giovedì 11 ottobre 2018

"A me gli occhi": c'è il dottore della vista

Il Tirreno del 11-10-2018

Il Meyer di Firenze eccellenza in centro Italia per il glaucoma e la cataratta congenita: per questa patologia si effettuano interventi anche su bambini al di sotto dei 6 mesi con un giorno di ricovero.

FIRENZE. Marco Sabia Il dottor Roberto Caputo è il primario del reparto di oftalmologia pediatrica del Meyer. Un'autorità quando si parla di occhi dei bambini.

Dottor Caputo, quando è consigliabile portare il proprio figlio alla prima visita oculistica?

«Ci sono delle tappe, ad esempio a 3 e 6 anni, in cui si fanno degli screening. È il pediatra che segue il bambino e che valuta se ha bisogno di ulteriori approfondimenti. Se c'è, però, una familiarità per determinate patologie, il mio consiglio è portare subito il bambino dall'oculista. Nei primi mesi di vita, invece, vengono eseguiti test importanti, come quello del "riflesso rosso", per escludere patologie gravi tipo il retinoblastoma e la cataratta congenita».

Ma la cataratta non è una patologia da anziani?

«Affatto. Se si nota il cristallino dell'occhio opaco, quello è un segno inequivocabile della cataratta congenita: il bambino da quell'occhio non vede e bisogna intervenire entro il secondo mese di vita».

Quali sono i problemi principali per la vista di un bambino?

«Abbiamo l'occhio pigro, lo strabismo, il nistagmo (movimenti involontari del bulbo oculare), il torcicollo oculare, la cataratta congenita, la miopia infantile e patologie rare come il glaucoma congenito. O alterazioni retiniche, come la retinopatia del prematuro. E ogni patologia segue un percorso diagnostico e clinico differente».

Spieghiamo.

«Partiamo dall'occhio pigro: l'occhio non è stimolato a funzionare. Noi andiamo a bendare l'occhio "buono", per "forzare" quello pigro a fare il suo compito. L'occhio pigro (ambliopia) va preso in tempo (anche ben prima dei 3 anni), perché nei casi gravi dopo i 6 anni è quasi intrattabile. Preso nel momento giusto, invece, si riesce a migliorare la vista fino ai 6-10 anni, poi l'occhio non migliora né peggiora».

Ma a cosa deve fare attenzione un genitore?

«È difficile da dire, perché un bimbo con un occhio completamente cieco può non adottare comportamenti tali da far pensare che ci sia qualcosa che non va. Possiamo però evidenziare alcuni campanelli d'allarme: lo strabismo, la cefalea, una postura anomala della testa, l'arrossamento oculare e la lacrimazione, la chiusura di un occhio o il fatto che il piccolo ne strizzi uno per mettere a fuoco».

Quali sono le vostre "armi" contro le patologie dell'occhio dei bambini?

«Innanzitutto la visita, che consiste in due fasi: nella prima vengono svolti test soggettivi, come la valutazione della motilità, dell'acuità visiva e della visione binoculare; poi la pupilla viene dilatata con gocce, per bloccare la messa a fuoco. Così possiamo valutare i difetti refrattivi come la miopia, l'astigmatismo e l'ipermetropia e riusciamo anche a studiare il fondo oculare, cioè la retina e il nervo ottico. Dopo ci sono i trattamenti, compreso quello chirurgico: per strabismo e nistagmo di solito operiamo in day hospital, per la cataratta congenita al di sotto dei 6 mesi serve un giorno di ricovero e per il glaucoma congenito ne servono 2. Nel centro Italia siamo un punto di riferimento per queste ultime due patologie. Il nostro segreto è lavorare in team: con il reparto di neurologia per la neuro-oftalmologia; con l'allergologia, ad esempio per la congiuntivite primaverile, che dovrebbe essere rara ma noi trattiamo circa 1000 casi l'anno. Con la reumatologia seguiamo le uveiti, patologie infiammatorie spesso associate a malattie reumatologiche come l'artrite idiopatica giovanile, che ha gravi conseguenze per l'occhio».

E la ricerca?

«Adesso sta progredendo a livello di genetica oculare: siamo agli inizi ma riusciamo a fare diagnosi molto accurate, che poi possono portare a sperimentazioni cliniche, come sta accadendo in America, dove abbiamo un rapporto diretto soprattutto con il Children's Hospital di Philadelfia».

E la miopia?

«È un'epidemia: il 40% di chi è nato dal 2000 in poi ne soffre. Ci sono studi che stimano che nel 2050 ci saranno 5 miliardi di miopi».

Colpa di smartphone e tablet?

«Non è stato ancora provato con certezza che ci sia una correlazione tra l'utilizzo intensivo di questi dispositivi e l'insorgere di danni o difetti visivi. Credo che serva un utilizzo consapevole di questi strumenti: da questo punto di vista è fondamentale lo sport, che obbliga i ragazzi a tenerli in borsa per qualche ora. Sembra, infatti, che la riduzione dell'attività all'aperto possa compartecipare nel peggioramento della miopia».

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