Corriere della Sera del 23/01/2022
Il Comune ha annunciato di non poter più sostenere l’affitto, ritenuto troppo oneroso, e ha proposto alla scuola quattro sedi alternative. Il caso sul tavolo del ministro dell’Istruzione Bianchi: salvare il percorso all’Istituto dei ciechi.
MILANO. Fuori dalla retorica del coer in man, che cosa succede nella Milano che inclina il suo destino verso il nuovismo, portatore di investimenti e progetti immobiliari, e apre uno dopo l’altro conflitti trasversali sulle storiche memorie? Il caso di una scuola che da 47 anni educa all’integrazione con la musica all’Istituto dei Ciechi, in rotta con il Comune che non vuol più pagare l’affitto, si aggiunge ad altri casi aperti e interrompe un idillio che dura dai tempi dei sindaci Aniasi e Tognoli e del riformismo municipale. La disdetta del contratto da 800 mila euro all’anno mette in discussione una riconosciuta eccellenza, uno storico esempio di comunità educante in un luogo simbolico. Il rischio di perdere, con il trasloco ad altra sede, il valore di un’esperienza unica ha creato in poche settimane un fronte tra insegnanti e genitori che ha portato il caso sul tavolo del ministro della Pubblica Istruzione Bianchi. Responso salomonico, dopo un’interrogazione parlamentare di Valentina Aprea: non disperdere un progetto educativo che rappresenta un modello per tutti. Ma il caso resta aperto.
C’è una frantumazione di simboli identitari nella Milano che si reinventa alle prese con la pandemia. Dire via Vivaio significa mettere insieme accoglienza, benefattori e solidarietà con una scuola che dalla metà degli anni Settanta offre un percorso particolare a studenti e famiglie: 270 alunni di cui 38 con patologie particolarmente gravi, 70 con bisogni educativi speciali e il resto selezionato anche attraverso attitudini musicali. C’è, dopo settimane di infruttuose trattative, la necessità di trovare un punto di equilibrio tra due fronti che esprimono per ragioni diverse una forte divergenza.
Proviamo a metterci nei panni dell’Istituti dei ciechi, che ospita la scuola media nata negli anni Venti e allargata a tutti nel 1976. Ha permesso la crescita e lo sviluppo di un’importante esperienza socio-educativa. Con la musica, il tempo lungo e le altre insolite materie che contemplano anche l’affettività, la scuola di via Vivaio ha dimostrato che si possono superare le differenze e valorizzare la ricchezza che viene dalla diversità. L’affitto garantisce sostenibilità e autonomia, permette l’acquisto di dotazioni e di avviare progetti speciali. Il canone è stato definito congruo per i 2.600 metri quadrati dell’edificio storico, ma per favorire un’intesa è stato ridotto di 150 mila euro. Inutilmente. La rottura dell’accordo con il Comune lascerebbe un pesante vuoto nel bilancio e genitori e insegnanti protestano: temono la dispersione di un modello educativo.
Mettiamoci adesso nei panni del Comune. Deve pagare 650 mila euro all’anno, ma l’affitto si potrebbe risparmiare se la scuola fosse in una sede di proprietà pubblica. C’è il timore di incappare in una multa della Corte dei Conti, dicono a Palazzo Marino. Per contenere i costi si chiede alla Vivaio di traslocare in un altro edificio, interrompendo quello che alcuni definiscono un privilegio per pochi. La legge impone alle pubbliche amministrazioni di trovare soluzioni equivalenti al minor costo. E davanti alle lettere di protesta il Comune si difende così: abbiamo le mani legate.
Proviamo a ragionare con il buon senso: perché si deve interrompere un’esperienza unica che Milano può vantare come eccellenza formativa? Solo per i costi? Possibile che nel bilancio comunale in attivo o nei fondi in arrivo con il Pnrr non ci sia la possibilità di mantenere in funzione via Vivaio, in attesa – se non se ne potrà fare a meno-di un accompagnamento graduale verso una soluzione condivisa? È una scelta unicamente di budget, quella del Comune, oppure è una decisione politica? È una domanda che genitori e insegnanti si fanno, perché certi tagli, come in passato nella sanità, assecondano più la logica aziendale che quella del servizio.
Davanti alle nuove sedi offerte dal Comune, e scartate perché ritenute non adeguate, in via Vivaio la situazione è di stallo. Ma non può andare avanti così. Il caso deve uscire dai recinti in cui si è infilato: c’è una scuola speciale e unica, ci sono genitori e figli, c’è il valore di un’esperienza da rispettare, c’è un Istituto che deve fare i conti con una perdita che non aveva messo in conto. E c’è una Milano che fatica a ritrovarsi. I passaggi contro immobilismo e immobilità sono necessari se servono a migliorare situazioni invecchiate e logore. Ma non è il caso di via Vivaio.
di Giangiacomo Schiavi
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