Redattore Sociale del 06-03-2019
Vicenda nata dal ricorso di una giovane disabile contro una delibera del comune di Milano del 2015. Il testo prevedeva di dare fondo ai propri risparmi "fino a che queste risorse saranno ridotte all'importo di 5 mila euro". Prima il Tar, ora il Consiglio di Stato danno torto a Milano. Sentenza definitiva. Ledha: "Soddisfazione, ora parlino con le associazioni".
MILANO. È illegittimo chiedere alle persone con disabilità di dare fondo ai propri risparmi per pagare le spese di assistenza. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato respingendo il ricorso presentato dal Comune di Milano contro una sentenza del Tar Lombardia, che ha dichiarato illegittima una delibera sull'uso dei risparmi privati di disabili e famiglie fino a 5 mila euro, perché contraria alla normativa nazionale sull'Isee.
Si tratta di una delibera dell'amministrazione milanese del dicembre 2015 e relativa a spese per assistenza e servizi di residenzialità per i disabili. Un testo con cui il Comune di Milano chiedeva a persone con disabilità e ai loro famigliari di dare fondo ai propri risparmi “fino a che queste risorse, impiegate per il sostegno all'utente in forma privata, non si saranno ridotte all'importo di 5 mila euro”, prima che l'amministrazione comunale intervenisse con l'erogazione dei propri servizi sociali e socio-sanitari.
È stata ritenuta illegittima dal Tar Lombardia a gennaio 2018, dopo il ricorso presentato da una giovane con disabilità, il suo amministratore di sostegno, Ledha Milano e Anfass Milano. Illegittima perché in contrasto con la normativa nazionale e regionale, che prevedono come l'accesso e la compartecipazione ai costi delle prestazioni socio-sanitarie siano già regolamentati sulla base dell'Isee. C'è stato più di un attrito fra la Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha Milano) e il Comune quando il 12 luglio 2018 l'amministrazione meneghina ha annunciato di voler ricorrere al Consiglio di Stato, proprio a ridosso dei termini, contro la decisione dei giudici amministrativi lombardi. A infastidire “Il fatto che la Giunta comunale abbia votato a favore del ricorso mentre l’assessorato alle politiche sociali discuteva con noi ci lascia interdetti”, ha detto all'epoca Roberto Morali, direttore di Ledha Milano.
“Anche Ledha non ci ha avvisati quando ha deciso di andare in causa sulla compartecipazione di spesa – ha risposto a distanza Claudio Minoia, Direttore centrale delle Politiche sociali per il Comune di Milano – e questo non deve portare a nessuna acrimonia fra le parti: è così che lavorano gli avvocati” e invitando allo stesso tempo a evitare il “gioco al massacro” sui “conti del Comune” che rischia “di lasciare fuori altre famiglie dal sostegno pubblico”.
Il 4 marzo il massimo organo della giustizia amministrativa si è pronunciato definitivamente, dando ragione a Ledha, Anfass e la giovane disabile, patrocinata dall’avvocato Massimiliano Gioncada. La sentenza annulla definitivamente la parte di delibera dove si prevede che “nel caso in cui l’utente possieda beni immobili oltre la cifra di 5mila euro, l’amministratore comunale differirà l’intervento fino a che queste risorse, impiegate per il sostegno all’utente in forma privata, non si saranno ridotte all’importo di 5mila euro”. Per i giudici “tale disposizione si pone in contrasto con la normativa sovraordinata”.
“Siamo molto soddisfatti per l’esito di questa sentenza, che non è per noi una sorpresa – commenta Enrico Mantegazza, presidente di Ledha Milano e vice presidente di Ledha – e non dovrebbe cogliere di sorpresa nemmeno il Comune di Milano. Abbiamo più volte fatto presente al Comune come la delibera non fosse rispondente al dettato normativo, tuttavia siamo dovuti arrivare alle aule del tribunale”. Ha aggiunto: “Speriamo ora che il Comune finalmente si sieda al tavolo con le associazioni e decida finalmente di dotarsi di un regolamento comunale unico per la compartecipazione alla spesa, che sia coerente con il dettato normativo nazionale”. Si unisce alla soddisfazione il Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, che esprime la sua completa adesione a quanto stabilito dalle sentenza, escludendo in modo inequivocabile l'esistenza di una “potestà di deroga normativa in capo ai Comuni – dice Laura Abet, avvocato del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi –. In nessuna parte del decreto, infatti, è previsto un meccanismo simile a quello che molti Comuni pretendono di adottare: vale a dire 'consumare’ tutte le proprie sostanze fino al valore di 5mila euro, soglia al di sotto della quale si giustifica e si prevede la possibilità dell’intervento comunale a sostegno del pagamento della retta. L’invito a leggere attentamente i regolamenti comunali è quindi d’obbligo”.
di Francesco Floris
Nessun commento:
Posta un commento