La Provincia di Como del 10.12.2019
COMO. L'esperienza L'Unione Ciechi ha realizzato a Cantù una giornata dedicata all'ipovisione. Abbiamo provato il percorso proposto e raccolto le emozioni di chi ha cambiato punto di vista.
"Quelli che vedi sono i miei vestiti / Adesso facci un giro e poi mi dici". Così recita un verso di una canzone di Niccolò Fabi, "Io sono l'altro", che descrive il senso profondo del sentimento di empatia, quel "mettersi nei panni di" che, spesso, è l'unico modo per comprendere appieno quello che l'Altro vive, sente, prova, percepisce, pensa. È un sentire che passa, innanzitutto, tra le pieghe della pelle e del cuore, doloroso e necessario, qualcosa che rimette le cose nel giusto ordine e le restituisce sotto un diverso punto di vista. Questo è quanto hanno vissuto, in una piovosa domenica di novembre, coloro che hanno partecipato alla giornata dedicata all'ipovisione, organizzata all'ARCI Mirabello di Cantù dall'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, e che si sono messi in gioco, in prima persona, infilandosi in quei panni così delicati e difficili, nel tentativo di capire e conoscere una realtà differente.
La sperimentazione.
Alla presenza di alcuni soci dell'Unione, i "normo-vedenti" hanno potuto sperimentare le diverse forme di ipovisione, in un percorso in crescendo che è partito dalla semplice osservazione ed è culminato in una simulazione vera e propria. Nella prima tappa, ci si è soffermati davanti alle fotografie esposte all'interno della mostra "Io ti vedo così", che hanno messo i presenti di fronte ad una prima difficoltà: il mondo, là fuori, non è uguale per tutti. Per alcuni ha troppa luce o eccessive pennellate di bianco o nero, per altri tutto è sfocato e confuso, per altri ancora i colori feriscono, o ciò che si vede è solo parziale e frammentato. Persino le persone che si incontrano per la strada hanno tratti non chiari, come se indossassero dei cappucci neri sulla testa, esattamente uguali a quelli portati da Fabio De Palma, Gianluca Casalino e Francesco Palmese, impegnati a mostrare quanto sia difficile riconoscere qualcuno da lontano, anche se quel qualcuno è una persona cara. «Quando ci troviamo in un ambiente familiare, come quello domestico - ha raccontato Domenico Cataldo, referente dell'associazione per l'ipovisione - ci sentiamo molto più sicuri e, anche se siamo senza occhiali e vediamo molto sfocato, non abbiamo paura. In città, o in un qualsiasi altro luogo all'aperto, non distinguere contorni e forme può rivelarsi molto spaventoso e pericoloso. Anche le persone vengono percepite come ombre, a volte minacciose, fino a quando non si avvicinano e riusciamo a percepirne i lineamenti. Prima di questo momento, per noi è come se indossassero dei passamontagna completamente neri». A questo punto, Domenico ha invitato tutti a prendere posto su alcune sedie, per sottoporsi ad un piccolo esperimento legato alle difficoltà di lettura.
Le scritte da lontano.
«Noi non siamo in grado di leggere le scritte da lontano. Per immedesimarvi nelle nostre situazioni visive, leggerete alcune frasi provocatorie, cose che noi, a tutte le età, ci sentiamo dire ancora troppo spesso da chi non comprende il problema». Così, davanti agli occhi degli spettatori, si sono susseguite frasi impossibili da distinguere, fino a quando non sono diventate più grandi e nitide, piene di parole così grevi da ferire: "Non è possibile che tu abbia impiegato così tanto tempo a leggere questo testo! La verità è che inventi scuse per non impegnarti!" oppure "Dormiamo? Datti una mossa! Non è possibile che gli altri debbano aspettare i tuoi comodi, anch'io ho gli occhiali eppure sono più veloce di te". La tappa conclusiva di questo percorso ha visto i "normo-vedenti" immergersi in modo totale nell'ipovisione, indossando alcuni occhialini da piscina dalle lenti appositamente ricoperte da scotch di carta e adesivo, per simulare la disabilità visiva. Così, i "nuovi ipovedenti" si sono dovuti affidare ad altri per potersi muovere nella stanza, sentendo i propri piedi più pesanti, il proprio udito più sensibile, le proprie emozioni amplificate, con la paura costante e il senso di smarrimento di chi non sa dove andare e non capisce cosa ci sia nello spazio intorno a sé. «Come se non avessi più punti di riferimento e mi mancasse la terra sotto i piedi», ha commentato qualcuno, al termine dell'esperienza. Un'esperienza che, di certo, nessuno dimenticherà.
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