Donna Moderna del 01-10-2018
Aumentano i bambini disabili nelle scuole ma mancano i docenti di sostegno. Eppure quelli specializzati sono tanti: perché allora le cattedre restano vuote?
In Italia gli alunni con disabilità aumentano. Fino a 10 anni fa erano 180mila, quest’anno i nuovi dati del Ministero dell’Istruzione segnalano l’iscrizione nella scuola statale di quasi 250mila studenti con certificazione.
Cambiano quindi i bisogni degli studenti e delle famiglie, ma la scuola regge il passo? Quanto è in grado di reagire a questi cambiamenti così importanti nella composizione delle classi? E gli insegnanti di sostegno ci sono per tutti?
L’aumento degli studenti con disabilità.
All’anno scolastico appena iniziato, si sono iscritti per la precisione 245.723 alunni con disabilità, un numero in aumento. Perché? «Sono aumentate le certificazioni di disabilità ma anche le malattie, soprattutto quelle psichiche, tra cui - le più frequenti - autismo, ritardi di apprendimento e disturbi oppositivi provocatori. In generale, invece, rispetto a 10 anni fa entrano a scuola 75mila bambini in meno, a causa del crollo delle nascite» spiega Alessandro Giuliani, direttore di La Tecnica della scuola. Tra gli studenti con disabilità, 21.434 frequentano la scuola dell’infanzia, 89.029 la primaria, 66.823 la secondaria di primo grado, 68.437 la secondaria di secondo grado
Pochi i docenti di sostegno nominati.
Sulle cattedre di sostegno pesano gli stessi problemi delle cattedre principali (cosiddette “curriculari”): cioè i ritardi nelle assegnazioni, i posti vuoti, la mancanza di programmazione. Eppure, i docenti di sostegno ci sarebbero. In quest’anno scolastico ne sono previsti 141.412: numero che corrisponde ai docenti che hanno seguito una specifica formazione. In linea teorica, quindi, ogni insegnante di sostegno segue mediamente poco meno di due studenti. «Nella realtà, però, sono stati assunti solo 13.329 insegnanti di sostegno e ne sono entrati in ruolo solo 1.682, cioè il 13 per cento di questo totale, 1 su 10» prosegue Giuliani. «L’84 per cento dei posti nella primaria sono rimasti scoperti, il 97 per cento alle medie. I nuovi posti assegnati quindi sono solo una minima parte di quelli necessari a soddisfare le esigenze dei quasi 250 mila bambini con disabilità».
Troppi i supplenti.
Questo succede perché il Miur, mentre a breve bandirà un nuovo corso di specializzazione per 10mila posti nel sostegno, non “stabilizza” gli insegnanti di sostegno che già esistono, cioè preferisce agire ogni anno con le deroghe, ovvero affidare posti a supplenti che restano in carica fino al 30 giugno dell’anno successivo. A tutt’oggi sono 60mila. Tra questi, tanti docenti che magari l’anno seguente chiederanno il trasferimento perché hanno accettato una cattedra lontano da casa, pur di lavorare. «La richiesta di docenti infatti è molto più alta al Nord Italia che al Sud, dove il tempo pieno nei fatti non esiste. Così molti docenti - che abbondano al Sud - vanno a fare i supplenti al Nord per poi chiedere di spostarsi» spiega Giancarlo Onger, formatore e presidente del Coordinamento nazionale insegnanti specializzati. «Trasferimento che può avvenire anche in seguito al famoso logaritmo della “buona scuola”, per cui l’insegnante finito a centinaia di chilometri da casa cerca di avvicinarsi. E allora, piuttosto che lasciare le cattedre vuote, vengono occupate con personale non specializzato».
L’instabilità delle cattedre.
«La recente assunzione di circa 13.000 insegnanti di sostegno è un intervento positivo e che si aspettava da tempo, ma non sufficiente a garantire la continuità didattica e a fare in modo che tutti gli alunni con disabilità possano, ogni giorno, seguire le lezioni» sottolinea Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap. «Secondo nostre stime, infatti, circa l’80 per cento degli alunni ha cambiato due insegnanti di sostegno nel corso dell’anno, il 48 per cento ne ha cambiati tre, il 15 per cento ne ha cambiati quattro e il 6 per cento addirittura cinque. E per questo anno scolastico non sembra vi siano segnali in controtendenza. Ancora più grave, poi, è il fatto che solo una parte degli insegnanti di sostegno è in possesso di specifica abilitazione e quindi di dimostrata formazione».
Le carenze strutturali della scuola.
Ma il problema delle cattedre vacanti nel sostegno dipende anche dai ritardi ormai strutturali nella scuola. «A luglio ogni dirigente scolastico manda agli uffici provinciali le richieste di docenti di sostegno, in base alle iscrizioni ricevute. Poi deve attendere che, da questi uffici, la richiesta vada al Ministero e il Ministero emani un decreto di assunzione, che può arrivare anche l'anno dopo. A ciò si somma poi il fatto che le stesse ASL spesso mandano le certificazioni all’ultimo momento» spiega Onger. E così, tra ritardi nelle risposte e posti che restano vuoti, succede che gli insegnanti "curricolari", per non lasciare i bambini con disabilità senza supporto, subentrino essi stessi, dividendosi le ore tra colleghi. «Per legge, infatti, ogni alunno disabile ha diritto a un certo numero di ore di sostegno, che variano tra primaria e superiori. Ma se nell'istituto arrivano pochi insegnanti specializzati, vanno divisi per le classi in cui c'è bisogno. Nei casi migliori si riesce a fare compresenza, ma capita anche che la classe sia del tutto senza docente di sostegno. E così la maestra cerca di supportare, a discapito di tutti: del bambino in difficoltà e dei suoi compagni» prosegue l'esperto.
Ogni istituto è un caso a sé, anche in relazione al Comune di appartenenza. «Alcuni Comuni per esempio - su richiesta del dirigente scolastico in base alle gravità delle disabilità presenti nella sua scuola - integrano le ore mancanti del sostegno con educatori, magari di cooperative. E così si "coprono i buchi" lasciati vuoti dal docente di sostegno che non arriva» dice Onger.
Il sostegno significa reale inclusione?
D’altra parte, ci si chiede anche se sia giusto - quando si riveli possibile - coprire il totale delle ore previsto, come dispone la legge. C’è chi, da anni, contesta la legge stessa che prevede l’insegnante di sostegno in classe (e che risale al 1977). «Al di là del notevole impegno di spesa, c’è da chiedersi se la tendenza a coprire tutte le ore possibili non si traduca nella delega totale, in quella marginalizzazione escludente che invece vorrebbe combattere» riflette Onger. «È vero che situazioni molto gravi necessitano di particolare supporto. Ma questo vuol dire anche che l’insegnante curricolare si deresponsabilizza del tutto rispetto all’alunno con disabilità che, in questo modo, rischia di essere escluso invece che incluso nel gruppo della classe». Finora gli insegnanti di ruolo hanno affidato gli studenti con disabilità ai colleghi del sostegno, ma la complessità delle classi di oggi non si può affrontare ancora in questo modo, perché riguarda tutto il team. «Basta avere in classe due, tre ragazzi con DSA oppure qualche studente con BES (i Bisogni Eductaivi Speciali) per capire come la preparazione e la formazione debbano essere estese a tutti i docenti. Tutti dovrebbero formarsi di continuo, e non solo per diventare insegnanti di sostegno, ma proprio per affrontare la complessità del presente».
Chi fa e chi dovrebbe fare la formazione?
Oggi la formazione è stata trasferita alle Università. Ed è diventata un business che rischia di essere slegato dal necessario rapporto tra domanda e offerta. C’è chi chiede - come i sindacati - che la formazione venga estesa ad altri enti, e chi invece vorrebbe che ogni istituto se ne occupasse. «Le scuole oggi godono dell’autonomia. Quindi dovrebbero, con responsabilità, occuparsi anche della formazione dei docenti» dice Onger.
Gli educatori e i bidelli.
Intorno allo studente con disabilità ruotano anche migliaia di assistenti all’educazione (come il personale presente nel mezzo di trasporto o quello che aiuta il bambino nella comunicazione, nell’igiene o in mensa) e bidelli. «I primi sono a carico dei comuni, i secondi dello Stato» spiega Onger. «Paghiamo ancora gli strascichi della riforma che ha soppresso le Province e dei conseguenti coni d’ombra, incertezza di risorse, ricadute operative e organizzative che ancora influenzano la reale inclusione. Di fatto un numero significativo di alunni con disabilità inizia l’anno scolastico senza questi sostegni».
di Barbara Rachetti
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