Famiglia Cristiana del 04/09/2021
Daniele Cassioli, atleta non vedente e membro della Giunta paralimpica italiana spiega il segreto dello stravolgente medagliere dei nostri atleti.«Ma la medaglia più bella è che oggi, grazie alle vittorie di Bebe Vio, Simone Barlaam, Sara Morganti e di tutti gli altri, otto italiani su dieci conoscono il nostro universo sportivo».
TOKYO. «Un approccio alla vita che contempla il sacrificio, il superamento delle difficoltà, l’impegno. In poche parole una crescita continua». Una ricetta che potrebbe essere intesa come un insegnamento per tutti. E in effetti la sintesi delle paralimpiadi di Tokyo coniata da Daniele Cassioli, campione paraolimpico di sci nautico, racchiude non solo lo spirito dei giochi ma anche ciò che a partire dai giochi si vuol costruire: cultura. «Facciamo cultura, in modo che le nuove generazioni di ragazzi vadano nelle palestre, nelle scuole e anche negli oratori uno dei primi luoghi che ho frequentato da piccolo e si trovino di fronte a strutture accessibili - sottolinea Cassioli. - Se nelle città le strutture non sono fruibili impediamo a un ragazzo di diventare un eventuale atleta paralimpico. La cultura dello sport deve partire dalle elementari, non devono più esserci insegnanti che davanti ad un alunno sulla sedia a rotelle non sanno come fare per fargli fare educazione fisica a causa delle barriere architettoniche».
«Nessuno si è risparmiato a Tokyo» spiega Daniele che ha condiviso con gli atleti in gara «la passione, ovvero la benzina che alimenta il nostro motore e che ha permesso ai nostri atleti di arrivare ai giochi. Penso a Sara Morganti che ha conquistato le prime due medaglie nell’equitazione paralimpica o Carlotta Gilli che ci ha regalato un record e ha stravinto con umiltà raccontando il suo percorso, a Simone Barlaam che ha dimostrato di saper reggere la pressione insegnandocelo e infine Bebe Vio, impossibile non prendere esempio dalla sua determinazione». Cassioli viaggia continuamente per diffondere questa cultura dello sport soprattutto ai più piccoli. Dopo Tokyo una tappa a casa a Varese e poi di corsa in aereo verso Napoli per raggiungere poi Bellizzi, un paesino in provincia di Salerno dove, in occasione del premio Fabula, i ragazzini autori di favole in cui raccontano le bellezze dei loro paesi e i loro sogni, lo hanno incontrato e intervistato per ascoltare la sua storia e sopratutto come sia riuscito a realizzare i suoi obiettivi. E davanti a tanti piccoli curiosi che volevano sapere tutto delle paralimpiadi e delle sue medaglie, Daniele insieme al suo staff, dopo le prime domande ha subito capito che un’altra gara era stata vinta. «Riuscire a sentire i ragazzini sorridere e capire che abbiamo trasmesso loro la passione che anima noi e che ci porta ai giochi paralimpici ogni 4 anni significa salire sul gradino più alto del podio». Il risultato da record che i 115 atleti hanno fatto registrare in questa XVI edizione delle paralimpiadi conta più di 60 medaglie. «A queste soddisfazioni si aggiunge il fatto che ad oggi l’80 per cento della popolazione sa che esistono e che ci sono i giochi paralimpici» spiega Daniele ricordando che questi risultati oggi sono dovuti al lavoro di ogni persona che ha partecipato al movimento paralimpico. «Dietro le quinte c’è un gran da fare - racconta - non solo allenamenti ma anche programmazione, il lavoro delle federazioni di appartenenza e i cicli elettorali nelle istituzioni che regolano il movimento sportivo sono orientati all’organizzazione dei giochi paralimpici».
L’atleta di sci nautico precisa che non ha mai gareggiato alle Olimpiadi perché lo sport di cui detiene il primato mondiale non è ancora contemplato tra le discipline in gara ma la sua partecipazione come componente della giunta nazionale del Comitato paralimpico in quota atleti è tra quelle figure essenziali al futuro dei giochi. Dalla sua postazione privilegiata ha potuto seguire da vicino i suoi colleghi atleti che gli hanno trasmesso tutte le emozioni e le sensazioni provate prima e dopo le gare ma anche tutte le difficoltà e le ansie che fanno parte del bagaglio di ogni atleta.
A voler guardare da lontano le paralimpiadi sembrano proprio una lezione post-covid. «Accettare la difficoltà e imparare a farne un'occasione per ricominciare o cominciare a mettere in moto la propria vita e diventare parte di uno stato sociale attivo», sottolinea Daniele. E in effetti come nelle gare anche la vita spesso assume i contorni di una competizione continua. Ma poco importa se chi sta gareggiando ha una racchetta tra le mani o stretta tra i denti, insomma dalle paralimpiadi c’è tutto da imparare «Molto spesso si soffia sulla paura della diversità alimentandola invece può essere una ricchezza perché anche la diversità dell’altro può essere fonte di ispirazione - conclude Daniele - Non credo che esista solo la diversità fisica. Penso ai tanti giovani che fanno sport per non restare in strada che devono superare gli ostacoli. Un concetto che ho cercato di trasmettere attraverso il mio libro, Il vento contro, (De Agostini), l’ idea è quella di portare tra gli scaffali delle librerie la cultura della disabilità intesa non solo come impedimento fisico ma come difficoltà universale come un vento che ci soffia al contrario perché non è la difficoltà a rappresentare l’ostacolo ma è come la si affronta».
di Maria Elefante
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