L'Arena del 01.07.2020
Ci sono nuove speranze per i pazienti affetti da malattie degenerative come la maculopatia con l'innesto di una protesi di seconda generazione.
Un «occhio bionico» pronto a restituire la vista a chi, a causa di malattie degenerative come la retinite pigmentosa o la maculopatia, è diventato cieco. Nuove speranze arrivano dal meraviglioso lavoro di un team di scienziati dei più grandi centri di ricerca italiani che sono riusciti a portare a termine con successo la sperimentazione su cavie animali, tornando a farle vedere. Un ruolo importante, quello strettamente chirurgico, ce l'ha avuto Verona, precisamente l'Unità operativa di Oculistica dell'IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile. «Noi ci siamo occupati», conferma il primario, «di tutta la parte operatoria, cioè della definizione dell'atto pratico di inserimento di questa nuova protesi di retina artificiale di seconda generazione, mentre i colleghi di Milano hanno sviluppato i materiali e quelli di Bologna hanno gestito direttamente la sperimentazione sui ratti affetti da retinite pigmentosa causata da una mutazione genetica spontanea». La dottoressa Pertile ne è certa: «È un passo in avanti importantissimo, siamo arrivati a risultati che evidenziano la possibilità di sviluppare una nuova generazione di protesi fotovoltaiche da impiantare sotto retina, completamente organiche, altamente biocompatibili e funzionalmente autonome, per trattare la cecità degenerativa. Ci vorranno ancora 2 anni perché si possa procedere alla fase "umana", servono i tempi tecnici per avere le autorizzazioni, ma siamo fiduciosi e certi di avere trovato la via per ridare la sensibilità visiva a chi l'ha completamente perduta». E poi, la protesi firmata Verona ha un ulteriore vantaggio: «Si inserisce con una puntura, perché è liquida, per cui non è necessario creare l'apertura nell'occhio del paziente ma si procede con una iniezione. È un'operazione meno invasiva e quindi meno pericolosa».
Liquida, biocompatibile, ad alta risoluzione e micro-iniettabile, la protesi di retina è infatti formata da una soluzione acquosa in cui sono sospese nano-particelle foto-attive che sostituiscono funzionalmente i fotorecettori della retina danneggiati. Dalla collaborazione tra i ricercatori del Center for Synaptic Neuro-science and Technology dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, coordinato da Fabio Benfenati, e un team del Center for Nano Science and Technology di Milano, coordinato da Guglielmo Lanzani, con l'Unità di Oculistica guidata dalla dottoressa Pertile è nata l'idea rivoluzionaria di realizzare questa protesi liquida di retina, per contrastare gli effetti di malattie che portano alla degenerazione dei fotorecettori della stessa, causando cecità. Il team multidisciplinare ha visto coinvolti partner scientifici come l'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e il Cnrdi Bologna e ha potuto contare sul supporto di diverse Fondazioni.«Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Nature Nano-technology», ricorda Pertile, «è un'evoluzione del modello di retina artificiale planare e consiste in un foglietto ricoperto di polimero che una volta impiantato nell'occhio si comporta come un minuscolo pannello fotovoltaico capace di trasformare l'impulso luminoso in impulso elettrico al cervello per la formazione dell'immagine». È costituita da una componente acquosa in cui sono sospese nano-particelle polimeriche foto-attive realizzate ad hoc nei laboratori, delle dimensioni di circa 1/100 del diametro di un capello, che prendono il posto dei fotorecettori fuori uso. La naturale stimolazione luminosa delle nano-particelle provoca l'attivazione dei neuroni retinici risparmiati dalla degenerazione, mimando così il processo cui sono deputati i fotorecettori nei soggetti sani. «Rispetto ad altri approcci già esistenti», conclude il primario, «la nuova natura liquida della protesi assicura interventi più brevi e meno traumatici che consistono in micro-iniezioni delle nano-particelle direttamente sotto la retina, dove queste restano intrappolate prendendo il posto dei fotorecettori degenerati, oltre a una maggior efficacia. Lo sviluppo di questi nano-materiali fotosensibili apre la strada a nuove applicazioni nel campo delle neuroscienze e della medicina».
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