giovedì 29 ottobre 2020

La distanza non diventi esclusione

Lucemagazine del 29/10/2020

Dopo il susseguirsi di ordinanze regionali che sospendevano le attività didattiche in presenza, l’ultimo Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri di sabato 24 ottobre ha uniformato la situazione a livello nazionale, portando alla quota minima del 75% le attività didattiche da svolgersi a distanza. Per tutti gli studenti italiani delle scuole secondarie si ritorna dunque a seguire le lezioni da casa, con il rito dell’entrata in classe sostituito dall’accesso online a Zoom o a un’altra piattaforma digitale. La misura - di cui non discutiamo la necessità dal punto di vista della tutela della salute pubblica – mette a rischio nuovamente il diritto allo studio delle categorie degli studenti più fragili, fra i quali gli alunni con disabilità.

Dal mondo delle associazioni si sono immediatamente levate voci critiche per l’assenza dal nuovo DPCM di misure specifiche da adottare per gli alunni con disabilità, che vengono citati esclusivamente nella frase di rito «avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità», peraltro nella sola parte dedicata agli studenti universitari. Del resto basta fare una ricerca testuale della parola “sostegno” nell’ultimo decreto per accorgersi che compare per sole 3 volte (su 84.248 parole! ) e mai con un riferimento diretto alla scuola.

Il problema – ha evidenziato l’Associazione Italiana delle Persone Down – è che non si accenna minimamente alle misure possibili per garantire il diritto alla didattica in presenza per gli alunni con disabilità. Di qui l’appello dell’associazione affinché «gli studenti con disabilità e il docente di sostegno con l’assistente all’autonomia e la comunicazione non siano lasciati soli in classe, ma si preveda la presenza anche di un piccolo gruppo di compagni di classe per garantire le “condizioni di reale inclusione”»

Di rischi di esclusione parla anche Evelina Chiocca, presidente del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno, che lancia l’allarme del possibile ritorno delle classi differenziali: «una lettura veloce del testo può indurre a pensare che, in presenza, debbano esserci unicamente alunni con disabilità insieme ad altri scolasticamente fragili, andando a ricostituire, di fatto, le classi differenziali o classi speciali abolite nel lontano 1977. Ed è ciò che, in molte scuole, sta accadendo»

La frequenza per gli alunni con disabilità (garantita dal decreto ministeriale n. 39 del 26 giugno 2020) si trasformerebbe paradossalmente in una condizione di esclusione.

Preoccupato dalla situazione è anche Rodolfo Masto, presidente della Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano Onlus, che segue circa 400 studenti ciechi o ipovedenti delle scuole lombarde: «I problemi che la scuola si trova ad affrontare in queste settimane sono eccezionalmente difficili e complessi. Ma non possiamo dimenticarci dei più fragili. Rivolgo un appello alle istituzioni affinché con il ritorno della didattica a distanza venga posta la massima attenzione per garantire il diritto allo studio di tutti gli studenti, compresi quelli con disabilità. Bisogna evitare che il distanziamento fisico si trasformi in distanziamento morale».

Ad aumentare il rischio di “distanziamento morale” c’è poi il meccanismo di arruolamento degli insegnanti di sostegno, che non garantisce la copertura di tutti i posti disponibili in molte regioni d’Italia, lasciando che vengano assegnati a supplenti privi di specializzazione. Con buona pace della continuità didattica e della preparazione specifica.

Un dossier di Tuttoscuola, pubblicato in questi giorni, arriva al nocciolo del problema: nell’annuale mobilità del personale docente sono gli insegnanti di sostegno a costituire percentualmente il gruppo più numeroso in trasferimento. Analizzando i dati della mobilità regionale degli insegnanti di sostegno sembra di «intravedere una specifica “rotta”, molto seguita da insegnanti in prevalenza meridionali, e percorsa in tre tappe: vanno a occupare posti di sostegno al Nord (dove ci sono molti posti vacanti e dove ottengono il posto fisso), poi chiedono il trasferimento vicino casa (seconda tappa) e arrivati a destinazione chiedono il passaggio al posto comune (tappa finale), lasciando il sostegno e gli alunni con disabilità».

Il sostegno sarebbe insomma utilizzato come una scorciatoia per il posto fisso e per il trasferimento vicino a casa.

Va detto che sono moltissimi gli insegnanti che quotidianamente lavorano con alunni disabili, a volte gravi, con passione e sensibilità encomiabili, sostenute da una solida preparazione specifica. Si trovi un modo per assegnare le cattedre a loro.

di Marco Rolando

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