso punteggio anche se ha minorazioni di diversa natura (ad esempio il 100% può averlo una persona cieca, una persona che si muove in sedia a rotelle, una persona con disabilità intellettiva e relazionale).

Il secondo livello di assessment è l’accertamento della condizione di handicap. Introdotto dalla Legge 104/92, esso si basa su un modello di disabilità definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1980, vale a dire l’ICIDH (Classificazione Internazionale della Menomazione, della Disabilità e dell’Handicap), ormai obsoleto perché superato da altre classificazioni della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo accertamento non si basa su criteri di valutazione certi e oggettivi e valuta solo la condizione di svantaggio della persona, assegnando un livello generico di handicap e un livello di handicap grave. Nemmeno in questo caso la valutazione produce una valutazione sulla persona, ma assegna una generica valutazione di svantaggi. Qui le commissioni sono formate da operatori sanitari e sociali.

Il terzo livello di valutazione è definito da commissioni multidisciplinari regionali che valutano sostanzialmente quale servizio territoriale debba prendere in carico la persona. I criteri di valutazione utilizzati si basano su schede diverse da Regione a Regione (la più comune è denominata SVAMDI-Scheda di Valutazione Multidimensionale della Disabilità, con diverse varianti che utilizzano scale valutative differenti e alcini items anche dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001) e su un portfolio di servizi anch’esso diverso da welfare a welfare regionale. Anche in questo caso la valutazione si concentra da un lato sulle esigenze sanitarie e riabilitative e dall’altro sui carichi assistenziali di cui necessitano gli esaminandi secondo il livello di limitazione funzionale. Non vi partecipano quasi mai i diretti interessati o chi li rappresenta.

Questo tipo di valutazione è deciso da commissioni multidisciplinari (con operatori sanitari e sociali) e nemmeno qui vengono valutate le persone in maniera complessiva, ma solo per alcune caratteristiche legate ai servizi offerti. Inoltre l’articolo 14 della Legge 328/00, che definisce i progetti individuali per le persone con disabilità, risulta poco applicato nei welfare regionali, in cui l’approccio olistico che definisce i progetti non solo dal punto di vista sanitario, ma sociale, educativo e lavorativo risulta appunto raramente utilizzato.

Il Disegno di Legge Delega, dunque, interviene da un lato per introdurre un nuovo sistema di assessment, basato sulla definizione della Convenzione ONU che recita: «Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

Questa definizione permette di conoscere le barriere, gli ostacoli e le discriminazioni che una persona incontra nella sua vita, limitandone la piena ed effettiva partecipazione, nonché il godimento di tuti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Si passa quindi dall’accertamento basato sulla sola patologia, dalla definizione generica di svantaggio, al riconoscimento personalizzato delle barriere, degli ostacoli e delle discriminazioni che la persona vive quotidianamente.

Per questa personalizzazione il Disegno di Legge Delega definisce la necessità che la persona interessata o chi la rappresenta partecipi pienamente ai processi di riconoscimento della condizione di disabilità e alla definizione del progetto personalizzato partecipato. Inoltre, si prevede la definizione di un “profilo di funzionamento” della persona, che metta insieme tutte le caratteristiche, le capacità e potenzialità della stessa persona interessata, per cogliere e sostenere i processi di empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.], di abilitazione e di capability [capacità, N.d.R.], utili a conseguire gli obiettivi di vita che si prefigge (ad esempio, basta analizzare le soluzioni messe in campo dal grande fisico, matematico e astrolfisico Stephen Hawking, deceduto qualche anno fa). Purtroppo l’ICF non include questo elemento importante nella definizione dei sostegni utili a favorire la piena partecipazione delle persone con disabilità.

Il progetto personalizzato partecipato, basato sul riconoscimento della condizione di disabilità, si configura come una modalità omogenea di progettazione per tutti i sistemi di welfare regionali in cui la personalizzazione può essere legata ai progetti di vita indipendente, ai progetti della Legge 112/16 – meglio nota come “Legge sul Dopo di Noi” -, al budget di salute, elaborati sulla base delle caratteristiche della persona e delle barriere, degli ostacoli e delle discriminazioni che detta persona incontra, «stabilendo ipotesi in cui lo stesso, in tutto o in parte, possa essere autogestito con obbligo di rendicontazione secondo i criteri predefiniti nel progetto stesso».

Inoltre, il testo del Disegno di Legge prevede anche la possibilità di individuare «sostegni e servizi per l’abitare e modelli di assistenza personale autogestita che supportino l’autonomia e la vita indipendente delle persone con disabilità in età adulta, anche mediante l’attuazione coordinata dei progetti delle Missioni 5 e 6 del Paino Nazionale di Ripresa e Resilienza».

Nella definizione del progetto personalizzato si userà l’ICF insieme alla Convenzione ONU. Infatti l’ICF non lega il proprio modello alla violazione dei diritti umani che la Convenzione sottolinea con forza, e alla responsabilità degli Stati a rimuovere le barriere, gli ostacoli, lo stigma e le discriminazioni. Inoltre l’ICF cita, ma non definisce i fattori personali essenziali per promuovere l’empowerment e l’abilitazione della persona e le motivazioni a partecipare e promuovere una vita di cittadinanza attiva. L’ICF, infatti, è una tassonomia, pensata per indagini legate all’incidenza della disabilità su fasce di popolazioni determinate; inoltre è una fotografia statica che non coglie i processi di impoverimento che la società trasferisce sulle persone con disabilità. Il nuovo sistema di valutazione dovrà cogliere le barriere concrete che le persone vivono nella loro quotidianità, permettendo – come per tutti gli altri cittadini – di esprimere le proprie scelte legate al proprio progetto di vita.

Per definire i progetti personalizzati partecipati viene quindi distinto il budget di progetto, che include tutte le risorse disponibili («l’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche», anche del territorio e della persona) da mettere in campo nelle varie aree di partecipazione e diritti (salute, lavoro, educazione, autonomia e indipendenza, sport ecc.), incluse nel progetto stesso. In questo processo ancora una volta si misura l’importanza della partecipazione del diretto interessato o di chi lo rappresenta per definire un progetto «secondo i suoi desideri, le sue aspettative e le sue scelte, migliorandone le condizioni personali e di salute».

Altro obiettivo della Legge Delega è quello di ridurre l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità di qualsiasi età in Italia, perché con i progetti personalizzati come sopra descritti si proporranno «i sostegni e gli accomodamenti ragionevoli che garantiscano l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali, tra cui la possibilità di scegliere, in assenza di discriminazioni, il proprio luogo di residenza e un’adeguata soluzione abitativa, anche promuovendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socioassistenziali». A questo scopo il testo prevede «eventuali forme di finanziamento aggiuntivo», per sostenere «figure professionali con il compito di curare la realizzazione del progetto, monitorarne l’attuazione e assicurare il confronto con la persona con disabilità e i suoi referenti familiari« (così come nuove figure professionali quali i consiglieri alla pari, i case manager ecc.) «e meccanismi di riconversione delle risorse attualmente destinate alla istituzionalizzazione a favore dei servizi di supporto alla domiciliarità e alla vita indipendente».

Un ulteriore elemento innovativo è dato dall’«informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione» dei dati, attraverso un dossier unico della persona che raccolga tutte le informazioni utili a descrivere i servizi e sostegni ricevuti, i benefìci goduti, le aspirazioni e i desideri». Si propone infatti di istituire «piattaforme informatiche interoperabili con quelle esistenti alla data di entrata in vigore dei Decreti Legislativi che, nel rispetto del principio di riservatezza dei dati personali, supportino i processi valutativi e l’elaborazione dei progetti personalizzati, consentano la consultabilità delle certificazioni, delle informazioni riguardanti i benefìci economici, previdenziali e assistenziali e degli interventi di assistenza socio-sanitaria che spettano alla persona con disabilità, garantendo comunque la semplificazione delle condizioni di esercizio dei diritti delle persone con disabilità e la possibilità di effettuare controlli e contengano anche le informazioni relative ai benefici eventualmente spettanti ai familiari o alle persone che hanno cura della persona con disabilità».

Per comprendere il senso della riforma, si tenga conto che il progetto personalizzato partecipato:

- può includere tante varianti legate alla persona (progetto di vita indipendente; progetto “Dopo di Noi”; budget di salute per persone con disabilità psico-sociale ecc.);

- offre un quadro di riferimento culturale e tecnico che sarà alla base delle valutazioni in ambito educativo, universitario, lavorativo e del tempo libero;

- è un contenitore che vuole uniformare i sistemi di valutazione e progettazione di tutti i welfare regionali;

- rimette al centro la persona con i suoi diritti e le barriere, gli ostacoli e le discriminazioni che incontra nella piena partecipazione in eguaglianza di opportunità con gli altri cittadini, obiettivo fondamentale della Convenzione ONU.

Altri capisaldi del Disegno di Legge che dovrà essere approvato, come detto, entro la fine di quest’anno, sono oltre al riconoscimento della condizione di disabilità e dei progetti personalizzati partecipati, il riconoscimento del diritto di ciascuna persona al percorso di vita, indipendentemente dalla propria condizione di disabilità e il conseguente diritto ad ogni “accomodamento ragionevole” (concetto definito per la prima volta in una legge italiana), insieme all’autodeterminazione delle persone con disabilità e all’inserimento di questi diritti all’interno dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali.

Sono previsti inoltre particolari provvedimenti riguardanti da un lato la qualificazione della Pubblica Amministrazione per il rispetto dei diritti delle persone con disabilità, Pubblica Amministrazione di cui è purtroppo notoria la scarsa capacità di applicare le norme di accessibilità e fruibilità, unita alla mancanza di un mainstreaming della disabilità, ovvero del tener conto di quest’ultima in tutte le politiche più generali.

In tale direzione va segnalato l’articolo 6 del Decreto Legge 80/21, convertito nella Legge 113/21 [“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”, N.d.R.], che definisce nuovi impegni delle Amministrazioni Pubbliche nel fissare il piano delle performance e che va utilizzato dalle organizzazioni di persone con disabilità nelle aree che ci interessano.

E a tal proposito è fondamentale il riconoscimento della partecipazione delle organizzazioni di persone con disabilità e dei loro familiari nei processi decisionali che li riguardano. Abbiamo visto durante la pandemia il ruolo insostituibile delle Federazioni FISH e FAND nel proporre molte soluzioni per alleviare i problemi creati da regole che non tenevano conto dei nostri diritti. Quello che va sottolineato è che le persone con disabilità non sono più oggetto di intervento e decisioni prese da altri, ma devono essere soggetti del cambiamento culturale, tecnico e politico. E laddove le organizzazioni che le rappresentano partecipano alle decisioni che le riguardano producono innovazione.

Per quanto riguarda infine il Garante Nazionale delle persone con disabilità, l’Osservatorio sulla Condizione delle Persone con Disabilità pensa ad un organismo con i poteri previsti dai Princìpi di Parigi delle Nazioni Unite, ovvero con poteri di livello massimi nel campo della tutela, della promozione e della protezione dei diritti umani delle persone con disabilità, anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, come avviene in paesi vicini quali la Croazia. L’ideale, naturalmente, sarebbe la costituzione di una Commissione Nazionale Indipendente sui Diritti Umani, presente in tutti i Paesi avanzati, che possa intervenire gratuitamente in alternativa ai tribunali, con dossier rapidi ed efficaci. L’Italia è uno dei pochissimi Paesi industrializzati che ne è tuttora priva.

Quanto alla proposta di inserire una revisione dei barèmes [scale] percentuali delle commissioni di accertamento dell’invalidità, riteniamo che vadano espunti da questa Legge Delega, essendo basati su valutazioni puramente medico-sanitarie e quindi di competenza del Ministero della Salute.

di Giampiero Griffo,

Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità.

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L’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità

Istituito dalla Legge 18/09, con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ha funzioni consultive e di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità, con la finalità di far evolvere e migliorare l’informazione sulla disabilità nel nostro Paese e, nel contempo, di fornire un contributo al miglioramento del livello di efficacia e di adeguatezza delle politiche stesse.§

In particolare, ai sensi dell’articolo 3, comma 5 della Legge 18/09, si occupa di:

- Promuovere l’attuazione della Convenzione ONU di cui all’articolo 1 ed elaborare il rapporto dettagliato sulle misure adottate di cui all’articolo 35 della Convenzione stessa, in raccordo con il Comitato Interministeriale dei Diritti Umani.

- Predisporre un programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, in attuazione della legislazione nazionale e internazionale.

- Promuovere la raccolta di dati statistici che illustrino la condizione delle persone con disabilità, anche con riferimento alle diverse situazioni territoriali.

- Predisporre la relazione sullo stato di attuazione delle politiche sulla disabilità, di cui all’articolo 41, comma 8, della Legge 104/92, come modificato dal comma 8 del presente articolo.

- Promuovere la realizzazione di studi e ricerche che possano contribuire ad individuare aree prioritarie verso cui indirizzare azioni e interventi per la promozione dei diritti delle persone con disabilità.

Il cambio di prospettiva culturale, giuridica e scientifica, introdotto dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite, a livello nazionale, europeo e mondiale, introduce un approccio alla disabilità fortemente basato sui diritti umani e, di conseguenza, impone all’Osservatorio la necessità di introdurre elementi di innovazione nel modo di leggere e intervenire sulle diverse tematiche che riguardano la disabilità e le persone con disabilità.

(dal sito dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità della Presidenza del Consiglio)

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