giovedì 20 giugno 2019

Lucilla, designer cieca che insegna a "toccare" l'arte

Popolis.it del 20.06.2019

ROMA. C’era anche Lucilla D’Antilio, artista, designer e insegnante cieca, allo IED Factory 2019, 14 laboratori multidisciplinari e performance dal vivo, in cui i giovani creativi dell’Istituto, coinvolti in un innovativo progetto di open education, in partnership con il MACRO Asilo, lavorano al fianco di professionisti del settore e artisti di fama internazionale.

Tra questi, c’era appunto Lucilla D’Antilio, alla quale era stato affidato il laboratorio “Design e percezione atipica: vedere con le mani”. Alla base del laboratorio, un principio che è anche e sopratutto l’esperienza vissuta da Lucilla: la comunicazione non è solo visiva, il colore si sente anche con le mani.

Lucilla D’Antilio non vuole dirci la sua età, ma aveva circa 35 anni quando la sua vista iniziò ad annebbiarsi, fino a spegnersi del tutto. Un dramma per lei, appassionata di arte, diplomata in disegno grafico e da una decina d’anni insegnante presso un istituto d’arte.

“È stata una banale congiuntivite virale, non riconosciuta dal medico, a portarmi rapidamente alla cecità. Lo sconforto è stato grande: per un periodo abbastanza lungo, sono stata convinta di non poter fare più nulla, io che ero abituata a lavorare con la vista. Poi ho conosciuto delle associazioni che si occupavano di visite accessibili in musei di arte antica, moderna e contemporanea, tramite sussidi tattili che permettono di leggere opere e sculture a chi non vede. Mi si è aperto un altro mondo: ho iniziato a capire che almeno avrei potuto ancora fruire dell’arte, che tanto amavo e di cui sentivo forte la mancanza”.

Lucilla ha iniziato così a “recuperare un nuovo rapporto con l’arte, che si è rinforzato grazie al percorso riabilitativo che ho svolto presso il Sant’Alessio di Roma. Ho iniziato a toccare e a modellare la creta e ho scoperto che ero in grado di riprodurre forme anche complesse usando le mani e senza usare gli occhi. Per me, che avevo sempre disegnato, è stato come ritrovare la matita attraverso il mezzo plastico tridimensionale”.

L’esperienza e soprattutto la passione di Lucilla ha presto incontrato quella di altri artisti come lei: “Abbiamo fatto gruppo. Oggi siamo cinque artisti ciechi che fanno arte con le mani, per questo ci chiamiamo ‘Mano sapiens’. Abbiamo fatto già diverse esposizioni”.

Grazie a questa esperienza e alle nuove scoperte fatte attraverso il tatto, Lucilla ha ritrovato anche la sua vocazione didattica. “Ho iniziato a pensare che fosse utile portare questa nostra esperienza ai giovani. Spesso nelle scuole i ragazzi con disabilità visiva sono esonerati dall’attività artistica. Questa è un’ esclusione gravissima, perché l’arte è una forma di conoscenza ed è per tutti.

Ho conosciuto ragazzi ciechi di 18 anni intelligenti e sensibili, incapaci di usare le mani, perché nessuno li aveva messi nelle condizioni di usarle in modo artistico. Così, spontaneamente, dopo una mostra, una persona dell’Istituto statale Romagnoli di Roma, che forma gli insegnanti, mi ha proposto di tenere corsi di aggiornamento per insegnanti di sostegno e di materie artistiche.

Ora sono due anni che tengo questi corsi, in cui decodifico concetti da verbali a tattili. In pratica, progetto e preparo slide tattili, che servono a far capire, soprattutto ai ragazzi ciechi congeniti nozioni come il colore, o la prospettiva, che non hanno mai sperimentato.

L’esperienza tattile li mette allo stesso livello degli altri compagni. Questo è possibile proponendo ai ragazzi esperienze artistiche che siano uguali per tutti, non differenziate, come spesso accade quando in classe c’è uno studente cieco. Propongo soprattutto esperienze tattili, che anche i compagni vedenti fanno senza poter vedere: non li bendo, percHé non amo far vivere questa esperienza e questo ai giovani, ma li faccio lavorare, per esempio, con le mani in una scatola, in modo che siano costretti a utilizzare solo il tatto”.

Attraverso il tatto, l’arte diventa per tutti strumento di conoscenza: “Chi non vede, ha così la possibilità di acquisire concetti altrimenti inaccessibili: capire cos’è una collina, per esempio, toccandone una riproduzione. Anche per chi non vede, però, l’esperienza tattile completa quella visiva, perché il tatto analizza elementi che la vista non sa notare”.

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