Orizzontescuola del 01/09/2021
Con settembre riparte la scuola che in questo anno scolastico dovrà fare i conti con la nuova normativa relativa al Piano Educativo Individualizzato. Ne abbiamo parlato con il Professor Dario Ianes, Docente ordinario di Pedagogia e didattica dell’inclusione all’Università di Bolzano, Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria. È co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, per il quale cura alcune collane. Autore di vari articoli e libri e direttore della rivista «DIDA».
Professor Ianes, Con il decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182 vengono definiti i nuovi modelli di piano educativo individualizzato (PEI), da adottare da parte delle istituzioni scolastiche. Quali sono i cambiamenti principali del nuovo modello PEI?
Innanzitutto bisogna dire che nella nostra scuola il PEI è ormai un’istituzione. Siamo cresciuto fin dagli anni ‘90 con il PEI come grande presidio di qualità dei processi di integrazione. Sono convinto che se non avessimo avuto questo strumento le cose sarebbero andate sicuramente peggio. Prevedere che ogni ragazza ed ogni ragazzo con disabilità debba avere una sua programmazione tagliata su misura, individualizzata, ben costruita e decisa insieme con il supporto dell’azienda sanitaria rappresenta un forte presidio per l’integrazione. Quindi non stiamo parlando di un qualcosa di alieno con cui ci imbattiamo per la prima volta, anzi. Per quanto riguarda il discorso legato alla classificazione ICF delle disabilità, bisogna dire che nei 20 anni in cui questo strumento è stato adottato a livello internazionale, in Italia diverse scuole, anche grazie a moltissime pubblicazioni che abbiamo fatto noi ed altri colleghi, hanno cominciato a fare un PEI su base ICF, cioè con un approccio biopsicosociale, che porta ad avere un modello molto più ampio, articolato e legato ad una visione più moderna della disabilità in cui il contesto rappresenta un elemento fortemente determinante per la persona.
Questo approccio si è poi concretizzato a livello normativo con il decreto legislativo n.66 del 2017 con il quale, semplificando, si individuava il personale sanitario quale elemento per la costruzione di un profilo di funzionamento su base ICF, mentre il personale della scuola doveva predisporre un PEI sempre su base ICF. Questa era una grandissima novità perché permetteva al mondo sanitario ed al mondo scolastico di contaminarsi vicendevolmente, legando la pedagogia al profilo di funzionamento che poi davano vita al PEI. Con questo entusiasmo ho iniziato a lavorare in un gruppo tecnico, formato da personale sanitario e della scuola, con il Ministro Fioramonti nel 2019 fino alle sue dimissioni. Successivamente, con il nuovo Ministro Azzolina, il gruppo iniziale è stato smantellato perdendo la componente legata al mondo della sanità e incentrato sul personale proveniente dal mondo della scuola.
Il lavoro di questo gruppo ha prodotto i nuovi modelli solo parzialmente legati a ICF, qui sta la delusione di alcuni. Quindi ci siamo ritrovati un PEI fondato blandamente sulla prospettiva bio-pscico-sociale, che però dà una forte spinta sulla visione di contesto in grado di individuare facilitatori e predisporre atti volti alla eliminazione delle barriere. Un secondo elemento molto forte, a mio avviso, è il coinvolgimento diretto e formale di tutti gli insegnanti curricolari. Questo vuol dire che un insegnante curricolare non può più semplicemente delegare all’insegnante di sostegno la predisposizione del PEI per poi adeguarsi. Per ogni disciplina sono previsti spazi in cui indentificare gli obiettivi, gli adattamenti, le strategie, le tipologie di verifiche che verranno adottate, i criteri di verifica che verranno messi in campo, e questo porta ad una co-responsabilizzazione diretta fra docenti che è assolutamente fondamentale e che pone rimedio ad uno dei mali dell’integrazione nella nostra scuola che è stato quello della delega. L’obiettivo è quello di avere una didattica inclusiva in tutte le discipline, perché, viceversa, se il PEI diventa uno strumento appiccicato, passatemi il termine, al singolo alunno, rischia di essere un passaporto per l’esclusione. Lo svolgimento delle attività legate al PEI diventano incompatibili con il lavoro di classe e l’alunno viene affidato all’insegnante di sostegno e portato fuori dal contesto classe per svolgere le proprie attività.
Ne consegue, chiaramente, che si perde l’aspetto dell’inclusione del PEI, mentre bisognerebbe lavorare affinché tutta la classe diventi inclusiva per cui anche una didattica rigida, di tipo trasmissivo, diventi un po’ più attiva, più partecipativa per tutti. Altri due elementi che ritengo meritevoli di attenzione sono il primo quello che chiamo lo “strabismo” del PEI, cioè il fatto che da una parte debba guardare con un occhio al qui ed ora, ovvero la progettazione, la qualità dei processi di integrazione rivolti al momento attuale nel contesto classe e così via; dall’altro lato, con l’altro occhio, guardi al progetto di vita del ragazzo, al progetto individuale, che è la proiezione nella vita adulta di questa persona, che, chiaramente, diventerà molto velocemente adulto. Questo ci porta a dover avere una visione lunga, in prospettiva, e non chiusa sul qui e ore. L’altra questione interessante è il coinvolgimento dell’alunno nella costruzione del PEI. È un principio di autodeterminazione che già la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità aveva stabilito per permettere alla persona di rendersi protagonisti di se stessi.
Ogni nuovo strumento ha bisogno di essere assimilato. Il Ministero ha realizzato dei webinar per gli insegnanti per spiegare il nuovo PEI, voi siete subito usciti con un manuale pubblicato dalla Erickson “il nuovo PEI in prospettiva biopsicosociale ed ecologica” che ora è supportato da quattro volumi operativi che lo sviluppano per ordine di scuola. In questa fase iniziale quanto è importante avere strumenti di supporto per strutturare al meglio questo strumento?
È chiaro che è fondamentale. Con il supporto di una ventina di colleghi siamo riusciti a costruire prima il volume madre e poi i quattro più operativi, con degli esempi di PEI già compilati, in modo da aiutare i docenti passo dopo passo nella sua applicazione. Il primo volume esamina il modello di PEI dal punto di vista metodologico. È una mia convinzione che prima di analizzare i vari tipi di “campi” nei quali ci imbatteremo, è necessario capire la logica ed il senso dello strumento che vado ad utilizzare. Per questo nel volume madre andiamo ad analizzare due ampi temi, ovvero cosa voglia dire un approccio biopsicosociale, ed avere una visione antropologica di questo genere, e la prospettiva ecologica, nel senso che nella scuola ci muoviamo in un’ecologia complessa, fatta di relazioni e aspettative. Nei volumi operativi, come dicevo prima, si affrontano più gli aspetti pratici, ad esempio come osservare e che tipo di osservazione fare, le azioni da adottare e così via, il tutto supportato da esempi costruiti da persone che lavorano sul campo. Qualunque cambiamento costa fatica ed è impegnativo, perché usciamo dalla nostra zona di comfort.
Un cambiamento ha più possibilità di successo se è accompagnato da un supporto. Il successo di un PEI è il successo anche delle pratiche di integrazione, bisogna pensarlo come uno strumento di lavoro vivo e non un adempimento da mettere in un cassetto. Una volta un insegnante mi chiese se era possibile modificare il PEI durante il corso dell’anno, ovviamente la mia risposta non poteva che essere affermativa, perché il PEI è costruito su processi vivi, processi di apprendimento e di partecipazione sociale, che cambiano con l’evolversi della situazione. Per quanto riguarda il nuovo PEI è importante valutarlo dopo il primo anno di applicazione per verificarne i punti di forza e di debolezza e migliorarlo. Ci sono già alcune criticità che sono emerse e che andrebbero evolute, per questo reputo che sia uno strumento che bisogna farlo vivere e migliorare anno dopo anno.
Lei accennava ad uno strumento che va vissuto e migliorato. Soffermiamoci sulle criticità ed i dubbi già emersi e legati al nuovo PEI, ci aiuta a comprenderle meglio e a capire come si possono superare?
Una criticità che avevo già in parte segnalato è quella di non essere allineato al profilo di funzionamento in ambito sanitario. È una criticità che prima o poi bisognerà affrontare perché non possiamo avere il profilo di funzionamento e un piano educativo costruiti con modalità differenti. Questo comporta la necessità di dover realizzare un raccordo complesso tra due strumenti che alla fine si rivolgono alla stessa persona. Un’altra criticità riguarda le ore di sostegno che sono legate al debito di funzionamento, che fino ad oggi erano legate alla presenza o meno del fattore di gravità, ovvero la presenza o meno dell’art. 3 comma 3 della legge 104/92. Con l’introduzione di una progressione a fasce si voleva creare una gradualità di ore tra questi due estremi in modo da creare range intermedi e quindi creare un limitatore delle ore di sostegno. È inutile nasconderselo, il Ministero dell’Istruzione e il Ministero dell’Economia hanno sempre cercato, già da tempo, di limitare le ore di sostegno. È un fatto storico che ho vissuto in prima persona avendo fatto parte dell’osservatorio sull’integrazione presso il Ministero nei governi Prodi.
Questo aspetto è un discorso che va in stretta relazione con quello che io definisco la necessità di un cambio di Paradigma. Se le nostre uniche risorse sono le ore di sostegno e di assistenza all’autonomia e comunicazione, ci troveremo ad una monocultura legata a questa tipologia di approccio. Non è sostenibile questa linea, per fare un paragone è come se in agricoltura sostituissi la biodiversità con una monocultura ad esempio legata alla soia. Collegandoci a questo esempio, noi dovremmo pensare ad avere una “biodiversità” delle risorse per fare un buon processo di integrazione. Facendo un esempio pratico, se in una scuola secondaria di primo grado ho un ragazzo autistico, metterei tra le risorse del PEI per il prossimo anno, come prima risorsa, la formazione e sviluppo di competenze in tutti i docenti curricolari, perché tutti gli insegnati devono saper gestire e relazionarsi con l’alunno. È sbagliato pensare di risolvere il problema solo con le ore di sostegno, che poi rischiano di isolare ancora di più il ragazzo. Diverso è utilizzare l’insegnante di sostegno, che è una risorsa tecnica, per supportare e formare le competenze specifiche in ogni insegnante disciplinare e nel gruppo classe. Quindi introdurre nel PEI un germe di questa tipo di prospettiva, un po’ più ampia, sulla cultura del sostegno, sarebbe stato un grande passaggio in avanti.
Un’ultima domanda restando sull’aspetto legato all’inclusione e al cambio di paradigma di cui ci stava accennando. Lei propone insegnanti e assistenti non più legati all’alunno ma agli insegnanti curricolari in modo da formare le competenze e le prassi di didattica inclusiva tramite l’Universal Design for Learning. Ci spiega meglio in cosa consiste?
L’Universal Design for Learning è uno degli approcci per rendere la didattica ordinaria più inclusiva. Facciamo un esempio pratico per capirci. Se un insegnante di storia spiega ai propri alunni mediante la lezione frontale ed il libro di testo, utilizza due canali per trasmettere l’informazione. Se poi utilizza come strumento di verifica solo le interrogazioni orali, utilizza un canale per ricevere il prodotto dell’apprendimento. Sei poi come sistema motivazionale uso solamente il voto, anche in questo caso utilizzerà solo un canale con gli alunni. L’universalità, invece, parte dal concetto che siamo tutti differenti nel ricevere le informazioni, nell’esprimere il proprio apprendimento e nel come si è ingaggiati in una situazione e quindi è importante utilizzare più modalità per trasmettere le informazioni, verificare l’apprendimento e motivare gli alunni.
Tornando al nostro esempio di prima, oltre al testo ed alla lezione frontale potremmo utilizzare il romanzo storico, video e film legati all’argomento, podcast e così via, in modo da avere un menù più ampio che possa maggiormente intercettare le differenze di acquisizione ed elaborazione dei singoli studenti. Nella fase di verifica e quindi di produzione da parte dell’alunno di prodotti derivanti dall’apprendimento, oltre all’interrogazione classica potremmo utilizzare la scrittura di un saggio, di un dialogo teatrale, far costruire materiali legati all’argomento. Lo stesso vale per il coinvolgimento, la motivazione, alcuni possono essere più motivati lavorando in gruppo con altre persone, altri potrebbe preferire un lavoro da soli, magari davanti ad un computer.
Questo per dire che esistono diversi contesti nei quali poter far esprimere al meglio ogni singolo allievo. L’UDL, che fa un ragionamento legato alle neuroscienze, ci insegna che le differenze umane le riscontriamo nella fase di ricezione, nella fase di azione e nella fase motivazionale/affettiva. Quindi, se ci fosse più pluralità l’insegnante di sostegno, che aiuta il curricolare a diventare più universale, permetterebbe di utilizzare il diverso materiale nei vari contesti di apprendimento. Detto questo bisogna comunque ricordare che la scuola è un’istituzione nel cui interno operano tantissimi insegnanti, ognuno con la propria professionalità. Dovere del Dirigente Scolastico sarebbe quello di mettere a sistema e patrimonio comune le varie esperienze sviluppate dai singoli docenti, nelle varie discipline, in modo da essere da supporto per tutti creando, così, una base di materiali disponibili ad ogni docente e che si incrementano anno dopo anno.
di Fabio Gervasio
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