giovedì 8 ottobre 2020

Giornata della Vista: 900 le malattie rare dell’occhio, ma si contano sulle dita quelle che hanno terapie

Osservatorio Malattie Rare del 08/10/2020

Dai farmaci di sintesi al biotech, dalle terapie avanzate fino al trapianto e ai dispositivi artificiali: queste le ultime novità, segno di una ricerca comunque viva.

Oggi, in tutto il mondo, ricorre la Giornata della Vista. Tra le condizioni che possono mettere in pericolo questo importantissimo senso ce ne sono molte che ricadono nell'ambito delle malattie rare: secondo la rete ERN-EYE, le patologie rare oculari sono oltre 900 e vengono classificate in base alla parte dell’occhio coinvolta. È impossibile in un solo articolo parlare di tutte ma, per citarne alcune, ricordiamo il cheratocono, in assoluto la più diffusa, e poi la retinite pigmentosa, la sindrome di Usher, la malattia di Stargardt, la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), o la cheratite neutrofica.

Negli anni, Osservatorio Malattie Rare ha parlato spesso di queste patologie, e anche delle difficoltà che riscontano – nella vita quotidiana e nella lotta per i loro diritti – le persone che ne sono affette: oggi, però, vogliamo contribuire a questa Giornata ricordando alcune delle più significative novità che ci sono state negli ultimi tempi: una carrellata che, se non può dirsi esaustiva, ci auguriamo serva ad accendere i riflettori sui progressi che si stanno facendo grazie alla ricerca, all'impegno della rete ERN-EYE e grazie alle associazioni che affiancano i pazienti nei loro percorsi di diagnosi, cura e riabilitazione.

Partiamo proprio dal cheratocono, caratterizzato da un progressivo assottigliamento e uno sfiancamento, spesso localizzato, della cornea. Generalmente, la malattia si manifesta con un progressivo astigmatismo irregolare, trattabile con occhiali e lenti a contatto, che poi, però, diventa sempre più difficile da correggere. Se la diagnosi viene fatta precocemente, oggi, a differenza di un tempo, è possibile intervenire: una delle tecniche utilizzabili è il cosiddetto “cross-linking” del collagene corneale, che avviene attraverso una terapia parachirurgica. A spiegare la tecnica e le sue implicazioni è Alessandra Balestrazzi, dirigente medico presso l’Ospedale Oftalmico di Roma, Centro di riferimento della regione Lazio per le malattie rare della cornea: “questo trattamento permette di irrobustire le lamelle corneali – spiega la dottoressa in un’intervista rilasciata a Osservatorio Malattie Rare - ritardando o bloccando il progressivo sfiancamento della cornea mediante l’irradiazione dello stroma corneale con raggi ultravioletti catalizzati dalla vitamina B2”. Nel momento in cui questa tecnica non fosse più utilizzabile, c’è l’opzione del trapianto di cornea, che recentemente si è molto evoluta rendendo minori le probabilità di un rigetto: la storia di Kevin è certamente un simbolo di questi progressi.

Molto più rara e assai meno nota è la LHON, malattia genetica ereditaria che causa una grave perdita della vista, fino alla totale cecità, e che colpisce prevalentemente i maschi in giovane età: per questa patologia è disponibile in Italia, dal gennaio 2016, il farmaco idebenone che dovrebbe rallentarne significativamente la progressione. È recentissima la notizia che questa molecola, in studio anche per la distrofia muscolare di Duchenne, ha avuto uno stop nello sviluppo: due giorni fa, l’azienda Santhera ha infatti annunciato lo stop della sperimentazione di Fase III per difficoltà a raggiungere gli obiettivi terapeutici prefissati. Va però sottolineato che questa brutta notizia non cambia nulla per le persone affette da LHON, poiché i due impieghi non sono correlati in alcun modo tra loro.

Se fino qui parliamo di farmaci ‘di sintesi’, la grande rivoluzione che ha riguardato le persone affette da cheratite neutrofica - una malattia oculare rara e debilitante che può portare alla perdita della vista e per la quale, fino a un paio di anni fa, non esistevano trattamenti soddisfacenti - viene invece dalle biotecnologie. Dal 2018 è infatti disponibile in Italia il collirio cenegermin, il farmaco sviluppato a partire dagli studi del premio Nobel Rita Levi Montalcini sul fattore di crescita nervoso umano (NGF, nerve growth factor). Cenegermin è destinato al trattamento della cheratite neurotrofica moderata (difetto epiteliale persistente) o severa (ulcera corneale) negli adulti: si tratta del primo farmaco orfano biotecnologico al mondo autorizzato per questa indicazione.

Per le malattie rare che colpiscono la retina, almeno laddove la causa è una mutazione genetica nota – come nel caso, ad esempio, della retinite pigmentosa, dell’amaurosi congenita di Leber (da non confondere con la LHON), la malattia di Stargardt o la sindrome di Usher – ci si sta muovendo anche sul fronte delle terapie avanzate: terapia genica, editing genomico e rigenerazione dei tessuti. La prima terapia genica è già stata approvata, con indicazione per i casi di distrofia ereditaria della retina dovuta a mutazioni in entrambe le copie del gene RPE65, e anche applicata in Italia su due bambini. Luxturna (voretigene neparvovec), questo il nome della terapia di Novartis, promettere di essere un trattamente ‘one shot’, cioè da fare una sola volta nella vita: "I risultati della terapia si sono dimostrati stabili nel tempo. Dopo un’unica iniezione i dati clinici mostrano che dopo 7 anni e mezzo il risultato ottenuto rimane assolutamente stabile. Vengono trattati separatamente entrambi gli occhi e i risultati sono ottimi", ha spiegato a Osservatorio Malattie Rare la professoressa Francesca Simonelli, direttrice della Clinica Oculistica dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

Nell'ambito delle terapie avanzate la ricerca riguarda anche l’editing genomico: si tratta ancora di una fase sperimentale, ma il primo paziente affetto da amaurosi congenita di Leber di tipo 10 (LCA10) è stato già trattato con la tecnica di editing CRISPR-Cas9 al fine di correggere la mutazione responsabile della patologia.

Per quanto riguarda invece la rigenerazione dei tessuti al momento l’impiego riguarda i casi di deficit di cellule staminali limbari (LSCD), che possono essere primari, come nel caso di aniridia, eritrocheratodermia congenita, cheratiti associate a sindromi endocrine multiple, oppure secondari (più comuni) provocati da ustioni termiche o chimiche, sindrome di Stevens-Johnson, pemfigoide oculare cicatriziale (OCP), chirurgie multiple. Se per le forme primarie si ricorre per lo più al trapianto, per le forme secondarie provocate da ustioni oculari (comprese le ustioni provocate da agenti chimici) è oggi disponibile, per gli adulti, un trattamento contenente cellule staminali, usato per sostituire le cellule danneggiate sulla superficie (epitelio) della cornea, la membrana trasparente che riveste l’iride (la parte colorata dell'occhio). I pazienti con questa condizione non possiedono un numero sufficiente di cellule staminali limbari, che normalmente intervengono nel processo di rigenerazione della cornea, sostituendo le cellule corneali esterne che vengono danneggiate e che invecchiano.

Inoltre, sempre per le malattie rare che colpiscono la retina, si lavora sul fronte delle protesi artificiali: “Tra le patologie trattabili con l’impianto di una protesi retinica potrà esserci, in futuro, anche la degenerazione maculare senile, ma l’indicazione più classica, per ora, è relativa alle malattie degenerative della retina come la retinite pigmentosa”, ha spiegato a Osservatorio Malattie Rare il prof. Stanislao Rizzo, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore dell’U.O.C. di Oculistica al Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma.

Si tratta di successi terapeutici ed evoluzioni importanti anche se, come avviene per la totalità delle malattie rare, il progresso tocca direttamente solo una piccolissima parte dei pazienti: su 900 patologie rare degli occhi ne abbiamo citate, infatti, meno di una decina; per le altre, la strada verso una terapia è ancora lunga. Anche per questo bisogna continuare a sensibilizzare, da una parte perché si faccia ricerca, dall'altra perché la vita quotidiana di questi pazienti possa comunque migliorare grazie al riconoscimento della loro condizione e all'elaborazione di percorsi idonei a favorire la vita autonoma, un obiettivo certamente più facile da raggiungere se vi fossero meno barriere architettoniche, meno comportamenti incivili e un adeguato supporto, anche in termini di strumentazione, fin dai primi cicli scolastici.

di Ilaria Ciancaleoni Bartoli

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