mercoledì 28 luglio 2021

Un giorno da cieca tra le vie di Aosta guidata dal radar di odori e rumori

La Stampa del 28/07/2021

La cronista bendata da due non vedenti ha provato le difficoltà quotidiane nel muoversi tra ostacoli di ogni genere. Tutto è azzerato e si perde ogni senso di orientamento. È una lotta continua anche contro piccole e grandi inciviltà.

AOSTA. Luca Casella e Giulia Oblach scendono dall'autobus 3 alle 16 e i primi a spuntare dalle portiere sono i loro bastoni bianchi. Siamo all'angolo di piazza Chanoux e hanno deciso di accompagnarmi bendata fino all'Arco d'Augusto. Un venerdì pomeriggio, fra dehors, furgoncini della nettezza urbana, turisti e «odori guida» per farmi provare cosa significa ad Aosta la quotidianità di un cieco, gli ostacoli che trova, la sua lotta contro l'inciviltà.

Luca conosce bene Aosta, ora ha 48 anni e ha perso la vista quando ne aveva 17. È fidanzato da quasi dieci anni con la giovane Giulia, una studentessa universitaria di fuori Valle a un passo dalla laurea, con cui presto andrà a vivere a Venezia. Giulia è schietta e gentile, sensibile al pari di Luca nel rispetto per gli altri. Sono entrambi ciechi, «basta con questo "non vedenti" o ipovedenti", siamo ciechi!» e sono autonomi, viaggiano in autobus, in treno, prenotano le vacanze su Booking, mandano messaggi, leggono il giornale, studiano, «insomma ciechi, mica alieni».

Luca mi benda all'imbocco di via Porta Praetoria, con un ultimo sguardo cerco di memorizzare tutto, poi l'immagine svanisce. Mi sembra impossibile poter avanzare fra la folla, Luca mi porge il braccio e iniziamo a camminare. Il suo bastone bianco, come un pendolo, sonda la strada anche per me. L'impressione è che si stia correndo, ed è sbagliata: «Stiamo andando molto lenti, io andrei di gran lunga più veloce».

Dietro di noi c'è Giulia, che consolida la sua conoscenza di una città che non le appartiene. Dopo pochi metri non so più dove sono, in compenso ho smesso di chiedermi come possa guardarci la gente. «Noi lo capiamo quando e come siamo osservati», mi spiega Luca. Sento un rumore metallico: «Ecco, è il primo dehors, te ne sei accorta? Dove ci sono sedie e tavolini la strada è più in pendenza. Basterebbe delimitarli con qualche ringhiera per renderci più facile la vita». Cambiamo direzione e Luca mi chiede se ho capito dove siamo: l'odore di kebab è inconfondibile. Cerco di ricordare dove si trovi con esattezza, ma non riesco: quando ci vedi non ne hai bisogno, Luca invece sa sempre dov'è e cosa c'è vicino a lui. Lo sento salutare uno dei tanti che lo conoscono. Qualche secondo dopo sulla strada per me ci sono solo puzza e rumore: è un furgone della nettezza urbana che sta svuotando i bidoni. Siamo fermi. Aspettiamo che finisca, presumo, accanto all'ingresso di un palazzo. Sembra che il tempo non passi mai. Poi il rumore finisce e proseguiamo: dopo poco mi arriva una leggera spallata da un passante, che Luca, che in questo momento è i miei occhi, non poteva prevedere. Mi chiedo chi sia più cieco dei ciechi. La puzza svanisce, sento che la via si sta aprendo, oltre qualche fioriera e quelli che a me sono sembrati infiniti dehors c'è aria, la pavimentazione è diversa. Siamo alla Porta Praetoria. Una signora ci dice «andate dritto, è qui, andate». Io non so quale passerella stiamo imboccando, e ora non lo sa nemmeno Luca: «Spesso questo genere di indicazioni, che nascono dai migliori intenti, ci disorientano - mi spiegherà una volta arrivati all'Arco -. Io volevo imboccare la passerella a sinistra, invece ci siamo ritrovati in quella di destra».

In via Sant'Anselmo c'è la canalina sulla pavimentazione a guidarci. È a tratti bagnata, Luca mi invita a fare attenzione perché lo ha capito dal rumore della punta del suo bastone. Poco dopo, un elicottero (del soccorso alpino forse?) ci costringe quasi a fermarci: «I rumori sono essenziali per noi, se non possiamo sentire i rumori perdiamo un punto di riferimento fondamentale, quindi quando sono coperti è meglio fermarsi». Mi concentro su quelli - quelli che sentirebbe un orecchio anche poco allenato - e sento il carillon di un negozio. Ora, più o meno, so dove sono. «Pensa, se ce lo tolgono sono guai!», scherza. Superiamo una fioriera - che mi sembra più ingombrante che mai - ed è Luca a spiegarmi che siamo arrivati «di fronte a sua maestà l'Arco d'Augusto». Sì ma dove? «Accanto alla pizzeria, non lo senti il profumo?». È finita. Scatto un selfie bendata, pessimo al contrario delle foto che Luca mi fa poco dopo con il cellulare e mi invia.

Mentre beviamo un caffè Luca e Giulia mi raccontano la loro vita. Sempre con gli occhi rivolti a me («per rispetto ed educazione, ci sembra più che normale») mi parlano di «accessibilità» farlocca, quella dei proclami per le passeggiate in montagna accessibili, dove però non esiste un modo per arrivare all'inizio del sentiero: «Se non c'è un mezzo che mi ci può portare devo farmi accompagnare, dove sta l'accessibilità?». Mi spiegano che pochi accorgimenti potrebbero dare un grande aiuto a loro, ma anche migliorare la fruizione ai servizi per tutti: «Hanno tolto la sintesi vocale esterna alle fermate dell'autobus perché dava fastidio a qualcuno - mi spiegano -. Noi possiamo anche chiedere, per carità, ma è una questione di civiltà. Per di più come servizio sarebbe utile anche a un turista che non sa dove si trova».

A volte basterebbe rivolgere all'altro lo stesso sguardo vivido di Luca e Giulia, per dare forma alla civiltà.

di Sara Sergi

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