Corriere del Mezzogiorno del 09-01-2019
Il performer tarantino Gianfranco Berardi ha ricevuto al Piccolo di Milano il premio Ubu, in sostanza l'oscar del teatro italiano. Non vedente, Berardi ha dedicato la sua vita al palcoscenico: «E faccio laboratori con l'Unione Ciechi».
MILANO. Assegnati ieri al Piccolo Teatro di Milano i premi Ubu, uno di più importanti riconoscimenti per il teatro italiano. A vincere, nella categoria attore protagonista, quella che è stata una bella sorpresa anche per la nostra regione. Infatti la coppa è andata al tarantino Gianfranco Berardi che nella sua città ha debuttato con spettacoli che hanno calamitato sin da subito l'attenzione di critica e pubblico, vincendo nel 2005 con Il deficiente il Premio Scenario. Poi Berardi ha cercato altrove la possibilità di esprimersi al meglio grazie anche all'incontro con Gabriella Casolari con la quale ha fondato una propria compagnia. Amleto take away , loro ultima produzione, in collaborazione con il Teatro dell'Elfo di Milano, in cui l'attore è di pirotecnica, travolgente bravura, gli ha consentito di conquistare l'Ubu. Una vittoria di particolare significato in quanto Berardi è stato sempre molto apprezzato proprio da Franco Quadri, il grande critico creatore del premio e scomparso da tempo. Amleto porta a maturazione e compimento i temi cari alla coppia Berardi/Casolari incentrati su di una scena specchio nello stesso tempo di una ironica finzione e di una spietata disanima della propria realtà. Una messa in scena spiazzante che vede scatenarsi l'attore con inesausta energia - ma sempre con rigore e controllo di ritmi e tempi - sotto l'occhio discreto ma fondamentale della sua compagna. Un eccellente risultato come avrà modo di constatare anche il pubblico barese il 18 del mese quando, alle 21, andrà in scena al Teatro Abeliano. Nel frattempo i due sono presi dall'ansia.
Come ansia? Il premio lo ha già preso.
«Mi hanno avvisato a metà dicembre e ho passato delle feste bello rilassato. La sera del premio invece non capivo più niente. Prima di avere in mano la coppa pensavo ad uno scherzo. Giuro che li avrei menati. È stato emozionante e quando mi hanno chiesto un intervento non sapevo che dire. Allora mi sono inventato una specie di trailer dello spettacolo e in tre minuti e mezzo l'ho fatto tutto. È stato bellissimo e poiché mi ero portato una bottiglia di spumante alla fine li ho tutti spruzzati. Comunque ora sentiamo una specie di responsabilità per il futuro».
È naturale, l'Ubu è un premio importante.
«Certo, ma passerà quando riprenderemo a lavorare a pieno ritmo. Come dire, passato il santo passata la festa. E poi siamo sempre abituati a cavarcela da soli. Non perché non cerchiamo collaborazioni ma perché ci sembra sempre che se non ci diamo molto da fare noi per primi poi le cose rallentano, abbiamo l'impressione che ci sfuggano. Speriamo che Amleto continui ad avere lunga vita, comunque stiamo già pensando ad un nuovo spettacolo con lo stesso partner produttivo, l'Elfo di Milano».
Anticipazioni?
«No, è troppo presto. Sarà comunque incentrato sul mio tema classico che è quello della cecità metaforica, di un problema reale - per me non vedente - che mi consente di parlare del teatro come possibilità, come sforzo per impedire alla passione per la vita e per l'arte di esaurirsi. In questi ultimi anni non è solo la scena che mi interessa ma anche i laboratori che porto avanti con l'Unione Ciechi».
Che tipo di esperienza è?
«Un delirio, ma un delirio molto umano. Ci scontriamo spesso proprio sul concetto di teatro ma ci arricchiamo di esperienza vicendevolmente. Io cerco di insegnare loro ad intendere l'artificio scenico come mezzo per guardare con ironia al proprio vissuto senza pretendere di fare Pirandello. Loro mi stanno insegnando ad accettare i piccoli gesti del reale. In Amleto , per la prima volta, faccio uso di un bastone, ma so come trasformarlo in un gesto teatrale».
di Nicola Viesti
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