Giornale UICI del 17-01-2019
La coscienza politica di chi ha avuto la responsabilità di scrivere leggi e decreti legge in materia di istruzione e formazione, ha segnata la via maestra dell’integrazione e dell’inclusione…
Ancora oggi, se da un lato dobbiamo molto alla scrittura di leggi pionieristiche in riferimento ad una scuola che fosse per tutti e non solo per alcuni, oggi quelle stesse leggi andrebbero adeguate ad un lessico maggiormente rispettoso della condizione di disabilità delle cittadine e dei cittadini.
Ultimamente ho letto un articolo su “I diritti violati dei bambini e dei ragazzi con disabilità” articolo del quotidiano «La Stampa» del 6 gennaio 2019.
Uno scritto che denuncia una sacrosanta verità a cui dovremo opporre una altrettanto sacrosanta verità: il diritto passa attraverso il registro linguistico più appropriato ed attuale. E così l’idea di scrivere un pezzo immediatamente prende forma e non per contraddire il frammento ma, al contrario per sottolinearne alcuni elementi, dirò taluni angoli bui che meritano invece d’essere illuminati per comprendere che, la discriminazione può originarsi già a partire dalla forma con la quale la norma è scritta e di come questo possa contribuire a perpetrare una certa discriminazione a svantaggio dei nostri bambini, alunni e studenti in condizioni di disabilità, di cui penso non sia responsabilità solo della Scuola, ma…
Nell’articolo si parla di “numeri tristi”, precisamente quattro. Ai quattro punti, mi permetto di aggiungerne un quinto ed un sesto.
Manca una formazione sociale/civile rivolta alle famiglie e i cittadini tutti, ivi compresi i docenti della nostra scuola mediante cui far giungere una immagine dinamica, creativa e costruttiva di chi nonostante viva la condizione di una qualche disabilità, produce e costruisce, sia per sé che per gli altri. E, la normativa vigente ancora gode di un lessico per nulla rispettoso della persona in condizione di disabilità né ne valorizza potenzialità e attitudini. Questi sono angoli bui per l’integrazione dei nostri discenti, ma non solo: lo è per tutta la società, che vive quotidianamente di relazioni veloci e tese al solo assistenzialismo.
Quanti sanno che la normativa vigente in materia di integrazione/inclusione fa uso di un lessico che oggi risulta anacronistico sino a ad essere discriminante e per nulla al passo con i tempi?
Forse, il decreto legislativo 66/2017 sull’inclusione scolastica introduce qualche novità a riguardo a partire dal titolo e dai primi articoli:
Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, introduce un nuovo approccio sia educativo che didattico oltre che anche di tipo lessicale.
I primi due articoli infatti recitano partendo dai principi e dalle finalità
L’inclusione scolastica:
a) riguarda le bambine e i bambini, le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti, risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita;
b) si realizza nell’identità culturale, educativa, progettuale, nell’organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolastiche, nonché’ attraverso la definizione e la condivisione del progetto individuale fra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio;
c) è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica le quali, nell’ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad assicurare il successo formativo delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti.
Si avverte un respiro di uguaglianza per un approccio teso a realizzare da subito un ambiente “inclusivo”.
Seguiamo ancora il testo: Il presente decreto promuove la partecipazione della famiglia, nonché’ delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione scolastica e sociale.
Già da queste prime righe è possibile scorgere un approccio linguistico maggiormente rispondente agli scopi del decreto legge e al fatto che il soggetto cui rivolge l’attenzione occupi la parte centrale della scena.
Leggiamo ancora: Ambito di applicazione
Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano esclusivamente alle bambine e ai bambini della scuola dell’infanzia, alle alunne e agli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, alle studentesse e agli studenti della scuola secondaria di secondo grado con disabilità certificata ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di promuovere e garantire il diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione.
L’inclusione scolastica è attuata attraverso la definizione e la condivisione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) quale parte integrante del progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, come modificato dal presente decreto”.
Ma, gli articoli 1 e 3 della legge 104/92 che lessico ci propongono ancora oggi?
A partire dal titolo della stessa legge possiamo leggere che le persone in condizioni di disabilità sono:
legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate
E agli articoli 1 e 3:. Partiamo dalle finalità La Repubblica:
a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società: come?
Noi impartiamo lezioni di cittadinanza avendo cura di utilizzare un lessico appropriato come per esempio:
Tutti gli uomini sono eguali di fronte alla legge; nel nostro paese tutti i cittadini hanno pari diritti e proviamo a formulare un elenco perché ci aiuti nella trasmissione dei principi o valori sociali.
Per esempio: tutte le persone disabili, gli immigrati ecc. Non utilizziamo termini, volutamente offensivi o che comunque nel tempo hanno acquisita una connotazione discriminante quali “negri” o handicappati.
Procediamo con la lettura:
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché’ la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali.
Quale ruolo può sperare di perseguire una persona che, sulle certificazioni e/o in forza di una normativa vigente vien classificata come “handicappata”?
Nel marzo del 2006 il legislatore offrirà ai cittadini in condizioni di disabilità una norma che li tuteli contro ogni tipo di discriminazione, la legge 67.
TITOLO: Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni
Art. 1. (Finalità e ambito di applicazione)
1.La presente legge, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione, promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali. Il richiamo all’articolo 3 della legge 104/92 è legittimo, ovviamente per i principi in esso richiamati; meno per la forma utilizzata; la 67 rispecchia il cambiamento di un registro concettuale e lessicale superato, il testo richiamato è invece abbondantemente sorpassato.
Sentite la fluidità del comma 2 sempre della 67/2006 “Restano salve, nei casi di discriminazioni in pregiudizio delle persone con disabilità relative all’accesso al lavoro e sul lavoro, le disposizioni del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, recante attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”.
Ma procediamo con i commi della 104/92
c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché’ la tutela giuridica ed economica della persona handicappata.
Su questo comma ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia ma…
d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata.
Quest’ultimo passaggio trattato pone un ulteriore quesito:
Ma a questo punto, non sarebbe opportuna una riscrittura dell’intero testo della legge 104/92, considerate tra le altre cose le diverse modifiche succedutesi dalla sua entrata in vigore?
Leggiamo come veniamo definiti in virtù del godimento di un diritto:
Soggetti aventi diritto
E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
Anche su questo ci sono molte cose da dire, per esempio:
perché continuiamo a mantenere in vigore una definizione di persona in condizione di disabilità come da punto 1 del presente articolo 3 ex lege 104/92?
Come se non fossero state scritte né la convenzione ONU sui diritti delle persone in condizione di disabilità, ratificata dal nostro Parlamento nel 2009 con la legge numero 18; o come se non esistesse l’ICF.
La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.
Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici.
Fermo restando il positivo carattere sociale che pone la persona al centro di provvedimenti utili ad alleviarne la condizione di disagio fisico, sociale ed ambientale; l’orientamento della norma si caratterizza per essere una norma fortemente assistenzialistica e poco riabilitativa, sia dal punto di vista psico-fisico che sociale ed ambientale.
Vetusto, antiquato e superato buona parte del lessico; oltre al fatto che, la stessa Organizzazione mondiale della salute, come appena citato, ha stabiliti programmi e protocolli sociali e scientifici, tra cui l’ICF, che consentono di modificare lo stesso approccio sociale alla condizione di disabilità.
Torno alla traccia del documento:
Leggo che: Quattro numeri sono tristemente eloquenti sulla condizione dei bambini che necessitano di insegnanti di sostegno che frequentano le nostre scuole.
1° solo il 32% delle scuole garantisce l’accessibilità a chi ha problemi motori.
2° solo l’1,6% delle scuole garantisce l’accesso di tipo senso-percettivo cioè con segnali acustici per non vedenti o segnalazioni visive per sordi/non udenti, mappe a rilievo o percorsi tattili.
3° il 36% degli insegnanti non è qualificato per svolgere attività di sostegno.
4° la maggioranza dei bambini con problemi non partecipano a gite scolastiche. E, come già espresso sopra,
5° manca una formazione sui temi legati alla condizione di disabilità rivolta alle famiglie, alla scuola di tipo sociale e culturale.
6° e non perché meno importante, come scritto già sopra, riproporrei quello relativo alla necessità di modificare, meglio aggiornare il linguaggio col quale scriviamo la normativa riferita alle persone in condizioni di disabilità, ove lo stesso termine “disabilità, personalmente lo abolirei!
Dunque anche la terminologia della legge ha il proprio peso; si aggiunga poi che, quel che fa la differenza, in negativo si intende, è l’applicazione della norma in virtù di disponibilità economiche o di risorse umane professionalmente indicate disponibili o no, triste primato tutto italiano!
Dirò che, mentre pian piano sta prendendo sempre più forma nella mente degli attori della politica il tema dell’abbattimento barriere architettoniche quale principio di accessibilità per cui si progettano ambienti e siti urbani che tengono conto d’ogni cittadino, ivi compreso quello in situazione di disabilità sensoriale; quando parliamo di alunni o studenti in condizioni di disabilità sensoriale, per cui necessiterebbero di ulteriori ed specifici allestimenti ambientali che ne consentano l’autonomia, ancora siamo molto lontani; al più vediamo posizionare qua e là sistemi tattilo-plantari senza alcuna ratio e con un dispendio di risorse economiche davvero vergognoso.
Tutto questo produce un modello distorto di società, che speravamo superato e che invece sembra prepotentemente ritornare, o meglio riemergere dall’inconscio collettivo, quello di un certo “darwinismo sociale”; e che, nonostante leggi all’avanguardia, cito: “tra cui ancora la L.104, non stiamo realmente garantendo il diritto di accesso alla scuola, alla qualità dell’istruzione, alla socialità a questi bambini”.
Ecco, la legge 104/92 non è più una legge all’avanguardia, tutt’al più possiamo considerarla pioneristica perché pioneristico fu il documento Falcucci da cui ebbe origine la stessa legge, anch’essa pioneristica come la 517/77.
Altri dati sulla scuola:
gli alunni/studenti sono 272 mila in totale, dalla scuola per l’infanzia alle secondarie superiori, secondo l’Istat. Il 13% è rappresentato da bambini di nazionalità diversa da quella italiana, che stanno peggio degli altri.
Possibile che ci debbano essere, ancora oggi bambini, alunni e studenti che oltre a doversi inserire, cosa non facile, devono aver il problema anche di arrivare fisicamente a scuola e muoversi liberamente al suo interno?
Possibile che in più di un terzo dei casi non venga loro garantita la qualità di insegnamento necessaria, e siano affidati a insegnanti non formati che nella maggior parte dei casi cambiano l’anno successivo? Il 46% di questi bambini ha una disabilità mentale, il 25% problemi di sviluppo, il 20% di linguaggio, il 19% di apprendimento, l’11% problemi motori, il 10% sensoriali. La situazione è più difficile, come sempre, al Sud. Ma non è che il Nord sia poi così più avanti. Non basta che i diritti siano scritti sulla carta, devono realizzarsi nella vita quotidiana, e soprattutto a scuola, prima frontiera di inclusione sociale per i bambini, cittadini anch’essi a tutti gli effetti.
Ecco, se la scuola, come è giusto che sia è “frontiera sociale”, aggiungerei con un pizzico di “criticismo storico” che, oggi è il tempo di ripensare alcuni concetti da cui inevitabilmente dipende e discende un atteggiamento sociale, sia nella scrittura del DNA politico del Legislatore che dell’Esecutivo ma anche nella formazione e nell’azione del cittadino.
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