lunedì 7 gennaio 2019

Integrazione, inclusione ed equità: le politiche europee sull'istruzione, di Marco Condidorio*

Superando.it del 07-01-2019

«La cornice europea dell’istruzione e dell’educazione – scrive Marco Condidorio in questo ampio approfondimento – è ancora molto lontana da finalità che riflettano il pieno diritto allo studio e all’autonomia di pensiero e azione, anche per le persone in condizione di disabilità. Ma la scuola è e resterà sempre, sin quando i valori che l’hanno voluta apparterranno al pensiero libero, luogo di conoscenza, di crescita e di maturazione del pensiero autonomo e in tale contesto la persona in condizioni di disabilità ha pari opportunità di crescita e dunque di apprendimento e maturazione».

Posto che i due termini sussistano comodamente nell’orizzonte di un linguaggio sempre più teso a divenire tecnico/specifico, per cui parleremo di entrambi per dignità didattica e valore storico, la cornice europea riguardo ai concetti di integrazione e a quello maggiormente dominante di inclusione, passando per quelli di istruzione e di formazione, dunque dell’idea politica di scuola che si è andata delineando in questi ultimi anni e che li vede ambedue direttamente al centro della scena, quella del dibattito sui valori dell’insegnamento e della pedagogia, oltreché di quello della formazione, la cornice europea, si diceva, potrebbe probabilmente essere sintetizzata riassumendo pochi dati presi qua e là dal vasto universo delle politiche scolastiche dei singoli Stati; quel che però a mio personale giudizio merita maggiore attenzione è il concetto di equità, non solo sociale, ma didattico-educativa.

L’equità in campo educativo e in quello dell’istruzione la si persegue applicando il concetto di “integrazione”, che significa sviluppare con coscienza e umanità un processo volto all’acquisizione delle conoscenze e alla maturazione delle stesse competenze, sostenendo adeguatamente il discente e rispettandone le attitudini e le aspettative.

Oggi il pensiero dominante volge il proprio sguardo prospettico al concetto, solo in apparenza antagonista, ma che di fatto si completa sostanzialmente con quello di integrazione: quello di “inclusione”. Qual è la ragione che li tiene uniti? La risposta potrebbe essere: entro tale cornice politica l’elemento protagonista, che in fondo lega entrambe i concetti, a giudizio di chi scrive ha la propria radice nella relazione dell’idea utilitaristica di formazione e in quella storico/filosofica di istruzione/educazione, binomio sensibile per l’equilibrio precario di due sistemi di pensiero sostanzialmente contrari, che inevitabilmente si riverbera, ancora oggi, anche sul mosaico europeo, appunto, del binomio istruzione-formazione, alla luce dei concetti di integrazione ed inclusione.

La domanda da porsi a questo punto è la seguente: siamo pronti a formare professionisti in condizioni di disabilità? Ad investire, non tanto risorse economiche, ma prima ancora umane e professionali?

L’esempio negativo ci arriva dall’Italia: le ultime decisioni dell’attuale Esecutivo in materia di economia, che inevitabilmente interessano, guarda caso, il Terzo Settore del nostro Bel Paese, parlano di aumenti dell’IRES [Imposta sul Reddito delle Società, N.d.R.], su cui, è notizia dei giorni scorsi, lo stesso presidente del Consiglio Conte ha detto che si troverà sicuramente un rimedio; per il momento, però, la fascia maggiormente bisognosa – tradotto in linguaggio “politichese”, quella che interessa l’area del Paese meno produttiva, a loro dire ovviamente – si vede decurtati svariate migliaia di milioni d’euro! Il pensiero politico dominante, decide; quello minoritario passivamente accoglie…

In fondo, è la stessa sorte che toccò ai princìpi di governo di un popolo all’indomani dalla Rivoluzione Francese, quando l’Europa mise all’angolo le vecchie monarchie a vantaggio dei princìpi di uguaglianza e libertà, per cui non avrebbe più dominato il criterio dinastico, per il governo di un popolo, ma, da quel momento, quello di uguaglianza, la cui radice nasce dall’humus quale elemento connettivo tra un’idea di uomo e l’esercizio del potere di governo, lo Stato, relazione piuttosto complessa ancora ai nostri giorni, e quella di “bene comune”. Senonché oltre un decennio dopo si parlò di “restaurazione”…

Ma meglio non concedersi distrazioni, torniamo al tema istruzione.

Nell’eterogeneo mosaico europeo dell’integrazione/inclusione, l’Italia è la tessera più difficile perché, partendo da un substrato culturale di impronta idealista, ha preteso di applicare al concetto di istruzione quello di identità del soggetto che, in un contesto di promozione dell’uguaglianza, poco coerente con quello idealista, ha finito col privilegiare quello di uguaglianza, penalizzando l’approccio educativo, nello specifico di tipo didattico, che poggia sul principio d’equità, ovvero il valore della persona intesa come diversità, disattendendo dunque, come ancora oggi spesso accade, il messaggio filosofico di Aristotele, ripreso dal Priore di Barbiana [Don Milani, N.d.R.], secondo cui la giustizia non è dare a tutti in parti uguali, ma ad ognuno secondo le potenzialità e attitudini; ciò perché non vi è peggiore ingiustizia che applicare la teoria dell’uguaglianza tra persone con potenzialità e aspirazioni personali differenti.

Quel significato teoretico, prima che pratico, di uguaglianza, risponde a un’estensione teorica del concetto medesimo di giustizia, secondo cui è giusto “quel che ha” una radice comune tra due o più persone.

La giustizia per noi risponde all’applicazione o meno di un diritto che, nello specifico, è ad esempio quello secondo cui tutti hanno diritto d’essere istruiti, principio di uguaglianza; mentre per ognuno che partecipi del diritto di istruzione ed educazione, va applicato in campo didattico/pedagogico quello di equità, che è sempre un’applicazione del diritto universale allo studio, l’uguaglianza, ma ne rappresenta la specificità.

Ora, mentre il principio d’uguaglianza è facilmente formulato nella storia delle moderne società europee, quello di equità stenta, non tanto nella formulazione, quanto nell’applicabilità in un sistema di uguaglianze. Come vedremo in seguito, l’unico modello che accenna nel concreto all’equità nel campo della didattica, è il modello d’istruzione e formazione anglosassone che, nello specifico per quanto concerne la Scozia, prevede per gli alunni e gli studenti la figura del docente tutore.

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