Avvenire del 14.02.2020
Il nuovo Servizio nazionale creato dalla CEI riunisce per la prima volta realtà associative e istituzioni. Per condividere esperienze e progetti.
Secondo l’Istat, in Italia le persone con disabilità sono 3 milioni e 100 mila, ossia il 5,2% della popolazione. Quasi 1 milione e mezzo sono ultra 75enni, di questi le donne sono 990mila. L’aspetto più problematico è però che il 26,9% vive da solo, oppure con il coniuge (26,2%) e circa il 10% con uno o entrambi i genitori. Le regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna (rispettivamente, l’8,7% e il 7,3% della popolazione). Veneto, Lombardia e Valle d’Aosta hanno invece l’incidenza più bassa: il 4,4%.
Le persone con disabilità che vivono con genitori anziani sono particolarmente vulnerabili, poiché rischiano di vivere molti anni da soli. A occuparsi dei loro bisogni sono per lo più dunque le persone care, ma un forte aiuto arriva anche dalle realtà associative cattoliche sul territorio. Un esercito di volontari, che spesso rappresentano l’unico interlocutore capace di ascoltare e dare risposte concrete.
Proprio a loro la Conferenza episcopale italiana ha scelto di offrire un percorso di conoscenza e approfondimento, che porti alla creazione di una rete su tutto il territorio. «Vogliamo assicurare un contributo unitario, trasversale e continuativo alle persone con disabilità – spiega suor Veronica Donatello, responsabile alla CEI del neonato Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, che pochi giorni fa ha convocato a Roma i rappresentanti delle varie realtà locali per il primo incontro –. Uno dei doni grandi che abbiamo è fare rete, uscire e andare nei luoghi dove abitano le persone con disabilità. Molte associazioni, congregazioni, movimenti e diverse diocesi già lo fanno, sul proprio territorio. Ma spesso tra di loro non si conoscono. L’incontro è nato proprio per confrontarci, condividere le buone pratiche. Dobbiamo attuare quella che papa Francesco definisce la "pastorale dell’orecchio", ossia metterci in ascolto del territorio. E non è scontato – rimarca suor Donatello –. Per questo occorre sapersi confrontare con un’ottica di generatività, al di là della propria realtà, dare voce a chi non ce l’ha ed essere voce portando delle istanze. Vogliamo mettere in campo proposte e attività formative. Avere insieme uno sguardo profetico su tutta la vita della persona con disabilità e la sua famiglia sia attraverso la prassi sia con l’elaborazione di riflessioni scientifiche e pastorali».
Iniziando però da punti fermi. «È necessaria l’adozione di una prospettiva long life sulla persona con disabilità, un’attenzione cioè lungo tutto l’arco della vita» riflette Roberto Franchini, professore di pedagogia speciale dell’Università Cattolica di Brescia e responsabile dell’Area Sviluppo e Formazione Opera don Orione Italia. La pastorale deve tradursi, in sostanza, non solo in «catechesi in senso stretto ma riguardare la spiritualità della persona con disabilità, inserita dentro un progetto di vita, di promozione umana. L’inizio di una buona pastorale è innanzitutto la conoscenza delle loro esigenze. Occorre dare loro voce perché esprimano i bisogni di spiritualità, che vuol dire dono, volontariato, partecipazione ai sacramenti, ai momenti della comunità cristiana, anche di festa. Serve insomma una pastorale inclusiva».
Come del resto già si sta facendo in alcune diocesi. «Fino a poco tempo fa era un tema messo a margine – sottolinea Claudia Filippo, responsabile del Servizio pastorale per le persone con disabilità dell’arcidiocesi di Monreale –. Ciascuno lavorava nel proprio ambito. È invece importante poter lavorare insieme, perché la vita di un disabile non è limitata a un solo aspetto. Bisogna che tutti ci si metta insieme, facendo rete, e si lavori per riuscire ad arrivare a tutti gli ambiti di vita della persone disabili. Le persone con disabilità non hanno solo bisogno di assistenza ma soprattutto di accoglienza. Spesso – aggiunge Claudia Filippo – si considera il disabile come una persona che può avere difficoltà, invece occorre rispettare la dignità del suo essere un ragazzo, o un adulto, con le sue problematiche, i suoi diritti».
«Metterci assieme per condividere le buone pratiche è sempre un dono, permette di trovare risposte nuove e anche professionalmente più proficue – afferma don Carmine Arice, padre generale del Cottolengo –. Ed è un’occasione per porre attenzione a un problema affrontandolo da più punti di vista. Il mondo della disabilità è così ampio che è importante poter avere uno sguardo unitario, mettendo insieme le diverse prospettive. La risposta da dare alle persone non può essere univoca ma diversificata a seconda del bisogno che si trova. In questo mondo, che richiede sempre accompagnamento bisogna anche portare una parola del Vangelo. Parola e cura devono andare di pari passo, non può esserci l’una senza l’altra. Dobbiamo dire il perché di quello che facciamo».
E occorre farlo sempre con competenza. «C’è l’esigenza di svolgere servizi sempre più in modo professionale. Sia sul tema della cura che come accompagnamento delle persone, vogliamo che queste realtà siano incluse nel tessuto sociale, ritrovino le risposte di cui hanno bisogno, e che ci sia anche una competenza nel modo con cui li accompagniamo ». Occuparsi di disabilità significa poi anche sostenere le persone care che se ne prendono cura.
«Ci vogliamo interessare della disabilità con uno sguardo che contempli anche la famiglia – dice Nino Di Maio, membro del direttivo del Forum delle Associazioni familiari –. Grazie al percorso tracciato dalla CEI, vogliamo far sì che la persona con disabilità sia considerata come una ricchezza per la comunità. Le famiglie con persone disabili hanno bisogno di attenzione. Ma soprattutto hanno a cuore il tema del 'dopo di noi’. Il nostro obiettivo è dunque fare rete, condividere le buone prassi, e creare sinergia. Per essere al servizio delle famiglie e delle persone con disabilità».
di Graziella Melina
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