mercoledì 19 dicembre 2018

Violenza psicologica: le donne con disabilità non sono vittime di serie B, di Massimiliano Penna

Si è svolto sabato 24 novembre presso la Sala Stoppani dell’Istituto dei Ciechi di Milano il convegno dal titolo “Rompiamo il muro del silenzio: insieme alle donne con disabilità contro la violenza psicologica”. L’evento, organizzato dalla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di persone con Disabilità) della Lombardia, si inseriva nel panorama delle iniziative promosse in occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, al fine di dare un contributo concreto alla riflessione generale sul tema, concentrando l’attenzione in maniera specifica sulla violenza psicologica subita dalle donne con disabilità.

Durante le 2 sessioni di lavoro, attraverso relazioni esposte da esperti qualificati e testimonianze dirette, ai partecipanti è stata offerta l’occasione di riflettere su un tema cruciale e delicato che, purtroppo, sovente non viene affrontato a causa di preconcetti e di una visione totalmente errata secondo la quale la donna con disabilità è priva di aspirazioni personali, capacità di decidere e di conseguenza va trattata solo come “oggetto” da assistere.

Troppo spesso, infatti, è la stessa vittima a non riconoscere come “violenza psicologica” tutti quei comportamenti spesso assunti proprio da chi dovrebbe assisterla. Le statistiche dicono che, pur non lasciando segni tangibili come quella fisica, la violenza psicologica è in grado di infliggere ferite altrettanto profonde, che arrivano ad annientare la personalità della vittima.

Dichiara il Presidente della FAND Lombardia Nicola Stilla: “Il titolo scelto per questo convegno, fortemente voluto e condiviso dalle 5 associazioni aderenti alla FAND, ha in sé un forte significato. Il muro che va abbattuto è infatti quello del silenzio che impedisce alla vittima di parlare e rivendicare i propri diritti, nonché il silenzio dell’ambiente famigliare e sociale in cui questa vive; accade troppo spesso che famigliari, amici, colleghi e vicini di casa, per quieto vivere, preferiscano tacere piuttosto che condividere e denunciare episodi reiterati di violenza, che costituiscono veri e propri reati perseguibili dalla legge”.

In apertura del convegno la Coordinatrice della Commissione Regionale Pari Opportunità dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) della Lombardia dottoressa Erica Monteneri ha sottolineato come, diversamente da quanto spesso si è portati a pensare, nella maggior parte dei casi la violenza non è perpetrata da sconosciuti. È nell’ambito famigliare infatti che avvengono i casi più numerosi di violenza, sia di genitori nei confronti delle figlie, sia di figli adulti nei confronti di donne anziane, sia di partner nei confronti delle compagne, sia di caregivers professionisti.

Prendendo in esame il rapporto di coppia, si può affermare che l’evoluzione della prassi di violenza presenta atteggiamenti costanti: dapprima l’elemento dominante isola la compagna impedendole relazioni con l’esterno e controllando ogni sua mossa, quindi il predominio viene esercitato nei dialoghi quotidiani, così da impedirle di esprimere le sue ragioni e ingenerando in quest’ultima la convinzione di essere incapace, stupida e “sbagliata”, con il chiaro intento di suscitare in lei sensi di incertezza e di colpa. Dalle critiche si passa poi al disprezzo vero e proprio fatto di offese, minacce, ricatti e accuse infondate. Tutto questo è indice di un livello di violenza che, progressivamente, diventa drammaticamente elevato e porta al lento annullamento della vittima.

Come emerso dalla relazione esposta dal dottor Stefano Bissaro della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, oltre che moralmente deprecabile, la violenza psicologica nei confronti della donna con disabilità costituisce una vera e propria discriminazione, che lede la sua dignità. Tale discriminazione si fonda sull’incrocio di 2 fattori di fragilità (il genere femminile e la disabilità), che rendono l’impatto del comportamento discriminatorio ancora più destabilizzante. La Costituzione italiana all’art. 38, come confermato dall’interpretazione della Corte Costituzionale, sancisce il diritto della persona con disabilità all’assistenza di cui ha bisogno per poter essere inclusa a pieno titolo nella società.

Al di là delle garanzie assicurate dal legislatore, tuttavia, si rende necessario un vero e proprio “scatto culturale”, che porti a considerare la donna con disabilità non per la patologia dalla quale è affetta, ma in primo luogo come persona. Gli stessi centri antiviolenza e le case-rifugio per donne maltrattate troppo raramente sono accessibili a donne con disabilità; basti pensare alla mancanza conclamata di interpreti della lingua dei segni per le donne sorde o sordo-cieche. Se ne è avuta conferma dalla testimonianza di Laura (nome di fantasia), ragazza con disabilità visiva che al termine dei propri studi di scuola superiore ha trovato la forza di denunciare le violenze psicologiche subite in famiglia e, dopo un’attesa lunga un anno, grazie al supporto degli operatori dell’UICI, è riuscita a trovare posto in una casa-rifugio, dove però si è dovuta confrontare con una realtà non preparata ad accogliere una donna con disabilità visiva.

“Le nostre associazioni – afferma la dottoressa Monteneri – organizzano sportelli di ascolto con operatori che possono aiutare le donne a prendere coscienza dei propri diritti ed a capire che i loro partner o caregivers hanno superato la linea di confine tra cura ed abuso psicologico. Occorre però anche che gli operatori stessi siano formati e in collegamento diretto con i centri antiviolenza, così da poter accompagnare le donne nel lungo e faticoso cammino verso il recupero della propria autonomia. Pertanto il primo obiettivo da perseguire è dare informazioni alle donne circa i loro diritti, in modo che non accettino passivamente ma combattano ogni forma di violenza psicologica e fornire loro ogni tipo di informazione circa servizi telefonici antiviolenza o centri antiviolenza operanti sul territorio. Il secondo grande obiettivo è invece ottenere dalle istituzioni che alle donne con disabilità sensoriali (anche plurime) siano rese pienamente accessibili le case-rifugio e gli ambulatori in cui dovrebbe operare personale appositamente formato per accoglierle (psicologi, personale medico, assistenti sociali, interpreti della lingua dei segni ed esperti in grado di assistere le donne con disabilità visiva) e che ad esse venga garantito pieno sostegno durante l’intero iter processuale. Siamo consapevoli che non sarà una sfida facile da vincere, ma il primo passo da compiere è sicuramente mettere in rete tutte le migliori competenze presenti all’interno delle nostre associazioni. Sarà un percorso lungo e faticoso, ma necessario per adempiere pienamente al compito morale delle nostre associazioni, che dovrebbero avere dei rappresentanti nei tavoli di confronto regionali e nazionali sulla violenza di genere”.

“La vicinanza delle istituzioni anche in un confronto come quello avvenuto sabato 24 novembre – dichiara Nicola Stilla - è fondamentale; rivolgiamo pertanto un sincero ringraziamento alla dottoressa Marilena La Fratta dell’Assessorato alle Politiche per la Famiglia, Genitorialità e Pari Opportunità di Regione Lombardia per la competenza con cui ha illustrato tutti i servizi in essere e le carenze da colmare. Accanto all’intervento della dottoressa La Fratta, sono risultati particolarmente significativi gli interventi delle relatrici avv. Antonella Faieta (capoufficio legale di Telefono Rosa), le psicologhe Nadia Muscialini (fondatrice del “Soccorso Rosa”, Mita Rendiniello del Centro Antiviolenza SVDSeD dell’Ospedale Mangiagalli di Milano affiancata dal dottor Salvatore Triolo, dottoressa Agatina Vitanza della Lega del Filo d'Oro, le dottoresse Antinea Pezzè e Anna Zinelli della casa-rifugio Daphne”.

Una giornata ricca di contenuti e spunti di riflessione nel nome della difesa della dignità delle donne con disabilità, che non devono essere considerate puramente come soggetti bisognosi di assistenza, ma come patrimonio culturale aggiunto dell’intera società.

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