sabato 6 novembre 2021

Nel giardino sensoriale dove si "annusa" e si "assaggia" il Salento

La Stampa del 06/11/2021

Conserva la biodiversità vegetale tipica del luogo: antichi fichi e susine a "cuore di donna", querce vallonee, rari arbusti come l'erica pugliese e una pregiata distesa di lino piumoso delle fate.

LECCE. Oltre duemila metri di giardino che si snoda tra piante odorose, frutti, sedute in pietra leccese, il rumore dell'acqua di una fontana, il canto degli uccelli e un percorso progettato ad hoc perché le persone con disabilità visive possano percorrerlo in autonomia: è il Giardino Sensoriale realizzato nell'Orto Botanico del Salento, grazie alla Lions Clubs International Foundation e ai circoli Lions di Puglia.

Intitolato alla scrittrice e attivista statunitense Helen Keller (fu lei, sorda e cieca, nel 1925 a convincere i Lions Clubs a diventare "cavalieri dei non vedenti"), il Giardino Sensoriale è un progetto curato dall'architetto paesaggista Monica Botta, docente alla Facoltà di architettura di Milano ed esperta di giardini terapeutici, e dall'agronomo Fabio Ippolito, responsabile tecnico-scientifico dell'Orto Botanico del Salento.

«Il giardino sensoriale è stato pensato soprattutto per i non vedenti, con un percorso che può essere fruito in totale autonomia grazie ad una fune corrimano ed essere "letto" in un'esperienza immersiva attraverso tutti i sensi, olfatto, gusto, tatto, udito ma anche vista, perché vuole essere un giardino inclusivo, popolato anche da piante attrattive dal punto di vista estetico, per dare a tutti la possibilità di godere di uno spazio aperto, a maggior ragione a coloro che sono deficitari di un senso-racconta Monica Botta, autrice del libro "Caro giardino, prenditi cura di me" (LDN, 2018)-la natura ha un grande potere di avvicinare, di eliminare differenze e distanze.

Ad accompagnare le persone alla fruizione del giardino, all'ingresso è stata posta una mappa tattile che permette di dare informazioni in rilievo e scritte in alfabeto Braille. Abbiamo lavorato sugli aspetti sensoriali, in particolare con aiuole di piante aromatiche mediterranee che originano spiccate sensazioni olfattive, come le lavande, le salvie, le santoline, gli elicrisi, i timi e le artemisie. Poi piante che possono essere toccate, con il fogliame vellutato come la salvia messicana (Salvia leucantha), il papavero cornuto o papavero giallo (Glaucium flavum), l'Asparagus aethiopicus, dalla forma allungata e piumosa, alcune varietà di agrifoglio (Ilex aquifolium), la Nassella tenuissima, con la corona di foglie dorata e molto voluminosa, che camminandoci accanto ti accarezza come fossero capelli di angelo, ma anche un cerchio Kneipp, con superfici di corteccia, sabbia, prato e levigati sassolini bianchi, da percorrere senza scarpe e molto apprezzato dai bambini. Ci sono poi piante eduli, come corbezzolo, giuggiolo, pero, cotogno, melo, melograno, uve da pergola, e il gelso, una pianta molto comune nelle masserie del Salento. Quello sensoriale, infine, è anche un giardino da ascoltare; non solo c'è una "vasca sonora" immersa nel magenta delle lantane tappezzanti, il cui zampillo trasmette una sensazione di refrigerio, ma ci sono dei wind chames, veri e propri "campanelli eolici" appesi agli alberi, di ispirazione addirittura romana, che risuonano se agitati dal vento, e soprattutto piante e nidi artificiali attrattivi per gli uccelli canori, pettirossi, cinciallegre, occhiocotti ed altri passeriformi. Un giardino che può trasmettere significativi benefici psicofisici ai non vedenti, ma anche ai malati di Alzheimer e di altre patologie croniche».

Nel Giardino Sensoriale troviamo anche piante alloctone arboree e arbustive sempreverdi, come l'Eugenia myrtifolia, oggi riclassificata come Syzygium australe, la profumatissima Acacia farnesiana, meglio nota come gaggìa, in fiore a ottobre, la prugna del Natal (Carissa macrocarpa), la Grevillea robusta, l'Acca sellowiana, pianta originaria del Brasile che produce frutti dal sapore acidulo e profumato, il Brachychiton populneus o Kurrajong, che nel dialetto Dharuk sta per "lenza", perché gli aborigeni australiani usavano tradizionalmente la corteccia dell'albero per fare lenze, e l'albero della canfora (Camphora glandulifera). Chiude il Giardino Sensoriale a nord un boschetto di specie autoctone, come lecci, ornielli, pini d'Aleppo, cipressi e arbusti di lentisco, prugnolo e viburno tino, in cui è stato posizionato un piccolo capanno per l'ascolto e l'osservazione degli uccelli.

L'Orto Botanico del Salento si estende su di una superficie di circa 13 ettari alla periferia est di Lecce, in un contesto periurbano, facilmente raggiungibile dalla città eppur in piena campagna, tra vecchi pascoli di ovini e masserie diroccate. Al suo interno custodisce una delle ormai relitte aree di pseudo-steppa a lino delle fate piumoso (Stipa austro-italica), arricchita da fioriture di orchidee spontanee. Nasce nei primi anni del 2000, dapprima come struttura satellite dell'Orto Botanico universitario, istituito negli anni Novanta del XX secolo come area verde museale e di supporto alla ricerca sulla biologia vegetale dell'Università del Salento, e diventa Fondazione autonoma nel 2006, con la partecipazione, oltre che dell'Università, del Comune di Lecce e di ISPE-Lecce. Entrambi gli orti leccesi raccolgono l'eredità di quello che fu il primo Orto Botanico di Lecce, sorto invece nell'Ottocento come appendice della Società Economica di Terra d'Otranto. Si trovava in piena città, nei pressi della stazione ferroviaria; era un orto botanico a vocazione ornamentale, ma anche agraria: un rettangolo di tre ettari in cui si coltivavano diverse varietà di uve, cotone, cereali, patate, tabacchi. Svolse un ruolo importante nella diffusione del gelso e, soprattutto sotto la guida di Gaetano Stella (a cui si deve la catalogazione delle 480 specie allora presenti), si affermò come un luogo di incontro, cultura, sperimentazione, oltre che vendita di prodotti e di "piante assai rare di frutti e di fiori sceltissimi" per lo più provenienti dall'Orto Botanico di Napoli. Seguirono anni di progressiva decadenza ed il "più bel giardino di Lecce" finì per essere cancellato dai fabbricati. A ricordarci della sua esistenza restano poche tracce vegetali, nella zona prossima alla Camera di Commercio: un imponente esemplare di lagunaria di Paterson, un gruppetto di querce vallonee, due vetusti olmi campestri, una Washingtonia filifera, un'Araucaria e alcuni gelsi bianchi ultrasecolari.

«Il nostro Orto Botanico ha come obiettivo la valorizzazione della flora spontanea, offrendo la possibilità di conoscere, in un'area circoscritta, tutte le piante della macchia mediterranea e della pseudosteppa - spiega Fabio Ippolito, responsabile tecnico-scientifico dell'Orto-siamo un po’ come un museo dei paesaggi salentini. Attraverso dei microhabitat, abbiamo ricreato i paesaggi botanici tipici del Salento, con circa 700 specie vegetali, tra quelle selvatiche e quelle introdotte. Qui si trovano specie endemiche o esclusive del Salento, come l'Iris revoluta, che cresce solo nello scoglio dell'isola di San Giovanni a Gallipoli, o specie a rischio estinzione come il sarcopoterio spinoso, di cui si trovano poche stazioni nell'Italia meridionale e nelle due isole maggiori. Ci sono specie di interesse fitogeografico, come le anfiadriatiche, che troviamo in Puglia e poi in Grecia, Albania, Croazia o Turchia, come ad esempio la quercia vallonea, la quercia spinosa (Quercus coccifera) o l'erica pugliese (Erica forskalii). Questo perché siamo al limite occidentale del Mediterraneo orientale».

Accanto a varie tipologie di macchia mediterranea, con mirti, lentischi, ginestre spinose, cisti e filliree, troviamo un boschetto di querce da sughero, specie presente nel brindisino, la quercia virgiliana, che è una variante meridionale della più conosciuta roverella, il leccio, ma anche boschetti più igrofili, con frassino meridionale, pioppo bianco, olmo, tamerice ed agnocasto.

Grande importanza viene data alla tutela ed alla valorizzazione della biodiversità nel campo agrario, specialmente delle antiche cultivar di piante da frutto, che si possono trovare nelle vecchie masserie o nei giardini nobiliari delle ville, e che rischiano di scomparire. Il ficheto conserva circa 70 diverse varietà di fichi, ognuna con un suo nome specifico (come il fico di Melpignano), o che si differenziano per periodo di maturazione, tipologia dei frutti, colore o pezzatura. Lo stesso vale per le pomacee e le drupacee, presenti in una trentina di varietà; che dire ad esempio del susino Meraviglia di Calimera, una prugna rustica conosciuta anche come Cuore di donna per la forma del frutto? Nel "campo dei frutti minori" si coltivano noci, sorbi, melograni, giuggioli, azzeruoli, carrubi. Un progetto specifico, "Biodiverso", curato dall'Orto Botanico dell'Università, è dedicato alle specie orticole tipiche, come il pisello nano di Zollino, la carota di

Tiggiano e quella di Polignano, la cipolla di Acquaviva, la cicoria di Molfetta, il pomodoro di Manduria, il melone di Gallipoli e quello di Morciano.

www.fondazioneortobotanico.lecce.it

www.fruttiantichipuglia.it

www.biodiversitapuglia.it

di Emanuele Rebuffini

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