venerdì 6 settembre 2019

Lo sguardo di un cane

Oggi Scienza del 06.09.2019

Lo sguardo tra cani ha significati precisi, in genere legati alla minaccia. Eppure, nella loro evoluzione insieme a noi, hanno imparato a ricambiare i nostri sguardi. Ma cosa succede quando il proprietario è non vedente?

Due cani si fissano negli occhi sostenendo lo sguardo in maniera costante: si direbbe che sono in cerca di guai, perché nella loro comunicazione intraspecifica lo sguardo fisso ha il significato di una minaccia. Ecco perché durante l’incontro di due cani che non si conoscono – e che intendono dirsi “non sono minaccioso, non voglio litigare con te” – vedremo comparire solo brevi sguardi interrotti negli occhi l’uno dell’altro e soprattutto esibire uno dei più chiari segnali “di calma”: distoglieranno lo sguardo in maniera evidente, voltando la testa dalla parte opposta rispetto all’altro cane. A questo si aggiungono il socchiudere leggermente gli occhi durante lo scambio di sguardi e lo sbattere le ciglia spesso: lo sguardo amichevole tra cani non è mai diretto e sostenuto.

Eppure chi ha un cane starà pensando “ma con me il mio cane lo fa e sono certo non sia una minaccia”. È assolutamente vero.

Questione di sguardi.

I cani di famiglia, nel corso di migliaia di anni di convivenza con noi, si sono evoluti in funzione della vita insieme e hanno iniziato a eseguire in maniera “umana” alcuni atteggiamenti, sapendo gestire in due modi diversi la comunicazione con noi o con i loro simili. Tanto che addirittura lo “sguardo da cucciolo” che fanno i cani (adulti) sarebbe frutto di questa convivenza. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Plymouth, che ha confrontato 33 cani domestici e 13 lupi selvatici, la nascita di quel tipo di sguardo avrebbe una spiegazione scientifica: si tratterebbe della comparsa di un “nuovo” muscolo facciale attorno agli occhi, che consente ai cani di produrre l’espressione infantile e tenera che tanto ci piace. La comparazione tra comportamento e anatomia facciale di cani e lupi selvatici ha permesso a questi ricercatori di suggerire che l’anatomia del cane ha subito dei cambiamenti evolutivi per comunicare meglio con noi.

Durante la prima analisi anatomica i ricercatori hanno scoperto che la muscolatura facciale di entrambe le specie è simile, tranne che per un piccolo muscolo sopra gli occhi che consente ai cani di alzare molto intensamente il sopracciglio interno. I lupi non lo hanno. Secondo i ricercatori questo movimento, che fa apparire gli occhi dei cani più simili a quelli di un bambino che chiede cure, stimola l’impulso epimeletico dell’essere umano, cioè la sua istintiva propensione a prendersi cura dei piccoli e bisognosi.

I ricercatori hanno anche studiato il comportamento dei 33 cani e 13 lupi, esponendo entrambi alla presenza di un essere umano per due minuti: i cani hanno sollevato le sopracciglia più intensamente e più spesso. Secondo Juliane Kaminski, prima autrice dello studio, “I risultati suggeriscono che le sopracciglia espressive nei cani possono essere il risultato delle preferenze inconsce dell’essere umano, che hanno influenzato la selezione durante la domesticazione. Quando i cani fanno quel movimento, sembra che per noi scaturisca un forte desiderio di prendercene cura. Questo darebbe ai cani capaci di muovere maggiormente le sopracciglia un vantaggio di selezione rispetto agli altri, rafforzando il tratto ‘occhi da cucciolo’ per le generazioni future”.

In passato la dottoressa Kaminski ha anche osservato che i cani alzano le sopracciglia più spesso e intensamente quando sanno di essere osservati da noi: questo movimento, definito AU101, potrebbe anche servire a creare l’illusione di una comunicazione più simile a quella umana. Così i cani scelgono di comunicare con noi in modo più efficace, usando lo sguardo e differenziandone il significato. In quelli di famiglia, infatti, lo sguardo è sempre più una richiesta: di amore, di cibo, di aiuto. E oggi sappiamo che possiamo scambiare sguardi dolci e prolungati con il cane di famiglia senza che ci sia alcun intento minaccioso. Lo abbiamo incentivato, spesso anche inconsapevolmente, premiandolo quando ci guarda.

Quando non possiamo ricambiare.

Cosa succede quando non possiamo ricambiare lo sguardo del nostro cane? In questo contesto si inseriscono le ricerche condotte con i cani guida per persone non vedenti dal Laboratorio di Etologia Canina dell’Università di Napoli Federico II. “I cani guida – racconta a OggiScienza Biagio D’Aniello, professore di Zoologia e autore di diversi studi sull’argomento – sono particolarmente interessanti perché interagiscono con persone che, a differenza degli altri umani, non possono ricambiare lo sguardo. Inoltre, per la natura del loro compito, devono imparare a essere meno concentrati sul conduttore e più concentrati sull’ambiente: far evitare buche, ostacoli o pericoli, anche se il conduttore spinge in quella direzione. Così diventano più ‘indipendenti’ dalla persona”.

Già nel 2015 un gruppo di lavoro – composto da D’Aniello, Scandurra, Aria, Valsecchi e Prato-Previde – aveva pubblicato uno studio con i cani guida (principalmente Golden Retriever e Labrador) basato sul cosiddetto “compito impossibile”. Al cane veniva presentato un compito semplice, come prendere un bocconcino disposto sotto a un apparato facilmente removibile. In una sessione successiva al cane veniva richiesto lo stesso compito, ma in quell’occasione l’apparato veniva preventivamente bloccato dallo sperimentatore. “In quel momento, nell’esperimento come nella vita reale, il cane si trova davanti a una scelta: cercare di risolvere da solo il problema e arrangiarsi nel compiere lo sforzo di portare a termine il compito oppure chiedere aiuto agli esseri umani attraverso lo sguardo”.

I ricercatori hanno osservato che i cani guida sono decisamente più autonomi nel risolvere il problema. Rivolgevano lo sguardo al loro conduttore raramente o molto più tardi rispetto agli altri cani non addestrati. “Questo studio aveva già messo in luce gli aspetti ontogenetici del comportamento dei cani”, precisa D’Aniello. “Lo sguardo, in un momento come quello, costituisce una chiara richiesta di aiuto al conduttore o all’estraneo presente. I cani guida in quel momento, guardando di rado o comunque più tardi il loro conduttore o l’estraneo, ci hanno indicato una loro maggiore ‘indipendenza’, utile a eseguire il loro compito di guida nella vita quotidiana”.
Approfondire sguardi e relazioni.

Nell’ultimo studio di D’Aniello, condotto con i colleghi Mongillo, Aterisio, Scandurra, Marinell e Eatherington e recentemente pubblicato su Applied Animal Behavour, i ricercatori hanno eseguito un ulteriore test per indagare gli aspetti dell’attenzione dei cani verso l’essere umano e il valore della distrazione. I cani – una parte cani guida addestrati, un’altra cani guida che vivevano da un anno con il loro umano non vedente – sono stati messi di fronte a degli stimoli molto interessanti: una pallina o una ciotola di cibo. Contemporaneamente, si chiedeva loro di eseguire un compito apparentemente semplice (il “resta”) disturbato però dalla presenza dello stimolo.

Di fronte alla possibilità della distrazione, cani guida abituati a vivere con l’umano cieco non cercavano lo sguardo del loro umano ma piuttosto cercavano di guardare altri umani sconosciuti, il che normalmente è abbastanza raro. Nel 2010 Mongillo e altri avevano già dimostrato quanto sia impressionante la preferenza dei cani nel guardare il loro proprietario e non uno sconosciuto in caso di bisogno, mentre Horn e altri avevano precisato quanto sia rilevante la stabilità della relazione in questo senso rispetto alla sola familiarità, in uno studio pubblicato su Animal Cognition.

“Il nostro lavoro”, precisa D’Aniello, “ci ha permesso di capire che, in qualche modo, i cani sapevano che non aveva senso guardare il loro proprietario, anche se non siamo in grado di dire che avessero consapevolezza del tipo di disabilità del proprietario”. Sappiamo però che, mentre in una famiglia normo-vedente spesso lo sguardo è incentivato perché diventa affiliativo – lui ti guarda, tu lo accarezzi, è incentivato a guardarti ancora se vuole attenzioni – ciò non accade per i cani guida.

“La persona non vedente non incentiva mai lo scambio di sguardi, né in senso positivo né in senso negativo. È un aspetto che nella relazione, di fatto, non esiste. In questo modo abbiamo dimostrato l’aspetto ontogenetico nella comunicazione del cane: l’animale si adatta alle caratteristiche del soggetto con il quale vive. Sa distinguere tra un estraneo (o il trainer) e la persona non vedente e agisce di conseguenza, capendo che con il non vedente ricambiare lo sguardo, guardare per chiedere aiuto o il permesso di fare qualcosa, non ha utilità. Sa anche che con il trainer alcune marachelle non se le può permettere, mentre può scamparla se è con il suo proprietario!”.

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