Superando.it del 06.12.2019
di +Cultura Accessibile-Cinemanchìo
«Il nostro “Manifesto per l’accessibilità e la fruizione in autonomia del patrimonio culturale cinematografico” – scrivono da +Cultura Accessibile-Cinemanchìo – tratteggia linee guida per arrivare all’accessibilità del cinema ed è un punto di riferimento per tutti gli altri settori dell’offerta culturale. Milioni di famiglie sanno che l’esperienza culturale condivisa consente di raggiungere traguardi importanti su altri fattori di benessere (qualità dei servizi, intervento sociale, scuola). Sul diritto all’inclusione culturale si gioca quindi una partita decisiva per l’inserimento sociale».
TORINO. Come avevamo ampiamente riferito nei giorni scorsi, il 26 novembre è stato presentato a Torino, all’interno del Torino Film Festival, il Manifesto per l’accessibilità e la fruizione in autonomia del patrimonio culturale cinematografico, a cura di +Cultura Accessibile-Cinemanchìo. Le seguenti riflessioni provengono proprio da quest’ultima organizzazione, a commento di quella giornata.
L’appuntamento del 26 novembre a Torino non è stato un traguardo, ma un punto di partenza.
L’esperienza culturale e la cultura nella sua capacità di proposta appartengono a dimensioni che nel nostro Paese sono state relegate a un ruolo marginale. Ciò che un tempo veniva considerato dalla popolazione come elemento fondamentale per l’emancipazione personale e per la crescita collettiva, oggi viene percepito in quanto termine che semplifica e riassume l’offerta creata dai media e da coloro che li gestiscono.
E tuttavia, il valore aggiunto che la cultura garantisce a ciascun individuo resta un punto fermo impossibile da cancellare. Un valore che assicura a ogni persona il possesso e l’utilizzo delle chiavi indispensabili per interpretare il presente e progettare la sua esistenza.
I progetti portati avanti dalla nostra organizzazione [+Cultura Accessibile-Cinemanchìo, N.d.R.] scaturiscono proprio da questa riflessione e hanno come obiettivo quello di restituire a tantissimi cittadini quelle chiavi e dare loro gli strumenti per essere protagonisti nelle comunità in cui vivono.
Questo è il motivo per il quale ci preme sottolineare che il processo che abbiamo messo in moto in tutta Italia si alimenta attraverso i rapporti umani e le relazioni con le realtà associative che lavorano sui territori. Grazie infatti a questa rete ampia di contatti e collegamenti – nella quale ci si confronta e si costruisce insieme una strada comune e una consapevolezza condivisa – sarà possibile individuare itinerari e traguardi concreti da mettere al servizio delle persone.
Nei nostri interventi abbiamo descritto le aree in cui si sviluppano questi rapporti indispensabili, a diverso livello, per dare vita a un processo culturale che consenta di aumentare gli spazi e migliorare la qualità della vita di tante famiglie.
Un rilievo particolare lo abbiamo dedicato alle Istituzioni e al ruolo che esse dovrebbero avere. Su questo argomento abbiamo sottolineato che a coloro che nelle Istituzioni lavorano serve un approccio diverso e più innovativo.
In questi anni abbiamo troppo spesso riscontrato un profondo deficit intellettuale nella capacità di interpretazione e di elaborazione. Il concetto secondo il quale la cultura è soltanto un termine che rappresenta eventi e spettatori (prodotti e clienti) ha invaso le menti di chi dovrebbe invece garantire spessore e consistenza all’offerta e alla fruizione culturale.
Le Istituzioni si concentrano molto nel promuovere continue iniziative finanziarie legate alla realizzazione di prodotti e trascurano completamente la parte relativa alla qualificazione sociale che la cultura può assicurare nella società. La rapidità nello stanziamento di risorse pubbliche a favore del mercato coincide con gli enormi ritardi nello sviluppo di progetti meritori e utili alla collettività. A Torino lo ha manifestato chiaramente Mario Turetta, direttore generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, nel suo contorto intervento. Era infatti evidente che non sapesse nulla delle tematiche che abbiamo affrontato al Torino Film Festival.
Quello che stiamo cercando di affermare è che la cultura deve essere un valore fondamentale per la comunità. Per tutta la comunità. Se qualcuno nei palazzi del potere dovesse pensare che c’è bisogno di una legge apposita per dare maggiore accessibilità alla cultura, non farebbe altro che dimostrare l’inettitudine e l’incompetenza della nostra classe dirigente. Un Paese che ha bisogno di una legge per dettare le modalità e i percorsi culturali è un “Paese morto”. Le leggi di questo tipo vengono imposte nei regimi autoritari e repressivi. La cultura, invece, è uno strumento di liberazione e di democrazia.
Dai rappresentanti delle Associazioni che hanno parlato nel corso del bell’incontro alla Mole Antonelliana, sono giunte parole che testimoniano una coscienza diffusa che chiede a gran voce maggiore inclusione e pretende la normalizzazione di un modello di offerta culturale indiscriminato.
È ormai chiaro a tutti che serve un intervento deciso e concreto per mettere a sistema modelli inclusivi efficaci e costanti.
Il Manifesto che abbiamo presentato tratteggia linee guida e buone pratiche per arrivare all’accessibilità del cinema ed è un punto di riferimento per fare passi in avanti in tutti gli altri settori dell’offerta culturale.
Milioni di famiglie sanno che l’esperienza culturale condivisa consente di raggiungere traguardi importanti su altri fattori di benessere, e ci riferiamo alla qualità dei servizi, all’intervento sociale e alla scuola.
Sul diritto all’inclusione culturale si gioca quindi una partita decisiva per l’inserimento sociale e per l’integrazione.
Il 26 novembre, tutti coloro che erano presenti a Torino e che hanno ascoltato le parole dette e vissuto la bella atmosfera di partecipazione che si respirava, sanno che non c’è più tempo da perdere.
Ringraziamo Paolo De Luca per la collaborazione.
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